Henrik Ibsen
Henrik Ibsen (1828 – 1906), drammaturgo, scrittore e poeta norvegese.
Citazioni di Henrik Ibsen
modifica- [Ultime parole] Al contrario.
- On the contrary.[1]
- Che cos'è la bellezza? Una convenzione, una moneta che ha corso solo in un dato tempo e un dato luogo.[2][3]
- Dovrei tentare la fortuna come fotografo. Prenderò per mano i miei contemporanei, uno per uno. [...] Non risparmierò né il bambino nel ventre della madre né un pensiero, un'intenzione fugace, mascherata sotto la parola, ogni volta che mi troverò in presenza di un'anima che meriti di essere rappresentata.
- I shall try my luck as a photographer. My contemporaries in the North I shall take in hand, one after the other [...] I wil not spare the child in the mother's womb, nor the thought or feeling that lies under the word of any living soul that deserves the honour of my notice. (da una lettera a Bjørnstjerne Bjørnson, 9 dicembre 1867[4])
- Gli amici sono pericolosi, non tanto per ciò che vi fanno fare, quanto per quello che vi impediscono di fare.[5][3]
- Gli spiriti della verità e della libertà sono i pilastri della società. (Lona Hessel: I pilastri della società, IV atto)
- Ho lanciato l'ultima felicità al vento per una vista più alta sulle cose. (da Sulle alture, 1860[6])
- Il mio libro è poesia; e se non è, lo diverrà. (da una lettera a Bjørnstjerne Bjørnson, 9 dicembre 1867[6])
- La storia ricorda una sola rivoluzione veramente radicale: il diluvio universale.[7]
- Lasci stare questa parola esotica: «ideali». Abbiamo già un ottimo vocabolo nostrale: «illusioni»![8]
- Quale è il primo dovere dell'uomo? La risposta è breve: essere se stesso.[2][3]
- Se ad un uomo comune si tolgono le illusioni vitali, gli si toglie in pari tempo la felicità.[8]
- – Sognare, sognare – perché sognare? | Meglio è, credi, agire nel giorno! | Meglio vuotare il nappo della vita | che star sonnolenti accanto ai morti padri. (da Sulle alture, 1860[6])
- Tutto ciò che ho scritto è in stretta relazione con ciò che ho vissuto intimamente – anche se non esteriormente. Ogni nuova opera, per me, ha avuto lo scopo di liberarmi e purificarmi lo spirito. Giacché non si è mai del tutto superiori alla società cui s'appartiene: vi si è sempre in qualche modo corresponsabili e correi. Perciò una volta ho preposto come dedica a un esemplare d'un mio libro questi versi:
Vivere: è pugnare con gli spiriti | mali del cuore e del pensiero. | Scrivere: è tenere severo | giudizio contro sé stessi. (da una lettera del 16 giugno 1880[6]) - Un uccello della foresta non ha bisogno di alcun riparo forzato. (Hilde: Il costruttore Solness, III atto).
Casa di bambola
modifica- Helmer: (dalla sua camera) Chi è che gorgheggia così? La mia lodoletta?
Nora: Sì.
Helmer: E chi è fa tutta questa confusione? Il mio scoiattolo?...
Nora: Sì.
Helmer: Quando è tornato a casa il mio scoiattolino?
Nora: In questo momento. (Rimette in tasca il pacchetto dei dolci e si pulisce le labbra.) Torvald, vieni a vedere cosa ho comprato.
Helmer: Ho da fare. Non disturbarmi. (Atto I, p. 18) - Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio padre, una bambola-figlia; con te, una bambola-moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos'è stata la nostra unione, Torvald. (Nora: Atto III, p. 87)
- Helmer: Non ragioni: continui a parlare puerilmente.
Nora: Può darsi. Ma tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli... Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!
Helmer: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme...
Nora: Guardami come sono: non posso essere tua moglie.
Helmer: Ma io ho la forza di diventare un altro.
Nora: Forse, quando non avrai più la tua bambola. (Atto III, p. 91) - La vita di famiglia perde ogni libertà e bellezza quando si fonda sul principio dell'io ti do e tu mi dai.
Gli spettri
modificaIncipit
modificaFruttero & Lucentini
modificaRegina (aprendo la porta) — Che cosa vuoi? Non entrare, sei tutto bagnato.
Ergstrand — È la pioggia del Buon Dio, mia cara ragazza.
Regina — Di' piuttosto la pioggia del Diavolo!
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Anita Rho
modificaRegine: (con voce smorzata) Che cosa vuoi? Non muoverti. Sei bagnato fradicio.
Engstrand: È la pioggia del Signore, bambina mia.
Regine: È la pioggia del diavolo!
[Henrik Ibsen, Gli spettri, traduzione di Anita Rho, Einaudi, Torino, 1959, ISBN 8806344625]
Citazioni
modifica- Manders: Ha l'impressione che letture di questo genere la rendano migliore o più felice?
Signora[9]: Mi sembra che mi diano una specie di serenità.
Manders: Curioso. In che modo?
Signora: Ci trovo come la spiegazione e la conferma di molte cose alle quali ho già riflettuto per conto mio. Questa appunto è la cosa strana, signor pastore... in quei libri, in fondo, non c'è nulla di nuovo; nulla più di quel che il mondo pensa e crede in generale. Ma il fatto è che il mondo non se ne rende conto e non vuole confessarselo.
Manders: Oh, per l'amor di Dio! Crede sul serio che il mondo...
Signora: Certo che lo credo.
Manders: Sì, ma non in questo paese? Non qui da noi?
Signora: Ma sì, anche qui da noi.
Manders: Bene, le garantisco che...!
Signora: D'altronde che cosa ha da obiettare contro questi libri?
Manders: Obiettare? Non vorrà già credere ch'io mi sia mai dato all'esame di opere di quel genere?
Signora: In altri termini, lei non conosce affatto ciò che condanna?
Manders: Ho letto abbastanza di quel che si scrive intorno a questi libri per disapprovarli.
Signora: Sì, ma la sua opinione personale...
Manders: Cara signora Alving, nella vita vi sono casi in cui bisogna fidarsi dell'opinione altrui. Così è in questo mondo; ed è bene che sia così. Altrimenti che ne sarebbe della società umana? (1959, p. 21)
- Manders: Si ricorda che, dopo un anno appena di matrimonio, lei s'è trovata sull'orlo estremo dell'abisso? Che ha abbandonato la casa e il focolare... che è fuggita da suo marito... sì, signora Alving, fuggita, fuggita, e ha rifiutato di tornare da lui, malgrado tutte le sue preghiere e le sue suppliche?
Signora: Ha dimenticato com'ero stata immensamente infelice, in quel primo anno?
Manders: Quest'è appunto il vero spirito di rivolta, pretendere la felicità quaggiù nella vita. Che diritto abbiamo, noi uomini, alla felicità? No, noi dobbiamo compiere il nostro dovere, signora! E il suo dovere era di restare con l'uomo che aveva scelto, e al quale la legavano vincoli sacri. (1959, p. 32)
Catilina
modificaPERSONAGGI
Lucio Catilina, un nobile romano.
Aurelia, sua moglie.
Furia, una vestale.
Curio, un giovane, parente di Catilina.
Manlio, un veterano.
Lentulo, Cepario, Gabibio, Statilio, Cetego, giovani nobili romani.
Ambiorige, Ollovico, messi di Allobrogi.
Un vecchio.
Sacerdotesse e servi del tempio di Vesta.
Gladiatori e guerrieri.
Compagni degli Allobrogi.
Lo spettro di Silla.
L'azione del primo e secondo atto si svolge nei dintorni di Roma e in Roma, quello del terzo in Etruria.
Catilina: Tu devi! Tu devi; così m'ordina una voce del profondo dell'anima, – ed io voglio seguirla. Possiedo forza, e coraggio per qualcosa di meglio, di più alto che non sia questa mia vita. Una corsa sfrenata al piacere – No, no; esso non soddisfa la sete del cuore. Io fantastico e deliro! L'oblio solo desidero. Tutto è passato! La mia vita non ha uno scopo.
Citazioni su Catilina
modifica- Catilina è scritto di getto, rubando qualche quarto d'ora alle ore rubate per lo studio. È scritto di furto, con la complicità della notte, quando il «lüttje Abtekerjunge» si levava il grtembiule da impastator di pillole e ridiventava il giovane desideroso di lotta e d'avvenire. Ibsen notava più tardi, con quel suo sorriso con cui sapeva parlare delle cose sue passate e degli altri, che tutta la favola si svolge di notte perché egli poteva lavorare per conto suo soltanto nelle ore notturne. (Scipio Slataper)
Gli spettri
modificaRegina (aprendo la porta) — Che cosa vuoi? Non entrare, sei tutto bagnato.
Ergstrand — È la pioggia del Buon Dio, mia cara ragazza.
Regina — Di' piuttosto la pioggia del Diavolo!
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
I pilastri della società
modificaKrap — Ah, siete voi.
Aune — Il console mi ha fatto chiamare.
Krap — Sì, ma non può ricevervi. Ha incaricato me di...
Aune — Voi? Avrei preferito...
Krap — ... ha incaricato me di parlarvi. Dovete smettere di tenere quelle conferenze agli operai, il sabato.
Aune — Ah, sì? Credevo di avere il diritto di utilizzare come voglio le mie ore di libertà.
Krap — Non avete il diritto di incoraggiare gli operai alla fiacca nelle loro ore di lavoro.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]
Un nemico del popolo
modifica- I nemici in mezzo a noi più pericolosi della verità e della libertà, i nemici sono la maggioranza compatta. Sì, la dannata, compatta, liberale maggioranza – è lei il peggior nemico! (2013)
- L'uomo più forte del mondo è quello che è più solo. (2011)
- La minoranza ha sempre ragione. (2013)
- Quando si va a combattere per la libertà e per la verità, non si dovrebbe mai mettere un vestito nuovo. (2011)
Citazioni su Henrik Ibsen
modifica- Che differenza fra Ibsen e Björnson! Il primo cortese, ma chiuso, freddo e riservato; il secondo aperto, festoso e loquace. Anche fisicamente i due erano uno l'opposto dell'altro: Ibsen piuttosto piccolo e pingue con due lunghe basette bianche e due occhi singolarissimi, celesti, grandi, spalancati dietro gli occhiali, duri, fissi, imperscrutabili e scrutatori ad un tempo; Björnson alto e tarchiato, con una magnifica testa leonina e dei capelli ancora biondicci alla base che gli salivano maestosi sulla fronte superba: gli occhi erano pieni di fuoco e parevano – malgrado i 65 anni che aveva allora – pieni di vigoria. Anche e più spiritualmente i due contrastavano: pensatore, pessimista, aristocratico l'uno; tribuno, ottimista, democratico l'altro. (Mario Borsa)
- Dopo Sofocle, è l'artista che più m'è penetrato e m'ha assorbito. (Carlo Michelstaedter)
- Ibsen è l’unico scrittore che guarda il borghese in faccia e gli domanda: allora, che cosa hai portato al mondo? (Franco Moretti)
- Il misticismo dall'azione domina tutto il teatro d'Ibsen, e per conseguenza il suo ferreo sistema di idee. L'azione è giudicata il primo dovere che incombe ad ogni uomo. Poiché il mondo è un bivacco di dormienti, di malati, di traviati, l'obbligo che ci sovrasta, ove di quella malattia ci rendiamo conto, è di destare, di risvegliare, di infrenare, di sferzare. Verbi attivi, i quali non conoscono possibilità di riposo. (Gino Gori)
- Il suo gran successo come dramaturgo, nelle sfere elevate degli apprezzatori, è la condanna della forma teatrale meglio che la promessa di una redenzione. Egli è un distruttore, come e forse più di Riccardo Wagner: onde, come il Wagner à detto forse l'ultima parola, quasi l'elogio funebre, del dramma musicale, è probabile che anche l'Ibsen abbia pronunciato il suo epicedio al dramma letterario. Entrambi sono inimitabili perché sono definitivi: il Wagner come l'Ibsen non ànno avuto e non avranno mai né una scuola né dei seguaci. (Enrico Annibale Butti)
- Io credo che a torto si sia voluto avvicinarlo ai romanzieri russi. La sua visione delle cose è totalmente diversa; e di quella pietà umana, caratteristica nel Tolstoi e nel Dostojewski, non è in lui presso che traccia alcuna. Spirito teorico e filosofico, egli intravede e giudica le umane cose di preferenza sotto un aspetto logico e intellettuale che sotto un aspetto sentimentale: e fin nei drammi dell'esistenza più lugubri e più tristi è in lui piuttosto che uno scoppio di singhiozzi e di lacrime, una consapevolezza dura e serena dell'ineluttabilità del Destino. (Enrico Annibale Butti)
- Quando si pensa all'intera opera drammatica del grande Norvegese, dalla prima commedia moderna, La commedia dell'amore (1862) all'ultimo dramma Quando noi morti ci destiamo (1900) si ha come un senso di sgomento: par di trovarsi dinanzi a una catena di montagne, le cui cime si perdano nell'alto, nel cielo fumigante di nubi. Lo spettacolo è terribile, ma suggestivo: ci fa tremare, ma c'inchioda lì, perché ammiriamo, senza stancarci mai, estatici... Veramente, prima ancora che l'analisi e lo studio profondo ce ne persuadano, noi sentiamo, dinanzi all'opera ibseniana, la presenza di un dio: lo spirito universale del genio. (Luigi Tonelli)
- Quel che importa ad Ibsen non è il successo, ma la intenzione di obbedienza all'imperativo primo che risuona sullo spirito della Terra: svegliare, flagellare, lottare; sopprimere la materia e l'egoismo di cui l'uomo s'aureola, instaurare il regno dello spirito, sia pure negli squallori del deserto, nobilitare in sé l'uomo, e nel mondo, gli uomini. (Gino Gori)
- Sostenitore di una morale individualista. (Seguendo Ibsen, molte mogli dicono al marito, «la tua verità non è la mia», e seguono altra via!). (Alfredo Panzini)
- Sul serio, Peer Gynt è magnifico, Ibsen: soltanto un novergese può capire com'esso è bello. (Bjørnstjerne Bjørnson)
- Bisogna pensare alla vita oscura invernale d'un borgo isolato nella Norvegia d'un secolo fa, ricordare l'infanzia di Peer Gynt, che per confessione del poeta somiglia molto alla sua, per comprendere in che aria cresceva il piccolo Henrik.
- Il vero Ibsen non è poeta da epopee goethiane. Con esse afferma, non conchiude il suo pensiero. In fondo è povero di pensiero. È profondo, moralmente profondo, conosce la verità centrale: ma il suo intelletto non afferra la verità nelle sue multicolori forme. È una profonda personalità, non un genio. E una Divina Commedia, un Faust, se si reggono sul proprio centro etico, vivono soltanto perché esso, a immagine di Dio, s'irradia in ogni aspetto della vita. Mancando al poeta questa dominanza intellettiva, questa divinità, il poema si riduce allo schema, ricchissimo del suo eroe.[10]
- Sarebbe agevole dimostrare come la contraddizione della nostra epoca sia entrata, elemento finora conturbatore perché negato, in quasi tutti i nostri capolavori artistici, anche in quelli in cui, esplicitamente, non sono nominate le parole: etica e religione. È ormai uno stato d'animo che si riflette in ogni atto valutativo e rappresentativo; e Ibsen è tale poeta «nostro», che in quasi tutti i suoi lavori, dobbiamo ritrovare questa nostra contraddizione essenziale. Egli è una personalità rotta: volontà, dura freddezza, opposta (e fusa) alla debolezza sognante, all'egoismo rapace, diabolico scorpione del suo sangue, al suo enorme orgoglio, al suo peccato – e amore, purezza, vita, grazia , ch'egli invoca.
Note
modifica- ↑ Rispondendo ad un'infermiera che aveva scorto un miglioramento nella sua salute. Citato in Michael Meyer, Ibsen, 1967; citato in Elizabeth M. Knowles, The Oxford Dictionary of Quotations, Oxford University Press, 1999, p. 457. ISBN 0198601735
- ↑ a b Da Peer Gynt.
- ↑ a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
- ↑ (EN) In The Correspondence of Henrik Ibsen, traduzione di Mary Morison, Haskell, New York, 1970 (1905), p. 146.
- ↑ Citato in André Gide, Corydon.
- ↑ a b c d Citato in Scipio Slataper, Ibsen, G.C. Sansoni Editore, Firenze 1944.
- ↑ Citato in Leo Longanesi, Parliamo dell'elefante, Longanesi, Milano, 2017. ISBN 9788830446472
- ↑ a b Da L'anitra selvatica, atto V.
- ↑ Helene Alvig
- ↑ Peer Gynt.
Bibliografia
modifica- Henrik Ibsen, Casa di bambola, traduzione di Lucio Chiavarelli, Newton Compton, 1993.
- Henrik Ibsen, Catilina, traduzione di C. Giannini e N. Zoja, Garzanti, 1951.
- Henrik Ibsen, Drammi moderni, a cura di Roberto Alonge, traduzioni di Aa. Vv., BUR, 2013.
- Henrik Ibsen, I capolavori, traduzioni di G. Ottaviano, L. Chiavarelli, L. Squarzina, G. Platone e Ole Jo Norby, Newton Compton, 2011.
- Henrik Ibsen, Gli spettri, traduzione di Anita Rho, Einaudi, Torino, 1959, ISBN 8806344625
- Henrik Ibsen, L'anitra selvatica, traduzione di Piero Monaci, BUR, 2003.
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