Jean Cocteau

poeta, saggista e drammaturgo francese
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Jean Maurice Eugène Clément Cocteau (1889 – 1963), poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, disegnatore, scrittore, librettista, regista e attore francese.

Jean Cocteau, 1923

Citazioni di Jean Cocteau

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  • È indubbio che, se il nostro secolo ha uno specchio della sua vita psicologica, questo specchio è lo sport.[1]
  • Gli specchi dovrebbero riflettere un momentino, prima di riflettere le immagini.[2][3]
  • Ho avuto la fortuna di vedere Radiguet scrivere il suo libro come un compito, durante le vacanze del 1921. Lo dico perché questo ragazzo prodigio stupisce per la sua mancanza di mostruosità. Rimbaud può venir spiegato dai suoi incubi infantili. Mi domando dove ficca le mani codesto prestigiatore. Radiguet lavora in pieno giorno con le maniche rimboccate. Rimbaud soddisfa l'idea drammatica, breve e folgorante, che la gente si fa del genio. Radiguet ha avuto la fortuna di nascere dopo l'epoca in cui una luce opaca attraeva il fulmine. Egli ci sorprende dunque per la sua scipitezza. Sono molti a esprimersi in tal modo. Il foglio trasparente dello scandolo c'impedisce ancora di ammettere che alla nostra epoca l'anarchia si presenti sotto forma di colomba. (in una conferenza del 3 maggio 1923; citato in Roberto Rossi Precerutti, Raymond Radiguet. Le guance in fiamme, Poesia, Anno XII, marzo 1999, Crocetti Editore)
  • I critici giudicano le opere e non sanno di essere giudicati da esse.[4][5]
  • Il Macbeth di Orson Welles è un film maledetto, nel senso nobile del termine [...]. Lascia gli spettatori sordi e ciechi [...]. Il Macbeth di Welles è di una forza libera e selvaggia. Con il capo coperto di corna e di corone di cartone, vestiti di pelli come i primi automobilisti, gli eroi del dramma si muovono nei corridoi di una specie di metropolitana di sogno, in sotterranei distrutti dove l'acqua gocciola, in una miniera di carbone abbandonata. Nessuna ripresa è casuale. La cinepresa è sempre piazzata dove l'occhio del destino può seguire le sue vittime.[6]
Le Macbeth d'Orson Welles est un film maudit, dans le sens noble du terme [...] laisse les spectateurs sourds et aveugles [...] Welles a très vite tourné ce film après d'innombrables répétitions. C'est-à-dire qu'il voulait lui conserver son style de théâtre, cherchant à prouver que le cinématographe peut mettre sa loupe sur toutes les oeuvres et mépriser le rythme qu'on s'imagine être celui du cinéma. [...] Le Macbeth d'Orson Welles est d'une force sauvage et désinvolte. Coiffés de cornes et de couronnes de carton, vêtus de peaux de bêtes comme les premiers automobilistes, les héros du drame se meuvent dans les couloirs d'une sorte de métropolitain de rêve, dans des caves détruites où l'eau suinte, dans une mine de charbon abandonné. Jamais une prise de vue n'est hasardeuse. L'appareil se trouve toujours placé d'où l'oeil du destin suivrait ses victimes. (dall'introduzione di Orson Welles, a cura di André Bazin, 1950[7])
  • Il Papa è a Roma, Dio è a Napoli.[8]
  • Il segreto del blu è ben custodito. Il blu arriva da laggiù. Man mano che avanza s'indurisce e si muta in montagna. La cicala vi lavora. Gli uccelli vi lavorano. In realtà, non si sa niente. Si parla del blu di Prussia. A Napoli la Santa Vergine resta nei buchi dei muri quando il cielo si ritira.
    Ma qui tutto è mistero. Mistero lo zaffiro, mistero la Santa Vergine, mistero il sifone, mistero il collo del marinaio, mistero i raggi blu che accecano ed il tuo occhio blu che attraversa il mio cuore.
Le secret du bleu est bien gardé. Le bleu arrive de là-bas. En route, il durcit et se change en montagne. La cigale y travaille. Les oiseaux y travaillent. En realité, on ne sait rien. On parle du bleu de Prusse. A Naples, la Sainte-Vierge reste dans les trous des murs quand le ciel se retire.
Mais ici tout est mystère. Mystère le saphir, mistère la Sainte-Vierge, mystère le siphon, mystère le col du matelot, mystère les rayons bleus qui rendent aveugle et ton œil bleu qui traverse mon cœur.
[9]
  • Il tatto nell'audacia, è sapere fino a che punto ci si può spingere troppo avanti. (da Il richiamo all'ordine)
  • La luna è il sole delle statue.
La lune est le soleil des statues.[10]
  • La massa può amare un poeta solo per malinteso.[11][3]
  • Mio caro Andrè,
    Mi avete rimproverato un giorno di essere troppo teso, di non saper lasciarmi andare con noncuranza, e, come esempio di noncuranza, citavate con noncuranza una mia nota del
    «Gallo e l'Arlecchino», nella quale descrivevo il primo jazz-band.
    Ci avete anche insegnato a viaggiare.
    Dopo questi appunti di viaggio, che vi offro con cuore fedele, non potrete più rimproverarmi d'essere incapace di facile abbandono
    . J. C. (dedica a Andrè Gide, da Il mio primo viaggio)
  • Nel Diavolo in corpo la pianta misteriosa che fu Radiguet racconta il segreto delle proprie origini. Nel Ballo del conte d'Orgel, essa fiorisce. E il suo profumo è parola. (citato in Roberto Cantini, introduzione a Raymond Radiguet 1975)
  • Non ci sono solo rovine in Sicilia e commoventi testimonianze di un passato con il quale tutte le civiltà si sono sposate. Non ci sono solo le strade solitarie dove circolano i carretti dipinti con scene della Bibbia, trainati da cavalli piumati che sembrano dover partecipare ad un torneo. Non ci sono solo i templi morti e i chiostri con i mosaici colorati. Non ci sono solo i giardini della Bella e la Bestia e le terrazze battute da ondate di profumi. Non ci sono solo i feudi misteriosi pieni di specchiere nere e di busti che tendono le mani fuori dalle nicchie. C'è una grande diga in costruzione vicino a Troina, dove ingegneri e operai sembrano volare su carrelli sopra la voragine, c'è Palermo che ricostruisce il suo Duomo, c'è lo sforzo di tutte le persone per connettere il passato con il futuro, ed essere così degne della loro autonomia, e alle quali auguro buona fortuna con tutto il cuore.[12]
  • Se preferisco i gatti ai cani, è perché non ci sono gatti poliziotti.[13]
  • Tutte queste cicatrici Terra sono il fascino della tua figura guerriera. (citato in Il mio primo viaggio, fuori testo a pag. 8)

Diario (1942 – 1945)

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Ogni giorno mi dicevo: è inutile scrivere ora un diario. Ho vissuto molte esistenze. Non ho scritto. Perché cominciare così, a caso? Mi sbaglio. Bisogna proprio scrivere a caso.

Citazioni

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  • Una certa angoscia del silenzio sull'inattualità dei poeti mi ha spinto a prendere contatto con Al Brown. Al Brown è un poeta del ring, uno stregone, un fantasma. A tale titolo mi sono occupato di lui ed ho ottenuto il miracolo: rimetterlo sul ring e rendergli il titolo di campione del mondo. (p. 6)
  • [Sul pugile Panama Al Brown] Mi obbediva come un sonnambulo e certi imbecilli del mondo dello sport hanno persino creduto che io lo ipnotizzassi. (p. 6)
  • Dopo l'incontro con Angelmann, vinto per K.O., in una lettera aperta ho pregato Al Brown di abbandonare il ring. Un fenomeno che perdura cessa di essere un fenomeno. Un fantasma che non sparisce diventa seccante. E si è verificata una cosa sorprendente: coloro che, all'inizio dell'impresa, mi prendevano in giro, non mi concedevano il diritto di abbandonarla. (p. 6)
  • Sem credeva di disegnare male. Me lo ripeteva spesso. Aveva un gran rispetto per Forain. A distanza, Forain, giornalista, è nessuno. Sem brilla. (p. 14)
  • [Sull'illustratore Sem] Cercava in punta di penna ciò che c'è di più arguto nella moda. Il risultato è che quell'impressione resta e le sue caricature, di cui riconosciamo pochi modelli, a forza di somiglianza, fissano tutto quello che una fotografia dello stesso periodo non è riuscita a fissare. (p. 14)
  • Una donna alla moda, fotografata da una rivista e ritratta da Sem la stessa sera, era contenta della fotografia e furiosa della caricatura. Con l'andare del tempo, la fotografia la rende ridicola mentre la caricatura rivela il fascino della donna. (p. 14)
  • Vista Loulou (Louise de Vilmorin). Ha sempre un'aria da collegio, il vocabolario da collegio, il modo di ridere da collegio, gli occhi pallidi, freddi, splendidi. (p. 15)
  • Entro nel Palais-Royal e di cortile in cortile, di colonnato in colonnato, rientro a casa mia, nella città proibita, la città cinese, Padova, Venezia, Hong-Kong dei teatranti di Balzac. (pp. 15-16)
  • Il Palais-Royal è una piccola città nella città, circondata da una muraglia cinese, da case ammassate, che sporgono, si schiacciano, si compenetrano, forate da ripide scale e sordidi passaggi che sbucano si Parigi. Di notte, i cancelli di questi passaggi pieni di gatti neri vengono chiusi. Si chiudono i cancelli del Palais-Royal. Si chiude la città dei fantasmi della Rivoluzione. (p. 17)
  • Stato a trovare Chanel. «Non ho mai fatto vestiti, dice, ho fatto la moda. Per chi la farei oggi? Non lavoro più perché non ci sono più le donne che potrei vestire.» (p. 39)
  • Cena con Misia Sert al Realis de Porquerolles. La trovo leggera, generosa, giovane. «Non ho mai avuto bisogno del necessario, dice, ma non saprei fare a meno del superfluo». Parliamo di Mallarmé: «Era fiero della sua barca. Aveva paura che Lautrec gliela sporcasse. Aveva una bella vela bianca e, sulla bandiera, la scritta S.M. Lui diceva: Sua Maestà. S.M. Era lui, la sua personale maestà». (p. 40)
  • [Su Misia Sert] Penso ai tesori che sono passati tra le mani di questa donna straordinaria. I menù decorati da Lautrec. Il ritratto eseguito da Renoir. Va a trovare Renoir e gli confessa che ha bisogno di denaro e vuol vendere il ritratto. E Renoir, mostrando le sue tele: «Lo venda e ne prenda un'altra. Sono tutte sue». (p. 40)
  • [A Misia Sert] I mercanti d'arte. I Rosenberg. Le racconto di Paul Rosenberg e della sua nipotina. «È incredibile! Pipí è Pissarro, Caca è Picasso. E l'altra mattina, nel suo bagnetto, si picchiava il culetto dicendo: Degas! Degas!» (p. 40)
  • Vogliono demolire la bellezza della piccola città del Palais-Royal. Il progetto di isolare il Palais-Royal prende forma. Il Palais, in questa sordida città, è splendido. Isolato, l'allineamento, i giardinetti, i nuovi immobili, si vedrà che è vecchio e sporco. Rovineranno Parigi. Hanno rovinato Roma. Rovineranno tutto. (p. 46)
  • Il Palais-Royal, il cortile del Louvre, i giardini di accesso, costituiscono un mondo a parte, un susseguirsi di palazzi fatati, di archi, di prati all'inglese, dove le statue fanno da piedistallo ai piccioni, dove i tulipani oscillano. (p. 62)
  • Fréhel è una barbona sul tipo di Yvonne de Bray. [...] Nella metropolitana è spaventosa. Spaventosa e insolente (sicura di sé), sdentata, enorme, sporca, grassa, una specie di entità femminile – come a Marsiglia. Parte per la Germania, va a cantare nelle fabbriche. Che strana propaganda! (p. 65)
  • Incontrato Tahra Bey, il celebre fachiro. Mi invita delle sedute da lui. «Da quando Mussolini non mi consulta più, dice, le cose gli vanno male.» Mi assicura che tutti gli uomini molto importanti consultano veggenti o fachiri. (p. 70)
  • Bérard dice: «Ogni volta che Picasso cerca di avvicinarsi all'umano, cade nel conformismo, nell'accademismo, nell'oleografia spagnola. Lo ritroviamo solo nelle sue opere indecifrabili. In esse regna con un senso plastico quasi infernale. La sua penan che sputa, macchia, strappa il foglio. La firma è sempre il suo miglior disegno». (p. 178)
  • Cena con C. Bérard al ristorante cinese. Parliamo della nostra impresa. Il metodo di Bérard sta nello spaventarsi, nel demoralizzarsi, nel disperdersi, nel sudare per l'angoscia, appena non è più in diretto contatto con la tecnica. Vi attinge le energie e mescola onde che poi gli sono utili quando ritrova la calma. (p. 183)
  • Yvonne de Bray (in gran forma) si ubriaca, strappa tutti i bozzetti di Annenkov, devasta la casa dei Rochas, mi telefona che non reciterà nel film, e mi ritelefona il giorno dopo dicendo che reciterà. È un ciclone. Annenkov che passa per uno scenografo di prim'ordine sembrava, in un attimo, un povero portinaio in confronto a lei. Piccola epoca di piccole sagge pazzie, che non sopporta più i mostri sacri, di cui Yvonne rimane un modello. Se riesco a scatenare questo ciclone nel film, sarà magnifico. Ci riuscirò? (p. 183)
  • A Bérard piacciono solo il disordine e le discussioni infuocate. Accende il fuoco e lo alimenta con dei ramoscelli. Il suo arrivo nei luoghi pubblici. La barba, il feltro tagliuzzato, i suoi stracci. Stupore. Come incoraggiamento tira fuori delle scatolette d'oro e mette dei biglietti da mille sul tavolo del ristorante. La gente pensa che siano oggetti rubati. Bérard porta lo stupore al massimo decorando il pane di senape e salsa inglese che cola da tutte le parti. (pp. 188-189)
  • Pranzo da Maxim's. Dopo le prove, una carrozza con un cavallo bianco aspettava Marie Bell all'uscita della Comédie-Française. Sale, seguita dal suo segretario sovraccarico di pellicce e manoscritti. Apro il manoscritto e chiedo a Bell di lavorare su certi passi con un altro stile. Quando la carrozza parte mi trovo davanti trecento persone che guardano lo spettacolo. (p. 192)
  • Abbiamo fatto molta fatica a mettere sul treno Yvonne de Bray. Si rifiutava di partire senza vagone letto. Era ubriaca fradicia. [...] Rideva per gli angeli. Per lei era tutto lo stesso. Ha viaggiato in piedi. È arrivata a Nizza morta di stanchezza. (p. 195)
  • Ieri sera, a teatro, è stato appassionante. Gli attori, le scene, i tamburi, la sala, tutto ha fatto la sua parte al massimo. Marie Bell è stata una grande, grandissima attrice tragica. Per lodarla, si deve risalire al grande ricordo di Sarah Bernhardt. (p. 197)
  • Bisognerebbe non dimenticare che Breker ci ha fatto grandi favori. Ha liberato prigionieri. Mia amicizia con lui. Poiché non ho mai sconfessato un'amicizia inglese o americana o ebrea, perché dovrei sconfessare una tedesca? Non mi piegherò mai a simili bassezze. Gli uomini me lo rimproverano. Dio me ne sarà riconoscente. (p. 362)

I ragazzi terribili

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  • Questo amore era tanto più bruciante in quanto precedeva la conoscenza dell'amore. Era un malessere vago ed intenso, contro cui non esisteva alcun rimedio, un desiderio casto, senza sesso e senza scopo.
  • Invece di imparare la grammatica, l'aritmetica, la storia, la geografia, le scienze naturali, aveva imparato a dormire da sveglio un sonno che mette al riparo e restituisce agli oggetti il loro vero significato.
  • Delle droghe orientali avrebbero agito su questi ragazzi nervosi con minor efficacia di una gomma o di un portapenne masticati di nascosto dietro il loro banco.
  • Nessuno degli attori di questo teatro, e persino colui che faceva la parte dello spettatore, avevano coscienza di recitare. Era a questa incoscienza primitiva che la commedia doveva una giovinezza eterna. Senza che loro lo sospettassero, la commedia (o camera, se volete) oscillava ai limiti del mito.
  • Una corrente li trascinava verso la notte, verso la camera dove ricominciavano a vivere.
  • Vi sono case, esistenze, che riempirebbero di stupore le persone ragionevoli. Esse non capirebbero come un disordine che sembra debba continuare appena per quindici giorni, possa durare per parecchi anni. Ora, queste case, queste esistenze problematiche, perdurano numerose, illegali, contro ogni aspettativa.
  • Le stesse notti violente, gli stessi mattini torpidi, gli stessi lunghi pomeriggi in cui i ragazzi diventavano dei relitti, delle talpe in piena luce.
  • Ciò che vedevano ed ascoltavano non costituiva una proprietà privata. Servitori di una legge inflessibile, riportavano tutto nella camera in cui si fabbricava il miele.
  • I ragazzi erano così ricchi che nessuna ricchezza avrebbe potuto cambiare la loro vita. La fortuna poteva visitarli mentre dormivano; non se ne sarebbero accorti, al risveglio.
  • Progetti per l'avvenire, studi, impieghi, trafile, non li preoccupavano più di quanto il far la guardia alle pecore possa tentare un cane di lusso.
  • Questi ragazzi terribili si rimpinzano di disordine, di una appiccicosa macedonia di sensazioni.
  • Che cosa sarebbero diventate le notti? Il miracolo scaturiva da un contatto ininterrotto tra fratello e sorella. Questa rottura, questa fine del mondo, questo naufragio non rattristavano né Paul né Elisabeth. Essi non pesavano le conseguenze dirette o indirette del loro atto, né s'interrogavano al riguardo, più di quanto un capolavoro drammatico non si preoccupi dello sviluppo dell'intreccio e dell'avvicinarsi dello scioglimento. [...] Ma il genio della camera vegliava. C'è bisogno di dirlo? Sulla strada tra Cannes e Nizza, Michael rimase ucciso.
  • Le notti bianche non erano più lo spettro leggero che fugge al canto del gallo, ma uno spettro inquieto che ondeggia.
  • Il genio della camera si sostituiva a lei, la duplicava, al pari di un genio che, impossessandosene, detta a un uomo d'affari gli ordini che impediscono il fallimento, a un marinaio i gesti che salvano la nave, a un criminale le parole che forniscono un alibi.

Il gallo e l'arlecchino

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  • Bisogna essere un uomo vivo e un artista postumo.[3]
  • Il bello ha l'aria facile, ed è proprio la cosa che il pubblico disprezza.[3]
  • La verità è troppo nuda, non eccita gli uomini.[5]
  • Quel che il pubblico ti rimprovera, coltivalo, sei tu.[14]
  • Quando bisogna scegliere un uomo crocifisso, la folla salva sempre Barabba.[14]
  • Quando un'opera sembra in anticipo sul suo tempo, è vero invece che il tempo è in ritardo rispetto all'opera.[3]
  • Un poeta ha sempre troppe parole nel suo vocabolario, un pittore troppi colori sulla sua tavolozza, un musicista troppe note sulla sua tastiera.[3]

Il mio primo viaggio

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Prima di iniziare il racconto di questo giro del mondo, è molto importante spiegarne il motivo e mettere chiaramente al corrente il lettore della nostra impresa.

Tutti conoscono il Giro del mondo in ottanta Giorni. Il capolavoro di Jules Verne, con la copertina rossa e oro da libro di premio, la commedia che ne hanno tratta, dietro il sipario rosso e oro dello Châtelet, hanno eccitato la nostra infanzia e ci hanno dato, più che la vista di un mappamondo, l'amore delle avventure e il desiderio di viaggiare.

Citazioni

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  • Amare, dormire a occhi aperti, aspettare miracoli, questa fu l'unica mia politica. (p. 11)
  • Roma di notte. Città morta. Città muta. Città nella quale il solo grido che ci permettono le facciate e le mura, sempre lo stesso con piccole variazioni, è Duce: il volto, di fronte e di profilo, berretto con aigrette o elmetto, amabile o terribile.
    La città cieca, sorda, con la lingua tagliata, si esprime soltanto attraverso le smorfie liriche di Mussolini. (p. 16)
  • Mi rivedo con Picasso mentre tornavamo di notte dall'Albergo Minerva, dove alloggiavano le ballerine russe, al nostro albergo in Piazza del Popolo.
    Preferivamo la Roma al chiaro di luna perché di notte si vede come è fatta una città. (p. 16)
  • Venezia, metà donna, metà pesce, è una sirena che si disfà di una palude dell'Adriatico. Roma invece, tante volte sotterrata e disotterrata, continua nel suo solenne seppellimento. Non vi è cosa che non si inclini, che non ceda, che non si comprima e che non scavi la propria fossa. (p. 17)
  • Roma non mi commuove. Mi confonde.
    Il canto delle fontane rivela la vera città, la necropoli che sfugge al piccone dell'ex manovale Mussolini. [...] Qui tutto sembra obbedire al pollice verso dell' Imperator, che con quel gesto decreta la fine del vinto, così come riempie la pipa o come si pianta un seme. (p. 17)
  • L'anima di un paese non cambia. Ci osserva da dietro i palazzi blindati e dietro la calma, dietro la disciplina, dietro le uniformi romanzesche, dietro la maschera tragicomica del Duce. (p. 18)
  • Il Pireo (alle dieci del mattino). La nebbia ci nasconde l'Acropoli. I Greci a bordo sono desolati: non succede mai. Dentro di me me ne rallegro. È la prospettiva di una sorpresa e la mia classica rottura con i contatti ufficiali. [...] Questa Acropoli che si nasconde ci permette di pensare soltanto al nostro sbarco, che ha luogo su una banchina piena di negozi, di bancarelle sporche, di insegne che si accavallano e di venditori che ti chiamano tirandoti per la manica. (p. 20)
  • Non dimentichiamoci che i Greci sono avidi e che i nostri dollari devono cambiarsi in dracme. (p. 20-21)
  • Improvvisamente i miei occhi si spalancano. Che cosa vedo? Incorniciata da quel corpo femmineo vedo una piccola gabbia rotta molto lunga e bassa, come quelle che intrecciano i bambini con erbe per imprigionare le cavallette. Riposa per aria circondata dal vuoto. Cos'è mai? Il cuore mi batte. Quella piccola gabbia sventrata... è forse...? Ma sì, è lui, è il Partenone! (p. 21)
  • Roma, città pesante. Atene, città leggera. Roma affonda. Atene prende il volo. A Roma ogni cosa è attirata verso il basso. Ad Atene tutto è attirato verso l'alto, palpita alato e occorre tagliare le ali alle statue, come i Greci lo fecero alla Vittoria, per impedire che prendano il volo. (p. 22-23)
  • Il colosso di Rodi è esistito?
    Anche se si tratta di una favola, rimane ugualmente una delle meraviglie di questo mondo attraversato dalla linea del nostro itinerario. (p. 27)
  • Diamante di Roma. Perla d'Atene. Domani, scarabeo d'Egitto. Rodi è la prima pietra barocca della collana. (p. 27)
  • Micene, la Grecia, l'esattezza, Bisanzio, le crociate, i cavalieri di San Giovanni, i Turchi, Patmo, dove l'Evangelista mangiò il libro e compone l'Apocalisse, Ippocrate, Omero, Tiberio, Cesare, Augusto, Cicerone, Solimano il Magnifico, ecco il luogo d'incontro di razze, di città e di glorie, che la Venere di Rodi contempla appoggiata su un ginocchio, scostando le chiome. (p. 27)
  • Chi ha bevuto l'acqua delle fontane di Rodi, a Rodi sempre tornerà. (p. 28)
  • In Egitto niente si decide e nulla si paga senza assumere atteggiamenti misteriosi e senza che il più ingenuo mercato prenda l'aspetto di losco traffico. Il più piccolo acquisto richiede una sceneggiatura fatta di occhiate e di conciliaboli. (p. 34)
  • Sulla carta d'Egitto, l'Egitto è una pietra funeraria. (p. 36)
  • Il Cairo è una città di morte. Vi si indovina fin dall'arrivo che la morte è l'industria principale dell'Egitto, che l'Egitto è una necropoli e che la preoccupazione delle tombe dominava la vita egiziana. (p. 36)
  • La sfinge non è un enigma. Inutile interrogarla. È una risposta: «Eccomi», dice, «custodisco le tombe piene e custodisco le tombe vuote. Ciò ha poca importanza. La volontà di bellezza, il fuoco del genio, fenice umana, rinascono perpetuamente dalle loro ceneri. Perfino nella distruzione attingono a nuove forze. Siamo poche pietre miliari sparse per il mondo che riuniscono gli spiriti sparpagliati e li obbligano, malgrado le credenze morte e la velocità, a fare pellegrinaggi e soste». (p. 41)
  • La Sfinge e le Piramidi sono uno scenario atto a spaventare un popolo credulo. (p. 42)
  • Temevo il lato colossale dell'Egitto: invece, i suoi colossi non sono smisurati e non disturbano l'armonia di una terra proporzionata agli uomini. È una razza di giganti e basta. (p. 45)
  • Aden, porta dell'inferno, dove ci depongono quei fauni di marmo nero dai riccioletti biondi, dalle guance vermiglie, dalle narici, dalle labbra, dagli archi sopracciliari e dalle giunture delicati. (p. 59)
  • Aden, valle dei lebbrosi. Miniera senza minerali. Calore del Sud più lugubre freddo del Nord, suolo infecondo che non si cura di produrre alcuna cosa. È un incrocio di razze e di merci, un luogo di convegno di aeroplani e di navi da guerra, una caserma di sentinelle britanniche. (p. 59)
  • La bellezza affascina e stanca. Alla bruttezza ci si abitua e la si sposa, e quelli che amano Aden non vogliono più partire.
    Come i capolavori escono dalla miseria, dalla solitudine, dalla mancanza di beni materiali, dalle ripulse accumulate, così Aden la deserta fa nascere purisangue umani di tutte le razze. (p. 59-60)
  • Aden, anticamera dell'India, magro luogo, scorpione, cactus, crogiuolo di razze enigmatiche, non offre risorsa alcuna né di mollezza né di grazia. È il contrario di Rodi. È senza speranza, estrema, amara, piantata nel mondo come un coltello. (p. 61)
  • L'indù povero chiede meno l'elemosina dell'egiziano povero. Chiede l'elemosina con minor bassezza. È uno stile più ipocrita, più pericoloso. (p. 67)
  • La grande Pagoda di Rangoon è di una bellezza, di una importanza che superano di gran lunga gli spettacoli superficiali ai quali ci condanna il nostro percorso. Può stare accanto al Castel Sant'Angelo, all'Acropoli, alle Piramidi. (p. 76)
  • [Rangoon] Città birmana, città sikh, città cinese. (p. 78)
  • E ciò che spiega le nostre abitudini rapide è il fatto che la bellezza è una vecchia conoscenza; la si incontra come se la si conoscesse da sempre. Breve abitudini; è così. Ogni scalo si creava delle nuove abitudini. Al mio ritorno, leggo di Friedrich Nietzsche: «Amo le brevi abitudini e le considero mezzo inestimabile per imparare a conoscere molte cose». (p. 80-81)
  • Più la Cina è povera, più è ricca. I suoi filosofi possiedono la pietra filosofale. Non sporcano: patinano. Conoscono il segreto per fabbricare oro con il letame. (p. 84)
  • Penang puzza di patronato. Scuole. Signorine cinesi con occhiali e crocette d'oro. Aria da ipocriti. Collegiali in bicicletta. Non incontriamo mai un bianco. (p. 85)
  • Di notte, Penang è magica. La strada è una scena di commedia che non finisce mai tra le quinte delle insegne strette e alte che la costeggiano. Insegne di legno e di carta. Il delitto deve esservi cosa del tutto naturale. È impossibile immaginare qui uno dei locali di Montmartre o di Marsiglia. (p. 85)
  • Già il fatto di vivere a Penang vuol dire non poter più vivere altrove... e non poter più vivere a Penang! (p. 88)
  • L'animo, irrigidito, perde la sua elasticità (p. 98)
  • Motivi potentissimi e quasi sempre segreti sono all'origine di mille particolari che compongono la bellezza brulicante dell'universo. Una singolarità può sembrarci gratuita, ma la sua forza espressiva nasconde sempre delle radici. (p. 99)
  • Più la Cina ci imita, e più abbandona i suoi misteriosi privilegi. L'erotismo ritorna alla rozzezza europea. (p. 99-100)
  • Singapore è una giungla ammaestrata, addomesticata. Dappertutto questa forza mostruosa della giungla esplode, trasformata in prati, in parchi, in culture, in campi di orchidee. È il porto più salubre dell'Asia. (p. 104)
  • Nelle infime strade di Singapore si può acquistare un gorilla, una leonessa, un pitone di quattordici metri, un cobra, uno di quei tapiri senza zanne né unghie né veleno ma di una tale bruttezza, di una tale sporcizia che nessuna bestia li vorrebbe in pasto. (p. 114)
  • Ciascuno occupa il posto che si merita, in virtù di un sistema di pesi e misure che funziona più profondamente dei nostri passi, ci spezza, ci spinge e ci sistema più profondamente dei nostri passi, ci spezza, ci spinge e ci sistema con un'esattezza cieca. A poco a poco si siamo abituati a vedere delle ricompense e delle punizioni in questo sistema che non è sottoposto a nessuna morale. (p. 120)
  • Non si dice che una bilancia funziona con giustizia; si dice che funziona con giustezza. Costatiamo la giustezza che dirige le vite umane e che l'uomo si ostina a considerare giustizia. Quando questa giustizia disturba i suoi calcoli o lo disorienta, cioè lo manovra suo malgrado, la taccia di ingiustizia. (p. 120)
  • Ci si innalza secondo le proprie ali. Si affonda secondo il proprio peso. (p. 120)
  • Non si addomesticano impunemente luoghi che si esprimono per mezzo del cobra e della tigre. I prati, il tennis, le banche non impediscono a Singapore di ansimare come il ventre di una bestia feroce vicino all'Equatore. È l'estremo limite dell'Asia. […]. Quest'isola elegante, questa città elegante possiedono ancora facoltà segrete che deformano il tempo e lo investono, come il peytol deforma la prospettiva e inventa i colori. Lasciano in voi semi di morte. (p. 121)
  • La magnificenza sordida e la pompa teatrale di Hong Kong sono di gan lunga superiori allo spettacolo che offrono le città cinesi della penisola. In confronto ad esse Rangoon, Penang lasciano un ricordo di grandi villaggi, di mercati di pulci. (p. 127)
  • Hong Kong è il drago. Ondeggia e si impenna e si tuffa e si attorciglia con tutti i viali irti di vie traverse, di mercati che sono viuzze, di vicoli ciechi equivoci e di scale a picco. E sembra che tutte quelle vie, quei viali, quelle viuzze, quei vicoli ciechi, quei mercati, quei gradini aspettino una processione religiosa, siano imbandierati per qualche festa spaventosa, che conducano al patibolo di un re. (p. 127)
  • [Hong Kong] Scenario mobile, alle cui sorprese nessun regista, anche geniale, può aspirare. (p. 128)
  • Hong Kong è simile alla Hong Kong notturna. Più misteriosa forse sotto quel sole che esalta le réclames multicolori, il bronzo roseo rosso nel quale è scolpito il popolo e la cornice dei quadri nei quali vive. (p. 132)
  • Charlie Chaplin è a bordo. La notizia mi sconvolge. Più tardi Chaplin mi disse: «Il vero compito di un'opera è quello di permettere ad amici come noi di bruciare le tappe. Ci conosciamo da sempre»
  • Non parlo l'inglese. Chaplin non parla il francese. E parliamo senza il minimo sforzo. Che cosa succede? Che lingua è la nostra? È la lingua viva, la più viva di tutte, che nasce dalla volontà di comunicare ad ogni costo, la lingua dei mimi, la lingua dei poeti, la lingua del cuore. (p. 136)
  • [La febbre dell'oro] Film tra la vita e la morte, tra la veglia e il sogno: è il lume di candela dei Natali tristi. Là Chaplin fa scendere nel più profondo di se stesso la campana dei fratelli Williamson. Gira la flora e la fauna delle grandi profondità. Raggiunge, con l'episodio della capanna, le leggende popolari del Nord, con l'episodio del pollo, la commedia e la tragedia greche. (p. 139)
  • Chaplin deve essere pronunciato alla francese: è la famiglia del pittore.
    Di due origini è orgoglioso. Questa discendenza francese e una nonna zingara. (p. 141)
  • Il palazzo imperiale di Tokyo, città a forma di ruota, è il mozzo intorno al quale tutto gira. La muraglia grigia, i larghi fossati d'acqua stagnante, non lasciano mai intravedere il Mikado. Se viaggia, tra il Palazzo e la stazione, la folla s'inginocchia e abbassa gli occhi. […] Il palazzo imperiale è il Vaticano di quella religione del dovere. (p. 149)
  • Il Giappone esce dal mare. Il mare l'ha respinto come una conchiglia di madreperla. Il mare conserva il diritto di distruggerlo e di riprenderselo. (p. 150)
  • Tokyo la distrutta e la ricostruita è una piovra dagli elastici tentacoli.
  • «Il tempo degli uomini è eternità ripiegata», dice Anubis nella Macchina Infernale.
  • I nostri atti più gratuiti assomigliano alle figurine che i bambini ritagliano sul bordo della piega. Interiormente si dispone il merletto e i nostri atti, che zoppicano, per lo più trovano una simmetria. (p. 175)
  • Il poeta vive nel mondo «reale». Lo si teme perché mette l'uomo col naso nelle sue caccole. L'idealismo umano cede di fronte alla sua probità, alla sua inattualità (la vera attualità), al suo realismo che la gente considera pessimismo, al suo ordine che chiama anarchia. Il poeta è antiprotocollare. Si è creduto per molto tempo che fosse il capo del protocollo della inesattezza. Il giorno in cui il pubblico ha capito quello che era veramente, lo ha temuto. (p. 174)
  • L'intensità dell'Europa è soltanto nel vizio, nel delitto. La sua virtù, purtroppo è scialba. La virtù intensa è rara. È la santità: quella del poeta, quella dell'orientale. (p. 175)
  • La caduta degli angeli non sarà forse la caduta degli angoli? (In ebraico esiste una parola sola per esprimere le due cose). (p. 175)
  • La forza del vizio sta nel fatto che non sopporta la mediocrità. La debolezza della nostra virtù è che la sopporta, che si condanna ad essa e che ne fa la propria fine. Matrimonio, ecc. (p. 175)
  • Una forza che porta un nome (fosse anche il fulmine) è già una forza indebolita. (p. 176)
  • [...] la vera politica è come il vero amore. Si nasconde. (pp. 176-7)

La spaccata

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Jacques Forestier piangeva con facilità. Il cinema, la cattiva musica, un romanzo d'appendice gli strappavano le lacrime. Non confondeva simili ingannevoli dimostrazioni di delicatezza d'animo con le lacrime profonde: queste sembrano scorrere senza motivo.
Poiché nascondeva le lacrime di poco conto all'ombra di un palco o standosene solo con un libro, e poiché le lacrime autentiche sono rare, lo consideravano una persona insensibile e spiritosa.
La sua reputazione di persona spiritosa derivava dalla prontezza di spirito. Tutto al mondo gli suggeriva versi in rima, e lui li combinava in modo tale che le rime sembravano esistere da sempre. Per rime intendiamo: qualsiasi cosa.
Forzava brutalmente i nomi propri, i volti, gli atti, i discorsi esitanti, spingendoli ai limiti, abitudine che gli procurò la reputazione di bugiardo.
Aggiungiamo che ammirava i bei corpi e i bei visi, a qualsiasi sesso appartenessero. A causa di questa strana vaganza gli venivano addebitati cattivi costumi, perché i cattivi costumi sono l'unica cosa di cui le persone fanno credito senza esitare.

Citazioni

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  • Arrivare. Jacques si domanda a che cosa si arrivi. Bonaparte è arrivato all'incoronazione o a Sant'Elena? Un treno che fa parlare di sé perché ha deragliato e ucciso i suoi passeggeri è arrivato? O è più arrivato se arriva in stazione? (p. 11)
  • È un dato di fatto chi il ballo in maschera smaschera. (p. 16)
  • La mappa della nostra vita è piegata in modo tale che noi non la vediamo attraversata da un'unica grande strada, ma, mano a mano che l'apriamo, da una piccola strada ogni volta diversa. Crediamo di scegliere e non abbiamo scelta. (p. 21)
  • Un giovane giardiniere persiano disse al suo principe:
    «Stamattina ho incontrato la morte. Mi ha fatto un gesto di minaccia. Mi salvi. Vorrei che un miracolo mi facesse essere a Ispahan, stasera».
    Il buon principe gli presta i suoi cavalli. Nel pomeriggio, il principe incontra la morte.
    «Perché», le chiede, «stamattina hai fatto un gesto di minaccia al mio giardiniere?».
    «Non era un gesto di minaccia», rispose, «ma di sorpresa, perché avevo visto che stamattina era così lontano da Ispahan, ed è a Ispahan che devo prenderlo stasera». (p. 21)
  • [...] i fiumi scorrono senza badare ai bagnanti e agli alberi di cui riflettono l'immagine. Desiderano il mare. Lo baciano alla fine di un viaggio eterno, gettandovisi con voluttà. (p. 45)
  • Quando tutto si muove insieme, nulla sembra muoversi. (p. 57)
  • Il sonno ha il suo universo, la sua geografia, la sua geometria, il suo calendario. Capita che a volte ci trasporti in ere antidiluviane. Allora ritroviamo una scienza del mare misteriosa. Nuotiamo e crediamo di volare senza fatica. (p. 91)
  • Il sonno non è ai nostri ordini. È un pesce cieco che sale dagli abissi, un uccello che piomba dall'alto su di noi. (p. 104)
  • Nel momento del risveglio, chi pensa, in noi, è l'animale, la pianta. Pensiero primitivo senza nessun cosmetico. L'universo che vediamo è terribile, perché vediamo bene. Poco tempo ancora, e l'intelligenza ci imbottisce di artifici. Fornisce quei piccoli giocattoli che l'uomo inventa per nascondere il vuoto. È allora che crediamo di veder bene. (p. 106)
  • Occhiali scuri o malinconia spengono i colori del mondo; ma, attraverso loro, possiamo fissare il sole e la morte. (p. 114)
  • [...] per vivere sulla terra bisogna seguirne le mode, e il cuore è un capo che non si indossa più. (p. 140)
  • Un eremita vive nell'estasi? I suoi disagi saranno il colmo degli agi. Bisognerà che ne esca. (p. 29)
  • Vivere è una caduta orizzontale. (p. 29)
  • La noia mortale del fumatore guarisce. Tutto ciò che facciamo in vita, anche l'amore, lo facciamo nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l'oppio è lasciare il treno in corsa: occuparsi d'altro che della vita e della morte. (p. 34)
  • È difficile, dopo avere conosciuto l'oppio, viverne senza, perché è difficile, dopo averlo conosciuto, prendere sul serio la terra. E, a meno di essere un santo, è difficile vivere senza prendere sul serio la terra. (p. 110)
  • Il genio è il punto estremo del senso pratico. (p. 135)

Incipit di alcune opere

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Diario di uno sconosciuto

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L'invisibilità mi sembra il requisito primario dell'eleganza; perché l'eleganza finisce se si fa notare.[15]

Thomas l'impostore

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La guerra cominciò in un gran caos.[16]

Citazioni su Jean Cocteau

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  • Dilettante di tutte le esperienze estetiche e mondane, umanista che non conosce il greco, futurista, dadaista, surrealista, e a un certo momento perfino neocattolico, Cocteau ha fatto il ragazzaccio a spese dei classici, s'è divertito a spostare e a capovolgere tutte le posizioni della più venerabile tradizione. (Silvio D'Amico)
  • L'editore francese Bernard Grasset disse una volta a Jean Cocteau che gli editori erano molto più importanti degli scrittori. «Dovresti fare come i produttori cinematografici» commentò Cocteau. «Annunciando per esempio a grossi caratteri "UN LIBRO DI GRASSET" e sotto, in piccolo, "Parole di Cocteau"» (Jean Galtier-Boissière)
  • Noto falso poeta, un verseggiatore a cui capita di avvilire, invece di elevare, ogni cosa che tocca. (André Breton)
  1. Citato in Focus, n. 88, p. 106.
  2. Da Des beaux-arts.
  3. a b c d e f Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  4. Da La Difficulté d'être.
  5. a b Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013. ISBN 9788858654644
  6. Traduzione da Alberto Anile, Orson Welles in Italia, Il Castoro, Milano, 2006, p. 118. ISBN 9788880333814.
  7. (FR) Citato in Profil d’Orson Welles, Sabzian.be, 30 novembre 2016.
  8. Citato in Istituto Italiano di Cultura – Bruxelles, Wonders of Italy, a cura di Pialiusa Bianco, L'«Erma» di Bretschneider, p. 28.
  9. Citato in (FR) Robert Sabatier, Histoire de la poésie française, La poésie du XXe siècle, II, Revolutons et conquêtes, Albin Michel, p. 103.
  10. (FR) Da Des beaux arts considerées comme un assasinat, in Essai de critique indirecte, Grasset, Parigi, 1932, p. 188. (FR) Citato in Jennifer Hatte, La langue secrète de Jean Cocteau: la mythologie personnelle du poète et l'histoire cachée des Enfants terribles, Peter Lang, Berna, 2007, p. 119. ISBN 9783039107070
  11. Da Secrets de beauté.
  12. Citato in [1], la Repubblica, 20 agosto 2014.
  13. Citato in Brigitte Bulard-Cordeau, Il piccolo libro dei gatti, traduzione di Giovanni Zucca, Fabbri Editori, Milano, 2012, p. 86. ISBN 978-88-58-66237-3
  14. a b Da Il gallo e l'arlecchino. Note intorno alla musica, in Aa. Vv., Moralisti francesi. Classici e contemporanei, a cura di Adriano Marchetti, Andrea Bedeschi, Davide Monda, Rizzoli, Milano, 2012. ISBN 978-88-58-62915-4
  15. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  16. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Jean Cocteau, Diario (1942 – 1945), traduzione di Giovanna Parodi, a cura di Jean Touzot, introduzione di Marco Vallora, Mursia, Milano, 1993. ISBN 88-425-1081-5
  • Jean Cocteau, I ragazzi terribili, traduzione di Giovanni Fattorini, Rizzoli, Milano, 1989.
  • Jean Cocteau, Il mio primo viaggio (Mon premier Voyage – tour du monde en 80 jours), traduzione di Olga Koudacheff, Istituto Geografico De Agostini, 1964.
  • Jean Cocteau, La spaccata (Le grand écart), traduzione di Francesco Bergamasco, Alberto Castelvecchi Editore, 2009.
  • Jean Cocteau, Oppio, traduzione di Renata Debenedetti, SE, Milano, 2001. ISBN 88-7710-506-2
  • Raymond Radiguet, Il ballo del conte d'Orgel (Le bal du comte d'Orgel), traduzione di Enrico Emanuelli, introduzione di Roberto Cantini, Oscar Mondadori 1975.

Filmografia

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Sceneggiatura

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Voci correlate

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Altri progetti

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