L'idiota

romanzo di Fëdor Dostoevskij

Voce principale: Fëdor Dostoevskij.

L'idiota (Идиот), romanzo di Fëdor Dostoevskij del 1869.

Targa sul palazzo di Piazza de' Pitti a Firenze dove Dostoevskij terminò di scrivere il romanzo

Alfredo Polledro

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Verso le nove del mattino d'una giornata di sgelo, sul finir di novembre, il treno della ferrovia Pietroburgo-Varsavia si avvicinava a tutto vapore a Pietroburgo. Il tempo era così umido e nebbioso, che a stento si era fatto giorno; difficile era distinguere qualche cosa dai finestrini della carrozza a dieci passi di distanza, a destra come a sinistra della linea. Dei viaggiatori, alcuni tornavan dall'estero; ma soprattutto erano affollati gli scompartimenti di terza classe, e tutti di gente minuta e d'affari che non veniva da molto lontano. Tutti, come succede, erano stanchi, infreddoliti, con gli occhi assonnati e il viso giallognolo, intonato al color della nebbia.

Licia Brustolin

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Alla fine di novembre, durante il disgelo, il treno della linea ferroviaria Pietroburgo-Varsavia si andava avvicinando a tutta velocità, verso le nove del mattino, a Pietroburgo. L'umidità e la nebbia erano tali che s'era fatto giorno a fatica; dai finestrini del vagone era difficile distinguere alcunché a dieci passi a destra e a sinistra. Fra i passeggeri c'era anche chi tornava dall'estero, ma erano affollati soprattutto gli scompartimenti di terza classe, pieni di piccoli uomini d'affari che non venivano da troppo lontano. Tutti, com'è logico, erano stanchi, gli occhi appesantiti per la nottata trascorsa, tutti infreddoliti, i visi pallidi, giallastri, color della nebbia.

Gianlorenzo Pacini

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Verso le nove del mattino di una giornata di fine no­vembre, in tempo di disgelo, il treno della linea ferroviaria Varsavia-Pietroburgo marciava a tutto vapore verso Pietroburgo. Il tempo era così umido e nebbioso che il giorno faticava a mo­strarsi; già a una decina di passi di distanza dalla strada ferrata, sia a destra che a sinistra, era difficile scorgere qualcosa dai finestrini del vagone. Tra i passeggeri ce n'erano ­alcuni che tornavano in patria dall'estero, ma più pieni di tutti erano gli scompartimenti di terza classe, affollati di gente abbastanza misera che viaggiava per le proprie faccende e non veniva da molto lontano. Tutti, com'è naturale, erano stanchi, infreddoliti, con gli occhi cerchiati per la notte passata in bianco, e i loro volti appa­rivano giallastri in quella luce filtrata dalla nebbia. (p. 23)

Laura Salmon

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Alla fine di novembre, con la neve che si scioglieva, verso le nove del mattino, il treno della linea Pietroburgo-Varsavia a tutto vapore si avvicinava a Pietroburgo. Umidità e nebbia erano tali che a fatica si era fatto giorno. Dal finestrino del treno, sia a destra, sia a sinistra, a una decina di passi dai binari non si riusciva a distinguere niente. Alcuni dei passeggeri stavano rientrando dall'estero, ma erano affollate soprattutto le carrozze di terza classe e soltanto da gente di poco conto, che arrivava per affari da non molto lontano. Tutti, comprensibilmente, erano stanchi, intirizziti, avevano gli occhi appesantiti dalla notte e il viso di un pallore ingiallito, in sintonia con la nebbia.

Federigo Verdinois

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Sulla fine di novembre, verso le nove del mattino, il treno di Varsavia arrivava a tutto vapore a Pietroburgo e trovava un tempo umido e freddo. La nebbia era così fitta che il sole dell'alba faceva luce a stento: a destra e a sinistra, guardando fuori dai finestrini del vagone, era difficile distinguere qualcosa. Fra i passeggeri, alcuni stavano rimpatriando; ma erano soprattutto piene le carrozze di terza classe, e la povera gente che le occupava non veniva da molto lontano. Tutti, come sempre accade, erano stanchi, gli occhi pesanti, le membra intirizzite, le facce ingiallite dalla fatica e dalla nebbia.

Citazioni

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  • È stato detto "non uccidere" e poi, siccome quello ha ucciso, allora uccidono lui? No, non si può mica. (2013, p. 31)
  • "Perlomeno," osservò poi, "non soffre quasi per niente quando la testa schizza via."
    "Lo sa che le dico?" replicò vivamente il principe. "Questa sua osservazione l'ho sentita anche da altri, e quella macchina, la ghigliottina, è stata inventata proprio per questo. Invece a me allora venne in mente un'altra idea: e se fosse addirittura peggio? Forse a lei una tale idea può sembrare ridicola e assurda, ma a chi ha un po' d'immaginazione una simile idea può pure venire in testa. Pensi, per esempio, alla tortura: certo la sofferenza fisica è terribile, i tormenti sono spaventosi, ma tutto ciò distrae dalla sofferenza spirituale e si soffre soltanto dello strazio fisico, finché sopraggiunge la morte. Ma forse la sofferenza principale e più terribile non è quella causata dai tormenti, bensì dal fatto che tu sai con sicurezza che, ecco, tra un'ora, poi tra dieci minuti, poi tra mezzo minuto e infine proprio ora, in questo stesso istante, l'anima volerà via e tu non esisterai più come uomo, e che tutto questo è sicuro; anzi, il peggio è che è sicuro. Ecco, quando appoggi la testa sotto quel coltello e lo senti scivolare sopra il tuo capo, ecco, proprio quel quarto di secondo dev'essere la cosa più terribile. (1998, pp. 46-47)
"Questo c'è di buono", notò, "che non si soffre a lungo quando la testa viene troncata."
"Così dicono tutti, e perciò hanno inventato quella così detta ghigliottina. A me invece balenò allora il sospetto: e se invece è quello il colmo della sofferenza? Questo vi parrà strano, vi farà ridere... eppure... Prendiamo, per esempio, la tortura: strazio, piaghe, scricchiolio di ossa, dolore materiale insomma, che distrae la vittima dalle sofferenze morali, fino a che non venga la morte. Ma il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un'ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa. Tu metti la testa sotto la mannaia, senti strisciare il ferro, e quel quarto di secondo è più atroce di qualunque agonia." (II, 2; 1995)
  • "Secondo me, uccidere perché si è ucciso rappresenta una punizione incomparabilmente più terribile dello stesso delitto commesso. Venire giustiziato in base ad un verdetto è molto più terribile che venire ucciso da briganti."
    "Chi viene ucciso da un brigante, mettiamo di notte nel bosco o in qualche altro modo, continua indubbiamente a sperare di salvarsi fino all'ultimo istante di vita. Ci sono esempi di persone che, già con la gola tagliata, continuavano a sperare, cercavano di fuggire o chiedevano pietà. E qui invece ti viene tolta con assoluta certezza proprio quest'ultima speranza grazie alla quale morire è dieci volte più più facile. Su di te è stato pronunciato un verdetto, e nella certezza che a quel verdetto non potrai scampare sta proprio la sofferenza più terribile, la più spaventosa che ci sia al mondo. Prendete un soldato, mettetelo davanti a una bocca di cannone e sparate contro di lui, e lui continuerà pur sempre a sperare; ma leggete a quello stesso soldato una sentenza che lo condanna con certezza, e lui impazzirà o scoppierà a piangere. Chi è in grado di dire che la natura umana sia in grado di sopportare una cosa simile senza impazzire? A che serve una tortura così mostruosa, inutile, assurda? Può darsi che ci sia qualcuno a cui sia stata letta la sentenza di morte, gli abbiano fatto provare tutte le torture dell'attesa e alla fine gli abbiano detto: 'Va' pure, sei stato graziato'. Ecco, un uomo che avesse vissuto tutto ciò potrebbe raccontare cosa si prova. Anche Cristo ha parlato di quell'angoscia, di quella terribile sofferenza. No, non è permesso trattare così una persona umana!" (Myskin: 1998, pp. 47-48)
Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto grazia dai suoi assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. Attaccate un soldato alla bocca di un cannone, e accostatevi con la miccia: chi sa! Penserà il disgraziato, tutto è possibile… Ma leggetegli la sentenza di morte, e lo vedrete piangere o impazzire. Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Un solo uomo potrebbe chiarire il punto; un uomo cui abbiamo letto la sentenza di morte, e poi detto: "Va', ti è fatta la grazia!". Di un tal strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo". (II, 2; 1995)
  • "Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. [...] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?... che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione... Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."
    [...] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure... Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?... In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"
    "Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."
    "Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile... Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile." (II, 5; 1995)
  • A un ragazzo si può dire tutto, assolutamente tutto, e spesso mi veniva da pensare quanto poco i grandi, perfino gli stessi genitori, conoscano i bambini. Non bisogna mai nascondere nulla ai bambini con il pretesto che sono piccoli e che è ancora presto perché sappiano certe cose. Che idea triste e infausta! Gli stessi bambini si rendono benissimo conto del fatto che i loro genitori li considerano ancora troppo piccoli per capire qualcosa, mentre loro capiscono tutto. I grandi non sanno che, perfino sulle questioni più difficili, un bambino è in grado di dare un consiglio assolutamente serio. Dio mio, ma quando uno di quegli uccellini vi fissa con uno sguardo così felice e fiducioso, come non provare vergogna a ingannarlo? Li chiamo uccellini perché, secondo me, al mondo non c'è nulla di meglio degli uccellini. [...] L'anima si risana grazie al contatto con i bambini... (1998, pp. 103-104)
  • Oh, sì che è notevole; lei è una vera bellezza, Aglàja Ivànovna, una bellezza straordinaria. Lei è così bella che si ha addirittura paura di guardarla. [...] È difficile valutare la bellezza, e io non ci sono preparato. La bellezza è un enigma. (Myskin: 1998, p. 115)
Voi siete straordinariamente bella, Aglaja Ivanovna. Siete tanto bella che si ha paura a guardarvi. [...] È difficile giudicare la bellezza; non vi sono ancora preparato. La bellezza è un enigma. (I, 7; 1995)
  • Con una simile bellezza si può rovesciare il mondo! (Adelaìda guardando un ritratto di Natasja Filippovna: 1998, p. 119)
  • Forse egli esagerava oltre ogni limite l'infelicità della propria situazione, ma alle persone vanitose succede sempre così. (1998, p. 150)
  • Il denaro è la cosa più volgare e odiosa che ci sia perché può tutto, perfino conferire il talento. E avrà questo potere fino alla fine del mondo. (Gànja: 1998, p. 171)
  • Vedi, la gioia che prova una madre quando coglie il primo sorriso del suo bambino dev'essere proprio la stessa che prova Iddio ogni volta che, su dal cielo, vede un peccatore che gli rivolge una preghiera con tutto il suo cuore. (1998, p. 285)
  • L'essenza del sentimento religioso non dipende da nessun ragionamento, da nessuna colpa o delitto, da nessuna convinzione ateistica; qui c'è qualcosa di diverso e d'indefinibile, che sarà sempre tale, qualcosa che tutte le concezioni atee non riusciranno mai a intaccare, perché sempre parleranno di qualcosa d'altro. (Myskin: 1998; pp. 285-286)
  • Ma l'anima altrui è solo tenebra, e l'anima russa è tenebra, è tenebra per molti. (1998, p. 295)
  • La compassione era la massima e forse unica legge di vita per l'intera umanità. (1998, p. 298)
  • È una cosa che talvolta può capitare: un ricordo sgradevole che ci coglie all'improvviso, specialmente se è accompagnato da un sentimento di vergogna, ci può bloccare sul posto per qualche istante. (1998, p. 301)
  • Si sa che gli attacchi di epilessia, del vero e proprio mal caduco, sopravvengono improvvisamente. In quell'attimo tutto il volto si deforma improvvisamente e orribilmente, e specialmente lo sguardo. Gli spasimi e le convulsioni scuotono tutto il corpo e sconvolgono le fattezze del volto. Dal petto si sprigiona un urlo spaventoso, indescrivibile, che non somiglia a null'altro; è come se tutto ciò che c'è di umano in quell'uomo scompaia con quell'urlo, e per chi assista a quello spettacolo è assolutamente impossibile, o perlomeno molto difficile, ammettere o perfino immaginarsi che sia la stessa persona a urlare in quel modo. Sembra addirittura che a gridare sia qualcun altro, qualcuno che si nasconde dentro quell'uomo. Perlomeno, sono numerosi coloro che hanno cercato di spiegare in tal modo l'impressione provata a quella vista, ma in molti altri la vista di un uomo in preda a un attacco di mal caduco determina un inesprimibile, intollerabile terrore, che ha in sé qualcosa addirittura di mistico. (1998, p. 303)
  • Un morto non ha età. (Ippolìt: 1998, p. 376)
  • Sì, la natura è maligna [...] Perché mai essa crea le sue creature migliori solo per farsene poi beffa? La natura ha agito in modo tale che, dopo aver creato l'unico essere che su questa terra è stato riconosciuto come perfetto e dopo averlo mostrato agli uomini, ha voluto che fosse destinato a dire ciò che ha fatto scorrere un mare di sangue... tanto sangue che, se fosse scorso tutto in una volta, gli uomini ne sarebbero stati soffocati! (Ippolìt: 1998, pp. 377-378)
  • Non c'è dubbio che la pavidità e la totale assenza d'iniziativa personale sono state sempre considerate – e vengono considerate tuttora – come la caratteristica migliore e più essenziale di una persona pratica. [...] È un fatto che la mancanza di originalità, dovunque, in tutto il mondo e da tempo immemorabile, è stata sempre considerata come la prima ed essenziale qualità e la migliore raccomandazione per una persona attiva, efficiente e pratica, e perlomeno il novantanove per cento degli uomini (come minimo) sono stati sempre di questa opinione, e soltanto forse l'un per cento l'ha pensata e la pensa altrimenti. (1998, p. 410)
  • I geni e gli inventori, all'inizio della loro carriera (e molto spesso anche alla fine), sono stati sempre considerati dalla società nient'altro che degli imbecilli. (1998, p. 410)
  • E le nostre balie, cullando i bambini, da tempo immemorabile cantano loro la stessa ninna-nanna: "Nuoterai nell'oro, diventerai un generale!". (1998, p. 411)
  • Sembra che una certa ottusità di mente sia una qualità quasi indispensabile, se non per qualsiasi uomo di azione, perlomeno per chiunque si occupi seriamente di accumular denaro. (1998, p. 412)
  • Non c'è dubbio che tutti i suoi tormenti familiari non avessero alcun fondamento, giacché erano originati da motivi futili e ridicolmente ingigantiti; ma è noto che, se qualcuno ha un porro sul naso o sulla fronte, ebbene, gli sembrerà immancabilmente che tutti non abbiano altro da fare al mondo che guardare il suo porro, riderne e criticarlo per quella piccola deformità, anche se si trattasse magari di Cristoforo Colombo in persona. (1998, p. 413)
  • Che altro è il liberalismo, generalmente parlando, se non un attacco (giusto o sbagliato, questa è un'altra questione) all'ordine di cose esistente? (Myskin: 1998, p. 422)
  • Delitti assurdi? Ma io le assicuro che delitti come questi, e forse ancor più spaventosi, ne venivano commessi anche prima, e sempre ne sono stati commessi, e non solo da noi, ma dovunque, e, secondo me, fatti del genere si ripeteranno ancora per molto tempo. La differenza sta nel fatto che da noi prima c'era meno trasparenza, mentre ora di queste cose se ne parla ad alta voce e anche se ne scrive, e per questo può sembrare che delinquenti di questo genere siano comparsi da noi soltanto adesso. (Principe Šč: 1998, p. 426)
  • Ci sono criminali ancora più feroci di quello di cui stiamo parlando, gente che ha ucciso dieci persone e non se ne pente affatto. Ma ecco che cosa ho osservato in quelle occasioni: anche l'assassino più inveterato e più impenitente sa comunque di essere un criminale, cioè ritiene in coscienza di aver agito male, anche se non prova nessun pentimento. E così la pensa ognuno di loro; ma quelli invece di cui parlava Evgènij Pàvlyč non intendono affatto considerarsi dei criminali, e pensano invece, dentro di loro, che ne avevano il diritto... e perfino che hanno agito bene, o poco ci manca. (Myskin: 1998, p. 426)
Vi sono delinquenti terribili, che hanno ucciso finanche dieci persone e non se ne pentono affatto. Ma ecco che cosa ho notato: anche l'assassino più incallito ed immune dai rimorsi sa tuttavia di essere un delinquente, cioè reputa in coscienza d'aver agito male, pur non conoscendo resipiscenza alcuna. Questi, invece, non vogliono nemmeno considerarsi delinquenti, e pensano invece, nel loro intimo, di aver avuto ragione, di averne avuto il diritto... e persino che hanno agito bene, o poco ci manca. (3, II; 1995)
  • Ogni fatto reale, per quanto obbedisca a proprie, immutabili leggi, ci appare quasi sempre incredibile e inverosimile. E quanto più è reale, tanto più talora ci appare inverosimile. (Lèbedev: 1998, p. 472)
  • "È vero, principe, che lei una volta ha detto che la 'bellezza' salverà il mondo? State a sentire, signori," gridò ad alta voce, rivolgendosi a tutti, "il principe sostiene che la bellezza salverà il mondo! E io sostengo che questi giocondi pensieri gli vengono in testa perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato [...] Ma quale bellezza salverà il mondo? (Ippolìt: 1998, p. 479)
"È vero, principe, che lei una volta ha detto che la 'bellezza' salverà il mondo? State a sentire, signori," esclamò con voce stentorea, rivolgendosi a tutti, "il principe sostiene che il mondo sarà salvato dalla bellezza! E io sostengo che questi pensieri gioiosi gli vengono in testa perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato [...] Ma quale bellezza salverà il mondo?...". (III, 5; 1995)
  • Potete star sicuri che Colombo era felice non nel momento in cui scoprì l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla; potete star sicuri che il momento della sua massima felicità fu forse quando, proprio tre giorni prima della scoperta del Nuovo Mondo, l'equipaggio disperato si ribellò, e per poco non lo costrinse a volgere indietro, verso l'Europa, la prua del vascello! L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. Colombo infatti morì senza quasi averlo visto, e in pratica senza sapere che cosa aveva scoperto. L'importante sta nella vita, soltanto nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo e ininterrotto, e non nella scoperta stessa! [...] Tuttavia, voglio aggiungere che in ogni idea nuova o geniale concepita da un uomo, o anche semplicemente in ogni idea seria germogliata nella mente di qualcuno, resta sempre qualcosa che è assolutamente impossibile trasmettere agli altri uomini, anche se si scrivessero interi volumi e si impiegassero magari trentacinque anni nel tentativo d'interpretarlo; rimarrà sempre qualcosa che si rifiuterà comunque di uscire dal vostro cervello e resterà per sempre chiuso in voi; andrà a finire che morirete senza aver potuto comunicare ad altri ciò che forse vi era di essenziale nella vostra idea. (Ippolìt: 1998, p. 492)
Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla [...] L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. [...] L'importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa! [...] Del resto, voglio aggiungere che ogni idea nuova o geniale concepita da un uomo, o anche, semplicemente, ogni idea seria gemmata nella mente di qualcuno, resta sempre qualcosa che è impossibile trasmettere agli altri uomini, anche se si scrivessero interi volumi e si impiegassero anche trentacinque anni nell'intento di interpretarli; rimarrà sempre qualcosa che si rifiuterà in ogni modo di uscire dalla vostra testa e resterà sempre chiuso in voi... (3, V; 1995)
  • Vi sono persone che trovano una straordinaria soddisfazione nella propria permalosa irritabilità, e ciò specialmente quando un tale stato raggiunge l'estremo limite (il che avviene sempre molto rapidamente); si direbbe che in quegl'istanti essi preferiscano e addirittura godano a venire offesi. Queste persone così irritabili provano poi terribili rimorsi per essersi lasciate andare, se, naturalmente, sono intelligenti e se sono in grado di rendersi conto di essersi riscaldate dieci volte più del necessario. (Ippolìt: 1998, p. 496)
  • Chi svaluta l'atto di carità individuale, per ciò stesso disconosce l'autentica natura dell'uomo e ne disprezza la dignità personale. (Ippolìt: 1998, p. 501)
  • La buona azione individuale rimarrà per sempre, giacché essa costituisce un'esigenza dell'individuo, una viva esigenza che ha origine dalla reciproca e diretta influenza di un individuo sull'altro. (Ippolìt: 1998, p. 501)
  • Gettando il suo seme, compiendo un atto di carità, una buona azione, in qualsiasi forma o modo, lei dona una parte della sua personalità e ne riceve in cambio una parte di un'altra; entrate in reciproca comunione tra voi; se solo vi farà attenzione, lei si troverà arricchito di nuove conoscenze e delle scoperte più inattese. Finirà immancabilmente per considerare la sua opera come una vera scienza, una scienza che assorbirà tutta la sua vita e può arrivare a riempirla. E, inversamente, tutti i suoi pensieri, tutti i semi da lei gettati, forse quando lei se ne sarà già dimenticato, s'insedieranno nell'anima altrui e germoglieranno; chi l'avrà ricevuto da lei trasmetterà il buon seme a un altro. E come può sapere quale sarà la parte da lei svolta nella futura soluzione dei problemi e del destino dell'umanità? (Ippolìt: 1998, pp. 502-503)
  • Quando si dice una bugia, se lo si fa con una certa abilità, mettendoci dentro qualcosa di poco comune o di eccentrico, voglio dire qualcosa che capita assai di rado, o addirittura mai, ebbene, la bugia diventa molto più verosimile. (Aglàja: 1998, p. 534)
  • Non è possibile amare la perfezione; la perfezione può essere solo contemplata come tale, non è forse vero? (Natasja Filippovna ad Aglàja: 1998, p. 559)
  • Un angelo non può odiare e non può neppure fare a meno di amare. Ma si può forse amare tutti, tutti gli uomini, tutti i propri simili? Mi sono posta più volte questa domanda. Naturalmente è impossibile, e sarebbe addirittura innaturale. Chi ama l'umanità di un amore astratto quasi sempre ama soltanto se stesso. (Natasja Filippovna ad Aglàja: 1998, p. 559)
Nell'amore astratto per l'umanità quasi sempre si finisce per amare solo se stessi. (Natasja Filippovna ad Aglàja; III, 10; 1995, p. 617)
  • È meglio essere infelici, ma sapere, piuttosto che vivere felici... in una sciocca incoscienza. (1998, p. 639)
  • Per la prima volta nella sua vita, egli vedeva un angoletto di ciò che viene solitamente chiamato con il terribile epiteto di "alta società". [...] Il fascino che emanava dal loro modo di fare distinto, semplice e apparentemente cordiale aveva per lui qualcosa di addirittura magico. Non gli poteva neppure venire in mente che tutta quella manifestazione di cordiale signorilità, di spiritosa arguzia e di un così eletto senso di dignità personale potesse non essere altro che una magnifica costruzione artificiale. La maggioranza degli ospiti, nonostante quella loro così imponente apparenza, era costituita da persone piuttosto vuote che, nella loro soddisfatta presunzione, ignoravano perfino che molto di quel che c'era di buono in loro era appunto soltanto una costruzione artificiale, della quale peraltro essi non avevano alcun merito, giacché l'avevano ricevuta inconsciamente per eredità. (1998, pp. 654-655)
Per la prima volta in vita sua, vedeva una parte di ciò che viene designato con il terribile termine di «mondo». [...] Il fascino dei loro modi distinti, della loro semplicità, della loro apparente sincerità era magico. Non gli sarebbe mai venuto in mente che tutta quella semplicità, quei nobili sentimenti, quell'intelligenza, quella profonda conoscenza della propria dignità altro non fossero che una meravigliosa, artistica messinscena. La maggior parte degli invitati era composta da persone piuttosto futili, malgrado il loro aspetto altero, che, nella loro presunzione, non si rendevano neppure conto che la maggior parte delle loro qualità erano solo apparenti: erano state trasmesse loro per ereditarietà ed esse non ne avevano alcun merito. (1995)
  • In primo luogo [il cattolicesimo] è una fede non cristiana! [...] Questo in primo luogo, e in secondo luogo il cattolicesimo di Roma è ancora peggio dell'ateismo stesso, ecco qual è la mia opinione! Sì, proprio questa è la mia opinione! L'ateismo si limita a predicare il nulla, ma il cattolicesimo va oltre: esso predica un Cristo travisato, un Cristo calunniato e oltraggiato, un Cristo interpretato addirittura a rovescio! Il cattolicesimo predica l'Anticristo, glielo giuro, gliel'assicuro! Questa è la mia opinione personale ormai da lungo tempo, un'opinione che a me stesso ha causato molto tormento... Il cattolicesimo romano crede che la chiesa non possa esistere su questa terra senza fondarsi sul dominio temporale universale, e proclama: 'Non possumus!'. Secondo me, il cattolicesimo romano non è neppure una fede religiosa, bensì semplicemente l'erede e il continuatore dell'Impero romano d'Occidente, e in esso tutto è subordinato a quest'idea, a cominciare dalla fede. Il papa si è impossessato della Terra, si è assiso su un trono terreno e ha impugnato la spada; e fin da allora tutto è continuato così, soltanto che alla spada ha aggiunto la menzogna, l'intrigo, l'inganno, il fanatismo, la superstizione, il crimine, ha giocato con i sentimenti più santi, più giusti, più semplici e più ardenti del popolo, e tutto, tutto ha barattato per denaro, per il vile potere temporale. E tutto ciò non sarebbe una dottrina anticristiana?! E come non avrebbe potuto dare origine all'ateismo? L'ateismo ha preso origine da loro, dallo stesso cattolicesimo romano! L'ateismo è derivato in primo luogo proprio da loro, giacché come potevano loro credere a se stessi? E poi ha preso sempre più piede per l'avversione da essi destata; esso è una creazione della loro menzogna e impotenza spirituale! (Myskin: 1998, p. 667)
  • Anche il socialismo è una creazione del cattolicesimo e della sua essenza! Anch'esso, come del resto l'ateismo che gli è fratello, ha avuto origine dalla disperazione e in contrapposizione al cattolicesimo come rivendicazione della morale, per subentrare nel ruolo di potere morale, ruolo che la religione ha perduto, per appagare la sete spirituale dell'umanità assetata e salvarla non per mezzo di Cristo, bensì anch'esso per mezzo della forza! Anch'esso vuole instaurare la libertà mediante la violenza, e realizzare l'unione dei popoli per mezzo della spada e del sangue! 'Non devi credere in Dio, non devi possedere proprietà alcuna, non devi avere una tua personalità, fraternité ou la mort, bisogna tagliare due milioni di teste!' È stato detto: li riconoscerete dalle loro opere! (Myskin: 1998, p. 668)
  • Noialtri russi siamo fatti in tal modo che, non appena tocchiamo la riva e siamo convinti che quella è la riva giusta, ce ne rallegriamo talmente che dobbiamo subito arrivare ai limiti estremi [...] È la nostra passionalità russa che stupisce in tali casi non soltanto noi stessi, ma tutta l'Europa; se uno di noi abbraccia il cattolicesimo, diventerà subito un gesuita, e anche uno dei più oscurantisti; se invece diventa ateo, comincerà immancabilmente a pretendere di sradicare la fede in Dio con la violenza, e quindi con la spada! E perché tutto questo, perché mai questa improvvisa frenesia? Possibile che lei non lo sappia? Ma perché è lì che ha trovato quella patria che qui non ha saputo vedere, e ne è tutto felice; ha toccato la riva, ha toccato terra, e si precipita a baciarla! L'ateismo russo e il gesuitismo russo non hanno infatti origine soltanto da vanagloria, da un basso sentimento di vanità, bensì dall'angoscia spirituale, dalla sete spirituale, dalla nostalgia appassionata per un elevato ideale, per una riva sicura, per una patria in cui essi hanno smesso di credere, perché non l'hanno mai conosciuta! Per un russo è così facile diventare ateo, più facile che per chiunque altro al mondo! E noialtri russi non soltanto diventiamo atei, ma senz'altro dobbiamo credere nell'ateismo come se fosse una nuova fede, senza nemmeno accorgerci che crediamo nel nulla. Così forte è la nostra brama di credere! (Myskin: 1998, pp. 669-670)
  • "Chi non ha il suolo natale sotto i piedi non ha neppure un Dio." Questa espressione non è mia; l'ho sentita dire da un mercante, un vecchio credente, che ho incontrato in viaggio. Veramente egli non disse proprio così, bensì: "Chi ha rinnegato la propria terra natale ha rinnegato anche il proprio Dio". (Myskin: 1998, p. 670)
  • Dicono che non stupirsi di nulla sia un segno di grande intelligenza; ma, secondo me, potrebbe essere allo stesso modo un segno di grande stupidità... (Ippolìt: 1998, p. 686)

Licia Brustolin

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L'infelice Lizaveta Prokof’evna avrebbe voluto tornare in patria, a sentire Evgenij Pavlovič, ella criticava aspramente tutto quello che c'era all'estero: «Non c'è posto dove sappiano cuocere il pane, d'inverno si gela come topi in una cantina, almeno qui, da questo poveretto, ho potuto piangere alla maniera russa» aggiunse agitata indicando il principe che non la riconosceva neanche. «Bisogna smetterla con le esaltazioni, è tempo di rinsavire. Tutti questi paesi esteri, questa vostra Europa, è tutto una fantasia, anche noi tutti qui all’estero siamo una fantasia... ricordate le mie parole e vedrete!» concluse quasi in collera congedandosi da Evgenij Pavlovič.

Gianlorenzo Pacini

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La povera Lizavèta Prokòf'evna aveva una gran voglia di tornarsene in Russia e, a quanto scriveva Evgènij Pàvlovič, criticava con biliosa parzialità tutto quel che vedeva all'estero: "Qui non sanno neppure cuocere il pane come si deve; d'inverno gelano di freddo come topi in una cantina", diceva la generalessa. "Perlomeno qui ho potuto piangere in russo sul destino di questo povero sventurato," aggiungeva, sconvolta dalla compassione, indicando, il principe che non l'aveva affatto riconosciuta. "È ora di farla finita con tutte queste idee esaltate, bisogna tornare alla ragione. Tutto questo, l'estero e tutta questa vostra Europa, non è altro che una chimera... si rammenti delle mie parole, e se ne accorgerà lei stesso!" aveva concluso in tono addirittura indignato Lizavèta Prokòf'evna, al momento di congedarsi da Evgènij Pàvlovič. (1998, p. 755)

Citazioni su L'idiota

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  • Da tempo ormai mi tormentava un'idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un'idea troppo difficile e ad essa non sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest'idea è raffigurare un uomo totalmente bello (prekrasnyj čelovek). Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d'oggi soprattutto. (Fëdor Dostoevskij)
  • E nessuno ha mai detto che Dostoevskij era un modello di virtù; ma penso che si sia ampiamente guadagnato il paradiso scrivendo L'idiota. (Harlan Ellison)
  • Egli nega, questo mite Idiota, tutta la vita, tutti i pensieri e i sentimenti, tutto il mondo e la realtà degl'altri. Per lui la verità è una cosa tutta diversa che per loro. La loro realtà, per lui, è come un'ombra. Il fatto di vedere e di pretendere una realtà assolutamente nuova fa di lui loro nemico. [...] [Egli] una o più volte si è trovato sulla magica soglia ove si accetta ogni cosa, dove non solo è vero ogni pensiero remoto, ma anche il suo contrario. La sua innocenza è tutt'altro che innocua, e a ragione gl'altri ne hanno terrore. [...] Non che infranga le tavole della legge, ma le gira solo dall'altra parte e ci mostra che sul retro è scritto il contrario. (Hermann Hesse)
  • Se voi mi domandaste qual è il più bel romanzo ch'io conosca, sarei senz'altro assai in difficoltà a rispondervi. Forse darei il primo posto a L'idiota di Dostoevskij. Ora, io ignoro le qualità e i difetti del suo stile, avendolo letto solo in delle terribili traduzioni, so solo (...) che è un romanzo scritto in profondità, laddove le leggi generali comandano sui fenomeni particolari. (Marcel Proust)

Adattamenti

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Bibliografia

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  • Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione di Alfredo Polledro, con un saggio introduttivo di Vittorio Stada, Einaudi, Torino, 1941. ISBN 8806178490
  • Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione di Licia Brustolin, Garzanti, 1990.
  • Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione di Eugenia Maini e Elena Mantelli, Mondadori, Milano, 1995.
  • Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli, Milano, 1998. ISBN 8807821478
  • Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione di Federigo Verdinois, Newton Compton, 2007.
  • Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione, postfazione e nota a cura di Laura Salmon, Rizzoli, 2013. ISBN 978-88-586-6171-0

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