Fernando Pessoa

poeta, scrittore e aforista portoghese

Fernando António Nogueira Pessoa (1888 − 1935), poeta e scrittore portoghese.

Fernando Pessoa

Citazioni di Fernando Pessoa

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  • Amo come l'amore ama. | Non conosco altra ragione di amarti che amarti. | Cosa vuoi che ti dica oltre a dirti che ti amo, | se ciò che ti voglio dire è che ti amo?[1]
  • Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d'offendere, un cuore eccessivamente spontaneo che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale che accompagna col piede la melodia delle canzoni che il mio pensiero canta, tristi canzoni, come le strade strette quando piove.[2]
  • L'uomo è diverso dall'animale solo perché non sa esserne uno preciso.[3]
  • Non sono niente. | Non sarò mai niente. | Non posso voler essere niente. | A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.[4]
  • Ripassa domani, realtà! | Basta per oggi, signori![5]
  • So che il mondo esiste, ma non so se esisto io.[6]

Il poeta è un fingitore

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  • A volte, quando alzo la testa stanca dai libri nei quali segno i conti altrui e l'assenza di una vita mia, avverto una sorta di nausea fisica che forse deriva dalla posizione curva, ma che trascende i numeri e la delusione. La vita mi disgusta come una medicina inutile. (da Il libro dell'inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987, p. 55)
  • Ci sono giornate che sono filosofie, che ci suggeriscono interpretazioni della vita, che sono appunti a margine, pieni di altra critica, nel libro del nostro destino universale. Questa è una di quelle giornate, lo sento. Ho l'assurda impressione che con i miei occhi pesanti e col mio cervello assente si stiano tracciando, come con un lapis insensato, le lettere del commento profondo e inutile. (da Il libro dell'inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987, p. 98)
  • Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell'emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima. (da Il libro dell'inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987, p. 121)
  • In me ogni affetto si verifica in superficie, ma con sincerità. Sono stato sempre attore, e sul serio. Ogni volta che ho amato ho finto di amare, e ho finto come me stesso. (da Il libro dell'inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987, p. 161)
  • La letteratura, come tutta l'arte, è la confessione che la vita non basta. (da Obras em Prosa de Fernando Pessoa. Textos filosóficos e esotéricos. Prefácio, organização e notas de A.Quadros, Europa-America, Lisboa 1987 (vol. VI n.° 417 della collana "Livros de Bolso Europa-América"), p. 60)
  • La metafisica mi è sempre sembrata una forma comune di pazzia latente. Se conoscessimo la verità la vedremmo; tutto il resto è sistema e periferia. Ci basta, se riflettiamo, l'incomprensibilità dell'universo; volerlo capire è essere meno che uomini, perché essere uomo è sapere che non si capisce. (da Il libro dell'inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987, p. 247)
  • La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia. (da Il libro dell'Inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano 1987, p. 9)

Attribuite

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  • Scrivere è necessario. Vivere non è necessario.
La frase, in portoghese (Escrever é preciso; viver não é preciso), non compare in alcuna opera di Pessoa. Potrebbe essere invece di Ascendino Leite, da Os dias memoráveis, 1987. Si tratta, come indica Leite, di una parafrasi dell'aforisma «Navigare è necessario, vivere non è necessario», attribuita a Gneo Pompeo Magno da Plutarco nelle Vite parallele[7]; tale aforisma compare ne Il libro dell'inquietudine (p. 230) e nella poesia Navegar é Preciso di Pessoa: da qui, l'errore di attribuzione.

Il banchiere anarchico

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Avevamo finito di cenare. Davanti a me il mio amico, il banchiere, grande commerciante e monopolista ragguardevole, fumava come chi non ha pensieri. La conversazione che era andata spegnendosi, giaceva ormai morta tra di noi. Cercai di rianimarla, a caso, servendomi di un'idea che mi passò per la mente. Sorridendo, mi rivolsi a lui.
«Pensi: alcuni giorni fa mi hanno detto che lei un tempo è stato anarchico...».
«Non è che lo sia stato: lo sono stato e lo sono. Non sono cambiato a questo riguardo. Sono anarchico».

Citazioni

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  • «Il vero male, l'unico male, sono le convenzioni e le finzioni sociali, che si sovrappongono alle realtà naturali – tutto, dalla famiglia al denaro, dalla religione allo stato». (p. 41)
  • «...Regime rivoluzionario significa dittatura di guerra o, in parole chiare, regime militare dispotico, perché lo stato di guerra è imposto alla società da una sua componente – quella parte che ha assunto rivoluzionariamente il potere». (p. 46)
  • «Cosa vuole l'anarchico? La libertà – la libertà per sé e per gli altri, per l'umanità intera». (p. 51)

«Amico mio, già gliel'ho detto, gliel'ho già provato e adesso glielo ripeto... La differenza è solo questa: loro sono anarchici solo in teoria, io lo sono in teoria e in pratica; loro sono anarchici che si sottomettono, io sono un anarchico che combatte e libera... In una parola: loro sono pseudo-anarchici e io sono anarchico
». E ci alzammo da tavola.
Lisbona, gennaio 1922

Il libro dell'inquietudine

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  • Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi. (1992, p. 27)
  • La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni o strida dentro di me corde e arpe, timballi e tamburi. Mi conosco come una sinfonia. (1992, p. 32)
  • Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto. Ma la monotonia di tutto non è altro che la monotonia di me stesso. (1992, p. 34)
  • Ciascun volto, anche lo stesso che abbiamo visto ieri, oggi è un altro, perché oggi non è ieri. Ogni giorno è il giorno che è, e non ce n'è stato un altro uguale al mondo. L'identità è solo nella nostra anima. (1992, p. 34)
  • Una sola cosa mi meraviglia più della stupidità con la quale la maggior parte degli uomini vive la sua vita: l'intelligenza che c'è in questa stupidità. (1992, p. 42)
  • Un uomo, se possiede la vera sapienza, può godere l'intero spettacolo del mondo seduto su una sedia, senza saper leggere, senza parlare con nessuno, soltanto con l'uso dei sensi e il fatto che l'anima non sappia essere triste. (2004, p. 44)
  • Mi perdo se mi incontro, dubito se trovo, non possiedo se ho ottenuto. Come se passeggiassi, dormo, ma sono sveglio. Come se dormissi, mi sveglio, e non mi appartengo. In fondo la vita è in se stessa una grande insonnia e c'è un lucido risveglio brusco in tutto quello che pensiamo e facciamo. (1992, p. 61)
  • Vivere è morire, perché non abbiamo un giorno in più nella nostra vita senza avere, al contempo, un giorno in meno. (1992, p. 203)
  • Diventato una pura attenzione dei sensi, fluttuo senza pensieri e senza emozioni. [...] Come vorrei, lo sento in questo momento, essere una persona capace di vedere tutto questo come se non avesse con esso altro rapporto se non vederlo [...]. Non aver imparato fin dalla nascita ad attribuire significati usati a tutte queste cose; poter separare l'immagine che le cose hanno in sé dall'immagine che è stata loro imposta. [...] Smarrisco l'immagine che vedevo. Sono diventato un cieco che vede. [...] Tutto questo non è più la Realtà: è semplicemente la Vita. (1992, pagg. 50, 51, 52)
  • Nuvole... Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. (1992, p. 56)
  • All'improvviso ho sentito per quell'uomo qualcosa di simile alla tenerezza. Ho sentito in lui la tenerezza che si prova per la comune normalità umana, per la banale quotidianità del capofamiglia che va al lavoro, per il suo umile e allegro focolare, per i piaceri allegri e tristi di cui necessariamente è fatta la sua vita, per l'innocenza di vivere senza analizzare, per la naturalità animalesca di quelle spalle vestite. (1992, p. 64)
  • Vivere è essere un altro. Neppure sentire è possibile se si sente oggi come si è sentito ieri: sentire oggi come si è sentito ieri non è sentire, è ricordare oggi quello che si è sentito ieri, è essere oggi il cadavere vivo di ciò che ieri è stata la vita perduta. (1992, p. 72)
  • La vita è un viaggio sperimentale fatto involontariamente. Ḕ un viaggio dello spirito attraverso la materia, e poiché è lo spirito che viaggia, è in esso che noi viviamo. Ci sono perciò anime contemplative che hanno vissuto più intensamente, più largamente, più tumultuosamente di altre che hanno vissuto la vita esterna. Conta il risultato. Ciò che abbiamo sentito è ciò che abbiamo vissuto. Si ritorna stanchi da un sogno come da un lavoro reale. Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto. (1992, p. 97)
  • La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo. (1992, p. 98)
  • È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. (1992, p. 98)
  • Sorge dalle parti dell'Oriente la luce bionda della luna d'oro. La scia che lascia nel fiume largo apre serpenti nel mare. (2001, p. 103)
  • D'improvviso come se un destino chirurgo mi avesse operato di una vecchia cecità con immediati grandi risultati, sollevo il capo, della mia anonima vita, verso la conoscenza nitida di come esisto. E vedo che tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che ho pensato, tutto ciò che sono stato, è una specie di inganno e di follia. Mi meraviglio di non essere riuscito a vederlo. Mi stupisco di quello che sono stato, vedendo che alla fine non sono. (1992, p. 120)
  • Non sono stato l'attore, non i suoi gesti. (1992, p. 120)
  • Mi pesa, realmente mi pesa, come una condanna a conoscere questa nozione repentina della mia vera identità, di questa che ha sempre viaggiato sonnolenta tra ciò che sente e ciò che vede. (1992, p. 121)
  • Preferisco una sconfitta consapevole della bellezza dei fiori, piuttosto che una vittoria in mezzo ai deserti, una vittoria colma della cecità dell'anima, di fronte alla sua nullità separata. (2001, p. 128)
  • Ci sono momenti in cui tutto ci stanca, perfino ciò che potrebbe riposarci, quello che ci stanca perché ci stanca; quello che potrebbe riposarci perché l'idea di ottenerlo ci stanca. (1992, p. 135)
  • Litania Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi – un pozzo che fissa il Cielo. (1992, p. 139)
  • Il tedio... Pensare senza che si pensi, con la stanchezza di pensare; sentire senza che si senta, con l'angoscia del sentire; non volere senza che non si voglia, con la nausea di non volere. (1992, p. 140)
  • Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell'emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima. (1992, p. 142)
  • [...] Ho una intima paura dei gesti da abbozzare, una timidezza intellettuale delle parole da dire. Tutto mi sembra sordido in anticipo.
    L'insopportabile tedio di tutti questi visi, ebeti di intelligenza o della mancanza di essa, grotteschi fino alla nausea da quanto sono felici o infelici, orrendi perché esistono, marea separata di cose vive che mi sono estranee... (2001, p. 145)
  • La vita è un gomitolo che qualcuno ha aggrovigliato. Essa ha un senso se è srotolata e disposta in linea retta, o ben arrotolata. Ma, così com'è, è un problema senza nucleo, un avvolgersi senza un dove attorno a cui avvolgersi. (1992, p. 185).
  • I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l'ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c'è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l'insoddisfazione per l'esistenza del mondo. (1992, p. 195)
  • Il peso del sentire! Il peso del dover sentire! (1992, p. 197)
  • Vivere una vita raffinata e senza passioni, al riparo delle idee, leggendo, sognando e pensando a scrivere; una vita abbastanza lenta da poter essere sempre sul limite del tedio, sufficientemente meditata da non trovarvisi mai. Vivere quella vita lontano dalle emozioni e dai pensieri, soltanto nel pensiero delle emozioni e nell'emozione dei pensieri. Indugiare al sole, doratamente, come un lago oscuro contornato di fiori. Avere, nell'ombra, quell'aristocrazia dell'individualità che consiste nel non insistere con la vita. (2001, p. 203)
  • Esiste una sonnolenza dell'attenzione che non so spiegare e che spesso mi assale, se è possibile usare questa espressione per una cosa così indefinibile. Cammino per la strada come se fossi seduto e la mia attenzione, pur essendo rivolta su ogni cosa, è inerte come se fosse sotto l'influsso di un corpo in riposo. [...] È la sensazione di una ebbrezza di inerzia, di una sbornia senza allegria né per se stessa né per ciò che l'ha causata. È una malattia che non ha il sogno della convalescenza. È una morte alacre. (2004, p. 204)
  • I fuochi fatui della nostra putredine, sono almeno luci nelle nostre tenebre. (1992, p. 204)
  • Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un'idea; avere quell'indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell'utilità della sua conoscenza. [...] Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero. [...] No: niente legami, neppure con noi stessi! Liberi da noi stessi e dagli altri, contemplativi privi di estasi, pensatori privi di conclusioni, vivremo, liberi da Dio, il piccolo intervallo che le distrazioni dei carnefici concedono alla nostra estasi da cortile. (1992, p. 237)
  • Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. (1992, p. 237)
  • Vivere è non pensare. (1992, p. 238)
  • La felicità è fuori dalla felicità.
    Non c'è felicità se non con consapevolezza. Ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto. (fr. 219 (417); 2004, p. 238)
  • Guardando un cadavere, la morte mi sembra una partenza. Il cadavere mi dà l'impressione di un vestito smesso. Qualcuno se n'è andato e non ha avuto bisogno di portare con sé quell'unico vestito che indossava. (1992, p. 242)
  • Ho mal di testa e di universo. (1992, p. 243)
  • Se un giorno la mia capacità espressiva diventasse così vasta da ospitare tutta l'arte, scriverei un'apoteosi del sonno. Non conosco maggior piacere del sonno, la cancellazione totale della vita e dell'anima, il commiato dall'essere e dagli uomini, la notte senza memoria e senza illusione, la mancanza di passato e di futuro. (1992, p. 142)
  • Un tramonto è un fenomeno intellettuale. (fr. 33 (75); 2018)
  • Nemmeno dipingendo questo vetro di sogni colorati celo a me stesso il brusio della vita altrui, mentre la guardo, dall'altra parte. (fr. 62 (127); 2018)
  • Ora le spalle di questo uomo dormono. Lui tutto, che cammina davanti a me con un passo uguale al mio, dorme. È incosciente. Vive incosciente. Dorme, perché tutti dormiamo. La vita intera è un sogno. Nessuno sa cosa fa, nessuno sa quel che vuole, nessuno sa cosa sa. Dormiamo la vita, eterni bambini del Destino. Per questo, se penso con questa sensazione, sento una smisurata e intensa tenerezza per tutta l'umanità infantile, per tutta la vita sociale dormiente, per tutti, per tutto. (fr. 67; 2010)
  • Credo che ciò che produce in me il profondo sentimento, in cui vivo, di incongruenza con gli altri, sia il fatto che la maggior parte della gente pensa con la sensibilità, mentre io sento con il pensiero.
    Per l'uomo comune, sentire è vivere e pensare è saper vivere. Per me, pensare è vivere e sentire non è che il nutrimento del pensare. (fr. 68; 2010)
  • Mi fanno più pena quelli che sognano il probabile, il legittimo e il vicino di quelli che vaneggiano sul remoto e l'estraneo. Quelli che sognano in grande o sono pazzi e credono a ciò che sognano e sono felici, o sono semplici vaneggiatori, per i quali il vaneggiamento è una musica dell'anima, che li culla senza dire loro niente. Ma chi sogna il possibile ha la possibilità reale della vera delusione. Non mi può pesare un granché il non essere riuscito a diventare imperatore romano, ma può rodermi il fatto di non aver mai neppure rivolto parola alla sartina che, verso le nove, svolta sempre dall'angolo a destra. Il sogno che ci promette l'impossibile già per questo ce ne priva, ma il sogno che ci promette il possibile si intromette nella vita stessa, e a essa delega la propria soluzione. L'uno vive in modo esclusivo e indipendente; l'altro sottomesso alle contingenze di ciò che accade. (fr. 69 (143); 2018)
  • Dormo quando sogno quello che non c'è; mi sveglio quando sogno quello che può esistere. (fr. 141; 2010)
  • E se tutti noi (uomini, Dei e mondo) fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa, collocati sempre fuori da ciò che esiste? (fr. 166 (284); 2013)
  • Il più alto fra noi è solo uno che conosce più da vicino il vuoto e l’incertezza del tutto.
    Può essere che ci guidi un'illusione; ma, certamente, non la coscienza. (fr. 177; 2010)
  • L'esistenza del male non può essere negata, ma la malvagità dell'esistenza del male può non essere accettata. (fr. 250; 2010)

L'educazione dello stoico

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  • Ho tutte le condizioni per essere felice, tranne la felicità. (p. 35)
  • Non è nell'individualismo che risiede il nostro male, ma nella qualità di quell'individualismo. (p. 41)
  • L'uomo moderno se è infelice è pessimista. (p. 41)
  • Non possiamo non sentire, come non possiamo non camminare. (p. 47)
  • L'astratto è sempre stato per me più impressionante che il concreto. (p. 51)
  • Lo scrupolo è la morte dell'azione. Pensare alla sensibilità altrui è essere sicuri di non agire. (p. 55)
  • Non insegnare nulla, poiché hai ancora tutto da imparare. (p. 55)
  • [...] tutto è aver speranze o è morte. (p. 59)
  • Il sogno, quando troppo vissuto, o familiare, diventa una nuova realtà; la tirannizza; smette di essere un rifugio. (p. 57)
  • Che cos'è la vita dell'umanità se non una evoluzione religiosa senza influenza sulla vita quotidiana? (p. 63)
  • Il piacere è per i cani, il lamento per le donne; l'uomo ha solamente, di suo proprio, l'onore o il silenzio. (p. 69)
  • La dignità dell'intelligenza sta nel riconoscere che essa è limitata e che l'universo ne è fuori. (p. 73)
  • Circoscrivo a me stesso la tragedia che è mia. La soffro, ma la soffro faccia a faccia, senza metafisica né sociologia. Mi confesso vinto dalla vita, tuttavia non mi confesso abbattuto da lei. (p. 75)
  • Ho raggiunto, credo, la pienezza dell'impiego della ragione. Ed è per questo che mi ucciderò. (p. 77)
  • Se il vinto è colui che muore e il vincitore chi uccide, con questo, confessandomi vinto, mi istituisco vincitore. (p. 77)
  • Il romantico riferisce ogni cosa a se stesso ed è incapace di pensare oggettivamente. Ciò che accade a lui accade all'universalità delle cose. Se lui è triste, il mondo non solo sembra, ma è, sbagliato. (p. 85)

Citazioni su L'educazione dello stoico

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  • Il barone di Teive, autore di questa Educazione dello stoico, esemplare autobiografia di un suicida, è forse il più pericoloso fra gli eteronimi di Fernando Pessoa. Contagioso. Invasivo. Non perché il suo pacato e inesorabile deduttivismo logico potrebbe far considerare questo manoscritto come un'istigazione al suicidio, ma per il senso di coinvolgente disagio che quest'opera non può non trasmettere a qualsiasi lettore.
  • La sazietà del nulla che porterà Teive al suicidio è annunciata nelle prime pagine del suo diario con il «sonno intimo di tutte le intenzioni», con quell'impulso «che spinge a coricarsi presto» e che ha infiniti riscontri nell'opera tutta di Pessoa.
  • Sorto tardivamente e improvvisamente, pare, nel 1928, nel teatrino interno del poeta, il Barone venne prontamente esorcizzato da Pessoa con l'annunciata realizzazione del suicidio e il rogo a lui attribuito di tutti i suoi scritti.

Pessoa ortonimo

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Messaggio
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  • Pieno di Dio, non temo quel che verrà: | accada quel che accada, mai sarà | più grande della mia anima. (da Don Fernando, Infante di Portogallo, p. 53)
  • Così ho vissuto, così ho assolto, la vita | calmo sotto muti cieli, | fedele alla parola data e all'idea avuta. (da Don Pedro, Reggente di Portogallo, p. 53)
  • Il sogno è vedere le forme invisibili | della distanza imprecisa, e, con sensibili | movimenti sulla linea fredda dell'orizzonte | l'albero, la spiaggia, il fiore, l'uccello, la fonte: | i baci meritati della Verità. (da Orizzonte, p. 57)
  • Nessuno sa cosa vuole. | Nessuno conosce quale anima possiede, | né cosa è male né cosa è bene. | ... Tutto è incerto ed estremo. | Tutto è disperso, nulla è intero. Portogallo, oggi sei foschia... (da Foschia, p. 59)
  • Batte la luce in cima | alla montagna, vedi... | Senza volere, rimugino | ma non so cosa...
    Non so cosa ho perduto | o cosa non ho trovato...
    (VI p. 75)
  • Ah, piove sempre nell'anima mia. | C'è sempre oscurità dentro di me. | Dentro di me, se ascolto, qualcuno ode | la pioggia, come la voce di una fine... (VI p. 81)
  • Non mi sento nessuno salvo un'ombra | di figura non vista e che stupisce, | e in nulla esisto come fredda tenebra. (X p. 93)
  • Essere stanca, sentire duole, pensare distrugge. | Aliena a noi, in noi e fuori, | precipita l'ora, e tutto nell'ora precipita. | Inutilmente l'anima piange. (da Abdicazione, p. 109)
  • Vive sepolto chi si consegna ad altri. | E chi all'altro che sepolto ha in sé. (da Abdicazione, p. 113)
  • Contemplo ciò che non vedo. ! È sera, è quasi buio, | e ciò che desidero in me | sta fermo davanti al muro. (da Mietitrice, p. 183)
  • Più non cantare! | Voglio il silenzio | per addormire | qualsiasi memoria | della voce udita | incompresa | che andò perduta | perché l'udii... (da Spiraglio, p. 203)
Quartine di gusto popolare
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  • Non dire male di nessuno, | perché è di te che dici male. | Se dici male di qualcuno, | tutto nel mondo resta eguale. (62 p. 223)
  • Mi desti un addio antico, | in modo che io non fossi | più che l'amico dell'amico | che avresti potuto avere. (317 p. 235)

Gli eteronimi

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Alberto Caeiro: Poemi completi
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  • Sono un guardiano di greggi. | Il gregge è i miei pensieri | e i miei pensieri sono tutti sensazioni. (da Il guardiano di greggi, p. 241)
  • Va alta nel cielo la luna della primavera. | Penso a te e dentro di me sono completo. (da Poemi disgiunti, p. 247)
  • Quando l'erba crescerà al di sopra della mia sepoltura, | sia quello il segnale per dimenticarmi del tutto. (da Poemi disgiunti, p. 249)
  • Il ricordo è un tradimento della Natura, | Poiché la Natura di ieri non è Natura.| Ciò che fu non è nulla, e ricordare non è vedere.| Passa, uccello, passa, e insegnami a passare!. (da Fantasie di interludio, p. 211)
  • Il mistero delle cose, dove sta? | Dove sta che non appare | Per lo meno a mostrarci che è mistero? (da Fantasie di interludio, p. 210)
  • Perché l'unico senso occulto delle cose | È che esse non hanno alcun senso occulto, | E' più strano di tutte le stranezze | E dei sogni di tutti i poeti | E dei pensieri di tutti i filosofi, | Che le cose siano realmente ciò che appaiono essere | E non ci sia nulla da comprendere. (da Fantasie di interludio, p. 210)
  • Tutto il male del mondo viene dal fatto che ci interessiamo gli uni agli altri, | sia per fare del bene, sia per fare del male. | La nostra anima e il cielo e la terra ci bastano. | Voler di più è perdere questo, ed essere infelici. (da Fantasie di interludio, p. 208)
  • Lodato sia Dio perché non sono buono, | E ho l'egoismo naturale dei fiori | E dei fiumi che seguono il loro cammino | Preoccupati senza saperlo | Solo di fiorire e di scorrere. | È questa l'unica missione del mondo, | Questa – esistere chiaramente | E saper farlo senza pensarci. (da Fantasie di interludio, p. 209)
  • La bellezza è il nome di una cosa qualunque che non esiste | Che io do alle cose in cambio del piacere che mi danno. (da Fantasie di interludio, p. 206)
  • Che difficile essere se stessi e non vedere se non il visibile! (da Fantasie di interludio, p. 206)
  • Che cosa so io di più di Dio che Dio stesso? (da Fantasie di interludio, p. 201)
  • Le bolle di sapone che questo bambino | Si diverte a soffiar via da una cannuccia | Sono translucidamente tutta una filosofia. | Chiare, inutili e passeggere come la Natura, | Amiche degli occhi come le cose, | Sono quello che sono | Con una precisione ben rotonda e aerea, | E nessuno, neppure il bambino che le soffia via, | Pretende che esse siano più di quello che appaiono essere. | Alcune appena si vedono nell'aria lucida. | Sono come la brezza che passa e appena tocca i fiori | E che soltanto sappiamo che passa | Perché qualunque cosa si alleggerisce in noi | E accoglie tutto più nitidamente. (da Fantasie di interludio, p. 205)
  • Ma la mia tristezza è quiete | Perché è naturale e giusta | Ed è ciò che deve esserci nell'anima | Quando già pensa di esistere | E le mani colgono fiori senza che essa se ne accorga. | Come un rumore di sonagli | Oltre la curva della strada | I miei pensieri sono contenti. | Mi spiace solo di sapere che sono contenti | Perché se non lo sapessi, | Invece di essere contenti e tristi, | Sarebbero allegri e contenti. | Pensare disturba come camminare sotto la pioggia | Quando il vento cresce e sembra che piova di più. (da Fantasie di interludio, p. 197)
  • L'unico significato intimo delle cose | E' che non hanno significato intimo alcuno. (da Fantasie di interludio, p. 200)
  • «Ehi, custode dei greggi, | Là a bordo della strada, | Che ti dice il vento che passa?». | «Che è vento, e che passa, | E che già passò prima, | E che passerà dopo. | E a te cosa dice?». | «Molte cose più di quello, | Mi parla di molte altre cose. | Di memorie e di nostalgie | E di cose che mai furono». | «Non hai mai sentito passare il vento. | Il vento solo parla del vento. | Ciò che hai sentito da lui era menzogna, | E la menzogna sta in te». (da Fantasie di interludio, p. 202)
  • Tristi anime umane, che mettono tutto in ordine, | Che tracciano linee da cosa a cosa, | Che mettono etichette con nomi sugli alberi assolutamente reali, | E disegnano paralleli di latitudine e longitudine | Sopra la stessa terra innocente più verde e fiorita di tutto questo! (da Fantasie di interludio, p. 212)
  • Cerco di spogliarmi di ciò che ho imparato, | Cerco di dimenticare il modo di ricordare che mi hanno insegnato, | E raschiare la tinta con cui mi hanno dipinto i sensi, | Disimballare le mie vere emozioni, | Sbrogliarmi ed essere io, non Alberto Caeiro, | Ma un animale umano che la Natura ha prodotto. | E così scrivo, desiderando sentire la Natura, non come un uomo, | Ma come chi sente la Natura, e nient'altro. (da Fantasie di interludio, p. 213)
  • Passo e resto, come l'universo. (da Fantasie di interludio, p. 215)
Ricardo Reis: Odi
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  • Non canto la notte perché nel mio canto | il sole che canto finirà in notte. | Non ignoro quel che dimentico. | Canto per dimenticarlo. (p. 259)
Alvaro de Campos: Poesie
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  • Nulla mi lega a nulla. | Voglio cinquanta cose nel medesimo tempo. | Anelo con un'angoscia di fame di carne | quel che non so che sia: | definitivamente per l'indefinito... | Dormo irrequieto, e vivo in un sognare irrequieto | di chi dorme irrequieto, mezzo sognando. (da Lisbon revisited (1926), p. 287)
  • Un'altra volta ti rivedo, | città della mia infanzia paurosamente perduta... | città triste e lieta, un'altra volta sogno qui... | Io? Ma sono lo stesso che qui ha vissuto, e qui è tornato, | e qui è tornato a tornare, e a ritornare. | E qui di nuovo sono tornato a tornare? | O siamo tutti gli Io che sono stato qui o sono stati, | una serie di chicchi-enti legati da un filo-memoria, | una serie di sogni di me, di qualcuno fuori di me?. (da Lisbon revisited (1926), p. 289)
  • Vado a passare la notte a Sintra per non poterla passare a | Lisbona, | ma, quando arriverò a Sintra, mi spiacerà di non essere | rimasto a Lisbona. | Sempre quest'inquietudine senza scopo, senza nesso, senza | effetto, | sempre, sempre, sempre, | quest'angoscia eccessiva dello spirito per niente, | sulla strada di Sintra, o sulla strada del sogno o sulla strada | della vita... (da Demogorgone, p. 291)
  • Voglio finire tra le rose, perché le ho amate nell'infanzia. | I crisantemi, li ho sfogliati a freddo. | Parlino poco, lentamente. | Che io non oda, soprattutto col pensiero. | Cosa volli? Ho le mani vuote, | contratte flebilmente sulla coltre lontana. | Cosa pensai? Ho la bocca secca, astratta. | Cosa vissi? Era così bello dormire!. (da Magnificat, p. 303)
  • Partire! | Non tornerò mai, | non tornerò mai perché mai si torna. | Il luogo ove si torna è sempre un altro, | la stazione a cui si torna è diversa. | Non c'è più la stessa gente, né la stessa luce, né la stessa | filosofia. (da Là-bas, je ne sais où..., p. 309)
  • Non sono niente. | Non sarò mai niente. | Non posso voler essere niente. | A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo. (da Fantasie di interludio, p. 167)
  • Ah, ogni molo è una nostalgia di pietra! | E quando la nave salpa dal molo | e ci si avvede all'improvviso che si è aperto uno spazio | tra il molo e la nave, | mi viene, non so perché, un'angoscia recente, | una nebbia di sentimenti di tristezza | che brilla al sole delle mie angosce ingiardinate | come la prima finestra su cui batte l'alba, | e mi avvolge come un ricordo di un'altra persona | che fosse misteriosamente mia.[8]

Una sola moltitudine

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Volume I

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  • Il mio male peggiore è di non riuscire mai a dimenticare la mia presenza metafisica nella vita. Di qui, la timidezza trascendentale che terrorizza tutti i miei gesti, che toglie a tutte le mie frasi la linfa della semplicità, dell'emozione diretta. (p. 68)
  • C'è, tra me e il mondo, una nebbia che mi impedisce di vedere le cose come sono veramente – come sono per gli altri.
    Lo sento. (p. 68)
  • Non so chi sono, che anima ho.
    Quando parlo con sincerità non so con quale sincerità parlo. Sono variamente altro da un io che non so se esiste. (p. 69)
  • Conformarsi è sottomettersi e vincere è conformarsi, essere vinto. Per questo ogni vittoria è una grossolanità. I vincitori perdono sempre tutte le qualità di insoddisfazione verso il presente che li hanno portati alla lotta che ha dato loro la vittoria. Sono soddisfatti, e soddisfatto può essere solo colui che si conforma, che non ha la mentalità del vincitore. Vince solo chi non riesce mai. È forte solo chi desiste sempre. La cosa migliore, la più regale, è abdicare. (p. 78)
  • Vivere è appartenere a un altro. Morire è appartenere a un altro. Vivere e morire sono la medesima cosa. Ma vivere è appartenere a un altro dal di fuori, e morire è appartenere a un altro dal di dentro. Le due cose si assomigliano, ma la vita è il lato di fuori della morte. Perciò la vita è la vita, e la morte la morte, perché il lato di fuori è sempre più vero del lato di dentro, tanto che è il lato di fuori che si vede. (p. 88)
  • Ogni vera emozione è una menzogna nell'intelligenza, perché non si realizza in questa. Ogni vera emozione ha pertanto una espressione falsa. Esprimersi è dire ciò che non si sente. (p. 88)
  • L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. (p. 131)
  • La morte è la curva della strada | morire è solo non essere visto. | Se ascolto, sento i tuoi passi | esistere come io esisto. (23 maggio 1932, p. 161)
  • Il poeta è un fingitore. | Finge così completamente | che arriva a fingere che è dolore | il dolore che davvero sente. (Autopsicografia, p. 165)
  • Stanca essere, sentire duole, pensare distrugge. (1° gennaio 1921, p. 215)
  • Quando mi desterò dall'essere desto? (Magnificat, 7 novembre 1933, p. 403)
  • Il binomio di Newton è bello come la Venere di Milo. | Il fatto è che pochi se ne accorgono. (p. 409)

Volume II

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  • Siediti al sole. Abdica | e sii re di te stesso. (19 giugno 1914, p. 29)
  • Ogni cosa a suo tempo ha il suo tempo. (30 luglio 1914, p. 29)
  • Niente si sa, tutto si immagina. (3 novembre 1923, p. 45)[9]
  • Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi. (6 aprile 1933, p. 57)
  • L'unico senso intimo delle cose | è che esse non hanno nessun senso intimo. (p. 81)

Citazioni su Fernando Pessoa

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  • Credo che Pessoa sia oggetto di interesse più per il suo procedimento poetico che per i contenuti della sua opera. In particolare, l'adozione di molteplici schermi poetici e dei cosiddetti eteronimi, nonché le vicende della sua biografia, hanno creato la leggenda di Pessoa, inscindibilmente legata alla sua figura. (Nasos Vaghenàs)
  • Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po' di più chi siamo noi. (José Saramago)
  • Pessoa si impone sempre di più come autore essenziale a qualunque riflessione rivolta a questa società d'informazione in cui viviamo. (Luis Filipe Teixeira)
  1. Da Faust, a cura di Teresa Sobral Cunha, traduzione di Maria José de Lancastre, Einaudi, 1989.
  2. Da Poesie inedite.
  3. Da L'ora del diavolo, a cura di A. Andreoli, Il Segnale, Roma.
  4. Da Tabaccheria, in Poesie di Álvaro de Campos, p. 199.
  5. 4 settembre 1930, da Grandi sono i deserti, e tutto è deserto, in Poesie di Álvaro de Campos, p. 291.
  6. Da Sia quel che sia, in Alberto Caeiro, Poesie disgiunte, in Un'affollata solitudine.
  7. Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli.
  8. Da Ode marittima, in Una sola moltitudine, traduzioni di Rita Desti, Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Adelphi, Milano, 2019, vol I, p. 299. ISBN 978-88-459-8201-9
  9. L'aforisma viene citato da Federico Fellini, che lo attribuisce a Ricardo Reis (eteronimo di Pessoa), e viene riportato in La voce della Luna, a cura di Gianfranco Angelucci, Einaudi, Torino, 1990.

Bibliografia

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  • Fernando Pessoa, Il banchiere anarchico, a cura di Ugo Serani, traduzione di Ugo Serani, Passigli Editori, Firenze, 2001.
  • Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, prefazione di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano, 1987.
  • Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, prefazione di Antonio Tabucchi, a cura di Maria José de Lancastre, Feltrinelli, collana Impronte, 11a edizione, 1992.
  • Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, prefazione di Antonio Tabucchi, a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano, 2001. ISBN 8807816261
  • Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, prefazione di Antonio Tabucchi, a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano, 2004. ISBN 88-07-81626-1
  • Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, prefazione di Antonio Tabucchi, a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Feltrinelli, Milano, 2013. ISBN 9788858826348
  • Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, a cura di Piero Ceccucci, traduzione di Piero Ceccucci e Orietta Abbati, Newton Compton, Roma, 2010. ISBN 978-88-541-2837-8
  • Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore. Duecento citazioni scelte da Antonio Tabucchi, a cura di Antonio Tabucchi, Feltrinelli, 1988.
  • Fernando Pessoa, Il secondo libro dell'inquietudine, a cura di Roberto Francavilla, Feltrinelli, Milano, 2018. ISBN 9788858833087
  • Fernando Pessoa, L'educazione dello stoico, a cura di Richard Zenith, traduzione e prefazione di Luciana Stegagno Piccchio, Einaudi, Torino, 2005.
  • Fernando Pessoa, Poesie, a cura e traduzione di Luigi Panarese, Passigli Editori, Firenze, 1996.
  • Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Antonio Tabucchi, Adelphi, Milano, 2007. ISBN 88-459-1021-0
  • Fernando Pessoa, Un'affollata solitudine. Poesie eteronime, a cura di Piero Ceccucci, traduzione di Piero Ceccucci e Orietta Abbati, Rizzoli, Milano, 2015. ISBN 978-88-58-67706-3
  • Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, volume I, a cura di Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre, traduzioni di Rita Desti, Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Adelphi, Milano, 2012. ISBN 978-88-459-0576-2
  • Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, volume II, a cura di Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre, traduzioni di Maria José de Lancastre, Kathleen Norris, Flavio Vaselli e Antonio Tabucchi, Adelphi, Milano, 2011. ISBN 978-88-459-0575-9

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