Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff

filologo classico tedesco

Ulrich Friedrich Wichard Emmo von Wilamowitz-Moellendorff (1848 – 1931), filologo e grecista tedesco.

Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff

Citazioni di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff modifica

  • La tradizione ci restituisce solo rovine. Quanto più ci avviciniamo per esaminarle e interrogarle, tanto più rovinoso ci appare il loro stato; e dalle rovine non c'è modo di costruire un intero. La tradizione è morta: il nostro compito è quello di reinfondere vita alla vita scomparsa. Sappiamo che le ombre dei morti non possono parlare finché non abbiano bevuto sangue; le ombre che andiamo evocando chiedono il sangue dei nostri cuori: glielo concediamo volentieri.[1]

Storia della filologia classica modifica

  • Come in ogni scienza, o in ogni filosofia, per dirla alla greca, anche qui si comincia con lo stupore che suscita ciò che non si capisce; lo scopo è di arrivare alla pura e felice contemplazione di ciò che si è capito nella sua verità e bellezza. Poiché la vita che noi ci sforziamo di comprendere è un'unità, anche la nostra scienza è un'unità.[2]
  • Dalla sua opera s'impara che lo spirito è immortale e che anche dopo secoli la benedizione dei padri dà ai nipoti la forza di ricostruire la loro casa: con la sua devozione per l'Ellade antica e col suo lavoro scientifico, il Korais preparò infatti, nella rinascita spirituale, anche la rinascita politica del suo popolo. I romaici sono ridiventati elleni. (p. 25)
  • [Erasmo da Rotterdam] L'arte di Holbein ha dato generale notorietà ai suoi tratti fini e acuti, e l'immagine corrisponde esattamente ai suoi scritti. Non pochi di questi, Colloquia, Laus Moriae, lettere, trovano sempre lettori riconoscenti; è affascinante in ogni punto della sua opera. Olandese di nascita, molto legato alla Francia, al Brabante e all'Inghilterra, egli si sentiva cittadino del grande regno dell'umanesimo, la cui lingua era il latino. Appunto per questo non si lasciò costringere nei vincoli del ciceronianesimo. [...] Egli pubblicò le opere dei padri della chiesa più fecondi, di Ambrogio, di Agostino, Girolamo; di greco pubblicò poco. Questi libri giacciono da tempo nelle biblioteche, ma l'uomo vive e vivrà ancora. (p. 49)
  • La dissertazione stabilisce fatti storici, ma questo è solo un mezzo in vista del fine. L'arte di questa filologia depura le opere scritte; è certo qualche cosa di grande, un presupposto indispensabile, ma per questo esse non diventano ancora vive. Perché diventino vive nel senso voluto dagli autori, la ricerca storica deve evocare per la nostra fantasia la vita intera del loro ambiente. La scoperta del digamma[3] è pure qualche cosa di grande, ma il fatto che R. Wood[4]si rese conto della verità della descrizione omerica della natura nello stretto fra Chio e il Mimante, e quindi poté lodare il genio originale di Omero, ha avuto certo più importanza per il fiorire della nostra scienza dell'antichità. (p. 79)
  • [La linguistica storica ha riconosciuto] che i secoli ellenistici avevano il diritto a parlare la loro lingua. E si può solo sorridere nel vedere che Callimaco è biasimato perché non imita servilmente Omero. L'attenzione per lo stile individuale ha poi messo fine all'abitudine di uniformare tutto. È più difficile, ma anche più proficuo, l'immedesimarsi nello spirito di stilisti così grandi e diversi come Tucidide e Isocrate, Platone e Iperide; anche i minori hanno i loro diritti se possiedono qualche qualità personale, mentre il critico, infine, deve rispettare anche le debolezze e i difetti. (p. 85)
  • A questi tre astri di prima grandezza [Goethe, Herder, Lessing] dobbiamo aggiungere come quarto Wilhelm von Humboldt, e oggi si vede sempre meglio che egli merita questo riconoscimento anche se non fu un poeta, neppure nelle sue traduzioni classicistiche, e se riversò la sua sapienza in modo del tutto libero e comprensibile soltanto nelle sue lettere. Questa sapienza è puramente umana, ma per lui la grecità è pura sostanza umana, il che vuol dire molto più che umanità. Egli non cessò mai di nutrirsene. Morì con versi di Omero sulle labbra. (p. 97)
  • [Eduard Zeller] Egli introdusse il metodo che, di fronte ai filologi, era privilegio della scuola teologica di Tubinga: seguire un movimento spirituale attraverso le persone dei rappresentanti, ossia riconoscere il contesto storico oltre che ricostruire i singoli sistemi dogmatici.[...] Non si dovrebbe rielaborare la sua opera per portarla al livello attuale, come un libro scolastico. Opere di così alta qualità devono essere lasciate come l'autore le ha fatte. Vogliamo sentire lui anche nelle parti in cui oggi egli stesso parlerebbe diversamente. (p. 130)
  • Il primo storico completo dei greci apparve in Germania solamente con J. G. Droysen. In lui c'era il poeta che occorreva per questo. [...] Chi parla di ellenismo sta su un terreno da lui scoperto. Egli ricostruì con audacia la storia di un'epoca sulla quale non ci è rimasta alcuna esposizione continua e che pure rappresenta il culmine della potenza ellenica. È sempre andata male a chi ha voluto valutare diversamente il grande re, e documenti centuplicati hanno confermato le ardite combinazioni di Droysen più spesso di quanto umanamente ci si poteva aspettare. (p. 133)

Citazioni su Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff modifica

  • Se vogliamo, dopo tanti anni, unire nella nostra venerazione temperamenti così diversi come il Wilamowitz e il Nietzsche, potremmo dare alle sue Memorie anche il titolo: Ecce homo. L'uomo che in tempi recenti è stato rappresentato come un precursore del razzismo, e anche dell'antisemitismo, ha lasciato nelle sue Memorie testimonianze indubitabili della sua umanità e del suo favore, naturale in un uomo così profondamente educato, verso gli ebrei, studiosi e non. E anche nella tarda visione dell'aspra polemica del Nietzsche egli ha saputo essere giudice maturo e sereno: che cosa fu quel conflitto? Fu, goethianamente, il contrasto di due dèmoni diversi: il dèmone aveva dato a Nietzsche il diritto di diventare profeta di una religione senza religione e di una filosofia senza filosofia; il dèmone aveva dato a Wilamowitz il diritto di difendere la scienza, la leale e coraggiosa difesa della verità. (Marcello Gigante)
  • Talvolta a me pare che il Wilamowitz fu nietzscheano senza saperlo, specie nell'idoleggiamento della sua funzione educativa, nella consapevolezza sovrana della missione di dotto e anche della forza evocatrice del suo stile che talvolta cede felicemente alla metafora. Quando riprende da Omero il sacrificio di Tiresia alle ombre dell'al di là e trasferisce il sangue delle vittime al suo cuore, quando le ombre dei morti cari a Odisseo diventano le ombre di Euripide o di Platone, il Wilamowitz diventa sacerdote e connota l'operazione critica di un'aura sacra facendo della storia un rito che non è solo la esaltazione della scienza filologica e, in ogni caso, ha potuto tener presenti alcune pagine del Nietzsche. Quell'immagine che è nell'Heracles, ma è anche in un discorso del Wilamowitz sulla storiografia che tenne in Inghilterra, ha colpito i lettori molto più di una congettura.
    Rinsanguare le ombre del passato diventa non solo il còmpito del filologo di ogni epoca, ma anche un segno di rinnovamento, un emblema programmatico: viene ammesso che la tecnica o l'accertamento ermeneutico non è sufficiente all'esercizio della critica. (Marcello Gigante)

Note modifica

  1. Da Sulla storiografia greca, a cura di Gabriele Marchetti, Le Cáriti, Firenze, 2018. ISBN 978-88-87657-95-1, citato in Simon Critchley, A lezione dagli antichi. Comprendere il mondo in cui viviamo attraverso la tragedia greca, traduzione di Luca Vanni, Mondadori, Milano, 2020, p. 9. ISBN 978-88-04-72167-3
  2. Da Storia della filologia classica, introduzione e traduzione di Fausto Codino, Einaudi, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1967, p. 7.
  3. Fatta da Richard Bentley (1662 – 1742) Cfr. Storia della filologia classica, p. 79.
  4. Robert Wood (1716 o 1717 – 1771).

Bibliografia modifica

  • Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, Storia della filologia classica, introduzione e traduzione di Fausto Codino, Einaudi, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1967.

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