H. G. Wells

scrittore britannico
(Reindirizzamento da La macchina del tempo)

Herbert George Wells (1866 – 1946), scrittore britannico.

Herbert George Wells nel 1943

Citazioni di H. G. Wells

modifica
  • Confesso che approcciai Stalin con una certa dose di sospetto e pregiudizio. Nella mia mente era stata costruita una raffigurazione di un fanatico molto riservato ed egocentrico, un despota senza vizi, un geloso monopolizzatore del potere. [...] Mi aspettavo anche di trovare un uomo spietato, duro - possibilmente dottrinario - e autosufficiente a Mosca; un montanaro georgiano il cui spirito non era mai completamente emerso dalla sua vallata nativa. Tuttavia dovetti riconoscere che sotto lui la Russia non era semplicemente tiranneggiata e schiacciata; era governata e progrediva. [...] Tutta questa oscura risacca, tutto il sospetto di tensioni emotive nascoste, cessò per sempre dopo che ebbi parlato con lui per pochi minuti. [...] Non ho mai incontrato un uomo più candido, giusto e onesto, ed è a queste qualità, e a niente di occulto e sinistro, che deve la sua tremenda ascesa indiscussa in Russia.
I confess that I approached Stalin with a certain amount of suspicion and prejudice. A picture had been built up in my mind of a very reserved and self-centred fanatic, a despot without vices, a jealous monopolizer of power. [...] I still expected to meet a ruthless, hard—possibly doctrinaire—and self-sufficient man at Moscow; a Georgian highlander whose spirit had never completely emerged from its native mountain glen. Yet I had had to recognize that under him Russia was not being merely tyrannized over and held down; it was being governed and it was getting on. [...] All such shadowy undertow, all suspicion of hidden emotional tensions, ceased for ever, after I had talked to him for a few minutes. [...] I have never met a man more candid, fair and honest, and to these qualities it is, and to nothing occult and sinister, that he owes his tremendous undisputed ascendency in Russia.[1]
  • In Utopia non c'è carne. C'era, un tempo... ma ora non riusciamo neanche a pensare ai mattatoi. Tutta la gente si è evoluta spiritualmente ed è praticamente impossibile trovare qualcuno che voglia fare a pezzi un bue o un maiale morti. [...] E io ricordo la mia gioia di ragazzo quando vennero chiusi gli ultimi mattatoi.[2]
  • La mia immaginazione si rifiuta di vedere qualsiasi tipo di sottomarino fare qualunque cosa tranne che soffocare il proprio equipaggio e naufragare in mare.
My immagination refuses to see any sort of submarine doing anything but suffocate its crew and founder at sea.[3]
  • La nostra vera nazionalità è l'umanità.[4]
  • [Parlando a Londra il 25 aprile 1938 in un congresso internazionale di maestri sulle «malefatte della storia» e sull'illusione di trovarvi un rimedio] Questa Società delle Nazioni, questo piccolo cappello di carta che incorona non un colosso ma un ammasso di patriottismi discordanti è l'ultimo tentativo che si è fatto disperatamente per adattare il vecchio mosaico delle idee nazionaliste a un mondo nuovo che non sa che cosa farsene.[5]
  • Quando, nel corso della giornata, ti accorgi di avere scritto al mattino le tue cartelle, sbrigato la corrispondenza nel pomeriggio, e non hai altro da fare, viene il momento in cui ti annoi: ecco l'ora del sesso.[6]
  • Se non poniamo fine alla guerra, la guerra porrà fine a noi.[7]

Gli astrigeni

modifica
  • Questa è la storia di un'idea e di come essa mise in moto la mente di molte persone intelligenti.
    Non è compito del narratore dire se quest'idea nascondesse una realtà. Il lettore giudichi pure da sé. Un uomo – e sarà il personaggio principale del racconto – vi credette senza ombra di dubbio.

Citazioni

modifica
  • La maggior parte dei mariti scontenti – il ritornello della letteratura comica e della saggezza proverbiale – affermano di avere il terrore delle mogli chiacchierone, ma questo terrore è veramente niente in confronto a quello di una donna silenziosa, silenziosa e cogitabonda. Una moglie brontolona può dire infinite cose seccanti e può indovinare o sbagliare, ma una donna silenziosa dice tutto. (p. 16)
  • Dal tempo che era andato a scuola aveva sentito un'antipatia segreta per il suo nome di battesimo. I ragazzi birbantelli della scuola superiore gli avevano spiegato che su esso c'era un'ombra. Né nel Vecchio Testamento né nel Nuovo, il nome di Giuseppe si orna di quell'aureola di splendente virilità che è l'aspirazione di ogni giovane maschio. Egli aveva lottato perché lo chiamassero sempre Jo. Ma la mortificante considerazione che era un «Giuseppe» opprimeva le sue meditazioni private. (p. 22)
  • – E dove si arriva? – chiese qualcuno. – Dov'è in tutto ciò il pensiero e l'anima?
    – Appena un velo, appena una sottile zona di riflessione a mezza strada nell'ordine di grandezza fra gli elettroni e le stelle. (p. 25)
  • Questa ionosfera, per quel che posso capire io, è chiamata così perché, primo non ha ioni, secondo non è una sfera e terzo è uno strato. (uomo rossastro, pp. 25-26)
  • Aveva fatto di se stesso un campione di quella vita dell'umanità comune, antica e venerabile, inalterata attraverso i secoli – tranne di tanto in tanto per le provvidenziali punizioni di qualche eresia transitoria – della semplice, antica, bella storia dell'infanzia, dell'istruzione, amore, attività, famiglia, onore, e naturale passaggio alla veneranda vecchiaia, e a una morte piena di luminosa speranza. Era una storia terrena, nel migliore, nell'onesto e pio senso rustico, e al tempo stesso profondamente spirituale. Questa esistenza, con il passare dei secoli, si era sviluppata in un'alternativa stimolante di semina e raccolto, di freddo e di caldo, di sete e di fame, di desideri ragionevoli e di soddisfazioni modeste. Di tale materiale era fatta la storia, e in questo manufatto solido e resistente erano ricamati i grandi personaggi storici, con una drammaticità vivida e sgargiante come un messale miniato. La storia raccontava delle loro conquiste, trionfi, glorie, eroismi, tragedie commoventi e ammirevoli sacrifici. Erano tutti di formato molto più grande dell'umano – come i monarchi e gli dèi di un bassorilievo assiro – mentre la gente comune si aggirava sotto i loro piedi, secondo la migliore tradizione storica. Così era stato. Così sarebbe continuato fino a che l'Onnipotente avesse ordinato di calare il sipario, e avesse richiamato gli attori dai loro vari camerini per dar loro il giusto compenso. (p. 46)
  • La parola «ispettore» lo faceva impallidire di rabbia. «Ancora ispettori!» era il grido più insistente nelle sue numerose pubblicazioni. Meschini uomini sporchi erano questi ispettori, affermava, con nasi affilati da volpe, dei poveracci, e con la passione per le bustarelle. Stavano sempre a spiare attraverso il buco della serratura, a sorvegliare dalle finestre, si arrampicavano furtivamente su per le condutture, arrivavano attraverso le inferriate, tessevano la rete intorno a tutta quanta l'impresa d'affari. (p. 59)
  • Nella mente di lord Thunderclap il socialismo era un altro sostantivo che significava un'indagine maligna. Non aveva idea di che piccole creature innocue, malcontente, dottrinarie fossero i socialisti, e quale limitata area del problema sociale avessero sempre esplorato. Credeva per davvero che avessero un piano vigoroso e chiaro, pronto ad essere messo in pratica a beneficio dell'umana società lavoratrice, una strenua società competente, pronta a cacciar fuori dall'esistenza lui e i suoi simili. In qualsiasi momento oramai avrebbero potuto farglielo saltare addosso. Lottava selvaggiamente nell'oscurità contro quella convinzione, ma essa lo dominava. Era forse l'unico uomo vivente in Inghilterra che credesse nel socialismo fino a quel punto. (p. 59)
  • L'assassinio è un'affermazione legittima di dignità personale di fronte alla dittatura. Non è semplicemente un diritto: è un dovere, un sacro dovere. Il dittatore è un fuorilegge, si è allontanato dalla legge. Esiste ed è degradato dal fatto stesso che esiste. Vi impone sordide mansioni. Può conscrivervi. Vi mette di fronte a una scelta di mali. Certamente è meglio uccidere il vostro dittatore che permettergli di far sì che voi uccidiate altre persone... direttamente o indirettamente. Se siete abbastanza forti, potete dirgli: «Andate al diavolo!». Se questo lo ferma, potete usargli misericordia; ma se non siete abbastanza forti, dovete uccidere. Che cos'altro potreste fare, da uomini che si attengono alla legge? (Keppel, p. 76)
  • Una rivoluzione è solamente un rivolgimento sociale: non cambia nulla di fondamentale. Che cosa è in fondo una rivoluzione? C'è un crescente squilibrio di classi o gruppi, il centro di gravità si sposta, la rozza zattera si capovolge, e predomina un aspetto nuovo della sostanza vecchia. Non c'è altro in una rivoluzione. (Keppel, p. 77)
  • Ogni organo vivente sente l'impulso a stare in movimento, e il maggior piacere di ogni essere vivente deriva dalla soddisfazione che procura l'uso delle sue facoltà. (Keppel, p. 82)
  • Ma gli uomini che sentono un profondo interesse per il lavoro scientifico e creativo si dedicano pochissimo ai giochi. Il giocatore è un pervertito che occupa la mente gingillandosi, perché è incapace di usarla bene e seriamente per uno scopo naturale da definire. La caccia fu in passato uno splendido gioco; e la guerra, a considerarla bene, non è che una caccia enormemente costosa e distruttiva, per mancanza di idee migliori. La guerra finirà quando la noia finirà... (Keppel, p. 82)
  • [...] mettere una mente umana di fronte all'idea del progresso vivente, è come mettere un cane educato male dentro una casa: il suo primo impulso è quello d'insozzare la mobilia. (Keppel, p. 82)
  • Le persone sciocche si sentono offese da tutto ciò che non comprendono e non possono dominare. Diventano sprezzanti e desiderano distruggerlo e bandirlo dai loro pensieri. Immagino che se mancassero guardiani e custodi nelle nostre gallerie di quadri, non ci sarebbe capolavoro che entro un anno non sarebbe dolorosamente sfregiato. E probabilmente sfregiato... sozzamente. (Keppel, pp. 82-83)
  • Odio l'umanità comune. Questa folla balorda che calpesta il suolo da dove potrebbero innalzarsi le mie cime incoronate di nuvole. Sono stanco di umanità... Oltre ogni limite. Toglietela di mezzo! Questo branco ossequiente di timidi e puzzolenti, di gente che sta a bocca aperta, che bombarda, che spara, che taglia gole, plebaglia di morti di fame. Piazza pulita di loro! (Keppel, p. 84)

Il bambino giaceva al loro fianco nella culla, in un sonno senza sogni. Pareva che respirasse appena. L'espressione di quel piccolo viso colorito con gli occhi chiusi, era quella di una segreta decisione. Un piccolo pugno stretto risaltava sul copriletto. Paura di un cambiamento? Paura di una nuova nascita in arrivo?
Mai, egli pensò, c'era stata qualcosa al mondo che avesse l'aspetto così calmo e fosse così fermamente risoluto ad affermare i suoi diritti di pensare e agire a proprio modo nel proprio tempo.

Il paese dei ciechi

modifica
  • Tra i ciechi l'orbo d'un occhio è re.[8] (p. 17)
  • Ci sono le belle cose, piccole cose bellissime: i fiori, i licheni tra le rocce, la morbida lucentezza di una pelliccia, il cielo lontano con le nuvole che passano scivolando, i tramonti, le stelle. E ci sei tu. Solo per te è bello avere la vista, per vedere il tuo viso dolce e sereno, le tue labbra affettuose, le tue mani care e belle congiunte insieme... (Nunez, pp. 40-41)
  • Pensò a quel mondo grande e libero dal quale era separato, un mondo ch'era il suo, e gli parve di vedere quegli altri pendii, quelle lontananze che seguono lontananze, e, a media distanza, Bogota, luogo di bellezze multiformi e commoventi, uno splendore di giorno, un mistero luminoso di notte, un luogo pieno di palazzi, fontane, statue, case bianche. Pensò come fosse possibile, in un giorno o due, calare attraverso i valichi, giungere più vicino alle strade affollate e affaccendate della città. Pensò al viaggio sul fiume, per tanti giorni l'uno dopo l'altro, dalla grande Bogota verso il mondo ancora più vasto che stava più oltre, passando per città, villaggi, foreste e luoghi deserti; un giorno dopo l'altro sul gran fiume, finché le sponde si allontanavano e i grandi piroscafi passavano rimescolando l'acqua e si giungeva al mare, il mare sconfinato, con migliaia di isole e navi intraviste lontano nel loro incessante viaggiare in giro per il mondo, attorno al grande mondo. E là si vedeva, non ostacolato da montagne, il cielo, il cielo! Non un disco, come lo si vedeva qui, ma un arco incommensurabile d'azzurro, somma profondità in cui galleggiano nel loro moto ciclico le stelle... (pp. 43-44)

L'isola del dottor Moreau

modifica

Mario Monti

modifica

Il primo febbraio 1887 la Lady Vain naufragò a seguito di una collisione con un relitto a circa 1' di latitidine sud e 107' di longitudine ovest.
Il 5 gennaio 1888, ossia undici mesi e quattro giorni dopo, a 5' e 3'' di latitudine sud e 101' di longitudine ovest, fu trovato mio zio, Edward Prendick, certamente imbarcatosi sul Lady Vain a Callao e ritenuto morto per annegamento. Era in una piccola imbarcazione aperta, dal nome illeggibile, ma probabilmente appartenuta alla goletta dispersa Ipecacuanha. Fornì un resoconto così strano di come fosse finito lì che si concluse fosse forse impazzito. In seguito disse di aver avuto un vuoto di memoria dal momento in cui era fuggito dalla Lady Vain.

Maria Alice Puddu

modifica

Il 1° febbraio del 1887 la nave Lady Vain naufragò, cozzando contro un relitto, a 1° di latitudine sud e a 107° di longitudine ovest.
Il 5 gennaio 1888, cioè undici mesi e quattro giorni dopo, mio zio, Edward Prendick, che era stato a bordo della Lady Vain a Callao e che credevamo annegato, fu raccolto a 5°3' di latitudine sud e a 101° di longitudine ovest su una lancia; il nome dell'imbarcazione era illeggibile, ma si suppose appartenesse alla goletta smarrita Ipecacuanha. Il racconto ch'egli fece delle avventure capitategli fu così strano che lo si credette impazzito. Tempo dopo, affermò che nella sua mente vi era tutta una lacuna, a partire dal momento della sua fuga dalla Lady Vain.

Vera Simonetti

modifica

Il primo febbraio dell'anno 1887, il piroscafo Lady Vain andò perduto in una collisione con una nave alla deriva a circa 1° di Latitudine Sud e 107° di Longitudine Ovest.
Il 5 gennaio del 1888, ossia undici mesi e quattro giorni dopo, mio zio Eduardo Prendick, un modesto gentiluomo che doveva essersi imbarcato a bordo della Lady Vain a Callao e che si credeva perduto a 5° 3' di Latitudine Sud e 101° di Longitudine Ovest, fu raccolto da un canotto il cui nome era illeggibile, ma che si suppone appartenesse al bastimento Ipecacuanha che non si era più trovato.
Egli fece un racconto così strano di se stesso e delle sue avventure capitategli, che lo si suppose demente. In seguito, anzi, ammise che la sua mente era rimasta scossa fin dal momento in cui era scampato al naufragio del Lady Vain.

Citazioni

modifica
  • Era come se io fossi stato già morto in un altro mondo. La tana buia, quelle grottesche figure indistinte appena chiazzate qua e là da un bagliore di luce, e tutti che si dondolavano all'unisono cantando:
    – Non camminare carponi; questa è la legge. Non siamo dunque uomini?
    – Non bere succhiando; questa è la legge. Non siamo dunque uomini?
    – Non mangiare né carne né pesce; questa è la legge. Non siamo dunque uomini?
    – Non graffiare la corteccia degli alberi; questa è la legge. Non siamo dunque uomini?
    – Non dar la caccia ad altri uomini; questa è la legge. Non siamo dunque uomini?
    [...]
    Enumerammo un lungo elenco di divieti, poi il canto passò a una nuova formula:
    Sua è la casa del dolore.
    Sua è la mano che crea.
    Sua è la mano che ferisce.
    Sua è la mano che guarisce.
    E così via, un'altra lunghissima litania, per lo più in un gergo per me assolutamente incomprensibile, tutta consacrata a Lui, chiunque egli fosse. Poteva anche essere tutto un sogno, ma in sogno non avevo mai udito cantare.
    Suo è il lampo, – noi cantavamo. – Suo il mare profondo. [...] – Sue le stelle del cielo. (2016, cap. XII, pp. 43-44)
  • Fino ad oggi, non mi sono mai preoccupato della moralità del problema. Lo studio della natura rende l'uomo crudele come la natura. (Dottor Moreau: 2016, cap. XIV, p. 55)
  • Mi affacciai alla soglia. Erano già indistinguibili per la nebbia lunare. Poi Montgomery si fermò, somministrò acquavite pura a M'ling, e tutti non formarono più che una chiazza scura e informe.
    – Cantate, – urlò Montgomery. – Cantiamo insieme: «Maledetto il vecchio Prendick!». Benissimo! «Maledetto il vecchio Prendick!». (2016, cap. XIX, p. 79)
  • Mi inginocchiai accanto a lui [Montgomery] e gli sollevai la testa. Di nuovo aprì gli occhi, fissò in silenzio la luce dell'alba e poi me. Le palpebre gli si richiusero pesantemente.
    – Mi spiace, – disse poco dopo, con sforzo. Si sforzava di pensare. – L'ultimo... – mormorò, – il fine ultimo di questa stupida vita... Che confusione...!
    [...] Mi chinai su di lui per ascoltarne il respiro, infilai una mano nello strappo della camicia. Il cuore non batteva più. Era morto. (2016, cap. XIX, p. 82)
  • Un animale può essere feroce e anche astuto, ma per mentire bene non c'è che l'uomo. (2016, cap. XXI, p. 88)

Ma tutto questo, grazie al cielo, ora mi capita di rado. Mi sono ritirato dalla confusione della città e della folla e passo le mie ore sui libri, luminose finestre nella notte della vita. Vedo pochi estranei ed ho una modestissima casa tutta mia. Dedico le ore del giorno ad esperimenti di chimica e nelle notti luminose studio l'astronomia. Per quanto non ne sappia il come e il perché, c'è un senso di pace e di protezione nello sfavillio delle stelle. E poi, è nelle vaste ed eterne leggi della materia e dei mondi, e non negli affanni terreni, nel peccato o nella sofferenza, che tutto quello che non è animalità in noi deve trovare il suo conforto e la sua speranza. Lo credo fermamente, se no non potrei vivere. E così, nella fede e nella solitudine, finisce la mia storia. (2016, p. 96)

L'uomo invisibile

modifica

Mario Monti

modifica

Lo sconosciuto giunse ai primi di febbraio, in un giorno invernale, venendo dalla brughiera attraverso il vento pungente e la fitta neve, l'ultima nevicata dell'anno. Proveniva, a quanto sembrava, dalla stazione ferroviaria di Bramblehurst, reggendo nella mano infilata in un grosso guanto una piccola valigia nera. Era imbacuccato dalla testa ai piedi, e la tesa del morbido cappello di feltro gli nascondeva ogni pollice del volto eccetto la punta lucida del naso; la neve accumulatasi sulle spalle e sul petto profilava di bianco il fardello che portava. Entrato che fu barcollante nella locanda Carrozze e Cavalli, più morto che vivo all'apparenza, lasciò cadere a terra la valigia. "Un fuoco" gridò "per carità cristiana! Una stanza e un fuoco!"

Stefano Sudrié

modifica

Lo straniero arrivò ai primi di febbraio, in una giornata gelida, sferzata da un vento tagliente e battuta da una fitta nevicata, l'ultima della stagione. Veniva a piedi dalla stazione di Brumblehurstm, e teneva in mano, una mano pesantemente guantata, una valigetta nera. Era imbacuccato dalla testa ai piedi, e la tesa del suo morbido cappello di feltro gli scendeva sul viso, nascondendolo quasi interamente alla vista, L'unica cosa visibile era la punta lucida del suo naso. La neve gli si era ammucchiata contro il petto e sulle spalle e aveva ricamato una cresta bianca sul bagaglio. Più morto che vivo, entrò nell'albergo «Carrozza e cavalli» e lasciò cadere in terra la valigia.

Maria Grazia Giovagnoli Vancini

modifica

Il forestiero arrivò sulla collina in una giornata d'inverno, all'inizio di febbraio, durante l'ultima nevicata dell'anno, tra un turbinio di neve e folate di vento gelido. Veniva a piedi dalla stazione di Bramblehurst, aveva le mani coperte di grossi guanti e portava una valigetta nera. Era imbacuccato dalla testa ai piedi e la falda del cappello floscio di feltro gli nascondeva completamente il volto, lasciando scoperta solo la punta lucida del naso; la neve gli si era accumulata sulle spalle e sul petto e disegnava una cresta bianca sul suo bagaglio. Più morto che vivo, entrò barcollando nella locanda «Coach and Horses» e lasciò cadere a terra la valigetta. – In nome di Dio! Un po' di fuoco! – gridò, – una stanza e un po' di fuoco! – (p. 27)

Citazioni

modifica
  • Sognai febbrilmente cose che diventavano nebulose e svanivano intorno a me fino a che tutto svanì, anche il terreno su cui stavo io, ed ebbi quell'incubo impressionante di cadere nel vuoto che avrà avuto qualche volta anche lei. (Griffin: 1998, p. 128)
  • La stricnina è un tonico potente, Kemp, elimina ogni debolezza.
    – È diabolica, – disse Kemp. – È fuoco imbottigliato. (1998, p. 130)
  • Il naso per un cane è quello che per l'uomo sono gli occhi. I cani con il loro fiuto avvertono i movimenti di un uomo come gli uomini ne avvertono, con gli occhi, il suo aspetto. (Griffin: 1998, p. 138)
  • Cercai di pensare alle cose che un uomo considera desiderabili. Senza dubbio l'invisibilità dava la possibilità di ottenerle, ma rendeva anche impossibile goderne, una volta ottenute. L'ambizione, per esempio: quale piacere si trae dal trovarsi in un posto quando non si può far vedere che si è là? Che cosa conta l'amore di una donna, quando il suo nome deve essere per forza Dalila? Non mi piacciono la politica, i compromessi della fama, la filantropia o lo sport. Che cosa avrei fatto allora? Per questo, ero diventato un essere misterioso, imbacuccato, una caricatura fasciata e bendata di uomo. (Griffin: 1998, p. 156)
  • L'invisibilità, in fondo, serve solo in due casi. È utile per allontanarsi da un luogo o per avvicinarvisi. È particolarmente utile, quindi, per uccidere. Posso girare intorno a un uomo – qualunque arma quello tenga in mano – prendere la mira, colpirlo quando voglio, scostarmi a piacer mio e fuggire quando e come mi pare. (Griffin: 1998, p. 160)
  • – Quello [l'uomo invisibile] è pazzo, – disse Kemp, – inumano. È solo puro egoismo. Non pensa ad altro che al suo vantaggio personale e alla sua sicurezza. (1998, p. 163)
  • «Lei è stato straordinariamente energico e astuto, [...] anche se io non riesco a immaginare che cosa spera di guadagnarci. Lei mi è contro. Per una giornata intera mi ha dato la caccia, ha cercato di privarmi anche del riposo notturno. Ma io ho trovato da mangiare e, nonostante tutto, ho anche dormito. Ora la partita è solo all'inizio: incomincia ora. Adesso incomincia il terrore. Questa lettera le annuncia il primo giorno del terrore. Port Burdock non è più sotto la regina, lo dica pure al colonnello di polizia e a tutti gli altri. È sotto di me: il terrore! Questo è il primo giorno, dell'anno primo, della nuova era. È l'era dell'uomo invisibile. Io sono l'uomo invisibile. Il mio governo sarà facile: tanto per cominciare, il primo giorno ci sarà un'esecuzione capitale, che serva da esempio, un uomo di nome Kemp. La morte, oggi, si mette in moto per lui; egli può rinchiudersi, nascondersi, circondarsi di guardie, mettersi pure un'armatura se vuole... ma la morte, la morte invisibile giungerà lo stesso. Che egli prenda pure le sue precauzioni: ciò colpirà di più i miei sudditi. La morte parte a mezzogiorno dalla cassetta postale. La lettera vi cadrà dentro all'arrivo del postino, e poi via! Incomincia la partita! La morte si mette in moto. Non lo aiutate, o miei sudditi, altrimenti la morte cadrà anche su di voi. Oggi Kempo deve morire». (lettera di Griffin: 1998, p. 171)

Così si perde in un sogno, il meraviglioso, eterno sogno di tutta la sua vita. E per quanto Kemp li abbia cercati senza posa, nessun essere umano, salvo il padrone della locanda, sa dove siano quei libri che nascondono il sottile segreto dell'invisibilità e una dozzina di altri strani segreti. E nessun altro ne saprà qualcosa fino a che l'ometto non morrà. (1998, p. 188)

La guerra dei mondi

modifica

Adriana Motti

modifica

Alla fine del diciannovesimo secolo nessuno avrebbe creduto che le cose della terra fossero acutamente e attentamente osservate da intelligenze superiori a quelle degli uomini e tuttavia, come queste, mortali; che l'umanità intenta alle proprie faccende venisse scrutata e studiata, quasi forse con la stessa minuzia con cui un uomo potrebbe scrutare al microscopio le creature effimere che brulicano e si moltiplicano in una goccia d'acqua. Gli uomini, infinitamente soddisfatti di se stessi, percorrevano il globo in lungo e in largo dietro alle loro piccole faccende, tranquilli nella loro sicurezza d'esser padroni della materia. Non è escluso che i microbi sotto il microscopio facciano lo stesso. Nessuno pensava minimamente che i più antichi mondi dello spazio potessero rappresentare un pericolo per gli uomini, o pensava ad essi soltanto per escludere la possibilità o anche solo la probabilità che esistesse sulla loro superficie una qualunque forma di vita. È curioso ricordare alcune idee di quei giorni lontani. Gli abitanti del nostro pianeta si figuravano al massimo che su Marte potessero esserci altri uomini, forse inferiori a loro e pronti ad accogliere a braccia aperte una missione di civilizzazione. Tuttavia, di là dagli abissi dello spazio, menti che stanno alle nostre come le nostre stanno a quelle degli animali bruti, intelletti vasti, freddi e spietati guardavano la terra con invidia e preparavano, lentamente ma con fermezza, i loro piani contro di noi. E agli inizi del ventesimo secolo si ebbe il grande disinganno.

Tullio Dobner

modifica

Nessuno sul finire del XIX secolo avrebbe creduto che questo mondo fosse sotto minuziosa e attenta osservazione da parte di intelligenze superiori a quelle dell'uomo e tuttavia ugualmente mortali; che ci fosse qualcuno che studiava e analizzava gli esseri umani occupati nelle loro varie faccende con quasi la stessa applicazione con cui un uomo al microscopio esaminerebbe le effimere creature che brulicano e si moltiplicano in una goccia d'acqua. Con infinito compiacimento gli esseri umani se ne andavano di qua e di là per questo pianeta presi dalle loro attività nella beata certezza della loro supremazia sulla materia. È possibile che lo stesso facciano i microrganismi sotto la lente del microscopio. Nessuno si preoccupava che i mondi più antichi presenti nello spazio potessero essere fonte di pericolo per gli umani; e se mai li considerava, era solo per escludere come impossibile o come minimo improbabile l'eventualità che su di essi ci fosse la vita. È strano ricordare certi preconcetti di quei giorni andati. Se un terrestre immaginava la presenza di altri uomini su Marte, lo presumeva forse al massimo inferiore a sé e pronto ad accogliere con gratitudine una spedizione di missionari di civiltà. E invece sull'altra sponda dello spazio, menti che stanno alle nostre menti come le nostre stanno a quelle delle bestie più umili, intelletti evoluti e pratici e insensibili contemplavano questa Terra con invidia e architettavano con metodo e impegno i loro piani contro di noi. E all'alba del XX secolo venne il momento del grande disinganno.

Citazioni

modifica
  • Mediante il tributo di milioni di morti, l'uomo ha conquistato il suo diritto di vita sulla terra, ed essa è sua contro chiunque venga per conquistarla. (1979; cap. 8)
  • Vagavo come un demente. Mi ritrovai in una casa di persone premurose che nel terzo giorno mi avevano trovato a girare in lacrime farneticando per le vie di St. John's Wood. Mi dissero che canticchiavo un'assurda canzoncina su "L'ultimo uomo ancora vivo! Urrà! L'ultimo uomo ancora vivo!". (2018; cap. 9, p. 212)

La macchina del tempo

modifica

Il Viaggiatore nel Tempo (sarà opportuno chiamarlo così) era intento a illustrarci un argomento molto oscuro. Gli occhi grigi brillavano vivaci; il volto, generalmente pallido, era acceso e animato. Il fuoco brillava allegro; il tranquillo riverbero delle luci incandescenti nei gigli d'argento colpiva le bollicine che apparivano e scomparivano nei nostri bicchieri. Le poltrone, brevettate da lui, ci abbracciavano e accarezzavano, senza cedere al peso del corpo; dominava quella piacevole atmosfera postprandiale, quando il pensiero vaga amabilmente libero dalle pastoie della precisione. E mentre ce ne stavamo lì seduti, in pigra ammirazione davanti all'ardore con cui illustrava il nuovo paradosso (tale lo consideravamo) e davanti alla sua eloquenza, così lui parlò sottolineando i punti principali con l'indice magro.

Citazioni

modifica
  • Questo è sempre stato il destino dell'energia nei tempi di pace: avvicinarsi all'arte e all'erotismo per poi languire e spegnersi.
  • Suppongo che il suicida mentre appoggia alla tempia la canna della pistola provi per ciò che succederà l'attimo seguente quello che in quel momento provai io: un sentimento di curiosità.

Nei giorni della cometa

modifica

Vidi un uomo dai capelli grigi, un vecchio dall'aspetto sano, seduto a scrivere davanti a un tavolo. Doveva trovarsi in una stanza situata in una torre molto alta, perché, attraverso l'alta finestra alla sua sinistra, si vedevano soltanto, lontano, l'incerta linea dell'orizzonte sul mare, un promontorio e quella vaga foschia a traslucido del tramonto del sole che indicano a molti chilometri di distanza l'esistenza di una città lontana.

Citazioni

modifica
  • Credo che la scienza sia più importante del socialismo [...] Il socialismo è teoria. La scienza... la scienza è qualcosa di più. (Parlour; I, II, p. 50)
  • Di tutti i mostruosi e irrazionali fenomeni dei tempi passati, la guerra era certamente il più insensato. In realtà era forse molto meno funesto di altri mali – quali, ad esempio, la generale adesione alla proprietà privata della terra – ma le sue disastrose conseguenze erano così evidenti, che persino in quei giorni di affannosa confusione si rimaneva stupiti. La guerra moderna non aveva alcun senso o motivo fondato. Eccettuato il macello e la mutilazione di una quantità di gente, la distruzione di un'immensa quantità di sostanze e lo spreco di innumerevoli complessi di energie, non approdava a nulla. Le antiche guerre di nazioni barbare e selvagge alla fine trasformavano l'umanità; alcuni si credevano una tribù superiore, sia fisicamente sia per la disciplina, e lo dimostravano attaccando i vicini. E se vincevano toglievano loro le terre e le donne, perpetuando e aumentando la loro superiorità. Le guerre moderne non cambiavano nient'altro che il colore delle carte geografiche, i disegni dei francobolli e i rapporti fra alcuni personaggi, per caso, importanti. (I, III, p. 80)
  • Gurker interloquiva continuamente nella discussione con la sua voce gutturale e profonda, spingendo innanzi un naso grosso, una bocca malfatta con il labbro inferiore pendulo, e degli occhi che si vedevano appena fra una quantità di grinze. Egli fece la sua confessione per quanto riguardava la sua razza. – Noi Ebrei, – disse, – procedemmo fra il sistema di questo mondo, senza creare nulla, consolidando parecchie cose e distruggendo molto. La presunzione della nostra razza è stata eccessiva, mostruosa. Sembra che noi abbiamo usato la nostra vasta intelligenza solo per sviluppare, dominare e mantenere la convenzione della proprietà, per trasformare la vita in una specie di venale gioco degli scacchi e spendere in cose grossolane i nostri guadagni... Non abbiamo mai pensato di servire l'umanità. Della bellezza, che è divinità, noi abbiamo fatto un possesso. (II, III, p. 159)
  • Dov'è adesso il vecchio mondo? Dov'è Londra, quella fosca città di fumo e di tenebre, piena del frastuono e della rimbombante musica del disordine, con il fiume oleoso, luccicante, dalle rive coperte di fango e affollato di barche, i neri pinnacoli e la cupola annerita, la triste confusione di case anch'esse annerite dalla fuliggine, le miriadi di prostitute, i milioni di impiegati affaccendati? Persino le foglie degli alberi erano insudiciate da macchie nere e grasse. Dov'è Parigi con il suo verde fogliame disciplinato, il suo imperioso buon gusto, la depravazione abilmente organizzata e le miriadi di operai dal passo pesante, che come torrenti passano sopra i ponti nella luce grigia e fredda dell'alba? Dov'è New York, la città del frastuono e dell'energia furiosa battuta dal vento e dalla concorrenza, con gli enormi edifici addossati l'uno all'altro e con la tendenza a innalzarsi sempre più per prendere un posto nel cielo? Dove sono gli angoli nascosti di triste lussuria, i vizi vergognosi, e tutta la stragrande bruttezza della sua vita energica? E dov'è adesso Filadelfia, con le sue innumerevoli piccole case isolate, e Chicago con i suoi interminabili magazzini e la sua popolazione poliglotta malcontenta? (II, III, p. 163)
  • E talvolta tentava persino di parlare di Netty, con quelle frasi che si usavano nel mondo passato e che l'amarezza le poneva sulle labbra.
    — Non era degna di te, mio caro, – diceva bruscamente, lasciando a me d'indovinare di chi parlava.
    — Nessun uomo è degno dell'amore di una donna, – le rispondevo. – Nessuna donna è degna dell'amore di un uomo. Ma io l'amavo, cara mamma, e tu non puoi cambiare questo sentimento.
    — Ce ne sono altre, – ella mormorava.
    — Non per me. No! In quell'epoca non ho soltanto sparato un colpo di rivoltella, ho bruciato i miei vascelli. Non posso tornare indietro, mamma, non posso ricominciare. (III, II, p. 186)
  • Attraverso tutte le belle idee che sorgevano nella nuova vita, diventava pur sempre più evidente che per ciascuno esistono certe persone, la cui sola vista, per un effetto misterioso e inesplicabile, produce una sensazione di piacere, la cui semplice esistenza ispira interesse, la cui anima sembra creata per formare una completa e predominante armonia con quella dei loro innamorati predestinati. Erano la cosa più essenziale nella vita. Senza di loro il magnifico spettacolo del mondo ringiovanito sarebbe simile a un corsiero con una magnifica gualdrappa ma senza cavaliere, a un vaso senza fiori, a un teatro senza attori... (III, III, p. 195)
  • Per ciascuno di noi ci sono certi tipi, certi visi, figure, gesti e intonazioni di voce che hanno questa inesplicabile e non analizzabile qualità. Vi toccano misteriosamente, agitano nelle profondità dell'anima sensazioni che altrimenti rimarrebbero sempre addormentate, commuovono e interpretano il mondo. E rifiutare queste interpretazioni sarebbe lo stesso che rifiutare il sole, che oscurare e far morire tutta la vita. (III, III, p. 197)

Mi alzai, mi posi al suo fianco e guardai fuori. Le mie gote si erano tinte di un leggero rossore e anche le mie orecchie erano un po' rosse per la mia sconveniente curiosità e per il senso penoso delle profonde differenze morali. Egli era più alto di me.
— Ecco la nostra casa, – disse sorridendo, e guardandomi con occhi pensierosi.

Racconti

modifica
  • Il vero artista è sempre un ignorante. L'artista che teorizza sul suo lavoro non è più un artista: è un critico. (da La tentazione di Harringay, il dipinto; p. 5)
  • Una satira mordace suona male, sulla terra ancora smossa di una tomba. (da La farfalla; p. 22)
  • Il riposo migliore sta in un cambiamento di occupazioni. (da La farfalla; p. 23)
  • Forse l'intero universo non era che un corpuscolo pieno di rifrazioni, su un essere più grande? Forse i nostri mondi non erano che gli atomi di un altro universo di mondi, che a sua volta lo era di un altro e così via, in progressione senza fine? (da Sotto il bisturi; pp. 96-97)
  • [...] il pensiero è meraviglioso, a volte lento come la pece fluida, a volte istantaneo come la luce. (da L'uomo che poteva compiere miracoli; p. 134)
  • Di solito [i libri] vorrei non averli mai cominciati. (da Il nuovo acceleratore, il protagonista; p. 171)
  • [...] e questo [il taglio dei capelli] penso che sia uno dei più odiosi doveri di una persona civile. (da Il nuovo acceleratore, il protagonista; p. 174)

Incipit di alcune opere

modifica

Autobiografia sperimentale

modifica

Questo mio cervello cominciò a esistere e ad acquistare riflessi, a registrare impressioni, in una povera casa di Bromley, cittadina del Kent divenuta ormai un sobborgo di Londra.

La porta nel muro

modifica

Lionel Wallace mi raccontò la storia della porta nel muro durante una serata a quattr'occhi, nemmeno tre mesi fa. Sul momento pensai che per quanto lo riguardava fosse una storia vera. Ne aveva parlato con tale schietta convinzione che non avevo potuto fare a meno di credergli. La mattina dopo però, a casa mia, considerai la cosa con altri occhi; e mentre, a letto, rammentavo le cose che mi aveva detto senza più la seduzione della sua voce pacata e sincera, lontano dal cerchio di luce della lampada da tavolo schermata e da tutta l'atmosfera soffusa d'ombre che lo avvolgeva in una con gli arredi brillanti, i cristalli, la tovaglia e le posate della cena che avevamo consumato insieme, e che avevano composto un piccolo mondo effimero e splendente del tutto remoto dalla realtà di ogni giorno, le giudicai francamente incredibili.

Citazioni su H. G. Wells

modifica
  • L'atteggiamento di Wells verso il cinema era di benevola tolleranza. «Non esiste un brutto film» diceva «è già abbastanza straordinario il fatto che si muovano!» (Charlie Chaplin)
  • La compagnia di quell'uomo era molto gradevole. Inoltre sembrava che conversare con me gli piacesse. Quanto alle sue opinioni, era semplicemente una massa di opinioni intelligenti. Ne esprimeva il maggior numero possibile, e in qualsiasi momento, sempre. Tutto quel che diceva, prima o poi, lo trovavo in forma scritta. Era come Voltaire, un grafomane. Il suo cervello era eccezionalmente attivo, pensava delle cose molto bene. Come "La scienza è il cervello della razza". (Saul Bellow)
  • La Grande Avventura è stata tentata in modo strepitoso – sulla carta, ahimè! – dal celebre H. G. Wells. Avrete certamente udito parlare di quel singolare romanzo: La macchina per esplorare il tempo, che fece un certo scalpore. (Pierre Devaux)
  • Oggi Sammler se lo ricordava come un piccolo Limey di basso ceto, e come un uomo che stava invecchiando e la cui abilità e forza di attrazione erano in declino. E nell'agonia di separarsi per sempre dai seni, dalle bocche e dai preziosi fluidi sessuali delle donne, il povero Wells, il maestro naturale, l'emancipatore del sesso, l'individuo spiegante, il benedicente compassionevole dell'umanità, alla fine non poteva che inveire e mandare tutti al diavolo. S'intende, quelle cose le scrisse durante la malattia dei suoi ultimi giorni, orribilmente depresso dalla Seconda Guerra Mondiale. (Saul Bellow)
  • Poco interessante per il lettore comune e non abbastanza approfondito per il lettore scientifico (rapporto di lettura su, La macchina del tempo, 1895)[9]
  • Uomo veramente mirabile! Chi, infatti, più degno di ammirazione di colui che, non potendo ragionevolmente credere nelle cose che sono, ha ancora il coraggio di credere irragionevolmente in quelle che saranno? (Mario Borsa
  • Wells non è un semplice «romanziere divertente»; è un «autore per adulti» che agita una massa di problemi concernenti la vita e la morte, la fatalità, i destini dell'uomo. I suoi romanzi sono «neri»: l'uomo vi perisce miseramente, schiacciato da forze enormi ed orribili... mentre Giulio Verne, vivificante, ottimista – spesso ingenuo – ispira il desiderio di conquistare il mondo. (Pierre Devaux)
  • Wells si burla di noi... con la nostra complicità, il che è caratteristico dello humour britannico. L'interesse è altrove: è nelle «ragioni», se si può dire, che l'«Esploratore del tempo» ci fornisce di credere nel suo viaggio. (Pierre Devaux)
  1. Citato in Experiment in autobiography, Gutenberg.ca.
  2. Da ‎A Modern Utopia, cap. IX, § 5; citato in Aa.Vv., Un gusto superiore: un modo nuovo di mangiare e di vivere, The Bhaktivedanta Book Trust Italia, 1992, pp. 23-24.
  3. (EN) Affermazione del 1902 citata in Christopher Cerf e Victor Navasky, The Experts Speak, New York, Villard, 1998, p. 363. ISBN 0-679-77806-3
  4. Da The Outline of History, 40, 1. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Citato in Mario Borsa, Memorie di un redivivo, Rizzoli, Milano-Roma, 1945, cap. 10, p. 281.
  6. Citato in Charlie Chaplin, La mia autobiografia, traduzione di Vincenzo Mantovani, Mondadori, 1964, p. 429.
  7. Citato in Call of Duty 2 e all'inizio del videoclip This Is War dei 30 Seconds To Mars.
  8. Cfr. Beati monoculi in terra caecorum.
  9. Citato in Storia della bruttezza, a cura di Umberto Eco, Bompiani, Milano, p. 393. ISBN 978-88-452-7389-6

Bibliografia

modifica
  • Herbert George Wells, Autobiografia sperimentale, in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993
  • Herbert George Wells, Gli astrigeni (Star Begotten), traduzione di Lia Spaventa Filippi, Mursia, Milano, 2005. ISBN 88-425-3557-5
  • Herbert George Wells, Il paese dei ciechi, traduzione di Renato Prinzhofer, I Racconti di Repubblica n. 16, Gruppo Editoriale L'Espresso, 1997
  • Herbert George Wells, L'isola del dottor Moreau, traduzione di Mario Monti, Mondadori
  • Herbert George Wells, L'isola del dottor Moreau, traduzione di Maria Alice Puddu, Mursia, Milano, 2016. ISBN 978-88-425-3962-9
  • Herbert George Wells, L'isola del dr. Moreau, traduzione di Vera Simonetti, Gruppo Newton, 1994. ISBN 88-7983-382-0
  • Herbert George Wells, L'uomo invisibile (The Invisible Man), traduzione di Mario Monti, Mondadori
  • Herbert George Wells, L'uomo invisibile (The Invisible Man), traduzione di Stefano Sudrié, TEN, 1993
  • Herbert George Wells, L'uomo invisibile (The Invisible Man), traduzione di Maria Grazia Giovagnoli Vancini, Mursia, 1998
  • Herbert George Wells, La guerra dei mondi (War of the Worlds), traduzione di Adriana Motti, Mursia, 1979
  • Herbert George Wells, La guerra dei mondi (War of the Worlds), traduzione di Tullio Dobner, Newton Compton, Roma, 2018. ISBN 978-88-227-1971-3
  • Herbert George Wells, La macchina del tempo, traduzione di Mario Monti, Mondadori
  • Herbert George Wells, La porta nel muro e altri racconti, traduzione di Daniele Morante, Bollati Boringhieri
  • Herbert George Wells, Nei giorni della cometa (In the Days of the Comet), traduzione di Piccy Carabelli, Mursia, Milano, 1997. ISBN 88-425-2213-9
  • Herbert George Wells, Racconti, traduzioni di Renato Prinzhofer e Paolo Carta, Garzanti, Milano, 1976

Altri progetti

modifica