Erasmo da Rotterdam

teologo, umanista e filosofo olandese
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Erasmo da Rotterdam (1466/1469 – 1536), presbitero, teologo, umanista e filosofo olandese.

Erasmo (Hans Holbein il Giovane, 1523)

Citazioni di Erasmo da Rotterdam

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  • Chi volesse stendere il colore sulle stampe di Dürer, danneggerebbe l'opera.[1]
  • Ciò che l'occhio è per il corpo, la ragione lo è per l'anima.[2]
  • Giove infuse nell'uomo molta più passione che ragione: pressappoco nella proporzione di ventiquattro a uno. Relegò inoltre la ragione in un angolino della testa lasciando il resto del corpo ai turbamenti delle passioni.[3]
  • Il genio della discordia ha inviato Lutero nel mondo. Ogni suo angolo è stato sconvolto da lui. Tutti ammettono che la corruzione della Chiesa richiedeva una medicina drastica.[4]
  • La massima felicità è raggiunta quando un uomo vuol essere quello che è.[5]
  • Come se desse dell'erudito a uno Scita, del bellicoso a un Italiano, dell'onesto a un mercante, del devoto a un soldato, o del leale a un cartaginese. (da Myconius calvus[6])
Veluti si quis Scytham dicat eruditum, Italum bellacem, negociatorem integrum, militem pium, aut Poenum fidum.

Dulce bellum inexpertis

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  • Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama «bellum» per antitesi, perché non ha niente di buono né di bello; la guerra è «bellum» nello stesso senso in cui le Furie sono le «Eumènidi». Altri preferiscono far derivare la parola «bellum» da «bellua», belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco. (1980; p. 209)
  • Cane non mangia cane; «i feroci leoni non si fanno guerra»; il serpente non aggredisce il suo simile; v'è pace tra le bestie velenose. Ma per l'uomo non c'è bestia più pericolosa dell'uomo. (1980; p. 209)
  • Che cos'è la guerra? un omicidio collettivo, di gruppo, una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa. (1980; p. 221)
  • E a forza di sterminare animali, s'era capito che anche sopprimere l'uomo non richiedeva un grande sforzo. (1980; p. 217)
  • I più grandi mali si sono sempre infiltrati nella vita degli uomini sotto la fallace apparenza del bene.[7]
  • Se metti su una bilancia da una parte i vantaggi e dall'altra gli svantaggi, ti accorgi che una pace iniqua è molto meglio di una guerra equa.[7]
  • Se sul piatto della bilancia poni vantaggi e svantaggi, vedrai che persino un pace iniqua è meglio di una guerra equa: perché allora preferisci tentare la sorte di Marte? Solo un pazzo va a pescare con un amo d'oro.[8]
  • Tant'è: non esiste pratica, per quanto infame, per quanto atroce, che non s'imponga, se ha la consuetudine dalla sua parte. Quale fu dunque questo misfatto? Ebbene, non ebbero scrupolo di divorare i cadaveri degli animali, di lacerarne a morsi la carne esanime, di berne il sangue, di suggerne gli umori, e di seppellirsi viscere nelle viscere, come dice Ovidio. L'atto apparve sì disumano alle nature più mansuete, ma s'impose grazie al bisogno e alla convenienza. (Anche in mezzo ai piaceri e ai godimenti l'evocazione del cadavere cominciò a incontrar gradimento.) (1980; p. 215)

Colloqui

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  • È... molto più onesto essere nudi,... che indossare abiti trasparenti. (da I francescani o i ricchi mendicanti)[7]
  • I mali che non si avvertono sono i più pericolosi. (da Esame della fede)
Periculosius solet esse malum, quia non sentitur.
  • Il miglior modo di onorare i santi è di imitarli. (da I francescani o i ricchi mendicanti)
Sanctissime coluit divos, quisquis imitatus est.
  • Il reciproco amore fra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza. (da La puerpera)
Praecipuus autem discendi gradus est, mutuus inter docentem ac discentem amor.
  • In gran parte i mariti sono come li fanno le mogli. (da Un matrimonio)[7]
  • Per guadagnare bisogna spendere. (da Caronte)[7]
  • Non vi è nulla di così assurdo che l'abitudine non renda accettabile. (da I francescani o i ricchi mendicanti)
Nihil esse tam absurdum, quod non commendet assuetudo.

Elogio della follia

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Originale

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Utcunque de me vulgo mortales loquuntur, neque enim sum nescia, quam male audiat stulticia etiam apud stultissimos, tamen hanc esse, hanc, inquam, esse unam quae meo numine deos atque homines exhilaro, vel illud abunde magnum est argumentum quod, simulatque in hunc coetum frequentissimum dictura prodii, sic repente omnium vultus nova quadam atque insolita hilaritate enituerunt, sic subito frontem exporrexistis, sic laeto quodam et amabili applausistis risu, ut mihi profecto quotquot undique praesentes intucor, pariter deorum Homericorum nectare non sine nepenthe temulenti esse videamini, cum antehac tristes ac solliciti sederitis, perinde quasi nuper e Trophonii specu reversi.

Gabriella D'Anna

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Qualsiasi cosa siano soliti dire di me i mortali, e infatti non sono così sciocca da non sapere quanto si parli male della follia anche da parte dei più folli, tuttavia sono io, io sola, ve lo posso garantire, che ho il dono di riuscire a rallegrare gli dèi e gli uomini. Eccone la prova: non appena mi sono presentata a parlare dinanzi a questa numerosa assemblea, tutti i volti si sono improvvisamente illuminati di una certa nuova e insolita letizia; subito le vostre fronti si sono spianate, subito mi avete applaudito con una risata così lieta e amabile che mi sembra di trovarmi dinanzi a un consesso degli dèi di Omero, come loro tutti ubriachi di nettare e nepente, mentre prima ve ne stavate lì seduti tutti imbronciati e tristi, come se foste appena usciti dall'antro di Trofonio.

Luca D'Ascia

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Qualsiasi cosa gli uomini dicano di me comunemente (so bene infatti quanto sia cattiva la reputazione della pazzia anche tra i più pazzi), l'argomento che sto per esporre basta largamente a dimostrare che sono io qui presente, io qui presente, dico, e nessun altro a rallegrare uomini e dèi con la mia potenza divina. Eccola [sic] prova: non appena mi sono presentata a parlare in questa riunione affollatissima, tutti i visi sono stati improvvisamente rischiarati da una nuova e non comune allegria, avete spianato immediatamente la fronte, mi avete applaudito con un riso amabile e pieno di benevolenza,[9] tanto che tutti voi presenti mi sembrate ebbri del nettare degli dèi omerici con accompagnamento di nepente,[10] mentre prima ve ne stavate seduti cupi e preoccupati, come se foste appena tornati dall'antro di Trofonio.[11]

Eugenio Garin

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Qualunque cosa dicano di me comunemente i mortali – non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli – tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati di non so quale insolita ilarità; d'improvviso le vostre fronti si sono spianate e mi avete applaudito con una risata così lieta e amichevole che tutti voi qui presenti, da qualunque parte mi volga, mi sembrate ebbri del nettare misto a nepente degli dèi d'Omero, mentre prima sedevate cupi e ansiosi come se foste tornati allora dall'antro di Trofonio.

Citazioni

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  • Ci sono tante grammatiche quanti sono i grammatici, e anche di più.
  • Come non c'è stoltezza maggiore di una saggezza inopportuna, così non c'è maggiore imprudenza di una prudenza distruttrice. (XXIX)[7]
  • Di me giudicheranno gli altri: tuttavia, se non m'inganna la filautìa, io ho lodato la follia, ma non certo come un folle. (dalla dedica a Tommaso Moro)
  • Dio, architetto dell'universo, interdisse all'uomo di assaggiare i frutti dell'albero della scienza, come se la scienza fosse veleno per la felicità. (LXV)[7]
  • E che dolcezza provano quando devon tagliare a pezzi una fiera! La bassa plebe può ben squartare tori e montoni, ma una fiera sarebbe un sacrilegio farla macellare ad altri che ad un nobile. [...] Costoro dunque, continuamente cacciando e mangiando la carne delle fiere, giungono a tal punto di degenerazione da divenire quasi essi medesimi delle belve; viceversa credono di condurre una vita degna d'un re. (XXXIX; 1995, p. 47)
  • E in definitiva la vita degli uomini nient'altro è che un gioco della pazzia. (XXVII; 1995, p. 35)
  • E sotto ogni aspetto le creazioni della natura son sempre più belle degli artificiosi ornamenti immaginati dagli uomini. (XXXIV; 1995, p. 40)
  • In primo luogo se la saggezza consiste nell'esperienza, chi merita di più che gli venga attribuito il nome prestigioso di saggio, il sapiente, che rinuncia a qualsiasi iniziativa vuoi per ritegno vuoi per viltà, o l'insensato, che né ritegno che gli manca, né il pericolo che non valuta, trattengono da alcuna avventura? Il sapiente si rifugia dai suoi libri antichi e ne impara soltanto sottigliezze linguistiche. L'insensato ricava una autentica saggezza, se non mi sbaglio, andando incontro alle cose e affrontandole da vicino. Sembra che questo l'abbia visto Omero, anche se era cieco, quando dice: "Avendone fatto esperienza anche lo stolto sa". Infatti gli ostacoli principali per farsi un'idea delle cose sono il ritegno che annebbia lo spirito e la paura, che mostrando i pericoli distoglie dal prendere iniziative. La follia libera magnificamente da entrambi. Tra i mortali sono in pochi a capire per quanti altri vantaggi riesca utile non vergognarsi mai ed essere pronti a tutto. (RCS 1996, p. 80)
  • Infatti chi va contro natura facendo mostra di capacità fittizie e forzando le proprie reali inclinazioni riesce solo a raddoppiare il difetto. (RCS 1996, p. 70)
  • L'unico fatto certo è che senza il condimento della follia non può esistere piacere alcuno.
  • La maggior parte dell'umanità indulge alla Follia e quindi le cose peggiori incontrano sempre il massimo successo.
  • Le donne corrono dietro agli stolti; fuggono i saggi come animali velenosi.
  • Ma che dolce delirio è il loro, allorché si fabbricano mondi senza fine, allorché misurano come con il pollice e con il filo, sole, luna, stelle, sfere.
  • Ma perché devo dire queste cose a te, che sei un avvocato tanto eccezionale che puoi difendere ottimamente anche cause non proprio ottime?
    Stammi bene eloquentissimo Moro, e difendi la tua Moria con tutto il tuo zelo. (dalla dedica a Tommaso Moro)
  • Mi dicano però, per Giove, c'è forse una qualche parte della vita che non sia cupa, tetra, fastidiosa, senza grazia, senza spirito se non le si sarà aggiunto il condimento della follia, il piacere? (RCS 1996, p. 63)
  • Mi è parso il caso, infatti, di imitare anche in questo gli oratori contemporanei, che si credono degli dei se sembrano bilingui come le sanguisughe, e considerano un vero capolavoro inserire nel tessuto delle orazioni latine alcune parolette greche come tessere di un mosaico, anche se inopportune in quel dato momento. Se poi mancano termini esotici, tirano fuori dal libro polveroso quattro o cinque parole arcaiche per rendere oscuro il testo, certo perché così chi capisce diventa sempre più pieno di sé e chi non capisce quanto meno capisce più ammira. (RCS 1996, p. 58)
  • Non si gode a possedere qualche cosa senza compagnia. (XLVI)
Nullius boni iucunda sine socio possessio.
  • Non vedete, prima di tutto, con quanta preveggenza Madre Natura, artefice della specie umana, ha evitato che il pepe della follia venisse in qualche misura a mancare? Se infatti la sapienza consiste, secondo la definizione stoica, nell'essere guidati dalla ragione e la follia, invece, nell'essere in balia delle passioni, quanto più passione che ragione ha posto Giove nell'uomo, ad evitare che la sua vita fosse davvero cupa e tetra? più o meno come la mezza oncia sta all'asse. La ragione, per giunta, ha voluto relegarla in uno stretto angolino della testa, lasciando alle passioni tutto il resto del corpo. Per di più l'ha costretta a lottare da sola contro due violentissimi tiranni, l'ira che occupa la rocca della viscere e la stessa sorgente della vita, il cuore, e la brama, che dispone di un vastissimo impero giù fino al pube. (RCS 1996, p. 69)
  • Pochissimi dei matrimoni già stretti potrebbero durare se tutti i passi fuori strada delle mogli non restassero celati per la cecità o la stupidità dei mariti.
  • Può voler bene agli altri chi non vuole bene a se stesso? (XXII)[7]
  • Qual essere è più felice e meraviglioso delle api? È vero che il loro corpo non possiede tutti i sensi, ma l'architettura potrebbe trovare mezzi simili ai loro nel campo delle costruzioni? E qual filosofo ha saputo mai realizzare uno stato somigliante? (XXXIV; 1995, p. 40)
  • Quanti sono, infatti, coloro che accendono alla Vergine, madre di Dio, un candelotto, magari a mezzogiorno, quando proprio non ce n'è bisogno! D'altra parte, quanto pochi cercano d'imitarne la castità, la modestia, l'amore per il regno dei cieli!
  • Quanto più un uomo invecchia, tanto più si riavvicina alla fanciullezza, finché lascia questo mondo in tutto come un bambino al di là del tedio della vita e al di là del senso della morte.
  • Questa vita terrena, del resto, vi sembra da chiamar vita, se le si toglie il piacere. (RCS 1996, p. 62)
  • Se uno tentasse di togliere la maschera agli attori mentre stanno recitando un dramma, e mostrare agli spettatori la loro vera faccia, quella con cui sono nati, costui non porterebbe scompiglio in tutta la scena tanto di meritare di essere cacciato a sassate dal teatro come un forsennato? Apparirebbe infatti improvvisamente un nuovo volto delle cose: chi prima era donna sarebbe ora uomo, chi prima giovane ora vecchio, chi poco prima era un re ora apparirebbe come un poveraccio, chi prima era un dio ora si rivelerebbe un omettino da niente. Smascherare quell'illusione equivarrebbe a privare di senso tutto lo spettacolo. È proprio quella finzione e quell'inganno che tiene avvinti gli occhi degli spettatori. Ebbene, che altro è la vita umana se non tutta una commedia, nella quale tutti recitano la loro parte chi con una maschera chi con un'altra, finché a un tratto il capocomico non li faccia uscire di scena? A volte però il capocomico fa recitare allo stesso attore parti diverse, e così quello che poco prima faceva la parte di un re ammantato di porpora, ora è un piccolo schiavo coperto di stracci. Sono tutte finzioni, ma questa commedia non si può recitare altrimenti. (2002, p. 67)
  • Seguo infine il notissimo proverbio popolare secondo cui fa bene a lodare se stesso chi non trova un altro che lo elogi (RCS 1996, p. 57)
  • Tanto è necessario che ciascuno si raccomandi da sé, magari con un po' di adulazione, prima di potersi raccomandare ad altri.
In tantum necesse est, ut sibi quoque quisque blandiatur et assentatincula quapiam sibi prius commendetur quam aliis possit esse commendatus. (2002, pp. 56-57)
  • Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico.

Citazioni sull'Elogio della follia

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  • L'Elogio della follia conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Michel Foucault evidenzia il confine sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo alessandrino». (Paolo Miccoli)
  • È fortuna incomparabile nella vita di un artista che egli possa trovare la forma in cui far coincidere armonicamente la somma delle sue capacità. Questo è riuscito ad Erasmo nel suo Elogio della pazzia, grazie a un'idea brillante e perfettamente attuata; qui ritroviamo in fraterno connubio il dotto enciclopedico, l'acuto critico e l'arguto satirico; in nessun'altra delle sue opere si conosce e si riconosce la maestria di Erasmo come in questa sua celeberrima, l'unica, del resto che abbia resistito al tempo. Egli, con mano lieve, quasi inconsciamente ha colpito al centro, nel cuore del tempo stesso.
  • Per la prima volta, in grazia di questo libro, intuiamo quanto Erasmo abbia segretamente sofferto della sua razionalità, della sua equità e della sua contenuta temperatezza. Sempre l'artista crea più sicuro là dove darà una forma a ciò di cui egli ha mancanza e nostalgia: così anche in questo caso l'uomo della ragione per eccellenza era il più adatto a poetare l'inno sereno alla follia e a schernire sapientemente gli idolatri della pura sapienza.
  • Questa Laus stultitiae, apparentemente scherzosa, fu, sotto la larva carnevalesca, uno dei libri più pericolosi del tempo suo; e quello che oggi si presenta a noi solo come leggiadro fuoco d'artificio, fu in realtà un'esplosione che aprì il cammino alla Riforma tedesca.

Per una libera educazione

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  • Il tempo basta a tutto, se lo si gestisce con la parsimonia necessaria. Per noi è breve la giornata di cui perdiamo la maggior parte.
  • In ogni attività la passione toglie gran parte della difficoltà.
  • Non scuola la diresti, ma sala di tortura: non vi si sente altro che lo schiocco delle sferze, lo strepito delle verghe, gemiti, singhiozzi e atroci minacce. Cos'altro possono impararvi i bambini, se non a odiare la cultura? Una volta che quest'odio ha messo radice nei teneri animi, anche da grandi detestano lo studio.

Citazioni su Erasmo da Rotterdam

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  • Chiunque non voglia passare per ignorante nel regno delle muse lo ammira, lo magnifica, lo esalta. Se ad uno riesce di strappargli una lettera, la sua gloria è grandiosa e può festeggiare un mirabile trionfo. Chi poi ha potuto parlargli, è beato in terra. (Joachim Camerarius il Vecchio)
  • Come umanista Erasmo si sente apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo, bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. (Paolo Miccoli)
  • Erasmo, col suo elegante scetticismo era più lontano dalla Chiesa che non Lutero. (Franz Xaver Kiefl)
  • Erasmo in uno scorcio magistrale fece quel che Balzac tentò invano nelle sue superbe tele; l'Elogio della Pazzia è la commedia umana, ne' suoi principali lineamenti, colta in un tempo fecondo di contrasti e ricco d'originalità. (Eugenio Salomone Camerini)
  • Erasmo scrive troppo bene, tanta eleganza fredda la devozione. Io ho letto appena venti pagine e l'ho buttato di sotto. (State buoni se potete)
  • Erasmo supera la misura umana. Egli è divino e conviene venerarlo con pio fervore quale essere celeste. (Mutianus Rufus)
  • L'arte di Holbein ha dato generale notorietà ai suoi tratti fini e acuti, e l'immagine corrisponde esattamente ai suoi scritti. Non pochi di questi, Colloquia, Laus Moriae, lettere, trovano sempre lettori riconoscenti; è affascinante in ogni punto della sua opera. Olandese di nascita, molto legato alla Francia, al Brabante e all'Inghilterra, egli si sentiva cittadino del grande regno dell'umanesimo, la cui lingua era il latino. Appunto per questo non si lasciò costringere nei vincoli del ciceronianesimo. [...] Egli pubblicò le opere dei padri della chiesa più fecondi, di Ambrogio, di Agostino, Girolamo; di greco pubblicò poco. Questi libri giacciono da tempo nelle biblioteche, ma l'uomo vive e vivrà ancora. (Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff)
  • Mancata a noi e a lui la fortuna che fosse nato in Italia, dove era una lingua fiorente e nobile, che gli Amasei e i pedanti suoi pari non potevano abbuiare, costretto a servirsi di una favella morta [il latino], egli voleva almeno avvivarla con l'indipendenza dotta e ingegnosa, e scrisse quel libro contro i Ciceroniani, che ne vennero in tal furore da paragonarlo a Catilina. – Il più furioso, Giulio Cesare Scaligero, gli versò addosso tutte le sozzure della sua penna, sostenendo fra l'altre cose, che, abbagliato dal vino, aveva guasto le edizioni di Aldo Manuzio, quando in quella stamperia faceva l'ufficio di correttore. (Eugenio Salomone Camerini)
  • Sotto la penna dell'insigne umanista olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e Stultitia: la prima, per voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la seconda, in quanto «forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente saggia alla resa dei conti. (Paolo Miccoli)
  • Uno dei maggiori uomini di cultura del Rinascimento, Erasmo da Rotterdam, fu portato dalla sua stessa humanitas a condannare la guerra come «assurdità cattiva, anticristiana, belluina, selvaggia», a disprezzare gli «stolti nomi» di inglesi, francesi, tedeschi e delle altre nazionalità perché il nome di Cristo ci ricongiunge tutti: «il mondo intero è una patria comune» egli scrisse, ma quel mondo non era altro che l'Europa del tempo ed ambiente di Erasmo, ancor sostanziata di sentimento cristiano, ma soprattutto affratellata da uno spirito umanistico di tolleranza e di comprensione. (Paolo Brezzi)
  • Dopo di lui continua a scrivere la buona novella della bontà intelligente il suo discepolo Montaigne, per il quale l' inhumanité è il peggiore dei vizi, «que je n'ay point le courage de concevoir sans horreur[12]». Spinoza invoca al posto della cieca passione l'amor intellectualis, Diderot, Voltaire, Lessing, scettici ed idealisti ad un tempo, combattono ogni angustia mentale e propugnano la comprensione e la tolleranza. Schiller dà slancio poetico al messaggio dell'internazionalismo, Kant invoca la pace perenne e sempre, sino a Tolstoi, a Gandhi, a Rolland, lo spirito della conciliazione afferma con forza logica il proprio diritto morale accanto a quello della violenza.
  • Il nome di Erasmo al principio del secolo sedicesimo si tramuta da fama letteraria in energia incomparabile; se egli fosse di animo audace, potrebbe valersene come dittatore per una impresa di riforma universale. Ma l'azione non è il suo elemento. Erasmo può chiarire, ma non plasmare, preparare ma non concludere. Non è il suo nome che brillerà in fronte alla Riforma: un altro raccoglierà la messe da lui seminata.
  • La storia non avrebbe potuto creare più grandioso simbolo per questo uomo della moderazione: da Lovanio dovette fuggire perché la città era troppo cattolica, da Basilea perché si faceva troppo protestante. Uno spirito libero ed indipendente, che non si lega ad alcun dogma e non vuol decidersi per alcun partito, non ha patria in terra.
  1. Dai Dialoghi, 1529; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 130. ISBN 9788858018330
  2. Da Il libero arbitrio, Fabbri, Milano, 1996.
  3. Citato in Ralf Dahrendorf, Erasmiani, traduzione di M. Sampaolo, p. 79.
  4. Citato in AA.VV., Il libro delle religioni, traduzione di Anna Carbone, Gribaudo, 2017, p. 235. ISBN 9788858015810
  5. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 97. ISBN 9788858014165
  6. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 659.
  7. a b c d e f g h Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  8. Da Dolce è la guerra per chi non ne ha esperienza. Storie politiche tratte dagli Adagia, traduzione di Ugo Dotti, Feltrinelli, Milano, 2017, p. 82. Ebook ISBN 9788858829394
  9. Il proemio dell'Encomion suggerisce un modo caratteristico di condurre il discorso etico: i meriti della follia non vengono dedotti da premesse logiche, bensì confermati dall'osservazione di un comportamento concreto. Di un procedimento analogo si era valso spesso Lorenzo Valla (1407-57) nella sua critica «oratoria» allo Stoicismo, Sul vero e falso bene, sicuramente tenuto presente da Erasmo.
  10. Un'erba ricordata da Omero (Odissea, IV, 220) e Plinio (Historia Naturalis, XXI, 91, 159), che mescolata al vino liberava dalle preoccupazioni.
  11. Trofonio era una divinità pre-greca di Labadeia in Beozia, dove veniva interrogato in una caverna per ottenere oracoli. La delusione di coloro che avevano interrogato l'oracolo assunse un valore proverbiale: cfr. Adagio 677 (LB II, 292 F-294 B) «È stato emesso un vaticinio nell'antro di Trofonio».
  12. Che non ho il coraggio di concepire senza orrore.

Bibliografia

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  • Erasmo da Rotterdam, Adagia: sei saggi politici in forma di proverbi, traduzione di Silvana Seidel Menchi, G. Einaudi, Torino, 1980.
  • Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, traduzione di Eugenio Garin, Mondadori.
  • Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, a cura di Bruno Segre, traduzione di Claudio Annaratone, La Biblioteca Ideale Tascabile, Milano, 1995. ISBN 88-8111-113-6
  • Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, introduzione di Paolo Miccoli, traduzione di Gabriella D'Anna, TEN, Roma 2002. ISBN 88-8289-712-5
  • Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, traduzione di Luca D'Ascia, RCS Quotidiani, 2010.

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