Carlo Pernat
dirigente sportivo italiano
Carlo Pernat (1948 – vivente), dirigente sportivo italiano.
Citazioni di Carlo Pernat
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- Il reparto corse deve essere autonomo, deve gestire piloti, team, filosofia sportiva. Se arriva l'azienda è il caos [...] [«Quindi ci vuole un "dittatore" che agisca in piena autonomia, anche contro l'azienda, se necessario?»] Semplificando è così: se ci sono troppi responsabili non ci sono punti di riferimento, un reparto corse deve essere una struttura piramidale per forza.[1]
- Francamente a queste CRT ci credo molto poco. Stiamo facendo un campionato mondiale prototipi dove di prototipi ce ne sono pochi. Sia in Moto3, in Moto2 che in queste CRT. Quindi è già un "bisticcio" tecnico. Credo che Carmelo Ezpeleta l'abbia usato molto come specchietto per le allodole o come un "ricatto" per le case che avevano fatto arrivare a dei costi molto alti i leasing di due moto più i ricambi, soprattutto in questa situazione economica attuale e anche in quella futura. Sta cercando di portare le case a fare dei leasing delle moto dell'anno precedente con la nuova elettronica ad un massimo di 1 milione di euro. Se questo succederà la mia impressione è che la griglia di partenza sarà abbastanza buona e quindi non ci sarà bisogno di CRT [...][2]
- Gay? Tra i piloti delle moto non ci sono. Assolutamente no. È un mondo che respinge i gay, non può esistere un omosessuale. Un gay può andare con moto più dolci, quelle a tre ruote. Ma con le moto veloci no. Qui bisogna essere cattivi, duri, veloci, bisogna avere un cervello di un certo tipo. Non si può essere effeminati.[3]
- [Sulle donne] Sono come i cani. Quando parli sembra che ti capiscano ma non ti capiscono mai. Noi non possiamo vivere senza le donne, ma è difficile. E poi o sono sante o sono troie, si dividono in due categorie. Noi uomini con una ragazza dal 6 in su non ci pensiamo due volte, ci va bene tutto.[3]
- Marquez cerca di combattere anche le leggi della fisica, dico sempre che lui è un pilota che non cade anche quando è caduto.[4]
- Beh, direi la Moto3 è stata una bellissima "invenzione", dove sono entrate le case [...], ci sono dei bei motori, belle moto, e soprattutto fa crescere molto i giovani. Sono talmente competitive che hanno portato, come dicevi, tanti piloti al successo, anche perché è una classe dove il pilota fa un po' più la differenza che da altre parti. È bella terapeutica, performante a livello professionale, fa crescere i giovani, tanto da suggerire il passaggio del pilota, dalla Moto3 alla MotoGP [...] senza passare per la Moto 2 che francamente era una moto abbastanza inutile, quindi è stata un'ottima invenzione.[4]
- [Su Max Biaggi] [...] oltre ad essere un gran pilota, è sempre stato un gran chiavatore.[5]
- [Sul Rally Dakar 1987] Avevamo praticamente già vinto la Dakar, avevamo un'ora e mezzo di vantaggio all'inizio dell'ultima tappa, che è solitamente è una passerella sul Lago Rosa. Tutto era nato la sera prima al bivacco. Nel corso dell'ultima tappa si passava su delle rotaie dismesse e Roberto Azzalin, il capotecnico, e Auriol litigarono sul fatto se usare o no le mousse per gli pneumatici. Non ricordo cosa decisero, ma che fu Hubert ad averla vinta, però poi durante la tappa forò 3 volte. [«La sfortuna non era finita»] Mi raccontò poi che aveva battuto con la caviglia contro una specie di alberello nascosto, dall'altra parte c'era un sasso e andò a sbattere anche contro quello. Le due caviglie erano aperte, non riuscivamo nemmeno a levarli gli stivali, non ho mai capito come abbia fatto a guidare per altri 30 chilometri in quelle condizioni. Una cosa mi è rimasta particolarmente impressa. Lo avevamo caricato sull'elicottero che lo avrebbe portato all'aeroporto da cui poi sarebbe partito per la Francia. Hubert piangeva e mi ripeteva: "di' a Castiglioni che abbiamo battuto la Honda". Quella è stata una delle poche volte nella mia vita in cui non sono riuscito a trattenere le lacrime.[6]
- [Sull'Aprilia RSW-2 500] [...] non si poteva andare avanti con quei progetti lì [...] sai, Jan [Witteveen] aveva puntato sul bicilindrico 480, 470, chiamiamolo 500 anche se non lo era. E vi dico la verità, lì l'Aprilia ci ha creduto – la proprietà – fino a un certo punto, perché ci volevan tanti soldi per sviluppare quella moto; e non sono mai stati dati perché forse era un progetto più "Witteveeniano" che "Apriliano", non so come dire. Però devo dire che qualche cosa aveva fatto [...] tanto è vero che [...] la Honda subito dopo aveva fatto anche lei il suo bicilindrico [NSR 500 V2] con Okada [...]. Perché l'aveva fatto? Perché c'era un motivo commerciale: se quella moto fosse andata bene, sai quanti clienti in quel periodo prendevano il bicilindrico Aprilia alla faccia della Honda clienti... quindi la Honda ha tappato il buco dicendo "lo facciamo anche noi", in modo che, se lo prendono, c'è anche il nostro. [...] Poi purtroppo era un problema per le partenze, beccavi... cioè nelle curve eri agilissimo, guadagnavi, però nei rettilinei perdevi una madonna di tempo, non era possibile...[7]
- [Su Valentino Rossi] È un pilota di altri tempi, non lo si può paragonare a quelli di oggi e neanche all'era di Marquez e Stoner. È di una generazione diversa. La prima volta che l'ho visto mi era sembrato molto forte, un po' pazzo, uno che faceva delle traiettorie abbastanza allucinanti. Quindi o era un campione o era un pazzo. Guidava un po' alla Schwantz, tirava giù la moto come se fosse una bicicletta. Al di là di questo, mi avevano colpito la sua freschezza, la simpatia e la spontaneità. Era un piacere, anche quando era ragazzino, stare con lui. Era curioso come una scimmia, gli piaceva sapere tutto di tutti, era allegro, comunicativo, con una simpatia innata... e non è cambiato affatto. È rimasto quello che era: se lo incontri al bar beve con te, si fa insieme due risate e due battute. [«Bastò la simpatia per ingaggiarlo?»] Questo mi aveva colpito e ci credevo. Poi che da lì riuscisse a vincere nove titoli, non potevo saperlo, non ero un mago. Ma che diventasse qualcuno sì, perché il talento era a fiumi. Poi Valentino ha quelle quattro o cinque caratteristiche che gli altri non hanno: talento, comunicazione, simpatia, allegria e il gusto di stare insieme. Di eredi Valentino non ne ha, perché nessuno ha tutte queste cose.[8]
- [Su Valentino Rossi] Ha rappresentato un'epoca, ha fatto innamorare del motociclismo gente che non sa neanche cosa sono i pistoni: donne, nonne, figlie, bambini, ragazzi, di tutto. Di questo dobbiamo tenerne conto, dal 97 in poi Valentino è stato l'icona. Ti racconto questa: quando ero in Texas dall'aeroporto ho preso un taxi, il taxista mi inizia a parlare, mi chiede se fossi italiano e poi ha citato la MotoGP e Valentino Rossi. Queste sono state le prime cose che mi ha detto. è qualcosa che non ha mai fatto nessuno. Gli dobbiamo molto, ci ha fatto "mangiare" tutti di più. La parola moto è arrivata in tutto il mondo grazie a lui, e nessuno ci era mai riuscito.[8]
- La Ducati fu acquistata dai fratelli Castiglioni nel 1986 e io c'ero. [...] Ero al tavolo, ma non c'entravo un cavolo con i soldi. Chi voleva davvero comprarla, giusto per mettere le cose al posto giusto, fu Gianfranco Castiglioni. Fece di tutto per comprarla, mentre suo fratello Claudio ed il suo gruppo [Cagiva], di cui facevo parte anche io, non ne voleva sapere, proprio zero. [...] Pensate che quando Gianfranco la comprò i due fratelli non si parlarono per un anno e mezzo, tanto e vero che la madre, la signora Rosa, sapendo che io ero vicino ad entrambi, mi chiese di metterli d'accordo, non passavano neanche più il Natale assieme. Scoppiò una sorta di rissa familiare incredibile. Claudio questa cosa l'ha boicottata per un anno e mezzo, anche se alla fine aveva ragione Gianfranco. L'anno dopo lo stesso Gianfranco comprò l'Husqvarna da Elettrolux. E lo fece non per le moto che producevano, quanto per la rete vendita che avevano per poterla usare per vendere le Ducati. [...] Ricordo che la prima Dakar che facemmo con motori Ducati, si spaccavano tutti. Eppure c'era gente in gamba, come Farnè, Mengoli, che le moto poi sapevano farle. Se non ci fossero stati i Castiglioni, di fatto la Ducati non sarebbe più esistita. La presero in un momento in cui non facevano niente. Appena arrivarono i Castiglioni, si gettarono a capofitto sulla SBK con Ducati ed hanno fatto la storia.[9]
- Il ricordo più strano del mio periodo in 500 forse è stato quando a SPA avevamo fatto il primo podio con la Cagiva [...], lo fece Mamola con le Pirelli. Telefonai a Gianfranco [Castiglioni] per dirgli che eravamo saliti sul podio, e Gianfranco non rispondeva al telefono. Poi ho scoperto, quando siamo arrivati in aeroporto, che lui era in ambulanza! Gli era venuto un coccolone in pratica, lo trovai sulla barella a Malpensa al fianco di un'ambulanza, che voleva farci i complimenti. Lui era in ospedale, non sapeva nulla, non c'erano i Social all'epoca. Era con le flebo mentre scendevamo dall'aereo! Ma era lì, ci stava aspettando.[10]
- Ricordo che quando prendemmo Mamola in Cagiva, prima del mondiale andammo a fare dei test in Australia. Sarà stato gennaio o febbraio. Sai, erano le prime prove, era bello anche dal punto di vista mediatico oltre dal punto di vista tecnico. Io ero d'accordo con l'Agip che mandava la benzina, che era speciale. Randy entrò in pista ed al primo giro spaccò il motore. Sai, iniziammo a preoccuparci, avevamo portato due moto e cinque motori. Entrò con la seconda moto e boom, spacca anche quella subito. Terzo giro un altro motore rotto. Erano rimasti solo due motori, sai quale era il problema? La benzina! Non immaginate le bestemmie che si beccò l'Agip. Capimmo tutto solo dopo aver rotto tutti i motori. Il primo impatto di Mamola fu questo, pensa te che roba da matti. Faceva delle cose pazzesche comunque Randy, era un idolo. Direi anche un gran paraculo.[10]
Da Moreno Pisto, Motorcycle Rockstar, 2010; ripubblicato in mowmag.com, 9 agosto 2020.
- Questa casa è come la mia vita: un bordello.
- [Su George Harrison] Siamo nel 94, lui era un grande appassionato di moto. Nell’hospitality di Schwantz mi arriva 'sto qua col figlio e dice: "Ma tu sei Carlo Pernat?". E io: "Sì". Lui: "Me lo fai un autografo per mio figlio?". Ho pensato che fosse un rompicoglioni... Quando mi hanno detto chi era, belin, gli son corso dietro, mi son mezzo inginocchiato, gli ho detto sorry. Cazzo, è stato lui a dire a me "are you Carlo Pernat", ti rendi conto?
- L'ho mai raccontata quella di Mamola? Puttana ragazzi, era matto, aveva la mania dei petardi. Nell'89, nei circuiti, ogni tanto sentivi queste esplosioni. Una notte Rainey dormiva con la moglie: 'sto pezzo di merda di Mamola ha preso un petardo e gliel'ha messo sotto al caravan alle quattro... Il caravan si è alzato di mezzo metro, si son cagati addosso. Ho visto Rainey che con un bastone correva dietro a Mamola...
- Il bar per me è la vera università, quando tu hai 16 anni incontri già i disonesti e impari a vivere.
- [...] un giorno dell'84 mi cercano i fratelli Castiglioni, allora titolari della Cagiva. Volevano offrirmi il posto da responsabile delle attività sportive. Ci ho riflettuto quattro giorni poi ho detto sì. È stata la fortuna della mia vita.[«Ed eccoci alle corse»] Ho continuato col Cross tre anni, vincendo due mondiali. Nell'88 siamo arrivati nella velocità. Prendemmo subito Randy Mamola facendo ubriacare il suo manager. A quel tavolo ballavano dei bei soldi, ma non riuscivamo a farlo firmare. A un certo punto ho incominciato a dargli tanta di quella grappa...
- [Su Max Biaggi] [...] nel '96 lo licenziammo perché aveva rotto i coglioni. Andava alla Honda e si voleva portare dietro tutta la squadra. Io cosa feci? Portai il team a cena e poi a troie... contano anche quelle. Subito dopo firmarono tutti il contratto che gli proponevamo. Biaggi non lo sapeva e ci rimase malissimo.
- [Su Valentino Rossi] Graziano Rossi, suo padre, mi disse: "Vieni a vedere mio figlio". Era il '95 e capii subito che era un matto, faceva delle traiettorie... Firmò per tre anni, 30, 90 e 180 milioni. Ti ho mai raccontato quella volta di Villeneuve? Nel 97 vinsero entrambi il mondiale, Valentino in 125 e Jacques con la Renault in Formula Uno. Siccome Valentino sbavava per Villeneuve, decisi di farli incontrare sul palco dei Caschi d'Oro. Era tutto organizzato, c'era la stampa, diecimila Tv... Solo che Valentino andò a ballare con gli amici. Che figura! Provai a rintracciarlo ovunque, ma niente. Non gli parlai per un paio di giorni, poi mi passò. Non gli ho mai chiesto dove fosse stato, non lo voglio sapere, è meglio.
Intervista di Giovanni Zamagni, moto.it, 11 luglio 2013.
- [«Cosa fa esattamente un manager e quanto è difficile farlo?»] Devi avere le caratteristiche giuste: prima di tutto, è un lavoro psicologico. Bisogna essere sempre tranquilli, mettere il pilota nelle condizioni migliori: se il pilota non è sereno, non si diverte e di conseguenza non rende. Bisogna gestire i contratti, la stampa, le sponsorizzazioni, trovargli una moto. Devi avere una certa esperienza sia di contratti, di pubbliche relazioni, di marketing, di pubblicità: il "vero" manager deve conoscere tutti questi aspetti, anche perché quando vai a trattare con uno sponsor devi sapere parlare un certo tipo di linguaggio [...]. Con il tempo, con i risultati, con il tuo modo di essere ti costruisci i rapporti con le persone, con la stampa, con l'ambiente in generale. Insomma, è un lavoro abbastanza articolato.
- [«Come avviene una trattativa, in linea di massima?»] Se gestisci un pilota bravo, spesso è la Casa che ti cerca: se è così, il lavoro è naturalmente molto più semplice, perché hai tu il coltello dalla parte del manico. Diverso quando sei tu che proponi: devi conoscere chi decide, saltare i "marescialli" per non perdere tempo, fai certi discorsi mai facili, perché a volte "vendi" arrosto, altre anche un po' di fumo... Devi avere una certa capacità di convinzione, "intortare" un po' le persone per arrivare a dei contratti [...]
- Sicuramente fare il team manager è più affascinante, perché decidi in prima persona. Gestisci meccanici, piloti, strategie: è un lavoro avvincente e bellissimo. Anche fare il manager è interessante e piacevole, ma più riduttivo: lavori tanto, ma non hai dietro un gruppo di persone. Quando gestivo le squadre avevo un bellissimo rapporto con tutti quelli che lavoravano con me, perché ci mettevo la faccia e gli facevo guadagnare dei bei soldi: se tratti bene il meccanico, se la squadra è con te, puoi ottenere certe cose.
- Una divertente nel cross. 1985, ultima gara del campionato in Argentina, noi Cagiva ci giocavamo il mondiale con la Honda. Io feci arrivare la nostra benzina dall'Agip, che feci sdoganare tranquillamente, mentre feci bloccare quella della Honda, perché chi usava il carburante locale rompeva i motori. Mi accusarono, ma andammo davanti alla commissione della FIM: offrii la mia benzina a 120 dollari al litro. La Honda, schifata, disse di no: le loro moto si ruppero e noi vincemmo il mondiale...
- [Su Loris Reggiani] È il pilota più umano che abbia mai incontrato. Ricordo sempre questo aneddoto: generalmente il pilota odia il compagno di squadra. Ma quando Jean Philippe Ruggia vinse nel 1993 la sua prima gara con l'Aprilia, Loris si commesse per la felicità del successo del suo compagno. Di Loris ho un ricordo stupendo, sia come pilota, perché era uno forte davvero, sia come persona: faceva gruppo, era un piacere lavorare con lui.
- Alex [Gramigni] è un toscano "fumantino", molto "incazzoso", ma leale, una qualità che mi colpì molto. Poi sbagliò qualcosa nella sua gestione: era una bella manetta, ma si credeva anche collaudatore.
- [Su Max Biaggi] Da zero a cento! Come pilota tanto di cappello – [...] a lui devo molto, vincemmo insieme tre mondiali [...]: onestamente mi aiutò nella mia carriera –, dal punto di vista umano una persona molto difficile, egoista, probabilmente dettato dalle sue vicende personali. Molto diffidente, che poi è la caratteristica più negativa di Max: così si è fatto, senza alcun bisogno, troppi nemici.
- [Su Loris Capirossi] Di lui posso solo parlare bene. È una persona molto umana, bravissima, un gran pilota, con un talento straordinario: il giro secco di Capirossi è famoso ancora oggi. Ha vinto meno di quanto meritasse [...]. Con lui i contratti li facevo con una stretta di mano: non mi è mai successo con nessun altro. E se dovevo avere 10 lire, me ne andava anche 11: per me è come un fratello.
- [Su Marco Simoncelli] Tra tutti, era quello più vero e spontaneo, quasi ingenuo nella sua semplicità: non credo incontrerò mai più un altro pilota così. Per me era il migliore. [«Dopo quello che è successo a Marco, hai mai pensato di smettere?»] Altroché: ci ho pensato per quattro mesi. In quel periodo, tra novembre e dicembre, fui contattato da Cal Crutchlow, che voleva che gli facessi da manager, ma gli dissi di no, perché volevo smettere. Poi, a gennaio, si riaccese la scintilla: ne parlai anche con Paolo [il papà di Marco, ndr] e pure lui mi convinse a ricominciare. Ma è diverso da prima, perché quando vedi morire un amico inevitabilmente qualcosa ti lascia dentro: con Marco mi divertivo veramente.
- Sono convinto che Jorge [Lorenzo] sia un ragazzo leale e sincero, forse solo un po' "costruito" [...]
Alfredo Di Costanzo, iltabloid.it, 19 gennaio 2015.
- Nel 1984 Claudio Castiglioni mi offrì un contratto di tre anni come gestore delle attività sportive; accettai e fu la svolta della mia carriera. Arrivarono subito due mondiali Motocross nel 1985 e nel 1986 e nel 1990 conquistammo la Parigi Dakar con Eddy Orioli. Nel 1988 divenni per la casa dell'elefantino il direttore sportivo e l'ingaggio di Randy Mamola fu un gran colpo e quell'anno arrivò il primo podio. In Cagiva trascorsi cinque anni bellissimi. [«Il 1990 segna l'approdo di Pernat a Noale nella veste di direttore sportivo»] Ivano Beggio già tre anni prima mi contattò, ma resistetti alle sue lusinghe. Decisivo nel farmi fare il passo in Aprilia fu l'ingegnere Jan Witteveen, per me il genio assoluto dei due tempi. All'inizio ricordo eravamo solo in sette persone ma subito ci mettemmo all'opera e con Alessandro Gramigni vinsi il primo titolo come direttore sportivo.
- Nel 1997 andai al Genoa per ricoprire il ruolo di responsabile marketing e comunicazione; resistetti solo sei mesi perché quello del calcio era un mondo marcio.
- Le 500 erano le moto più belle. Era il pilota a guidare la moto mentre oggi, con l'avvento dei quattro tempi e dell'elettronica, la moto ha iniziato a guidare il pilota.
- Marc Márquez è un fenomeno. Ha, però, il difetto di cadere tanto e quando scivoli non sai mai quello che può succedere.
Intervista di Giovanni Piperio, giocopulito.it, 29 gennaio 2021.
- Il mio avvicinamento al mondo delle moto è stato molto facile perché a Genova c’era la Piaggio ed io ero nella direzione marketing e comunicazione. Negli anni 1976-77 la Piaggio era la numero uno. Lì ebbi un colpo di fortuna perché l'amministratore delegato della Piaggio, l'ingegnere Sguazzini che era anche presidente della Lancia mi chiese di dirigere il reparto corse della Piaggio e mi confermò che comprarono la Gilera. La Piaggio era sponsor Ferrari nel 1980, della Bianchi nel ciclismo nel 1982 con la Bianchi-Piaggio, con la Juventus nella Coppa dei Campioni. Ho avuto un po' di fortuna ma nella vita ci vuole fortuna.
- Non trovo tante diversità tra il motociclismo del passato e quello attuale. Il motociclismo è fatto di pilota, moto e team. È chiaro che ogni tempo ha le sue moto, i suoi piloti, i suoi meccanici ma i meccanici "tosti" resistono sempre [...]. C'è stato un cambiamento evidente sull'elettronica perché prima il pilota era sempre con la mano sulla frizione per il grippaggio, e con i due tempi comandava il pilota e se sbagliava andava a finire nei cartelloni pubblicitari: contava il pilota al 70% e la moto al 30%. Ora invece la moto conta il 70% e il pilota il 30%. Per il resto c'è più organizzazione e siamo al livello della Formula 1 per immagine, per team, per ospitality ma le tre cose che non cambieranno mai e che fanno ti fanno vincere il Mondiale sono sempre pilota, moto e team.
- [Sulla morte di Marco Simoncelli] [...] ero il suo manager e fu come perdere qualcosa di me dentro e volevo anche smettere. Ho passato due mesi a casa di Paolo Simoncelli, dormivo nella camera di Marco e volevo smettere, fu lo stesso Paolo, non dico a convincermi ma quasi, a continuare e ho fatto bene. E Marco, secondo me, da lassù ha detto "Carlo hai fatto bene..."
- Il tempo non passa, il tempo arriva. Quello che conta è quello che vuoi fare domani, non quello che fai.
- [...] finché avrò l'ultima goccia di sangue sportivo nelle mie vene e fisicamente sono apposto mai andrò via dal paddock perché è la mia famiglia, la mia vita, sono un gipsy king.
Intervista di Mirko Colombi, motosprint.it, 21 dicembre 2021.
- Ragazzi, quanto manca quella categoria! Difficile, selettiva, formativa. La vera motocicletta da corsa, un mezzo da Gran Premio puro, perché essenziale, leggero, "cattivo". Racing nel DNA. Nella sua gloriosa e significativa storia, la dueemmezzo annovera grandi moto e incredibili campioni.
- Doriano [Romboni] era un pilota, non faceva il pilota. Lui dava sempre il suo 100% in ogni condizione trovata, che stesse bene o meno. Romboni era una bravissima persona fuori dalla pista e tra i cordoli si trasformava in un mastino. Era forte, ragazzi, eccome se era forte. Forse avrebbe dovuto gestire meglio alcune gare, ma stoffa velocità gli appartenevano a dosi. [...] a lui non venne mai regalato niente. Anzi. Tutti i risultati ottenuti furono frutto del suo impegno.
- Max [Biaggi] mi ha fatto tribolare, ma che campione! Con l'Aprilia 250, il romano era imbattibile. Dal 1994 al 1996 facemmo un tris iridato invidiabile, per una struttura ufficiale organizzata benissimo. A un certo punto, Max non voleva vincere, voleva di più. Voleva stravincere.
- Loris era coraggioso, più di tutti. La capacità di Capirossi di guidare sopra i problemi resta unica. A volte, mi dava l'impressione di cercare volutamente l'ostacolo, per poi avere lo stimolo di superarlo. Fantastico. Con la 250 non era il più pulito o preciso, però la faceva andare parecchio forte, tanto da trionfare nel 1998. Poi, in 500 e MotoGP, Capirex ha scritto altre grandi pagine, sempre con lo stesso inchiostro indelebile: forza e determinazione.
- Jean-Philippe Ruggia, il francese che faceva strisciare il gomito sull'asfalto già in quegli anni. Avrebbe potuto fare di più, se Biaggi non lo avesse battuto (anche) di testa.
- Perdere Marco Simoncelli è stato un vero dramma. Sia umano che sportivo, chiaramente. Lui era come Rossi ma non uguale a Valentino. Non so se mi spiego. Il SIC piaceva anche a chi in pista lo detestava. Averlo come rivale non era uno scherzo e molti piloti spagnoli lo possono confermare. La sua voglia di portare la moto al limite, la sfida, l'entusiasmo: tutte caratteristiche che lo manterranno sempre nei nostri cuori.
- La 250, con il motore due tempi, faceva crescere i piloti e pure i meccanici. [...] restavano a lavorare nel paddock fino a notte inoltrata. Sai quante ore passavano su cilindri e carburatori? Infinite. Di conseguenza, chi giovava delle loro capacità andava forte, senza noie. Nella dueemmezzo i dettagli facevano il risultato e tutto doveva essere a posto. Dal polso del corridore alla scelta delle gomme. Vietato fare errori.
- [«Ricordi una tua follia dell'epoca?»] Tante, ma quella clamorosa è legata allo sponsor Chesterfield, nel 1993. Avevo incontrato Matilde Tomagnini, brand manager Philip Morris. Non riuscimmo a trovare subito un accordo, la loro offerta non era altissima. Ebbi la pensata e rischiai: richiamai dalle ferie designer, responsabili della logistica, in pratica rifacemmo tutto con i nuovi colori. Ci presentammo a Misano con tutto nuovo, non ci riconobbero e non volevano far entrare i camion con i colori tutti neri... Però il debutto fu un trionfo: vinse Ruggia e nel tripudio Chesterfield ci fece un contratto quattro volte superiore per l'anno dopo. Scelta giusta, considerando i titoli vinti poi con Biaggi.
quisalute.online, 22 agosto 2023.
- [«[...] cosa le ha dato la MotoGP a livello umano?»] È sempre stata la mia passione, quando vivi facendo quello che ti piace hai risolto il 90% dei tuoi problemi esistenziali. A me ha dato quello che volevo: girare il mondo, la possibilità di inserirmi nel mondo motociclistico e vivere di ciò che amo. Ma soprattutto girare il mondo. Io sono una persona curiosa e andare in così tanti Paesi per quarant'anni significa vedere e capire il mondo, parlare quattro lingue, stringere migliaia di amicizie: insomma, avere una marea di cose che in pochi hanno.
- [«Qual è la sua caratteristica che le ha permesso di poter gestire in modo eccellente i suoi piloti?»] La cosa principale è il fattore caratteriale, essere molto estroversi. Se uno ha un carattere ombroso e non è brillante, secondo me, questo lavoro non lo può fare. Devo dire che io sono molto camaleontico, mi adeguo sempre agli altri e non faccio adeguare gli altri a me. Ho gestito nello stesso momento Valentino Rossi, Biaggi, Capirossi, Simoncelli: mi sono sempre adattato a quello che volevano loro, perché alla fine i protagonisti sono i piloti. Attorno devono avere tranquillità, serenità e soprattutto amicizie, al di là della professionalità. Insomma, questo è l'attributo principale che dovrebbe avere un manager: essere camaleontico. È una caratteristica che tu hai o non hai. Io ce l'ho fortunatamente!
- [...] la cosa più importante è il talento, quello non si compra nè si vende: è la prima cosa che vedi in un pilota. Il talento però rappresenta il 50% del professionista, per il resto bisogna avere un'incredibile tranquillità mentale. È come se loro avessero un microchip in testa: se ci finisse un capello dentro salterebbe tutto il computer. Semplicemente devono vivere come piace a loro. Innanzitutto vivono di quello che gli piace: per loro è un mestiere, ma anche un divertimento. Diciamo che ho visto tanti piloti talentuosi perdersi per questioni mentali. [...] al di là del fisico che devi per forza allenare, i piloti lavorano molto sulla concentrazione. In gara la concentrazione conta il 70%, perché le situazioni cambiano da giro a giro, da curva a curva e quindi se tu sei concentrato, liscio e fresco sulla moto hai qualcosa in più degli altri. Fermo restando che il talento serve sempre: piloti costruiti non ne ho mai visti.
- [...] il primo mondiale è quello che non si dimentica mai: quello di Gramigni nel '92 sull'Aprilia 125. Una casa piccola come l'Aprilia e battere tutti gli altri è stata la prima vera soddisfazione. Una vittoria in un'azienda grande, come Honda o Yamaha la vivi in modo diverso perché hanno già un sacco di titoli appesi sul muro. Era il primo mondiale, in una casa che faceva biciclette e che si era trasformata da poco in una casa motociclistica: quando vinci così ha un valore in più.
Citazioni non datate
modifica- [Sulla Cagiva 125 GP] Ci chiamò Gianfranco Castiglioni [che insieme al fratello Claudio guidava la Cagiva, nda], e senza troppi giri di parole ci ordinò di gettarla nel Lago di Varese. All'inizio non volevo crederci, pensavo ad uno scherzo. Invece era maledettamente serio. Io provai a fargli cambiare idea, anche attraverso il fratello Claudio, ma non ci fu verso. Nonostante un pilota sotto contratto... Niente, fu irremovibile: la Cagiva fa solo la 500 – disse – e senza sponsor sulla carena. Purtroppo andò così, e fu un peccato perché la moto aveva del potenziale nonostante qualche difficoltà di messa a punto della ciclistica, ancora acerba e bisognosa di sviluppo.[11]
motoemozione.it.
- Da quando sono entrato in questo ambiente, ed ormai sono quasi trent'anni, il motociclismo non è solo cambiato, è diventato tutto un'altra cosa. Dal punto di vista economico è cambiato tantissimo, in passato le sponsorizzazioni dei tabacchi davano un supporto notevole, era molto più facile dal punto di vista finanziario, le moto costavano meno ed era il pilota a comandare. La moto tipo era la 500 2tempi – la moto più bella della storia – con quella moto era il pilota a comandare e faceva la differenza al 70%. Poi l'avvento della tecnologia ha cambiato le carte in tavola, adesso il concetto degli ultimi 10 anni è: se hai la moto competitiva puoi vincere, se non hai la moto non vincerai mai. Il pilota ora è facilitato ed è la moto a comandare. Tuttavia i piloti più forti vinceranno sempre, il fattore umano se prima era il 70% oggi è al 40% che è una bella differenza.
- [«Per un pilota dei nostri giorni per arrivare ad avere una moto vincente è sufficiente il talento o deve avere il bagaglio di sponsor al seguito?»] A livello vittoria conta il pilota, il talento naturale lo vedi subito. Il pilota costruito ha bisogno di sponsor. I principali campioni sono riusciti ad avere una moto vincente senza aver bisogno di sponsorizzazioni alle spalle. La sponsorizzazione serve per formare un pilota numero due. I piloti che non sono talenti devono portare il bagaglio di sponsor. Io ho vissuto come responsabile i tempi padronali di Cagiva ('84-'89) e Aprilia ('90-'98), allora era molto più facile, avevi la casa dietro e personalmente facevo i contratti di 3 anni. Presi nel '95 Valentino Rossi e gli feci un contratto di 3 anni, la stessa cosa con Biaggi. Tutti contratti a busta chiusa, oggi queste cose non esistono più. I contratti al massimo di 2 anni si fanno solo per campioni affermati, sui giovani le case non scommettono più e questo è un male, infatti talenti ne escono pochissimi e molti si bruciano.
- Gente come Valentino [Rossi] nasce ogni trent'anni. Lui è uno degli sportivi più famosi al mondo, ha un carisma che nessun altro avrà in futuro. Ce l'aveva un po' Simoncelli che sotto quel lato era molto simile a Vale. Potrebbe esserci Marquez che è un puro fenomeno però il carisma di Valentino non lo avrà neanche se vincerà, perché l'empatia e la spontaneità sono una cosa che hai o non hai ed è appunto su queste doti, al di là dei risultati, che Valentino ha creato qualcosa che nessuno ricreerà. Passiamo da Agostini a Valentino, nel mezzo pur avendo avuto grandissimi campioni e fenomeni puri nessuno è riuscito a fare quello che sono riusciti a fare loro due.
- Io posso dire che Claudio [Castiglioni] era la moto, se potessi fermare il tempo lo fermerei in quegli anni [...]. Un signore Vero ed un appassionato vero, mangiava pane e moto. Si lavorava 27 ore al giorno ma lo facevi con passione, ed appena entravi in Cagiva la sentivi questa passione.
Belìn, che paddock
modifica- Ho avuto un migliaio di donne. La maggior parte, pagando. (cap. II. Il destino non esiste)
- [...] ho sceneggiato io la mia vita, dalla prima all'ultima pagina. Il caso non esiste, tutto quello che è successo l'ho voluto. Pazienza, se ogni tanto ho sbagliato: mi sono sempre assunto tutte le responsabilità. Sceneggiatore, regista, attore protagonista. Questo sono, di una vita che per me è come un film. Ma senza la parola: Fine. Al massimo, una risata. (cap. III. Il baule nella soffitta)
- Enzo Cecchi, geniale capo dell'uffico stampa Piaggio, fiutò subito l'aria. E impose il mio trasferimento: dall'ufficio Analisi e Ricerche a quello Stampa e Pubbliche Relazioni. [...] mi avevano chiesto sorrisi e fantasia, dovevo accogliere gli importatori di tutto il mondo e portarli in giro per qualche giorno prima di fargli visitare la fabbrica di Pontedera. Budget illimitati, in cambio di tutti quei soldi mi chiedevano solo di avere fantasia: falli divertire. Ero una specie di Frankenstein dei cazzoni: li portavo nei ristoranti migliori, a fare spese per mogli-fidanzate-amanti, bevevo come un cosacco fino a che s'arrendevano loro, raccontavo barzellette, presentavo delle "signorine" che conoscevo benissimo ma tutto doveva sembrare casuale. Americani, belgi, inglesi, francesi, tedeschi: erano tutti uguali. Dei ragazzini in gita. Li andavo a prendere e facevo tre giorni con loro: in albergo al Baglioni, a Santa Maria Novella, una meraviglia. Ero amico del direttore, il dottor Ciofi, che poi mi metteva a disposizione – gratuitamente – una suite per il fine-settimana. Col pullman a San Gimignano, cena al Fuoco del Diavolo a Porta San Giovanni e vedevi le colline, poi a Firenze per chi voleva andare a bagasce o per musei, faceva lo stesso, ancora a mangiare da Sabatini a Santa Croce. Tavolate dalle venti persone in su, bottiglie di vino stappate sul pullman: la visita allo stabilimento di Pontedera – che poi era il vero motivo di tutta questa tarantella – era il piccolo prezzo che i ragazzini pagavano volentieri. Al ritorno a Genova, facevano ordini per cifre da capogiro. [...] Lo stipendio era discreto, niente di che. Ma quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita, perché facevo esattamente quello che piaceva a me: un cazzo. (cap. VIII. Ragazzini in gita)
- [Su Jean-Philippe Ruggia] Certo, è un tipo originale. Quando entra in curva, dondola la testa come quei cagnolini di peluche che un tempo si mettevano dietro le macchine. E in un hotel di Bali, tra la gara del Giappone e quella malese, ha rifiutato una cameriera che a tutti i costi se lo voleva portare a letto. Io ero lì, che non credevo ai miei occhi, costretto a convincerlo.
"Ti sei reso conto che questa è una gran figa?"
"Merci, ma domenica devo correre."
"Ma sei scemo, Jean? Oggi è lunedì." (cap. XXI. Fra Galdino e le noci) - [...] tranne alcune miracolose eccezioni i piloti sono degli insopportabili egocentrici. (cap. XXIII. Rompipalle samurai)
- [Su Kazuto Sakata] Me lo prendo in Aprilia e lo giro alla squadra di un mobiliere di Pesaro, Giorgio Semprucci. Il samurai rompipalle va davvero forte, due successi e due secondi posti nelle prime quattro gare [del 1994]. Però a metà stagione Semprucci sta per arrendersi: il team è a corto di palanche, non ce la fa più a coprire le spese. Bel casino. Non dico niente a Beggio [Ivano, presidente di Aprilia]: faccio due trucchetti da prestigiatore, e nelle pieghe del budget trovo il denaro sufficiente per permettere a Giorgio di chiudere il campionato senza troppi patemi. A patto di vincere il titolo, non facciamo scherzi. Kazuto continua a fare scintille: podio a Misano e Le Mans, vittoria a Brno. È in testa e non lo ferma più nessuno. O quasi.
"Carletto San, io paura!"
"Che cazzo dici, Kazuto?"
"Io paura. Kazuto non vince. Kazuto cattivo pilota."
"Sei scemo?"
Il ragazzo all'improvviso sta perdendo la testa. Trema come una foglia, non regge la pressione. Come tutti i giapponesi, che non hanno carattere: bravi, coraggiosi. Ma nei momenti decisivi, si cagano regolarmente addosso. Altro che Yukio Mishima. [...] Insomma, alla vigilia di Laguna Seca il mio Kazuto scoppia a piangere.
"Non ce la farò mai, Carletto San: io smetto!"
"Non dire così."
Mi procuro un paio di libri di Mishima, e comincio a leggergli alcune frasi di quelle belle forti, per vedere che effetto fa. Spero di suscitargli le giuste emozioni, attacco: "La vita è una danza nel cratere di un vulcano: erutterà, ma non sappiamo quando". Mi guarda, non reagisce. Come se fosse sordo. In effetti, come citazione non c'entra molto. Provo con un'altra, forse è meglio: "Non indietreggiare. È questo il punto debole su cui devi ancora lavorare". Kazuto fissa il vuoto, inebetito. Come parlare a un muro. Peccato, come concetto mi sembra giusto. Insisto: "Sapere e non agire equivale a non sapere". Comincio a sentirmi un cretino. E questo mi vuole proprio fare incazzare. "La realtà, a differenza dei sogni, è priva di elasticità". Quando sparo l'ultima cartuccia, sono disperato. Però finamente il ragazzo sembra reagire. Alleluia! Il sabato conquista la pole, sembra tornato quello dell'inizio di stagione. Ma a un certo punto perde il controllo della moto, finisce gambe all'aria. Lo aspetto al box, e gli tiro uno schiaffone. Mancano ancora due gran premi, non può finire così. A furia di sberle e cazziatoni, Sakata torna in sella. A quel punto corre da far vomitare, è solo nono a Buenos Aires e settimo a Montmeló: però quei punticini sono sufficienti a farlo chiudere in testa. Evviva. Che fatica. (cap. XXIII. Rompipalle samurai)
Note
modifica- ↑ Dall'intervista di Marco Masetti, Pernat: errori da non ripetere, dueruote.it, 26 novembre 2004.
- ↑ Da Alessio Brunori, MotoGP: Intervista esclusiva a Carlo Pernat, motograndprix.motorionline.com, 19 aprile 2012.
- ↑ a b Da un'intervista a La Zanzara, Radio 24; citato in Fabiano Minacci, Carlo Pernat: "Non ci sono gay nella MotoGp, qui bisogna essere uomini duri, non effemminati", biccy.it, 10 settembre 2016.
- ↑ a b Da Corrado Cimador, Carlo Pernat, in un'intervista esclusiva a Radio Capodistria, spiega le sue idee sul Motomondiale 2018, rtvslo.si, 10 dicembre 2018.
- ↑ Da un'intervista a Libero; citato in Silvana Palazzo, Carlo Pernat/ "Valentino Rossi, Simoncelli e le donne. Tutti i segreti sulla MotoGp", ilsussidiario.net, 15 luglio 2019.
- ↑ Dall'intervista di Matteo Aglio, Pernat: "Auriol un vero signore, uno dei pochi che mi ha fatto piangere", gpone.com, 10 gennaio 2021.
- ↑ Da LIVE Bar Sport alle 21:00 - Aprilia sul podio, Quartararo in fuga, GPOne, 29 agosto 2021, a 9 min 57 sec.
- ↑ a b Dall'intervista Carlo Pernat: "Per Valentino Rossi rischiai il posto di lavoro", insella.it, 22 ottobre 2021.
- ↑ Da LIVE Bar Sport alle 19:00 - Carlo Pernat racconta la 'sua' Ducati, GPOne, 14 dicembre 2022; citato in Marco Caregnato, MotoGP, Pernat: "Gianfranco Castiglioni per comprare Ducati litigò col fratello Claudio", gpone.com, 15 dicembre 2022.
- ↑ a b Da LIVE Bar Sport alle 19:00 - The Golden Era: gli anni d'oro della 500, GPOne, 8 gennaio 2023; citato in Marco Caregnato, Pernat: "Da Auriol in ospedale e poi tutti al Crazy Horse con Castiglioni!", gpone.com, 9 gennaio 2023.
- ↑ Citato in William Toscani, Cagiva 125 GP: la piccola Rossa finita in fondo al lago, motosprint.it, 16 marzo 2021.
Bibliografia
modifica- Carlo Pernat con Massimo Calandri, Belìn, che paddock. Storie di corse, piloti e altre pazzie della mia vita, Milano, Mondadori, 2019. ISBN 978-88-04-70619-9
Altri progetti
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