Henry de Montherlant

scrittore e drammaturgo francese
(Reindirizzamento da Henri De Montherlant)

Henry Marie Joseph Millon de Montherlant (1896 – 1972), scrittore e drammaturgo francese.

Henry de Montherlant nel 1922

Citazioni di Henry de Montherlant

modifica
  • Amo il Rinascimento a causa della sua mescolanza di cattolicesimo e di paganesimo, e del suo rifarsi come a una pietra di paragone agli antichi Romani. E inoltre, si è detto spesso che la Rinascenza equivaleva ad adolescenza, e io conservo dell'adolescenza un aspetto caratteristico: la molteplicità delle inclinazioni contraddittorie di Malatesta. C'è una frase interessante di Cocteau: «Montherlant è l'aquila a due teste. La testa del Mâitre de Santiago, il dramma cattolico, e quella di Malatesta».[1]
  • Beati coloro che muoiono senza pettegolezzi e senza lamenti, nella santa solitudine in cui muoiono le bestie e i soldati in fondo a una buca scavata da una granata.
Heureux ceux qui meurent sans papotages et sans pleuraisons, dans la sainte solitude où meurent les bêtes et les soldats au fond d'un lointain trou d'obus. (da Le treizième César[2])
  • C'è una cosa a cui tengo molto: che non si riscontrino, nelle mie opere di teatro, allusioni alla cosiddetta attualità. Il rispetto che si deve ai personaggi della storia vieta di farne dei semplici portavoce del nostro tempo. C'è qualche cosa di facile e di volgare in quest'ultimo metodo, a cui io repugno. L'autentica attualità è in ciò che è eterno.[1]
  • Certi francesi chiamano retorica ciò che in tutti i tempi è stato considerato come la bellezza di una lingua, ed enfasi l'espressione di ogni sentimento vivo. In realtà, non amano che una cosa sola: l'assenza dell'anima e l'assenza del talento.[1]
  • Pérégrinos: Chiamano confusione la mia ricchezza, fatuità il mio orgoglio, enfasi la mia grandezza, durezza la mia virtù, retorica la mia eloquenza, ermetismo la mia profondità, scemenza la mia lealtà, impudenza la mia franchezza; e quando non trovano come biasimare uno dei miei modi di essere, dicono che è una posa. Con quali armi – mi chiedo – dovrei rispondere loro? Beati i tiratori di fionda, che rispondono con le loro fionde! Quanto a me non posso rispondere. Sono murato nell'opinione che si è fatta di me, paralizzato da lei più che da catene di ferro. E questa opinione è che niente di ciò che viene detto da me può essere preso sul serio.[3]
  • Conosco ben poco della letteratura contemporanea. Non ho tempo per leggere quei libri. Il mio lavoro e i miei interessi mi portano verso altre cose, verso altri tempi. Ora, ad esempio, sto scrivendo un dramma di cui personaggio principale è un prefetto romano del terzo secolo, ciò non deve apparire strano: la mia lingua è francese, ma il mio pensiero, la mia lingua interna è il latino.[4]
  • Dopo [il faraone] Sesostri, nulla di ciò che è importante ha fatto un passo. Tutto ciò che non è importante ha fatto passi giganteschi.[5]
  • È bene che l'uomo muoia quando è abbandonato dalla propria parte divina.
Il est bien que l'homme meure quand il est abandonné par la part divine de soi-même. (da Brocéliande: Notes, in Théâtre, Gallimard, Paris, 1972, p. 1006)
  • È sconvolgente quanto ci divertiremo, ne ammazzerò più di te, sarai ferito, ti curerò... ma no, va: sarò ferito io insomma, non so che cosa è meglio, saremo sporchi, ci spunterà la barba! Saremo Achille e Patroclo. Addio, Achille, Rolando vittorioso! Se fossi partito solo, forse avrei potuto far ritorno, cavarmela. Adesso, sarò morto fra tre mesi. (da L'Exile[6])
  • [Sulla cavalleria romana] È strano: la maggior parte di questi uomini feroci hanno un istante di generosità, l'istante del "ritorno della loro grande anima". Per quanto orribile sia stata, per molti aspetti, la civiltà antica, essa presenta sempre questi istanti di generosità come degni di ammirazione; al contrario dei tempi d'oggi, in cui ogni atto o sentimento di nobiltà è oggetto di derisione e di odio. (da Postilla in La guerra civile, trad. di Piero Buscaroli, Fògola, Torino, 1976, p. 175)
  • Ebbi a scrivere un giorno che i francesi posseggono un'arte di vivere le tragedie tipicamente borghese. Oggi aggiungerei: i francesi sono talmente borghesi che non sanno affatto di star vivendo una tragedia. Ma è forse questo ciò che intendeva dire colui che affermò un tempo che essi non hanno una testa epica. La tragedia è un dono degli dei agli uomini. Non parlo della tragedia dei poeti tragici, ma della tragedia che, di tempo in tempo, gli uomini sono condannati a subire. Ma occorre che gli dei vi abbiano dato anche un'anima che ami la tragedia, un'anima che faccia di lei nella cupa gioia uno degli elementi della sua forza e della sua umanità. Non dimentichiamo, inoltre, che ogni uomo, essendo chiamato a morire, ogni uomo senza eccezione si troverà un giorno davanti alla tragedia.
J'ai écrit un jour que les Français avaient l'art de vivre bourgeoisement les tragédies. Je dirais aujourd'hui, avec plus de pointe: les Français sont tellement bourgeois qu'ils ne savent meme pas qu'ils vivent une tragédie. Mais peut-être est-ce cela que voulait dire celui qui affirmait jadis qu'ils n'avaient pas la tête épique. La tragédie est un don des dieux aux hommes. Je ne parle pas de la tragédie qu'écrivent les poètes tragiques: je parle de la tragédie que, de temps en temps, les hommes sont condamnés à subir. Mais il faut que les dieux vous aient donné aussi une âme qui aime la tragédie, une âme qui fasse d'elle dans la joie sombre un des éléments de sa force et de son humanité. N'oublions pas, en outre, que tout homme étant appelé à mourir, tout homme sans exception trouvera un jour devant la tragédie. (da La mort de Pompée, ‪Théâtre‬‬, ‪Gallimard, Paris‬, 1972, p. 1345)
  • Ho bevuto il suicidio se non proprio con il latte materno, almeno molto giovane, giacché gli unici personaggi intelligenti e simpatici del Quo Vadis (letto a otto anni), Nerone e Petronio, si uccidono tutti e due.[7]
  • Ho letto e leggo Julius Evola. [...] Ora, io ignoravo tutto dello stato corporale di questo raro spirito. È quello che è. Ma egli vede!. (da una lettera a Pierre Pascal, 1972[8])
  • Ho retto il timone con mano tremante, ma non ho mai ceduto. E visto che ho continuato a vivere come se tutto avesse un senso, ha poca importanza quello che succedeva dentro di me.[9]
  • I bambini hanno il potere di istupidire completamente quelle che fino a quel momento erano ragionevolmente soltanto coppie di idioti.
Les enfants ont ce pouvoir de rendre complètement abrutis des couples qui jusque-là n'étaient que raisonnablement idiots.[10]
  • I due uomini che sono in me agiscono simultaneamente in senso contrario, come ciò è avvenuto tante volte nel corso della mia esistenza.[11]
  • I giovani non hanno bisogno di maîtres à penser ma di maestri di condotta.
Les jeunes gens n’ont pas besoin de maître à penser mais de maîtres à se conduire.[12]
  • Il fuoco è un'opera, nel suo genere, perfettamente compiuta. L'ho riletta or ora: la sua bellezza, il suo potere d'incanto mi sono apparsi così evidenti come il primo giorno [...]. Come la maggior parte delle opere di D'Annunzio, esso prende i suoi spunti un po' dappertutto: dalla pittura, dalla scultura, dalla musica, e tuttavia la sua originalità è del più alto grado.[13]
  • Il suicidio permette di sfuggire alla vita; ma non permette di sfuggire alla caricatura postuma, e specialmente alla caricatura fatta, per leggerezza e passione, delle ragioni del vostro suicidio.[14]
  • Io amo gli esseri umani. Si dice che sono misantropo, lo so. Invece osservo gli uomini. Li guardo vivere. È ciò che mi interessa.[15]
  • Io sono arrivato alla convinzione che di utile, di cose che valgano ne esistono poche. Se rifletto, non mi rendo nemmeno conto perché ho scritto i miei libri. Perché? Forse per comunicare, per l'appunto, il mio sentimento dell'inutilità: che è l'unica cosa vera che sono riuscito a scoprire. E non è cosa da poco, intendiamoci: poiché sull'inutilità, camuffata o dissimulata da utilità, gira il mondo e gira la vita. Del resto, guai se non fosse così. Non si farebbe più nulla. Eppure bisogna fare qualche cosa, dal momento che si è in questo mondo, per vivere. E questo qualche cosa consiste, per somma stranezza, nella scoperta della reale sostanza della vita, di quel che effettivamente è e perché serve. No, non sono un ateo, non vorrei che lei se ne andasse con questa opinione. Dio! Penso che Dio sia immensamente grande e noi immensamente piccoli; così piccoli che non riusciamo ad intuire nulla, o quasi nulla, di questa grandezza; nulla dei fini per i quali siamo nati. E, nella nostra miseria che è poi ignoranza, ci dibattiamo, ci affanniamo, ci straziamo, ci disperiamo per arrivare a collocarci in un sistema del quale tutto ci sfugge. Ci mettiamo allora a indagare, a escogitare, a inventare. Sì, invenzioni dovute alla nostra incapacità di comprendere i veri fini della creazione. Sicché, quel che noi crediamo di avere scoperto e per cui crediamo di agire, è nulla nulla nulla rispetto alla realtà vera che c'è stata data. E gli anni trascorrono nella illusione.[16]
  • L'ideale del progresso è sostituito dall'ideale dell'innovazione: non che sia meglio, basta solo che sia nuovo, anche se è peggiore di prima e in modo evidente.[17]
  • L'unico punto vulnerabile nel corpo di Achille fu quello per cui lo aveva tenuto sua madre.[18]
  • L'uomo si interessa all'anima di una don­na, solo se ella ha un bel corpo.[19]
  • [Sullo sport] [...] la continuazione di quel realismo di guerra che eternamente reca l'impronta di Roma.[20]
  • La gente crede che un uomo pubblico non esista se non si parla di lui nei giornali. È proprio quando non si parla di lui nei giornali che egli esiste ed è capace di esistere.[11]
  • [...] la guerra resta per me [...] la più tenera esperienza umana che abbia vissuto.
[...] la guerre est restée pour moi [...] la plus tendre expérience humaine que jai vécue. (da Un Assasin est mon maître, Gallimard, Paris, 1971, p. 225)
  • La mia opera, in costume o no, vuol essere innanzi tutto un'opera umana il che non significa opera umanitaria, ma opera che prende sul serio l'essere umano.[1]
  • La speranza è la volontà dei deboli.
Die Hoffnung ist der Wille der Schwachen. (da Nutzloses Dienen, Rauch, Leipzig, 1939, p. 130)
  • La verità è anormale; chi la vede è pazzo o sta per diventarlo. (da La Rose de Sable[17])
  • La verità, nient'altro che la verità, ma non tutta la verità.
La verité, rien que la verité, mais pas tout la verité.[21]
  • Lo spirito di pace non potrà nascere da una riduzione del nostro rispetto per il paese natale, ma dall'estensione di questo rispetto alle altre nazioni.[22]
  • [...] lo sport coincide coi costumi.[23]
  • Mai vorrei conoscere chi non abbia più niente del bambino che è stato.[24]
  • Morire per una causa non fa che quella causa sia giusta.[25][26]
  • Non ci si occupa di politica quando si ha un'opera da fare, che si sa che varrà sotto tutti i regimi. Non ci si occupa della propria patria quando si ha un'opera da fare, consapevoli che sarà buona e farà mille volte più onore a questa patria che non gli odi, le vendette, i complotti, le chiacchiere, le mozioni e i guasti degli esagitati politici.‪[27]
  • Non ho che l'idea che mi faccio di me stesso per sollevarmi sui mari del nulla.[9]
  • Non posso vedere i grandi eventi contemporanei, e gli uomini che ci sono mescolati, senza allontanarli di duecento o duemila anni per collocarli nella storia, nella quale si fanno immediatamente "conformi": talmente simili a tanti altri eventi.[28]
  • Non si giudica un uomo in base al suo valore, né in base a ciò che è o rappresenta. Lo si giudica dalla sua apparenza; se è simpatico o no. Ciò vuole dire essere conciliante, imbrogliare, riuscire. Il mediocre è ciò che piace.[29]
  • Noto semplicemente che alcuni tratti caratteristici della Spagna [...] che gran parte di questi tratti caratteristici della Spagna sono di origine islamica. Questo ideale mistico e sensuale, questa nobiltà, questo ritiro, questa segretezza, questa cortesia, questo disprezzo del lavoro e questa mancanza di spirito, questa assenza di curiosità, questo distacco, questa irragionevolezza, o piuttosto questa sublime indifferenza, questo è l'Islam.
Je remarque simplement que quelques traits caractéristiques de l'Espagne [...] que la plupart de ces traits sont d'Islam. Cet idéal mystique et sensuel tour à tour, cette noblesse, ce retrait, ce secret, cette courtoisie [...], ce mépris du travail et ce manque d'esprit de suite, cette incuriosité, ce détachement, cette déraison, ou plutôt cette sublime indifférence [...], c'est l'Islam. (da Sous les drapeaux morts, Éd. du Capitole, Paris, 1929, p. 138)
  • Oggi il mondo è dominato dallo snobismo. Snobismo sociale, politico, intellettuale. Intendo per snobismo l'inclinazione ad assumere un'opinione contraria ai propri convincimenti, soltanto perché sembra conveniente e accettata dalla maggioranza. Snobismo è diserzione, vigliaccheria morale.[30]
  • Ogni essere, ogni credo, ogni istituzione ha le sue facce, tre o più: la faccia sublime, la faccia ridicola, la faccia odiosa.
Chaque être, chaque croyance, chaque institution a ses treis faces, trois ou davantage: la face sublime, la face ridicule, la face odieuse.[21]
  • Oh, come l'anima mia s'accorda con l'Onnipotente! | Prosternato al suolo, mordo la Materia. | E, con somma gioia, curvo sulla fresca sabbia, ascolto | l'eco che fa l'eternità ai palpiti della terra. (da Canto di Minosse, trad. di Sandro Paparatti, in Revisione, I, n. 3, 1972, p. 174)
  • Penso sempre a quello scolaro di cui parla la principessa Palatina che si era fatto dipingere delle immagini di santi sulle natiche per non essere più frustato.[31]
  • Per compiervi una meditazione, Barrès andava in Portogallo, "à la pointe extrême d'Europe". Paul Morand ("Soltanto la Terra") va sulla costa occidentale d'America. L'uno alla fine delle terre europee; l'altro alla fine delle terre di razza bianca: gli amatori di "segni del tempo" possono trovare le loro delizie in questa differenza. Ma, giunti a questi due estremi, Barrès e Morand riconoscono ugualmente di non essere felici.[32]
  • Perfino ciò che, da noi, può apparir su di un piano abbastanza basso, è ancor mille volte più alto di ciò che avviene fuori. Ciò che avviene da noi [in un collegio cattolico] ben presto non avverrà più da nessuna parte, e già non esiste più che in qualche luogo privilegiato. (da La Ville dont le Prince est un Enfant[33])
  • Più i nostri rapporti sono intimi con la natura, più siamo vicini al soprannaturale.
Plus nos rapports sont intimes avec la nature, plus nous sommes proches du surnaturel.[34]
  • Ravier: Poso la mia mano sulla vostra anca e vi sento respirare come respirare sentissi il creato.[35]
  • Quando mi si dice che la mia opera non è adatta al mondo moderno, io non saprei altro rispondere che: «tanto meglio».[11]
  • Quando sono oppresso dal quotidiano, non ai poeti occidentali chiedo la chiave dell'universo, ma ai cinesi, agli arabi, soprattutto ai persiani. [...] [L'homo persicus] soddisfa il nostro spirito (saggezza), i nostri sensi (voluttà), la nostra immaginazione (poesia), la nostra anima (spiritualità e sublime). (da Il ventaglio di ferro, 1944[36])
  • [...] quando uno ha visto il mondo non gli resta che il suicidio o Dio.[14]
  • Quel poeta inglese dell’ultima guerra che, a ogni scalo della rotta verso i Dardanelli, pagava un ragazzino perché alla partenza del piroscafo sventolasse il fazzoletto.[31]
  • Questa aristocrazia dei sentimenti e dei gesti, questi esseri che ancora sanno che cosa sia flettere le ginocchia, queste immagini di rispetto, di riserva e di grazia, abbasso lo sguardo come i diaconi, al fine di dissimulare quanto la religione mi doni piacere, e ardo dal desiderio di fare il mio passo in questo balletto. Vicino a me, tra i fedeli raggruppati nel deambulatorio, trovo quest'aria di dolcezza che mi ha colpito entrando. Sono sorpreso da queste persone e amo le loro virtù.
Cette aristocratie de sentiments et de gestes, ces êtres qui savent encore ce que c'est que fléchir le genou, ces images du respect, de la réserve et de la grâce, je baisse les yeux à la manière des diacres, afin de dissimuler à quel degré la religion me donne de plaisir, et je brûle de faire mon pas dans ce ballet. Auprès de moi, chez les fidèles groupés dans le déambulatoire, je retrouve cet air de douceur qui m'a frappé en entrant. Je m'étonne de ces gens, et j'aime leurs vertus.[37]
  • [...] questa sublime atmosfera di sacra imprecisione in cui né il tempo né lo spazio sono presi in considerazione; dove non è possibile identificare un individuo o un luogo; dove sì e no turbinavano insieme; dove tutto sfugge a qualcos'altro.
cette sublime atmosphère d'imprécision sacrée où il n'est tenu compte ni des temps, mi des espaces; où l'on ne peut identifier ni un individu ni un lieu; où le oui et le non tournoient enlacés; où tout s'échappe en autre chose.[38]
  • Ricevo spesso delle domande dove mi si chiede, per esempio: «Che cosa pensate delle tendenze moderne della pittura?» o «Che cosa pensate del surrealismo?» o delle cose di questo genere. Ebbene, se non rispondo a queste lettere è perché queste domande sono su una strada dove non mi inoltro, che non incontrerò mai, perché non hanno niente da insegnarmi.
Je reçois souvent des enquêtes où l’on me demande, par exemple: «Que pensez-vous des tendances modernes de la peinture?» ou «Que pensez-vous du surréalisme?» ou des choses dans ce genre. Eh bien, si je ne réponds pas à ces lettres, c’est parce que ces questions sont sur une route où je ne vais pas, où je ne les rencontrerai jamais, parce qu’elles n’ont rien à m’apprendre».[39]
  • Si amino sempre le molteplici facce di ogni avvenimento, di ogni situazione. Lo Zen, come il Taoismo, è il culto del Relativo. Un maestro definì lo Zen l'arte di percepire la stella polare nel cielo meridionale. Non si può giungere alla verità che mediante la conoscenza degli opposti.
Toujours aimer les multiples faces de chaque événement, de chaque situation. Le Zen, comme le Taôisme, est le culte du Relatif. Un maître définit le Zen l'art de percevoir l'étoile polaire dans le ciel méridional. On ne peut pas venir à la vérité que par l'intelligence des contraires.[40]
  • Si freme vedendo giustiziato con quattro righe lo sforzo di tutta una vita, quando si sa come è facile giudicare e difficile è vivere. (da La guerra civile[41])
  • Si passa la giovinezza a far credere di essere uomini. L'età adulta a far credere di essere felici quando invece non lo si è. La vecchiaia a far credere di non essere rimbambiti quando invece lo si è.[42]
  • [...] si vorrebbe che dalla guerra venisse solo del male. Molti problemi sarebbero semplificati. Ora quest'archetto bagnato di sangue trae dall'uomo accenti profondi che esso solo può far rendere... Di fronte a un uomo che non abbiamo visto prender parte alla guerra restiamo perplessi: si può amarlo? Non m'importa nulla di essere odiato dai pacifisti, perché molti uomini della guerra avrebbero dato la vita per me. Noi siamo entrati nella vita conoscendo sul fronte ciò che era degno d'essere amato. Non escludo i nemici. Certe volte, dinanzi al loro coraggio, si è stati tentati di andare a loro, di prender le loro mani. Ma bisognava ucciderli. (Chant funèbre pour les morts de Verdun, 1924[43])
  • [Su un giovane attore di sedici anni] «So che, come attore, non sono affatto formidabile.» [...] Non scherzo minimamente quando affermo che una piccola frase come questa ha per me, per la sua semplicità e purezza, la stessa qualità di alcuni dei migliori versi di Racine. I giapponesi del Medioevo chiamavano yugen questo fiore di delicatezza, e lo rappresentavano nei loro manoscritti sotto forma di un augello bianco recante un fiore bianco al becco. Vedo sbocciare questo augello e il suo fiore dopo la frase che ho appena menzionato. Da qui la sensazione di rispetto che tutti i veri educatori provano per la gioventù.
«Je sais bien que, comme acteur, je ne suis pas formidable.» [...] Je ne plaisante pas le moins du monde quand je dis qu'une petite phrase comme celle-là a pour moi, par la simplicité et la pureté, la même qualité que certains des meilleurs vers de Racine. Les Japonais du Moyen Âge appelaient yugen cette fleur de délicatesse, et ils la figuraient dans leurs manuscrits par un oiseau blanc portant une fleur blanche dans son bec. Je vois éclore cet oiseau et sa fleur à la suite de la phrase que je viens de citer. De là ce sentiment de respect que tous les éducateurs véritables ressentent pour la jeunesse.[44]
  • Soldati e schiavi danno al capo la suprema prova d'amicizia, aiutandolo a uccidersi ed uccidendosi insieme. Vigny si chiese (Journal d'un poète), in merito a questi suicidi assistiti, quale fosse il misterioso legame che spesso univa padroni e schiavi. Vi è un raggio di sole nella notte purpurea del mondo romano.
Soldats et esclaves donnent au chef la supreme preuve d'amitié, en l'aidant à se tuer et d'aventure en se tuant avec lui. Vigny a pu se demander (Journal d'un poète), à propos de ces suicides aidès, quel était le lien mystérieux qui unissait souvent maitres et esclaves. Il y a là un rayon de soleil dans la nuit pourpre du monde romain.[45]
  • Sono sempre stato per la censura [...]. Ma a condizione che questa censura sia affidata a delle persone qualificate sia per la loro sicurezza di giudizio che per il loro tatto morale e resa efficiente nel concreto. [...] Non parlo qui che della censura etica.[46]
  • Tutti i regimi politici sono buoni, poiché tutti i governi, qualunque sia il regime, soddisfano in definitiva i bisogni vitali della propria nazione; non è così facile trascinare un popolo in una direzione contraria ai suoi bisogni.‪[27]
  • Tutto quello che avviene attorno a me è agitazione di fantasmi che fra un attimo saranno doppiamente dissipati: dalla loro morte e dalla mia. Non c'è ragione che io mi mescoli con questi fantasmi.[47]
  • Un museo che si visita con il suo direttore, è un museo che non si è visto.[48]
  • Uno degli imperativi stupidi: si deve vivere con i propri tempi. Si deve vivere con i propri tempi, fuori dei propri tempi oppure contro i propri tempi, a seconda di cosa sono codesti tempi e di che cosa sanno cantarvi dentro. E senza dimenticare, inoltre, che questi tempi, non hanno che un tempo.[11]
  • Uno degli orrori della guerra a cui non si presta la dovuta attenzione è che le donne la scampano sempre.[31]
  • Vi è qualcosa di così inebriante nella solitudine che un essere, pur da me desiderato, accompagnandomi nel giardino guasterebbe il mio piacere, rubandomi a me stesso. O rigenerazione d'essere solo! Solitudine! Solitudine! Come stringerti abbastanza sul mio cuore? (da Coups de Soleil[6])
  • Vi sono opere che sono slarghi luminosi. Pensando a tali spazi, mi vengono in mente le divine radure di certi dipinti di Watteau, con i loro cieli contratti e rarefatti, i loro alberi elevatissimi, le piccole coppie, sul fondo, con i loro visi rivolti verso qualcosa, e dirette da qualche parte [...]. Spazi luminosi sono i giardini dei poeti-moralisti persiani, così i paesaggi umani di Gozzoli e di Giorgione. Nel suo genere, il Satiricon è uno spazio libero, luminoso. Le radure lucenti di Watteau si aprono su malinconiche e delicate partenze, il libro di Petronio su una realtà volutamente cruda di liberazione, ma tutte ci parlano di una vita più autentica che mette in crisi la nostra vita ufficiale, e che dovremmo rimpiangere, custodire o conquistare.
Il y a des oeuvres qui sont des clairières. En pensant clairières je pense à ces clairières comme divines de certains tableaux de Watteau, avec leurs ciels resserrés et rares, leurs très hauts arbres, leurs couples menus, en bas, aux visages dètournès vers qelque part, et qui s'en vont quelque part [...]. Et clairières les jardins des poètes-moralistes persans, clairières les paysages humains de Gozzoli et de Giorgione. Eh bien! dans son genre, le Satiricon lui aussi est une clairière. Les clairières de Watteau s'ouvrent pour les dèparts nostalgiques et tendres, la clairière de Pètrone sur une libération volontiers crue, mais celle-ci et celle-là nous parlent d'une vie plus vraie qui rend putride notre vie officielle, et que nous avons à regretter, à sauvegarder ou à conquérir.[49]

Aux fontaines du désir

modifica
  • All'occorrenza mi contenterei dell'amore di Dio. Non del cattolicismo all'italiana che sempre ho professato, ma di un cattolicismo sul serio. Ma che Dio mi provveda Ia fede che mi manca.[50]
  • In generale, la prospettiva di visitare dei Musei, quando l'anima non possiede ciò che desidera fa vomitare. Inoltre non è il caso di oziare vagabondi là dove gli uomini hanno fortemente vissuto: Roma, Firenze, Siena, io non soddisferò la curiosità là dove gli altri poterono soddisfare degl'istinti.[50]
  • L'anima del mondo che è questo fuoco diffuso in ogni membra dell'universo, come la vita nei viventi. Goethe e Attila sono emanazioni della medesima fonte di energia universale. Fenomeni della natura, in quanto tali sono legati l'un l'altro. La bellezza dell'universo, e la sua grandezza, sono costituite sia da ciò che chiamate male che da ciò che chiamate bene, e Attila concorre quanto Goethe. Combattiamo Attila, ma riconoscendo la sua utilità superiore, combattiamolo con compiacenza profonda, e, per così dire, combattiamolo amandolo.
L'âme du monde qu'est ce feu est répandue dans chaque membre de l'univers, comme la vie dans le corps vivant. Goethe et Attila émanent d'une seule source d'énergie universelle. Phénomènes de la nature, comme tels ils sont solidaires l'un de l'autre. La beauté de l'univers, et sa grandeur, sont faites autant de ce que vous appelez le mal que de ce que vous appelez le bien, et Attila y concourt comme Goethe. Combattons Attila, mais en connaissant son utilité supérieure, combattons-le avec une complaisance profonde, et, pour dire, combattons-le en l'aimant.[51]
  • Non v'è bel paesaggio, non v'è bella creatura, che non mi renda doppiamente infelice: della tristezza che ho a non averla e d'immaginare la tristezza che avrei avendola. Né con te né senza di te posso vivere! Il grido del poeta latino durerà quanto l'uomo![50]
  • Per non vivere gli uomini si rifugiano nell'intelligenza oppure nei principi, oppure in pretesi doveri, tutto serve loro, per truccare la loro pigrizia e il loro timore dinnanzi alla vita, per nascondere quanto poco essi si sono preparati, quanto esigono al di qua di ciò che I'uomo può. Rari sono quelli che la provocano, la creano essi stessi, la innovano, inventano le occasioni che li trascineranno.[50]
  • Potendo prendere, non prendere è l'atto essenzialmente virile. Il disdegno è più nobile del desiderio. [17]

Carnets

modifica
  • Aggiungere all'elenco dei patrioti coloro che, a un certo momento, si sono ritorti contro la loro patria. Quando Giolitti fa bombardare d'Annunzio a Fiume, d'Annunzio esclama: «O vecchia Italia, tieniti il tuo vecchio che di te è degno. Noi apparteniamo a una patria diversa, e noi crediamo negli eroi».
A ajouter sur la liste des patriotes qui, à certain moment, se sont retournés contre leur patrie. Quand Giolitti fait bombarder d'Annunzio dans Fiume, d'Annunzio s'écrie : «O vieille Italie! garde ton vieux, il est digne de toi. Nous, nous sommes d'une autre patrie, et nous croyons aux héros». (da ‪Carnets XXIX à XXXV‬, Table ronde, Paris, 1947, p. 245)
  • Ai nostri giorni, il suicidio è considerato un fatto di neurastenia, anzi di viltà, ed esso crea una sensazione di orrore. Presso i Romani, lo compiono gli uomini più degni e più posati: arriva un momento in cui la somma dei disgusti che si provano e che si aspettano è troppo superiore alla somma dei diletti; ci si uccide, e questo viene chiamato l'«uscita ragionevole» (insisto sulla parola «ragionevole», del tutto opposta alla nostra concezione moderna, per la quale il suicidio equivale più o meno allo squilibrio mentale). Non ci si dice che Bruto o Menenio si siano suicidati in una crisi di depressione nervosa; ci si dice che sono vinti e ci si fa capire che s'instaura un ordine che non vogliono sopportare; questa ragione pare più che sufficiente per giustificare il loro suicidio. (da ‪Carnets‬: ‪années 1930 à 1944‬, 1957[52])
  • C'è in Rousseau qualcosa di malsano, qualcosa che sa di dente marcio e latte inacidito.
Il y a dans Rousseau quelque chose de malsain, quelque chose qui sent la dent gâtée et le lait aigri. (da Va jouer avec cette poussière; Carnets, 1958-1964, Gallimard, Paris, 1966, p. 131)
  • Ciò che bisognerebbe riuscire a fare, è morire col sorriso sulle labbra. (da Tous feux éteints, Carnets 1965-67[6])
  • Curioso paese dove un re — George V — e un dittatore — Primo de Rivera — passeggiano con un fiore all'occhiello! Ma nelle democrazie, bisogna essere «seri». Immaginate Poincaré con una rosa al jabot?
Curieux pays où un roi — George V — et un dictateur — Primo de Rivera — se promènent avec une fleur à la boutonnière! Mais dans les démocraties, il faut être «sérieux». Imaginez-vous Poincaré une rose au jabot? (da ‪Carnets‬: ‪années 1930 à 1944‬, Gallimard, Paris, 1957, p. 15)
  • Dopo che si è fatto l'amore, il primo che parla dice una stupidaggine. (da Carnets, 1930-1941[53])
  • È per il nostro oro interiore — per ciò che avevamo di più puro nell'anima e nel carattere — che restammo indietro, fummo afferrati e siamo morti! (da Carnets‬: ‪années 1930 à 1944‬[54])
  • Freud sostiene che il bambino Arpocrate, dio ellenistico, che le statue rappresentano con il dito indice in o sulla bocca, si succhia il dito, e ciò significherebbe che egli ha delle abitudini solitarie. Quanto a me, sono incline all'interpretazione abitualmente accettata che egli si metta il dito sulla bocca per indicare che bisogna far silenzio. Freud era un ossessionato che voleva, come regola della regola più volgare, comunicare a tutti la sua ossessione. L'Eros bambino che governa la vita, e il bambino arpocratico che governa il pre-morte e la morte, questi ultimi sempre intrisi di silenzio.
Freud prétend que l'enfant Harpocrate, dieu hellénistique, que ses statues représentent l'index dans ou sur sa bouche, se suce le doigt, ce qui signifierait, selon cet auteur, qu'il a des habitudes solitaires. J'incline pour moi à l'interprétation usuellement admise, qu'il se met le doigt sur la bouche pour indiquer qu'il faut faire silence. Freud était un obsédé, qui voulait, comme il est de règle de la règle la plus vulgaire, communiquer son obsession à tous. L'enfant Eros qui gouverne la vie, et l'enfant Harpocrate qui gouverne l'avant-mort et la mort, ces dernières toujours pétries de silence.[55]
  • Gli egoisti sono i soli fra i nostri amici per i quali nutriamo un'amicizia disinteressata.[26]
  • I gesti eroici perdono la loro ragione di essere quando coloro che possono comprenderli sono divenuti una minoranza troppo infima. Il samurai si apre il ventre per ammonire l'imperatore che si trova politicamente su una brutta china. Ma se l'imperatore non ha neanche il senso di tale gesto?... Ad un certo punto di abbassamento di una società, l'esempio funziona a vuoto, e la società non merita più l'eroe, che non è più eroe che per se stesso, se così gli piace. (da Va jouer avec cette poussière; Carnets, 1958-1964[52])
  • I saggi Romani mettono la felicità terrena solo nel passato: l'età dell'oro. Oggi l'età del bronzo, o (per usare un linguaggio più consono) l'era del fango.
Les sages Romains ne mettaient la felicité terrestre que dans le passé l'âge d'or. Aujourd'hui l'âge d'airain, ou (pour employer un langage bienséant) l'âge de boue.[56]
  • Il generale Primo de Rivera, morendo all'hotel Pont Royal, in rue Montalembert, torse come se fosse una corda una delle sbarre di metallo del suo letto: particolare che mi colpì quando lo appresi, al punto che lo prestai all'eroe morente dei Célibataires.
Le général Primo de Rivera, mourant à l'hôtel du Pont Royal, rue Montalembert, tord comme une corde un des barreaux de métal de son lit, trait qui me frappa quand on me l'apprit, au point que je le prêtai au héros expirant des Célibataires. (da Va jouer avec cette poussière; Carnets, 1958-1964, Gallimard, Paris, 1966, p. 41)
  • Il maschio è fatto per gli amori corti e multipli: nel matrimonio gli si impone un amore unico e costante.[57]
  • Intorno a me, quando starò per morire, niente fiori borghesi. Che fiori siano tutti i volti posseduti, sulla mia bocca, sul mio petto, che io sia soffocato da quei volti. (da Nocturne in La marée du soir. Carnets 1968-1971[6])
  • L'intelligenza è la facoltà grazie alla quale ci si astiene.[26]
  • La mia avventura terrestre finisce. Presto la mia anima s'involerà sull'ala della fiamma. Io compirò la parola dello stoico citato da Marco Aurelio, che mi colpì così tanto quando avevo sedici anni: «Tutto ciò che è fuoco tornerà al fuoco». Arso come Silla e come Britannico. Del mio corpo, quel che resta sarà gettato per strada. Della mia opera non rimarrà nulla: il mio nome sarà scalzato a martellate, come quello di Malatesta dai monumenti di Pesaro; i serpenti cancelleranno le tracce dei miei passi, come cancellarono quelle dell'esercito di Pompeo. Va tutto bene. Sono stato un uomo di piacere prima, poi un creatore letterario, e poi niente. Il piacere è stato ottenuto, le mie opere le ho create per far piacere a me, e questo piacere è stato raggiunto. Ecco perché tutto è bene così. Ho dimenticato la mia vita eterna. Se il Dio dei cristiani è quello giusto, io sono molto tranquillo.
Mon aventure terrestre s'achève. Bientôt mon âme s'envolera sur l'aile de la flamme. Je réaliserai le mot du stoicien cité par Marc Aurèle, qui me saisissait si fort quand j'avais seize ans: «Tout ce qui est feu retournera vers le feu». Brûlé comme Sylla et comme Britannicus. De mon corps le résidu sera jeté à la voirie. De mon oeuvre rien ne restera, on y mettra trop de vigilance mon nom sera martelé comme le nom des Malatesta sur les monuments de Pesaro; comme l'armée de Pompée, les serpents effaceront la trace de mes pas. Tout est très bien ainsi. J'ai été un homme de plaisir d'abord, ensuite un créateur littéraire, et ensuite rien. Le plaisir est pris les oeuvres, c'est pour me faire plaisir aussi que je les faisais, et ce plaisir lui aussi est pris. C'est pourquoi tout est bien ainsi. J'oubliais ma vie éternelle. Si le Dieu des chrétiens est le bon, je suis bien tranquille.[58]
  • La pigrizia è il rifiuto di fare non soltanto ciò che annoia, ma anche quella moltitudine di atti [...] che senza essere, a rigore, noiosi, sono tutti inutili.[26]
  • Mi domando se ci si può interessare all'anima di una donna le cui gambe sono irrimediabilmente troppo corte.[26]
  • Non ti perdoneranno il suicidio a meno che tu non lo faccia in modo "pulito". Niente revolver, che orrore! Nemmeno cianuro, obsoleto. Un nuovo veleno, che ferma il cuore. Ti troviamo morto, bene, pulito. Il dottore può parlare di infarto. La decenza sociale è salva. Trovo orribile, come ho già scritto, questi doveri sociali imposti a un moribondo e, in caso di suicidio, a un moribondo disperato.
On ne vous pardonnera de vous suicider que si vous le faites de façon "propre". Pas de revolver, quelle horreur! Pas même de cyanure, dépassé. Un nouveau poison, qui arrête le coeur. On vous trouve mort, gentiment, proprement. Le médecin peut parler d'infarctus. La décence sociale est sauve. Je trouve cela horrible, je l'ai déjà écrit, ces devoirs sociaux imposés à un moribond, et, dans le cas du suicide, à un moribond désespéré.[56]
  • Quest'uomo che si considera cristiano, si è tirato un colpo di revolver perché non era più d'accordo col mondo che è stato creato. Ha fatto un segno di croce sul revolver, l'ha baciato e se n'è andato.
Cet homme qui se veut chrétien, s'est tiré un coup de revolver parce qu' il n'était plus d'accord avec le monde qu'on nous a façonné. Il a fait un signe de croix sur le revolver, l'a baisé et allez-y. (da La marée du soir. Carnets 1968-1971[59])
  • Se non si attua un ribaltamento eroico, vedremo sparire in Europa i valori nobili, sotto l'odio e la coalizione unanime della mediocrità e della bassezza. Gli uomini del bushidô sono i vinti e i perseguitati di domani.
S'il ne se fait pas un retournement héroïque, nous allons voir disparaître en Europe les valeurs nobles, sous la haine et la coalition unanime de la médiocrité et de la bassesse. Les hommes du bushidô sont les vaincus et les persécutés de demain. (da ‪Carnets XXIX à XXXV‬, Table ronde, Paris, 1947, p. 26)
  • Si dice nell'antico Giappone che due stranieri che si mettono al riparo dalla pioggia sotto uno stesso albero o prendono l'acqua dallo stesso pozzo, saranno amici in un'altra vita. (da Carnets 1930-1944[60])
  • Si riconosce subito un uomo giudizioso dall'uso che fa del punto e virgola.
On reconnaît tout de suite un homme de jugement à l'usage qu'il fait du point et virgule.[61]
  • Si sarebbe tentati di recarsi in una cappella buia, dietro l'altare maggiore, solo due vecchie e voi, qualche candela bruciata in onore dell'Altissimo a illuminare i vostri "peccati", e assistere a una messa bassa detta da un prete che crede. Ma con la reputazione che i sacerdoti e le chiese hanno oggi, c'è la paura di imbattersi in un burlone, in una chiesa saccheggiata, e si preferisce celebrare a casa propria, a modo proprio, un Dio che onoriamo e al quale non crediamo.
Qu'il serait tentant d'aller dans une chapelle sombre derrière le maître-autel, que ne peuplent que deux vieilles femmes et vous, que n'éclairent que vos "péchés", bouquet de cierges brûlant à la gloire du Très-Haut, assister à une messe basse dite par un prêtre qui croit. Mais, avec la réputation qu'ont aujourd'hui les prêtres et les églises, on redoute de tomber sur un farceur, dans une église saccagée, et on préfère célébrer chez soi, à sa façon, un Dieu qu'on honore et auquel on ne croit pas.[62]
  • Talvolta sembra che il nostro pensiero si muova senza che noi lo vogliamo. Pensa in noi come nevica sulla campagna.
Quelquefois il semble que notre pensée se meuve sans que nous y ayons part. Il pense en nous comme il neige sur la campagne. (da ‪Carnets XXIX à XXXV‬, Table ronde, Paris, 1947, p. 205)
  • Tutte queste storie d'Edipo, di Fedra, di Pasifae, in cui ci si monta la testa sui sedicenti crimini, [...] sono in realtà azioni innocenti come accendere una sigaretta.[57]
  • Vorrei essere cristiano solo per pochi istanti, così da poter pregare per l'anima di Pompeo e per quella di Malatesta, come Dante fece pregare papa Gregorio per l'anima dell'imperatore Traiano. L'idea di Dante, idea sublime: questo è il cristianesimo. Ebbi questo pensiero molto giovane, probabilmente bambino. Ma pensavo a Scipione e non a Malatesta, di cui ignoravo l'esistenza.
Je voudrais être chrétien ne füt-ce que quelques instants, afin de pouvoir prier pour l'âme de Pompée et celle de Malatesta, comme Dante fait prier le pape Grégoire pour l'âme de l'empereur Trajan. L'idée de Dante, idée sublime: voilà le christianisme. J'ai eu cette pensée très jeune, sans doute même enfant. Mais je pensais à Scipion et non à Malatesta, de qui j'ignorais l'existence.[63]
  • Viva chi mi abbandona! Mi restituisce a me stesso.
Vive qui m'abandonne! Il me rend a moi-même. (da Carnets, Gallimard, Parigi[64])

Carnets (1930-1972)

modifica
  • A tavola la faccio sedere al mio fianco (e non di faccia a me), perché così, non vedendola, mi tormenterà di meno. (p. 171)
  • Abbattere una chiesa? Va bene, ma sulla piana deserta s'innalzerà ben presto la chiesa di una nuova fede, il tempio di una nuova stupidità. Così come un nuovo foruncolo spunta di fianco a quello che hai strizzato. «Nuova stupidità», l'espressione è impropria: identica stupidità. C'è al mondo una somma di stoltezza che resterà sempre sensibilmente costante; saranno diverse solo le forme che assumerà. Ho di meglio da fare che porgere attenzione a questa foruncolosi dell'umanità. (pp. 173-174)
  • Agire come se si fosse morti, senza chiedere l'intervento di nessuno. (p. 181)
  • Amo molto quei personaggi che, nelle tavole del Quattrocento, sono indifferenti alla scena. Mi ricordano me stesso. ( p. 171)
  • Assalito da un bisogno improvviso e irresistibile – come il tossicomane per la droga – lascio il lavoro o qualunque cosa stia facendo, mi alzo e vado a prendere non importa quale volume dell'antichità latina, che apro e leggo a caso: Properzio o Tito Livio, Catullo o Apuleio, scorro poi qualche pagina più avanti, poi qualche pagina più indietro. Così facevano i credenti di altri tempi col Vangelo e, come loro, se non ottengo una risposta alla questione che mi ponevo, almeno raggiungo la pacificazione dell'inquietudine. ( pp. 180-181)
  • Ci sono due passaggi della vita nei quali ogni uomo è rispettabile: l'infanzia e l'agonia. ( p. 178)
  • Come sbarazzarsi di qualcuno? prestandogli danaro. Non avendo alcuna intenzione di restituirlo, egli non darà più segno di vita. (p. 171)
  • Come tutte le persone spiritualmente un po' deboli, aveva bisogno di idee molto nette. Era dunque meticoloso negli affari materiali e dottrinario in quelli morali. (p. 173)
  • Cosa c'è di più assurdo di queste vampate e di queste lacrime, quando, in capo a tre mesi, si cambierà marciapiede pur di sfuggire a chi le ha provocate? L'amore può essere preso sul serio solo dall'artista che ne cava un'opera d'arte. (p. 171)
  • È più facile simulare una grande anima piuttosto che una grande intelligenza. (p. 177)
  • Gli uomini preferiscono le laide, che li garantiscono contro ogni complesso d'inferiorità. (p. 180)
  • Hugo, Tolstoj, Wagner illustrano quel magnifico pensiero di Nietzsche secondo il quale l'uomo di genio, per proteggersi dal pubblico – che odia in lui il genio – deve assumere il tono della pietà, simulare venerazione per tutto ciò che soffre, per tutto ciò che ha vissuto nell'abiezione e nel disprezzo, ecc.
    È sempre per proteggersi che i grandi artisti individualisti, a partire da un certo momento della loro carriera, non hanno osato camminare che aggrappati a una causa: Byron, Barrès, D'Annunzio, ecc.
    Tutto ciò, del resto, non succede che a partire dal XIX secolo. (p. 174)
  • I Pensieri di Pascal, le Memorie di Saint-Simon e le Memorie d'oltretomba sono le tre opere che hanno creato la prosa francese moderna.
    Tutt'e tre sono opere postume. (p. 171)
  • I pensieri sono cani smarriti senza collare. Appartengono sempre a qualcuno, non si sa chi, che li ha abbandonati al primo venuto. (2009, p. 178)
  • Il bisogno di aprirsi a qualcuno è così forte che si arriva a farlo in modo strano. La zitella, per parlare col suo animale, lo fa col gatto. Il prigioniero parla col ragno della sua cella. L'artista parla come se parlasse al mondo, quando sa bene che parla per dieci persone. (p. 180)
  • ll critico non si rende conto che quando giudica un autore, è lui stesso che si dona al giudizio, più che l'autore. (p. 179)
  • Il giovane posa a sventurato, il vecchio posa a felice. (p. 179)
  • Il patriottismo è detto civismo quando lo si vuole far passare, nazionalismo quando non si vuole che passi. (p. 179)
  • Il potere personale è indifendibile. Il suffragio universale è indifendibile. Ma con l'uno o l'altro i popoli mangiano, fanno figli, non vogliono morire, infine avanzano, di sproposito in sproposito, di vergogna in vergogna. Rivoluzioni? che farsene? (p. 179)
  • Il successo in questo mondo è legato solo alla situazione sociale.
  • Il vero calvario del processo è l'avvocato. Della malattia il medico. Dell'agonia il prete. Soprattutto se sono autorevoli rappresentanti delle loro specialità. (p. 173)
  • L'Ecclesiaste è il più intelligente dei libri. Come a dire che non è un libro triste. È al contrario un libro felice.
    Afferma che è del tutto inutile fare qualunque cosa. Che bisogna «rallegrarsi», servirsi delle «ragazze del canto» (non dice espressamente che bisogna rallegrarsi di loro, ma allude al giorno in cui non ci saranno più; dunque sono esistite, ed esistite a sufficienza dato che viene rimarcato il giorno della loro sparizione). E che tutto il resto è pascolo del vento. (p. 177)
  • La mia natura m'induce a lasciare in pace il nemico, quando lo vedo volgarmente attaccato. (p. 178)
  • La nozione di saggio non esiste più oggi in Occidente. Non soffrire – ideale della saggezza – non è considerato più una virtù, ma un vizio («È un egoista»), o anche una malattia, una deficienza morale. (p. 174)
  • Lo scrittore che, suicidandosi, cambia una parola, per evitare un'assonanza, nella lettera che lascia per il commissario di polizia. (p. 179)
  • M'infastidisce rintracciare presso gli antichi Greci la norma morale secondo cui la felicità deve essere acquisita mediante la sofferenza. Cosa che è anche alla base delle offerte agli dei: in cambio di un bene richiesto, si abdica da uno di quelli che si possiede. Volgarità di questo cristianesimo ante litteram. (p. 173)
  • Non appena abbiamo scritto una frase non ci crediamo più, ma lasciamo che tutti gli altri ci credano per l'eternità. (p. 180)
  • Non ci si spiega l'amore apparentemente assurdo dell'uomo per il proprio lavoro finché non si coglie che, mentre pratica la sua attività, egli fugge da moglie e figli. (p. 173)
  • Non occuparsi di quel che sarà dopo la morte, né sul piano metafisico, che sarebbe tempo perso dato che non possiamo saperne nulla; né sul piano concreto poiché delle nostre ultime volontà nulla sarà fatto [...] (p. 181)
  • Non si dona a un altro che il diritto di essere la propria apparenza. (p. 178)
  • Pensare alla felicità non come a uno stato vago che si prova a cose fatte, ma come a uno stato acuto che si coglie sul momento.
  • Per scusarsi di essere stato infedele: «Mettiamo che mi sono sbagliato di donna, e non ne parliamo più». (p. 174)
  • Perché gli uomini vengono al mondo? Gli uomini vengono al mondo affinché possano morire e, dopo la loro scomparsa, si possa mentire sul loro conto nella totale impunità. (p. 179)
  • Quando morirò, si troveranno ancora delle ragioni per mostrare che non sono morto come era opportuno. (p. 177)
  • Questi eserciti dei cieli, le costellazioni, fanno rotta verso l'abisso come flotte sui mari. Quale abisso? Il giorno che nasce. A ciascuno il suo abisso. (p. 175)
  • Ritrarsi il più possibile (salvo con chi si ama e con chi si ha piacere di vedere) [...] (p. 181)
  • S'indignava con alte grida della cattedrale di Reims bombardata dai Tedeschi, ma mai una sola volta nella sua lunga vita era stato a vedere la cattedrale di Reims. (p. 178)
  • Se fossi stato cristiano credente, mi sarei fatto prete. E sarei stato un santo. Perché o un credente è santo o non è un credente. (p. 176)
  • Si parla spesso della consolazione che alcuni trovano a credere nel paradiso. Si scorda la consolazione che altri provano a non credere all'inferno. (p. 173)
  • Tra tutte le preghiere espresse dagli scrittori credo che nessuna mi turbi tanto come quella di Tolstoj, in una pagina del suo diario giovanile: «Dio mio, donami la semplicità dello stile». (p. 174)
  • Un sapiente, accorgendosi che la propria saggezza gli causava disprezzo, esercitò violenza contro se stesso per forzare il rispetto. Fu quegli il primo asceta. ( p. 174)
  • Una civiltà non muore per i suoi vizi, ma per non essere così forte da poterli sopportare. Si potrà godere molto a condizione di essere molto forti. Ma non si diventerà forti perché ci si priva del godimento. (p. 178)
  • Uno dei vostri amici, di quelli solidi e di lunga data, prende le distanze. Vi rompete il cervello: cosa gli ho fatto? in cosa ho sbagliato? D'un tratto capite: si è sposato. Ridicolo. (p. 182)

Fils de personne

modifica
  • Georges: La memoria [...] è l'intelligenza degli sciocchi.
Georges: La mémoire [...] est l'intelligence des sots. (p. 245)
  • Georges: Quando apro la mia finestra sul mondo, ciò che mi fa più soffrire, è lo spettacolo della indulgenza. Ovunque la ritrovo, in alto, in basso... L'indulgenza, questo serpente a cui si dovrebbe schiacciare la testa.
Georges: Quand j'ouvre ma fenêtre sur le monde, ce qui me fait le plus souffrir, c'est le spectacle de l'indulgence. Partout je la retrouve, en haut, en bas... L'indulgence, ce serpent auquel il faudrait écraser la tête. (p. 247)

Gli scapoli

modifica

In quella fredda sera del febbraio 1924, verso le diciannove, un uomo che dimostrava sessant'anni suonati ― barba incolta e d'un grigio ambiguo ― stava ritto come un palo davanti a un negozio della rue de la Glacière, non lungi dal boulevard Arago, e leggeva il giornale alla luce della vetrina, aiutandosi con una grossa lente rettangolare da filatelico.[65]

Citazioni

modifica
  • A cominciare da una certa età, ogni parola mordace pronunziata, ogni lettera anonima inviata, ogni calunnia propalata ti fa guadagnare mesi sulla tomba perché esaspera la tua vitalità. La cattiveria conserva, come l'alcool. (pp. 20-21)
  • Ambizione e avidità sono le due gambe dell'uomo moderno; chi non le possiede è un tronco nella folla. E tuttavia noi, che scriviamo in questi termini, facciamo tanto di cappello a codesto tronco umano. (p. 26)
  • È di regola che attorno ai vent'anni un uomo si metta i paraocchi e poi, vita natural durante, vada dritto davanti a sé come un bruto qualsiasi. (p. 40)
  • Le parole inglesi orripilavano Elie, 1) perché egli non sapeva l'inglese, 2) perché "facevano moderno", 3) perché, nonostante il 1914, a suo avviso il nemico era pur sempre Wellington.
  • [...] un'euforia paragonabile a quella del martire che sale sul rogo, o, meglio ancora, a quella dell'uomo che si fa tagliare le vene, e la vita ne sfugge: la voluttà che si prova nel sentirsi indebolire all'estremo. (p. 69)
  • [...] il carattere "sacro" del lavoro manuale è una trovata puramente e specificatamente borghese. (p. 77)
  • La signorina de Bauret si sentiva portata alle lettere e alle arti, ma la sua cultura letteraria aveva come punto di partenza la fine del XIX secolo: in una parola non esisteva. La ragazza vedeva e spiegava il cosmo attraverso le manie di qualche autore alla moda; per esempio credeva sinceramente che, bambino, l'uomo è innamorato della madre; o, se qualcuno confessava d'aver avuto voglia di spingere un passante sotto il tram, ella diceva: "Avete letto troppe volte le Nourritures terrestres"; al che l'altro spalancava tanto d'occhi, ignorando, beninteso, perfino il titolo del libro. Proclamava che un pagliaccio del cinema a nome Charlot era un genio. Quando si abbandonava a una fantasticheria, la chiamava "monologo interiore". Quando de Coantré le diceva che lo zio Octave non voleva guardare in faccia la realtà, ella traduceva nel suo gergo: "Non vuol sottomettersi all'oggetto". Eccetera. A venticinque anni tale infantilismo spirituale le conferiva quella sorta d'imbecillità caratteristica del sedicenne che comincia a studiare filosofia e scopre l'anima umana e l'umano pensiero nei manuali di Paulin Malapert. Inutile dire che in politica la signorina de Bauret aveva idee progressiste. L'autentica tara della signorina de Bauret, tara in parte dell'età e in parte dell'epoca, consisteva nel fatto che per lei novità era sinonimo di valore. È questo un indice sicuro di barbarie. (pp. 88-89)
  • [...] in qualsiasi società sono sempre gli elementi d'intelligenza inferiore che vivono con l'assillo d'essere al corrente. Incapaci di discernere con l'aiuto del buon gusto, della cultura e dello spirito critico, essi giudicano i problemi automaticamente in base al principio che la verità è la novità. (pp. 88-89)
  • Dirlo sembra volgare, ma bisogna: la "mancanza di relazioni" è uno dei grandi mali della società. (p. 96)
  • Nessuno slancio vitale, né verso il bene né verso il male, in questa folla dove la gioventù stessa non era la gioventù: nulla d'istintivo, nulla di vigoroso, nulla nemmeno di naturale in questa folla dai volti di prostituta, dove persino i più maschi dei maschi si uccidevano fra loro con l'arma delle donne: questa massa esangue è un brulichio di vermi in una latrina militare all'aperto. (p. 114)
  • Ah, quest'ora dell'alba, nelle città! c'è in essa tutto il mistero, tutta la speranza del giorno. Alba e crepuscolo: le due ore cittadine che suggeriscono l'avventura. (p. 123)
  • [...] per il signor de Coantré [...] rimaneva evidente che soltanto nel popolo si trova un po' di carattere. Il masochismo di classe è una gran cosa! Popolo caro, saresti ben stupido a non profittare di questa manna con una classe per la quale, da un secolo e mezzo, è sempre il 4 agosto! (p. 145)
  • Nulla della vita si capisce finché non si è compreso che in essa tutto è confusione. (p. 167)

I bestiari

modifica
  • Quel toro, che cosa graziosa. Un amore. Come si vorrebbe ucciderlo. (c. II)
  • Io applico sempre a questi esibizionisti della bontà, come li chiama uno dei nostri scrittori, il frammento di Pindaro. Gli Sciti affettano in pubblico una tale delicatezza che essi non possono soltanto, dicono, vedere il cadavere di un cavallo. Ma, in segreto, gli divorano coi denti la pelle dei piedi ricurvi e della testa. (c. III)
  • Onore e lunga felicità ai tori bravi e candidi di spirito. Che essi passeggino eternamente nelle praterie celesti, per aver dato una grande gloria ai giovani. (c. III)
  • Com'è abbrutito, quando non uccide! — si diceva Albano.... Lui stesso, quando non era in una passione, aveva l'aria abbastanza abbrutita. (c. V)
  • Dalla doppia ferita colava, con l'avidità d'una sorgente, il sangue generatore e purificatore. [...] Essa [la bestia] arrivò con enfasi alla cima del suo spasimo, come l'uomo alla cima del suo piacere, e, come lui, vi restò immobile. E la sua anima divina fuggì. (c. VIII)
  • Non era più un combattimento era un incanto religioso che elevavano questi gesti puri, più belli che quelli dell'amore.... E colui che li disegnava, sollevato da terra come i mistici da una straordinaria felicità corporale e spirituale, si sentiva vivere uno di quegli alti minuti svincolati, ove ci appare qualche cosa di compiuto, che noi tragghiamo da noi stessi e che noi battezziamo Dio. (c. VIII)
  • «Marchese — disse il cavaliere, arrossendo come un tizzone sul quale si soffi, avendo egli un'anima di colombo e temendo sempre di dire cose stolte — i vostri cavalli sono certo figli del sole. Dall'alba al crepuscolo, a mano a mano che avanzano pascolando, descrivono ogni giorno lo stesso cerchio. Da lungi sapevo l'ora guardando il punto dove si trovavano». «Io — disse il più giovane della compagnia — li credevo figli delle maree. La prima volta che venni qui, camminavo svelto, sentendo che si spostavano sopravanzandomi alle spalle come una marea crescente...». «Il Fuoco e l'Acqua — mormorò il gran sacerdote, con venerazione —. Ciascuno di noi dice bene: sono figli del sole e delle maree».[66]

Il caos e la notte

modifica
  • Gli anarchici appartengono sempre al passato perché non credono che alla morte. (p. 25)
  • Un matador che avanza a piccoli passi verso il toro è un uomo che cammina sul mare. (p. 99)
  • Quand'era giovane diceva a se stesso: la vita è un toro da combattimento. Oggi pensava che era l'uomo un toro da combattimento. Ciò che si toreava in quell'arena, in centinaia di arene, ogni domenica, era l'uomo. Si uccideva la bestia al posto dell'uomo. Sarebbe stato meglio, certamente, uccidere l'uomo, e lo si era fatto, dalle due parti, durante la guerra, in cui capitava che l'avversario politico venisse toreato secondo tutte le buone regole, in un'arena cittadina, o in una piazza di villaggio, fino alla morte compresa. Cosa che disgraziatamente non si poteva fare in tempo di pace. Allora il toro assumeva su di sé tutto il destino umano, condensato in un quarto d'ora di corrida. E l'uomo veniva a vedere, rispettabile e in piena sicurezza, quello che senza tregua avrebbe voluto fare all'uomo. La Spagna rappresentava la passione dell'uomo, sotto la maschera della passione della bestia, come la Chiesa pretendeva di rappresentare la passione di un dio, sotto la maschera della passione di un uomo. (p. 99)
  • Calma, anima mia, calma! Tiriamoci fuori da queste minuzie ridicole e sordide. Che cosa sono in confronto alla guerra? Sì, ma in guerra avevamo tutta la nostra forza, la forza dei muscoli e della fede, della fede in qualcosa, se non la speranza in qualcosa, qualcosa aveva ancora un senso, eravamo un altro Celestino Marcilla. (p. 120)
  • Si mette a sfogliare qualche rivista illustrata. Una pubblicità sul massaggio facciale. Accanto, un articolo: "La liturgia alla portata di tutti". Una pubblicità sul grande sarto. Accanto, un articolo "Il rosario quotidiano in famiglia". Celestino, che brontola qualcosa fra i denti, dimentica i giornali parigini che annunciano, con pari importanza, a sinistra l'imminente guerra civile, a destra l'ultima insulsaggine della sgualdrinella del cinema e della sgualdrinella principessa di sangue. (p. 123)
  • C'era la vita che era mobile, confusa e incoerente, e poi, quello che c'è per l'uomo prima della sua vita e dopo la sua vita, che era fisso e assoluto. L'altoparlante diceva il vero: c'era il caos, che era la vita, e la notte, che era ciò che c'è prima della vita e dopo la vita (Caos e Notte, due personaggi della divina commedia di Esiodo, di Esiodo che Celestino non aveva letto). C'era il nonsenso, che era la vita, e il non essere, che era quello che c'è prima della vita e dopo la vita. (p. 158)
  • Celestino aveva notato a Parigi che, non appena si vedeva una innovazione di qualsiasi genere, immancabilmente — immancabilmente — ci si rendeva conto, dopo più o meno tempo, che era ricopiata dagli americani e ne aveva concluso che in Francia il genio inventivo e creativo si era esaurito. Ma era la stessa cosa a Madrid. Questa servilità si spingeva ancor piu lontano, allorché non si trattava più soltanto di copiare gli americani, ma di non dispiacer loro. (p. 179)
  • E questo è di una stupidità talmente inaudita, è concepito talmente da idioti che trattano gli altri da idioti, che Celestino pensa subito debba essere d'ispirazione americana. (p. 201)
  • Una radio — una radio domenicale — eruttava una canzonetta nordamericana, su un ritmo isterico, un agitarsi schifoso di scimmioni e bertucce ebbri. [...] La nazione che aveva imputridito il mondo — che imputridiva la Spagna e la Russia stessa, i due soli paesi che fossero degni di interesse e di amore — saltava fuori a imputridire la sua ora suprema. Giungeva in buon punto per distruggere la solennità della sua ultima ora, per strappargli l'anima o per travestirla nel momento in cui era il suo più sacro diritto esser nel pieno possesso della propria anima, e della propria anima quale egli voleva che fosse. La cosa fu talmente tragica per Celestino che il sudore gli uscì dal torso e inzuppò la maglia di cellular, come il giorno in cui Ruiz l'aveva insultato in square Willette. I singhiozzi e i vomiti sonori continuavano togliendogli ogni coscienza di essere un essere umano, giacché la degradazione dell'essere umano che implicavano, secondo lui, era tale che chi li ascoltava cessava di essere un essere umano. E nondimeno intorno a quasi tutto il pianeta milioni di individui ascoltavano quella roba con piacere! La bassezza yankee, con una demoniaca abilità, aveva ovunque stuzzicato quello che l'uomo ha in sé di piu basso, per esasperarlo e talvolta rivelarlo a se stesso. (p. 204)
  • Gli Stati Uniti sono il cancro del mondo. [...] Una nazione senza onore. [...] Una sola nazione che arriva a far abbassare l'intelligenza, la moralità, la qualità dell'uomo su pressoché tutta la superficie della terra, è una cosa mai vista da quando la terra esiste. Io accuso gli Stati Uniti di trovarsi in costante stato di delitto contro l'umanità.[67]

Il cardinale di Spagna

modifica
  • Cisneros: L'indifferenza alle cose di questo mondo è sempre una cosa santa e, anche quando Dio ne sia assente, una cosa essenzialmente divina. Lei e io, tutti e due, neghiamo quello che si pensa che noi siamo. Tutti e due apparteniamo alla stessa razza. Coloro che hanno guardato quello che lei chiama il nulla e che io chiamo Dio, hanno il medesimo sguardo.[68]
  • Lo Spagnolo non è mai stato un tenero – non ci sono laghi nella Spagna – e del resto in nessun paese dell'Europa, nel secolo XVI, era di moda l'amore, dico l'amore umanitario. [...] Un [...] frate politico, il Padre Giuseppe, sta dicendo la messa. Vengono ad annunciargli che sono stati fatti duecento prigionieri spagnoli e gli chiedono, se debbano essere uccisi. "Sì, tutti," risponde il frate e ricomincia a leggere il Vangelo.[69]
  • Molti Francesi, e tra loro in modo particolare gli intellettuali parigini, assumono arie superiori quando si tratta di tauromachia. La tauromachia è qualcosa che va molto lontano. Il dramma taurino, noi possiamo incontrarlo a tutte le cantonate della vita e per tutta la vita. Avrei molte cose da dire a questo proposito e con profondità ben maggiore di quando ne scrivevo trent'anni fa. Quello che dovrei dire è essenzialmente questo: il dramma del toro, nel quarto d'ora della corrida, riproduce la vita dell'uomo, riproduce il dramma dell'uomo: nella passione di un animale l'uomo viene ad assistere alla sua passione.[70]

Il gran maestro di Santiago

modifica
  • Alvaro: Voi non sapete fino a qual punto io sia affamato di silenzio e di solitudine: una vita sempre più spoglia. Ogni essere umano è un ostacolo per chi tende a Dio. I movimenti che Dio mi fa la grazia di mettere in me, io non posso sentirli che in una astrazione completa, come quelli che ascoltano la musica ad occhi chiusi. Mi occorrerebbero giornate vuote, tanto vuote. Tutto quello che viene dal di fuori, l'amicizia stessa, e soprattutto l'affetto, vi entrerebbero solo per portare turbamento. (1950, p. 59)
  • Alvaro: L'oro faceva gola, allora [prima della presa di Granata], perché dava potere, e il potere serviva a fare grandi cose. Ora invece si ama il potere perché frutta oro, e quell'oro serve a far bassezze. (1950, p. 60)
  • Bernal: Donar tutto a dei poveri idioti che vi odieranno per aver loro donato.
    Alvaro: La carità non ha senso che quando è ripagata con questo odio. La carità mi vale in cospetto di Dio. (1950, p. 61)
  • Alvaro: Dio non vuole né cerca: Egli è l'eterna calma. Non volendo niente tu rispecchierai Dio. (1950, p. 66)
  • Alvaro: Partiamo per vivere. Partiamo per essere morti e viventi in mezzo ai viventi. (1950, p. 66)
  • Alvaro: Saremo gli ultimi! Quanta forza in questa parola, ultimi, che s'apre sul nulla sublime! (1950, p. 66)
  • La carità contiene parecchi caratteri della passione, perché in ogni sentimento d'indole religiosa, tendente a un assoluto, c'è della passione. La carità ha della passione tutto quanto è fuoco, impetuosità, austerità, esclusività, tirannia, ma serba in sé una parte contemplativa, pura e disinteressata.[71]
 
Julián Romero de las Azanas y su santo Patrono, (El Greco, 1612-1618)
  • [Sul dipinto Julián Romero de las Azanas y su santo Patrono di El Greco] Mai, mi sembra, è stato reso in un modo così commovente il "Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio". L'implorazione degli occhi, l'abbandono delle bocche (in questi due capi di guerra! delle bocche da venir comunicate con un poco di terra e d'erba), il gesto così fraterno del cavaliere (come lo circonda bene, il suo orante!), le mani dell'inginocchiato, belle come un bel destino, tutto compone una freccia che raggiunge il segno. Infine una pittura cattolica che raggiunge il segno: elevare, edificare. L'autore ci fa grazia, questa volta della sua visione celeste. Il soprannaturale non è più evocato, qui, dai grossolani mezzi cari al Greco: quella deformazione del corpo umano che non soltanto è un'offesa per la più bella creazione di Dio, ma è contraria al dogma, secondo il quale i corpi risusciteranno nello stato della loro più grande bellezza. I due supplicanti del "Romero" sono il reale, poiché è presumibile che quelle espressioni prestate loro dal pittore, le abbiano talvolta veramente avute strettamente tali come le vediamo nel quadro; e nel tempo stesso trascendono il reale. Sono umani quanto è possibile esserlo, e nello stesso tempo portano il riflesso del divino.[72]
  • Oltre il reale e oltre l'irreale, c'è il profondo. Al di là di una semplice realtà di impulsi fisici e relazioni quotidiane, oltre l'artificialità delle virtù di pura maniera e i codici di condotta, c'è questa profondità, accessibile solo mediante l'introspezione e la contemplazione di ciò che è. Questo paradiso del profondo può essere raggiunto solo dallo sforzo personale dell'individuo e la scoperta non può essere comunicata agli altri.
Au-delà du réel et au-delà de l'irréel, il y a le profond. Par-delà une simple réalité d'impulsions physiques et de rapports quotidiens, par-delà l'artificialité de vertus de pure fabrication et les codes de conduite, il y a cette profondeur, seulement accessible par l'introspection et la contemplation de cela qui est. Ce paradis des profondeurs ne peut être atteint que par l'effort personnel de l'individu et la découverte n'en peut être communiquée à autrui. Le lieu est déjà de lui-même partie art de vivre, et partie intrinsèque d'un art.[73]
  • Un ceppo di quel legno durissimo che nelle Indie orientali chiamano «angelino», del quale i conquistatori avevano rivestito la prora d'una delle loro navi, era venuto a dare in secco sopra uno degli scali di Lisbona, ove serviva di sedile ai poveri. Re Filippo Secondo, veduto il ceppo e saputo il suo ufficio, se n'era commosso e lo aveva fatto mandare all'Escuriale, ove similmente serviva di panca ai poveri. Ora, Filippo Secondo, vicino a morte, comandò che la sua bara fosse tagliata in quel ceppo. Lo stesso legno che aveva solcato i mari sconosciuti, per portare di là da essi la Rivelazione, il legno dei conquistatori divenuto legno dei poveri – Dio, la guerra, la carità – finì barca tenebrosa, la barca di sogno devoluta all'ultimo viaggio del monarca dell'universo.[74]

Il paradiso all'ombra delle spade

modifica
  • Una sorta di violenza disciplinata e pacata, semplicità, salute, qualcosa di rude e verginale, che non si autocontempla: ecco quel che ho amato nella guerra, sì, amato, nonostante tutta l'angoscia e l'orrore. (p. 112)
  • Qui [sui campi di calcio] tutto è strettamente congiunto con la natura: la terra, il vento, il sole, sono compagni che giocano contro di noi o a favore nostro, e vedi bene che poco fa eravamo i fratelli della pioggia, così com'ero come nella vecchia guerra il fratello delle radici e della notte stellata. (pp. 112-113)
  • Noi non ci diamo cura per nulla d'essere morali, ma, incontrando la sera quella gente di città, pusillanime e sofisticata, con la sua inquietudine e le sue necessità e i suoi peccati e i suoi affanni imbecilli, umanità che non ha in comune con noi se non quelle funzioni che abbiamo in comune anche con le bestie, mi sembra allora di veder chiaramente che questa vita che noi conduciamo è quella che fu sognata dai saggi e da Dio. Peyrony! Peyrony! Noi abbiamo ora la facoltà di immaginarci l'età dell'oro! E se tutto questo, come è giusto credere, non è che un'introduzione a cose più grandi, benvenuto sia sulla nostra età dell'oro il crudo riflesso del secolo di ferro. Il paradiso è all'ombra delle spade. (p. 113)
  • Ciò che costituisce la morale dello sport è un ideale di potenza in funzione d'un ideale di qualità. [...] il corpo rimesso nella sua dignità e naturalmente distinto dalla carne.[43]

Il solstizio di giugno

modifica
  • Il cavaliere, cristiano o giapponese, si oppone per natura al borghese. Non potrebbe essere altrimenti per uno che possiede una civiltà interiore più rara e più avanzata di quella che circola intorno a lui. (p. 28)
  • I bushi combattevano anche il buddismo, altra fonte d'infiacchimento. Tutto ciò che vien tolto alla religione può e deve essere dato alla patria. Renan, tra le cause dell'indebolimento dell'esercito romano alla fine dell'Impero [...] pone l'avvento del cristianesimo. [...] Sembra logico che il gusto della debolezza, l'eccitazione nervosa, la paura dell'inferno proprie del cristianesimo possano anemizzare un popolo. L'indifferenza degli antichi nei confronti della morte, oggi dei Mussulmani e dei Giapponesi, potrebbe esserne la controprova. (p. 29)
  • Invece di ricoprire il nobile ruolo che viene loro attribuito nella cavalleria, le donne sono state uno dei fermenti della sua decomposizione, quando, a metà del XIII secolo, il loro gusto, divenendo dominante, ha imposto il passaggio dalla sana e sublime letteratura germanica delle canzoni di gesta alle false e vuote sciocchezze dei romanzi bretoni della Tavola Rotonda. I romanzi della Tavola Rotonda sono il rifugio della galanteria, è la canea che ha inizio [...] è la morale da sartina che [...] ha fatto tanto male alla Francia, evirandola e allontanandola dalla realtà. (p. 36)
  • Mi piace il sangue e il latte, come i Mani. Quel sangue puro e severo, che era quello dell'Ordine, scorreva come attraverso un lago di latte profumato. (p. 40)
  • L'uomo non ama i coraggiosi. (p. 45)
  • Lo spirito di cavalleria fiorisce sull'orlo delle guerre, come l'edelweiss fiorisce sull'orlo dell'abisso. (p. 45)
  • [Sulla censura] Da quando gli uomini esprimono i propri pensieri, non hanno reso l'umanità né più saggia, né più intelligente, né più onesta. Essa non andrà peggio se gli uomini se ne terranno alcuni per sé. (p. 52)
  • A soggetto eterno, stile eterno. (p. 59)
  • Mi piace la storia di quel santo mussulmano, davanti al quale il fiume si spaccò in due, come il mare davanti a Mosè, ma che si rifiutò di servirsi del miracolo e andò a passare il fiume a guado. (p. 62)
  • Ogni volta che voi dite no a un uomo, guardandolo negli occhi, senza temerlo, potete imprimervi quel giorno nella memoria, come un giorno da ricordare. [...] in un'opera di perfezionamento individuale, prima ancora di ciò che si auspica, vi è ciò che si rifiuta. (p. 67)
  • Mezzogiorno, l'ora in cui Pan dall'orribile testa appariva agli Antichi: l'ora panica. L'ora in cui Iblis (Satana) suona il flauto al di sopra del deserto. (p. 68)
  • Per la gente di oggi, la saggezza è «egoismo» e niente altro. Con questo eccola scomparsa; è il grande motivo di risentimento nel nostro mondo moderno che, come è noto, è fondato sull'amore. Non si tratta tanto del fatto che voi abbiate un valore; ma soprattutto che non vi sottraiate ad avere le difficoltà che hanno gli altri: ciò significherebbe «disertare». Tanto che, a volte, si direbbe che la società misura il valore di un uomo dalla quantità delle sue preoccupazioni, e che gli uomini se ne facciano deliberatamente carico per farsi vedere, come i farabutti compiono opere di bene per farsi perdonare. (pp. 87-88)
  • Eraclito ci ha detto che anche colui che dorme, dormendo, collabora all'ordine dell'universo. Ciò vuol dire, senza dubbio, che il sonno è la preparazione necessaria della sua azione. Similmente, la libertà di spirito è l'igiene, l'aerazione, ciò che Gallieni chiamava il «bagno di cervello», che permette di veder chiaro e, di conseguenza, di agire come si deve. Essa fa dell'individuo quella stessa casa in ordine che deve essere la nazione. (p. 91)
  • Siate pure della vostra epoca, se vi fa piacere, ma non fatene un imperativo, perché non è sostenibile, né al giudizio della ragione, né al giudizio della morale. Si tratta di spiriti deboli, che giudicano fiacchezza d’animo non seguire il presente in tutte le sue espressioni, che si fanno un dovere sublime di avere sempre un'opinione su tutto (opinione, che, nove volte su dieci è infondata), di prendere partito a proposito di tutto, e che se, per caso, quell'ammucchiamento di giudizi e d'opinioni, lasciasse una traccia, formerebbe un letamaio di inanità e di ridicolo: schiavi dell'attualità, dei quali si potrebbe dire che essa li ruba a se stessi, se possedessero un se stesso, ma la facilità con cui se ne lasciano distrarre è la prova che non ne hanno. (p. 110)
  • Comincio ad averne visti molti di spettacoli in questo mondo, ma non ne ho mai visto nessuno così bello come la guerra. Avevo ancora gli occhi pieni di quegli abbagliamenti notturni — gli occhi pieni, gli occhi ancora dilatati quando ci pensavo — quando, alcune settimane più tardi, ad armistizio ormai firmato, mi ritrovai per la prima volta in un cinema. Sullo schermo, alcuni negri che avrebbero fatto disonore alle scimmie si dimenavano, alcune ballerine celebravano la grande parata d'isteria n. 1: era New York. Poi fu la volta di un cornuto alcolizzato, manovrato da una puttana, del tipo donna di mondo, che era la sua moglie legittima: era la Costa Azzurra. E mi dissi, pacatamente, ma con quel non so che di certezza illuminata che devono avere i mistici quando dicono: «C'è solo Dio», mi dissi: «C'è solo la guerra. La guerra è la sola realtà». (pp. 136-137)
  • L'uomo scivola più facilmente nella stupidità in tempo di pace piuttosto che in tempo di guerra. (p. 140)
  • La guerra è anche costruzione. Costruzione non solo perché getta le basi di qualche cosa, così come l'operazione chirurgica, che squarcia, costruisce l'equilibrio corporeo di domani. Ma costruzione in sé: c'è sempre qualche cosa che prende il posto di ogni oggetto distrutto. Nell'atto di distruggere c'è una virtù. (p. 139)
  • Il combattimento senza fede è la formula cui si giunge necessariamente, se vogliamo mantenere la sola idea dell'uomo che sia accettabile: quella in cui egli è contemporaneamente l'eroe e il saggio. (p. 141)
  • Lo sforzo costante di una vita deve essere quello di sfrondarsi: nei nostri compiti, nei nostri doveri, nelle nostre relazioni, nelle nostre curiosità, nelle nostre stesse conoscenze, per concentrarci, con forza accresciuta, su un ristretto numero di oggetti che ci sono propri ed essenziali. (p. 145)
  • Fare tutto ciò che è necessario per annientare l'avversario. Ma una volta che questi ha dimostrato di avere in mano la partita, allearsi con lo stesso spirito con lui. (p. 183)
  • L'alternanza. Tutto ciò che esiste è sottomesso all'alternanza. Chi lo comprende ha compreso tutto. Gli antichi Greci ne sono impregnati. E sembra che la Cina antica assunse come emblema il drago dalla coda oscillante, per testimoniare tale principio. La natura avanza di contrario in contrario. Nell'uomo, quel segreto piacere che egli prova a «rinnegarsi», che non è niente altro che portare alla luce le parti di se stesso che prima soffocava, è il piacere di sentire il proprio accordo profondo con l'ordine delle cose. (p. 195)
  • Gli uomini, dentro i loro cadaveri, quando contemplano alfine, liberamente, ciò che sono stati e ciò che è il mondo, sorridono. Il sorriso del pensiero più profondo. (p. 201)

Infelicità di D'Annunzio

modifica
  • Il Notturno è un bel libro, e spesso un bellissimo libro. È disuguale, ma quale libro non è disuguale? Bisogna sfrondarlo, ma quale scrittore non è da sfrondare? L'occhio e l'orecchio del poeta raccolgono gli infinitamente piccoli più sottili: la sua memoria li registra; la sua fantasia li trasfigura e li amplifica. Nessun poeta ha più continuamente trasfigurato il reale. Egli stesso parla del suo «senso magico della vita». È proprio questo. E ha osservato come la perdita di un occhio avesse provocato in lui una prodigiosa affluenza di immagini. È stato, credo, il Notturno ad insegnarmi l'attenzione minuziosa e la precisione meticolosa che sono la base dell'arte stessa più trasfiguratrice.
  • Non devo essere molto coraggioso poiché, nei momenti in cui cedevo, ho sempre cercato di rinfrancarmi rievocando il coraggio di un altro. Tutte le filosofie dell'antichità greca e romana – e dopo esse gli italiani del Rinascimento – sono tornate senza falsa vergogna su questo precetto dell'imitazione: immagina quello che avrebbe fatto il tal saggio o il tale eroe, nella circostanza in cui ti trovi, e cerca di fare come lui. [...] Ebbene, ammesso che qual cosa di lui gli sopravviva – ed è per poesia che lo supponiamo – il «fiumiste» può dire a se stesso che c'è almeno uno che, più di un mezzo secolo dopo quei minuti del 13 settembre 1916, rivolge l'animo ad essi quando sente il bisogno di trarsi fuori da una delle sue crisi di debolezza.
  • Si vede sempre D'Annunzio come un uomo che mette in mostra i bicipiti. E Dio sa quanto lo ha fatto. È anche un uomo che ha sofferto, e questo non si vuole né vederlo né dirlo. Sofferto della propria ferita, ma di ciò non parliamo. Sofferto per la morte dei suoi compagni di guerra, e pare che questa sofferenza, da lui descritta, non sia né finta né esagerata.

L'Équinoxe de septembre

modifica
  • Da quindici anni si era fatto in modo di sabotare in questo borghese francese tutti gli ideali, tutte le fedi, religiosa, nazionale, sociale [...] Il ragazzo stava per combattere, forse per morire per un ordine che suo padre aveva disertato. (7 marzo 1936[75])
  • [...] il cattolicesimo è un elemento di ordine in una società pletorica e un elemento di morte in una società degenerata e debole.
[...] le catholicisme est un élément d'ordre dans une société pléthorique, et un élément de mort dans une société dégénérée et débile.‪[76]
  • Quando si ritorna dalla Spagna, dall'Italia, dall'Africa settentrionale, cito solo i Paesi che conosco a fondo, quel che colpisce sul volto dell'uomo francese, nel ritrovarlo, è la piattezza. (La France et la morale de midinette, conferenza del 29 novembre 1938[75])
  • Rifletto sulle guerre sacre (della Grecia arcaica) nelle quali i due schieramenti concorrono, mediante la loro opposizione, all'armonia generale. Asclepio, colpito da Zeus, non è da meno un dio tutelare, che meriti di avere templi. Prometeo e Kronos, avversari di Zeus, l'uno finisce in paradiso, dove è stato riportato da Eracle, l'altro regna sulle isole dei Beati. I Titani sono sconfitti ma non maledetti; gli dei e gli uomini continuano a invocarli [...]. Gli dei greci – in seguito gli eroi del Walhalla – si riconciliano ogni sera dopo i reciproci trucidamenti, come atleti di squadre avversarie che si sono combattute l'un l'altro nel corso della giornata.
Je songe à ces guerres sacrées (de la Grèce archaïque) où les deux partis concourent également, par leur opposition méme, de l'harmonie générale. Asclépios, foudroyé par Zeus, n'en reste pas moins un dieu tutélaire, qui mérite d'avoir des temples. Prométhée et Kronos, adversaires de Zeus, l'un fait une fin au ciel, où il a été ramené par Héraklès, l'autre règne sur les iles des Heureux. Les Titans sont vaincus mais non maudits; les dieux et les hommes continuent de les invoquer; bientot ils seront délivrés eux aussi. Les dieux grecs – plus tard les héros de la Walhalla – se réconcilient chaque soir après les trucidations réciproques, comme des sportifs d'équipes adverses qui se sont combattus dans la journée.[77]
  • Rinnegare i morti è come lasciarli senza sepoltura.[78]
  • Tutto muore e nasce in ogni istante, i corpi, la natura, forse anche le idee. L'epoca è come tutte le epoche: le sue dominanti non sono che semplici variazioni di umore nella storia dell'umanità. Se si potesse parlare di un'agonia della nostra civiltà, non piangerei su questa agonia, poiché questa ucciderà quella. La vita troverà altre cose, essa che è Proteo. Le civiltà di ricambio non mancano. Coloro che si attardano a deplorare le rovine delle guerre o delle rivoluzioni sono coloro che non sentono in se il potere di fare del nuovo. Che si deplori, sia, ma brevemente. E ora, ricominciamo tutto. (luglio 1938[79])

L'infinito è dalla parte di Malatesta

modifica
  • Malatesta – l'italiano, e soprattutto l'italiano del Rinascimento – prova con più vivacità e più velocità del francese. Passa da un sentimento all'altro senza transizione e apparentemente senza logica. Ha un fuoco interiore ed è questo fuoco che fa l'unità. (p. 18)
  • [...] la Francia dell'aridità e della cerebralità, e la Francia del conformismo e di quel-che-si-dirà [...] vede in Malatesta questi due caratteri che sono ciò di cui ha più orrore nel mondo: la naturalezza e l'autenticità. (p. 19)
  • Malatesta cerca con molta consapevolezza di mettere l'infinito dalla sua parte. Si distende verso l'immortalità temporale ed extra-temporale consacrando il suo tempio alla religione, alla propria gloria personale, alle più belle opere d'arte, ai sepolcri di letterati famosi, e infine, con il sepolcro di Isotta, e con tutti i segni che la ricordano, all'amore umano. Proprio l'infinito che pretende di monopolizzare. E poco importa se in questo mondo, l'ha raggiunto o no. (p. 19)
  • Se "il culo di piombo è il più grande peccato contro lo Spirito Santo" (Nietzsche), l'agilità di un Sigismondo ha qualcosa della "libertà dei Figli di Dio". Non parliamo troppo d'infinito. Ma diciamo semplicemente che, in qualche costruzione del mondo che ci sia, dove la parola eletto abbia un senso, Malatesta è "dalla parte buona". (p. 20)
  • Alla prova detta "delle sarte" (l'avamprima), quando Barrault dice al papa: "Sono al vostro cospetto come Alluzio davanti al mio antenato Scipione l'Africano", si è riso. Scipione l'Africano che fu il modello di tutti gli uomini del Rinascimento italiano, Scipione l'Africano sul quale, a dieci anni, componevo un piccolo lavoro, Scipione l'Africano, oggi, il suo nome fa solo ridere! (p. 52)
  • Quando si pensa alla scelta moderna della pittura che cerca sadicamente di disonorare l'essere umano, si è pronti a cadere in ginocchio davanti a questi artisti di un tempo che hanno saputo, con alcuni tratti di bulino, restituire all'eternità ciò che vi è talora di miracoloso nella composizione di un corpo o di un viso. (p. 132)

La Mort qui fait le trottoir (Don Juan)

modifica
  • Don Juan: Giunto alla mia età, la mia esperienza del mondo mi riempie di orrore, ed è solo nella caccia e nel possesso amoroso che questo orrore è dimenticato. Da tutte le parti intorno a me non trovo che la notte oscura; le mie ore di caccia e l'amore sono le sole stelle di questa notte: sono l'unica chiarezza. Solo non avendo memoria, la felicità scrive con inchiostro bianco su pagine bianche.
Don Juan: Arrivé à mon âge, mon expérience du monde me remplit d'horreur, et c'est seulement dans la chasse et dans la possession amoureuses que cette horreur est oubliée. De tous côtés autour de moi je ne trouve que la nuit noire; mes heures de chasse et d'amour sont les étoiles de cette nuit; elles en sont l'unique clarté. Seulement, n'ayant pas de mémoire, je dis que le bonheur écrit à l'encre blanche sur des pages blanches. (p. 1048)
  • Don Juan: Ehi! Signora, rispetti un padre di trenta bambini!
    La contessa: Satiro! Ripugnante figuro!
Don Juan: Eh! Madame, respectez un père de trente enfants!
Le comtesse: Satyre! Répugnant personnage!
(p. 1052)
  • Don Juan: Non c'è nulla di straordinario: è la realtà che è straordinaria.
Don Juan: Il n'y a pas de fantastique: c'est la réalité qui est le fantastique. (p. 1077)

La regina morta

modifica
  • Ferrante: Via, via, in prigione. In prigione per mediocrità. (p. 143)
  • Ferrante: È curioso: gli uomini di valore finiscono tutti col farsi arrestare. Anche nella storia, non immaginiamo un grand'uomo che in un certo momento non si trovi davanti a un giudice e davanti a un carceriere; è un carattere del personaggio. Tra essi, quelli che non son passati per la prigione fanno in certo modo la figura di disertori. (p. 146)
  • Ferrante: È pure una gran prova di forza, accettare d'essere disprezzati sapendo di non meritarlo. (p. 160)
  • Ferrante: Baciamo la mano che non possiamo recidere. (p. 166)
  • Inès: La gloria dei grandi uomini è come le ombre: s'allunga col loro crepuscolo. (p. 205)
  • Ferrante: Le donne dicono sempre: 'Allevare un fanciullo perché muoia in guerra!' Ma c'è di peggio: allevare un bambino perché viva, e nella vita si degradi. (p. 235)
  • Ferrante: Infiniti atti, per anni, nascono da un atto solo, di un istante. Perché? E ancora. (p. 242)
  • Ferrante: Mio Dio! In questo poco di respiro che mi rimane, prima che la spada torni a distruggermi, fate ch'essa tronchi questo spaventoso nodo di contraddizioni che sono in me, così che, almeno un attimo prima di cessar d'essere, io sappia finalmente che sono. (p. 246)

La vita è Proteo

modifica
  • Il lato infame della maggior parte delle filosofie è che esse vogliono avere una conclusione ottimistica. Si tradiscono: vogliono trovare chi ascolta ed essere approvate.
  • Non so perché ci si turbi tanto pensando che una bomba atomica possa distruggere la terra. In ogni modo, la terra cesserà di esistere nell'istante in cui io cesserò di esistere.
  • Perché amate i vostri Romani? [...] forse, prima di tutto, perché hanno sempre messo l'età dell'oro soltanto nel passato.

Les Olympiques

modifica
  • Custodire tutto componendo tutto.[80]
  • I dittatori nascono nelle case dove non si osa dare un ordine alla serva.
Les dictateurs naissent dans les maisons où l'on n'ose pas donner un ordre à la bonne.[81]
  • La guerra e lo sport, i luoghi del cameratismo maschile, erano il vero antidoto alla degenerazione.[82]
  • Lo stadio è soltanto silenzio e solitudine. I riflettori si spengono a uno a uno. | I vetri degli spogliatoi si spengono tutti insieme. Qualcosa è finito. | Non c'è più che un ragazzo, laggiù, che lanci il suo disco nella notte incombente. | Sale la luna. Egli è solo. È la sola cosa chiara sul terreno. | È solo. Egli fa per sé solo la sua musica pura e perduta; | il suo sforzo che non serve a nulla, la sua bellezza che domani morirà. | Lancia il disco verso il disco lunare, come per un antichissimo rito, | celebrante della Dea Madre, chierichetto dello spazio. | Solo, — così talmente solo, — laggiù. Egli alza la sua preghiera pura e perduta.[83]
  • Spesso io penso che se tutto il bene che abbiamo veduto nello sport non è stato che una pura illusione, se fosse vero, come alcuni affermano, che rovina il corpo, diseduca il carattere, non riavvicina le classi, pure vi è nello sport qualcosa di dimostrato che nessuno può smentire: le sue ore di poesia vissute nella grazia, nella bellezza, talvolta, dei visi e dei corpi della giovinezza, nella natura e nella simpatia.[84]

Malatesta

modifica
  • L'inverno è una primavera che si ignora. (p. 374)
  • Non si tratta di vivere, ma di vivere essendo e mostrandosi interamente come si è... e infine vivere così non basta. È necessario anche vivere con gloria.[85]
  • [...] si passa metà della vita a salvarsi la testa.[85]
  • Malatesta vantava la sua discendenza da Scipione l'Africano, col sorriso intimo, io credo, di chi non si lascia ingannare dai propri sogni ma getta nel fuoco tutto ciò che gli si offre per avvivare la fiamma. Con quel medesimo sorriso io stesso ho accolto un giorno la notizia che, se nel latte è contenuto il sangue, in me c'era qualche goccia di sangue malatestiano, dal momento che un'amica di mia madre, che mi allattò, discendeva dai Malatesta — ne constatai la discendenza su di una pergamena vecchia di due secoli — e su di un anello portava lo scudo di Sigismondo.[86]

Ragazze

modifica

Ragazze

modifica
  • La donna è fatta per l'uomo, l'uomo per la vita, e per tutte le donne. (da Le Jeunes filles[87])
  • [...] si lasci l'istruzione agli sciocchi! In una ragazzina che abbia conseguito un diploma, per quanto possa avere in seguito dimenticato tutto quello che ha appreso, mi sembra che debba restare, come un delizioso vaso che contenne un giorno un liquido nauseabondo, il cattivo odore della semi-scienza in altri tempi ingurgitata.
[...] laissons l'instruction aux sots! Une petite qui aurait obtenu quelque diplôme, eût-elle par la suite oublié tout ce qu'elle a appris, il me semble qu'il resterait toujours en elle, comme dans un vase charmant qui contint un jour un liquide nauséabond, la mauvaise odeur de la demi-science qu'elle a jadis ingurgitée. (da ‪Les Jeunes filles‬: ‪roman‬, ‪Presses de la cité, Paris‬, 1936, p. 213)
  • Solo forti e specialissime nature sopportano l'isolamento, e sempre a condizione che sia relativo e interrotto. Gli altri lo pagano caro. Non si vive impunemente solo di sé. Ed è giusto che sia così perché l'isolamento, quando non è voluto da alte ragioni intellettuali o spirituali, ha generalmente le proprie radici nella pigrizia, nell'egoismo, nell'impotenza, in quella "paura di vivere", insomma, che è un male tra quelli che affliggono l'umanità, di cui non si è ancora parlato abbastanza. (p. 21)
  • [...] una donna deve essere trattata come un'amante, e ciò non per un capriccio passeggero, ma costantemente. (da Le Jeunes filles[87])

Il demone del bene

modifica
  • Ci piacciono gli animali perché non mentono. Per questo l'uomo li ha ridotti in schiavitú: gli ricordavano la verità. (p. 349)
  • Come è felice una vita quando comincia con l'ambizione e finisce per non aver altri sogni che dar pane alle anatre! (p. 349)
  • Come son belle [le anatre] quando le prende il capriccio d'esser giocose, quando si drizzano e, erette sulle code, sbattono freneticamente le ali: sembrano giornalisti che vogliano simulare indignazione. (p. 349)
  • Lunghe ore in un giardino: sono forse ancora ciò che avremo avuto di meglio nella vita; questo almeno ti alleggerisce le palpebre. E non mi si parli più di adorabili creature; la mia fantasia del momento è d'essere sbarazzato di loro. Oggi mi abbandono ai fiori e alle foglie, che mi fanno la grazia di non amarmi, e il latte del giorno m'empie la bocca. È l'ora dolce in cui l'anima dissetata sogna del tempo in cui avrà sete ancora. (p. 350)
  • Da ogni punto del giardino arriva gente. Non sono della loro specie, io. Che cosa mi faranno, se se ne accorgono? Penso a quelle piccole divinità dei boschi, delle sorgenti, rimaste sulla terra per qualche tempo dopo l'avvento del cristianesimo, sempre sul chi vive. Nessun mito mi ha mai commosso tanto. (p. 351)
  • Mi tornano in mente quei villaggi algerini che in arabo portavano nomi come "capo dell'acqua" o "riposo dei piccioni" e che sono stati sbattezzati per ricevere il nome di "Ernest Renan" o "Sarrien". In quest'oasi che ci pareva creata per l'abbandono e il godimento, le etichette hanno la funzione di riprecipitarci in piena marmellata sociale. (p. 357)
  • Ella dovette andare al W.C., e Costals si ricordò di quella sua giumenta araba, così fiera e delicata che non urinava né smerdava mai quando lui le era in groppa. (p. 420)
  • La simulazione del godimento, triste commedia di ogni notte, che durava anni. Ed era quella incapacità essenziale che le donne cercavano di compensare quando si rifugiavano nell"Amore puro" facendone un idolo, tentando d'imporne il culto al maschio, che aveva per l"Amore puro" un orrore istintivo, come per tutto ciò che è contro-natura; e infine facendo passare la loro infermità per virtù, e la salute del maschio per infermità, schiacciavano sotto il peso della loro finta pietà e della loro sublime indignazione lo sciagurato, troppo "egoista" e troppo "volgare" per poter soltanto intravedere gli splendori dell"Amore puro". Costals pensava a tutto ciò e gli tornava sempre alla mente quell'odore dolciastro, quasi nauseante, e quel corpo senza muscoli, senza nervi come una larva bianca... E sognava di amplessi più degni di lui, da eguale a eguale, sul piano eroico, poderosi allacciamenti analoghi a quelli di due lottatori sul tappeto, dove non si trattava più di vincere una misera agnella consenziente (in fondo, che baggianata questa "vittoria" sulle femmine!), ma dove la forza abbatteva la forza e per un attimo la rendeva dolcezza. (p. 423)
  • Si svegliò alle quattro e sentì la pioggia scorrere lungo le finestre: le famose nuvole di ieri sera erano scoppiate. La pioggia estiva, così strana... La notturna pioggia d'estate, piena di presagi, al dire degli antichi. Notturna pioggia di luglio, la notte in cui, a diciotto anni, aveva per la prima volta posseduto una donna. Notturna pioggia di giugno, nella foresta di guerra, la vigilia della sua ferita. Notturna pioggia d'agosto, a Napoli, prima del mattino in cui aveva ricevuto un colpo di coltello. Notturna pioggia di settembre, quando la sera Brunet era condannato (meningite cerebro-spinale), e l'indomani all'alba la febbre cadeva. L'uomo forte, l'uomo lucido, sul tormentato giaciglio s'abbandona alle potenze superiori. Fin d'ora sa che il giorno che s'apre è segnato. (p. 425)
  • Nell'Occidente, dominato dalle donne, culto della sofferenza; nell'Oriente, dove il padrone è l'uomo, culto della saggezza. (p. 473)
  • L'esitazione è caratteristica dell'intelligenza.[26]

Le lebbrose

modifica
  • Costals, risalendo per il boulevard, si divertiva a urtare la gente (soprattutto le donne, i borghesucci e le borghesucce) o a dirigersi direttamente su di loro, per vedere se si scostavano. E si scostavano sempre, e non protestavano mai: erano francesi 1928 (non giocare al rugby per le strade in Algeria, in Spagna o in Italia). Queste donne arricciate, con le natiche grasse, le facce coperte di creme come tumori coperti d'unguenti, non lo illudevano, ovviamente, ed egli riconosceva che non meritavano d'essere desiderate. Suo desiderio era soltanto di mettere un sigillo, il suo P. C., su ognuna di esse, e poi di non sentirne piu parlare: questo gli avrebbe dato lo stesso piacere del proprietario campagnolo che guarda la sua mandria d'ovini tutti segnati del suo marchio.
  • Da piccolo, quando arrivavo a questo passo, mi venivano le lacrime agli occhi, come oggi. Piangevo perché il Maresciallo era stato salvato per essere stato coraggioso. E perché lo spettro non era tanto cattivo da non commuoversi al suo coraggio. E anch'io, come lo spettro, non sono tanto cattivo, da non piangere anche oggi. E lo debbo a voi! Mi avete trasformato nella parte migliore di me. Mi avete riportato nell'ambiente della mia famiglia, al tempo in cui ero buono, in mezzo a persone che tutte erano buone. Mentre ora vivo in mezzo a letterati e sono divenuto buffone e corrotto. Che cosa sarebbe la mia vita, senza il periodo passato in guerra? Sarei stato buono soltanto da bambino.
  • Dobbiamo decisamente resistere con energia al nostro gusto di ridicolizzarci.
  • Oh, non c'è niente di più idiota di uno psicologo. Come se non si potesse sorridere, quando si soffre!
  • La storia dell'umanità, da Eva in poi, è la storia degli sforzi fatti dalla donna, perché l'uomo sia sminuito e soffra, e divenga il suo uguale.
  • Si mette nella propria arte quello che non si è stati capaci di mettere nella propria vita. Proprio perché era infelice, Dio ha creato il mondo.
  • Come spiegare, se non con un complesso d'inferiorità, quel bisogno innato quasi in ogni donna di contraffarsi, di contraffare il proprio carattere (la posa), il proprio viso (il trucco), il proprio corpo (non entriamo in particolari...), il proprio odore naturale (i profumi), la propria scrittura? I forti non mentono o quasi: non ne vale la pena; sono franchi, e cioè cinici, per disprezzo; "Noi che diciamo la verità", dichiaravano i nobili dell'antica Grecia. E tutte le razze servili per natura, o asservite dalle circostanze, mentono. Come spiegare se non con il sentimento di un'insufficienza della personalità quel bisogno di rendersi interessante, d'affettare stati d'animo presi in prestito – sempre "distinti" – che la donna elabora? Come spiegare se non con il sentimento d'una inferiorità fisiologica quella necessità in cui così spesso si trova, il dissimulare il piacere sessuale? Infine non è raro il caso d'una donna ambigua che si faccia trasformare il sesso dal chirurgo. Ma neppure l'allettamento di non andare alla guerra spinge un uomo ambiguo a cambiarsi decisamente in donna. (p. 691)

Service inutile

modifica
  • Le virtù che devi particolarmente coltivare sono il coraggio, il civismo, la rettitudine, il disprezzo, il disinteresse, la cortesia, la riconoscenza, e, genericamente, tutto ciò che si esprime col termine generosità [...]. Se hai queste virtù, il resto importa meno. Per esempio, importa poco credere o non credere in Dio [...] amare o non amare il tuo prossimo [...] cedere o non cedere al piacere dei sensi [...]. Si tratta di passioni che bisogna pilotare, ecco tutto [...]. Molti atti che la morale comune considera innocenti condannano un uomo, risolutamente. Ma la menzogna, il furto, la pirateria di guerra non condannano necessariamente un uomo. Può commetterli e conservare i caratteri della superiorità. La vita di molti uomini non vale più della vita d'un ghiozzo.[88]
  • Queste armi, sulla pietra tombale di Montherlant, che altro evocano se non il servizio? [...] Ma d'intorno, la pietra follemente nuda, la sublime lastra rasa mi ripete: inutile — inutile — inutile. Il sigillo del servizio, tutte queste affermazioni magniloquenti del vigore e della fede, sono su un campo di vuoto, sono posti sul vuoto come una nave sul mare; domani scompariranno, come la nave negli abissi.[88]
  • Se dovessi augurarmi di avere una tomba vorrei che mi fosse data da un soldato o da un fanciullo.[89]
  • Un po' di vuoto senza identità, le armi al posto del cuore.[88]

Théâtre

modifica
  • Le tragedie degli antichi non sono soltanto quelle dei membri di una stessa famiglia, ma anche dei diversi individui che esistono in una stessa persona. (p. 37)
  • Sono due i momenti della creazione drammatica. La creazione proveniente dall'emozione che offre la materia. Poi la creazione dell'arte che giudica, sceglie, combina e costruisce. (p. 37)
  • Quando mi fu richiesto di fare la sceneggiatura di un film su Ignazio di Loyola, mi sono accorto che una delle incoscie ragioni per le quali avevo potuto mettere in scena il giansenismo in Port-Royal, era perché oggi non v'è nessuno che possa rappresentare o difendere questa confessione, nessuno quindi che avrebbe desiderio di influenzarmi, di controllarmi, di imbrigliarmi e di costringermi a dire ciò che voglio dire. (p. 38)
  • Essere di questo mondo senza esserne prigioniero. Prendervi parte senza impegnarsi completamente. Giocare senza cercare o pretendere di vincere. Ritegno nell'agire piuttosto che rifiuto di agire: come il sorprendente abbandono del nuotatore, come il ritmo del passo dell'alpinista. (p. 39)
  • Le Maître se Santiago è il dramma dell'amore dell'uomo per una vita elevata e pura, di cui il dio dei cristiani non ne è che un pretesto. Malatesta è il dramma dell'amore dell'uomo per l'idea che si è fatto di se stesso e che vorrebbe imporre agli altri. L'Exil – il mio primo lavoro teatrale scritto a diciotto anni – è essenzialmente il dramma dell'amore materno. Allo stesso modo La Reine morte è essenzialmente il dramma dell'amore materno (Inès) e paterno (Ferrante); gli altri temi (temi della paura, tema dell'amore ecc.) sono secondari. Fils de Personne è nuovamente il dramma dell'amore paterno. Tutti i miei lavori sono delle opere sull'amore. (p. 39)
  • Alla prima di Santiago ero seduto al fondo della sala fra le due guardie di servizio. Abituato agli usi della tauromachia che vuole si arresti il matador che ha mancato il suo toro, non potevo liberarmi di un certo disagio: mi sembrava che le guardie mi avrebbero arrestato se la commedia fosse caduta. (p. 39)

Citazioni su Henry de Montherlant

modifica
  • Adepto di potenze perdute, di bellezze spente, il suo regno non esisteva più su questo mondo. (Piero Buscaroli)
  • È di regola, a proposito di Montherlant, citare Barrès. E se i più colti risalgono nientemeno che a Pindaro, a Senofonte, (al Senofonte ufficiale di cavalleria, più che al discepolo di Socrate), e all'inevitabile Alcibiade, i più avvertiti risalgono a Bossuet, a Pascal. Tanto par facile ritrovare in certo sontuoso spirito cattolico del Gran Secolo, o nella febbrile e crudele introspezione pascaliana, quel miscuglio di sensualità, di erotismo, e d'inquietudine cristiana, che fa sì forti al palato le migliori pagine. [...] Montherlant si mostra nella sua vera natura, fredda e violenta, dominata e repressa da un ordine morale che in lui, di antica e nobile famiglia, né la cultura né l'estetismo son riusciti a corrompere. Un ordine morale cattolico, nel suo significato più cavalleresco. (Curzio Malaparte)
  • È morto sull'esempio di quell'antichità che amava tanto. Bisognerà rifarsi ai classici, a Chateaubriand, a Benjamin Constant, a Barrès, per dargli la giusta collocazione nella nostra letteratura. Non era fatto per vivere in un'epoca vile. Era fatto per un'epoca di tornei e non di rapine. Montherlant muore all'inizio dell'autunno, come un eroe solare. Vita da filosofo, morte da samurai. Il revolver, per disprezzare la sua epoca, i suoi contemporanei, cessare di esservi. (Paul Morand)
  • Forse il più grande tra i nostri scrittori viventi. (Georges Bernanos)
  • Il segreto metafisico che chiude la sua vita mai lo conosceremo. Soltanto qua e là, disseminate attraverso la sua opera, in frasi e pensieri, scopriremo piccole luci rivelatrici del suo mistero. Come i Romani, suoi modelli di sempre, Montherlant lottò, trionfò, fu vinto, conquistò un impero nelle lettere del secolo, aspettando qualche cosa, come i contemporanei di Ovidio e di Augusto, qualche cosa che, forse, gli fu rivelato o concesso prima di uscire dalla scena. (Vintilă Horia)
  • Lessi l'ultimo libro di Henry de Montherlant, che ha acquistato molto. Lo annovero con Lawrence, St. Exupéry, Quinton nella piccolissima schiera di cavalieri di alto valore uscita dalla prima guerra mondiale. Solo quando l'ardore scema, affiorano i diamanti, come dal nero fiume del carbone. (Ernst Jünger)
  • Lungo la Senna, al Quai Voltaire, in una casa dall'aspetto gentilizio, abita Henri de Montherlant. Quando un cameriere mi introduce in una stanza bassa, ho l'impressione di trovarmi in un museo provinciale. Lungo le pareti sono allineati torsi di marmo. Hanno la patina antica. Noto che sono per la maggior parte busti di uomini. In qualcuno certi particolari anatomici sono così evidenti da fare arrossire un collegiale. Mi aspetto, a tale visita, un efebo, una figura esile, i capelli lunghi, lo sguardo leggermente allucinato. Vedo invece venirmi incontro un uomo corpulento, con aspetto di funzionario ai limiti della pensione. Il risveglio mi rimette i piedi in terra. E così non dimentico che sono dinanzi a Henri de Montherlant, il più sdegnoso degli autori francesi. (Bonaventura Caloro)
  • Montherlant: un autore di teatro meraviglioso, discusso da dei pigmei. (Gabriel Marcel)
  • Nel rumore del «secolo vile» la sua opera, unicamente attenta ai grandi valori aristocratici, si accampa come una torre d'avorio che è anche un eremo. Discendente dalla stirpe catalana dei conti di Montherlant, questo grande scrittore ha sempre avuto il sentimento preciso di essere l'erede di una tradizione preziosa, di essere chiamato a riaffermarla. Egli amava ricordare come il nonno, zuavo pontificio, avesse «difeso spada alla mano l'eredità dei Cesari» e come il suo bisavolo materno, il conte di Riamcey, avesse guidato il partito legittimista ultramontano ai tempi di Napoleone III. Montherlant si diceva della razza che «urla ai lupi» e vedeva come un segno del destino il fatto di essere venuto alla luce il giorno in cui ricorre il Natale di Roma, il 21 aprile del 1896, a Parigi. (Giorgio Locchi)
  • Se ho il torto di amare autori «reazionari» come Montherlant e Rebatet e Michel de Saint-Pierre, se ancora indugio su Proust e Gide e Bernanos e Mauriac e Maurois, lapidatemi. (Enzo Giudici)
  • Scrivevo un giorno a Montherlant che non ci sono nessuna gloria, nessun piacere, se non sono ottenuti in fretta. Dimenticando forse che un capitolo di Alle sorgenti del desiderio è intitolato: «La loro sinistra pazienza», mi rimproverò giustamente di esaltarmi per questa velocità in sé, a cui lui opponeva la qualità. Frequentando l'Oriente gli è venuta la saggezza che dimostra quando afferma: «Verrà un giorno in cui, per la banalità della velocità e la facilità di esagerare in ciò che la concerne, la lentezza apparirà come il modo più naturale di esprimere una certa delicatezza?». (Paul Morand)
  • Un poeta di gran razza. (Gabriele D'Annunzio)
  • Una delle cose che più mi ha avvicinato a Montherlant e che, probabilmente, di rimando gli ha permesso di dare credito alla mia persona, è stato il modo d'intendere all'unisono la fallacità della nostra èra materialistica, la crisi di base che travaglia talune coscienze e che si contrappone alla beatitudine ebete, presuntuosa e prepotente, dei tanti che si credono interpreti e custodi autorizzati di un'etica la quale non può essere, perché priva di ogni anelito di coscienza morale. (Renzo Rossellini)
  • Uno scrittore muscoloso e spietato, anzi insolente, formatosi, carattere e stile, nella guerra e nello sport più rischioso, tanto che s'è perfino esercitato in parecchie corride a fare da espada. Nelle lodi dei corpi belli e dell'ardimento continuo e del franco piacere, lo stesso D'Annunzio sembra meno sfrontato di lui perché spesso attutisce l'urto con l'olimpica evocazione degli antichi e dell'arte. (Ugo Ojetti)
  1. a b c d Dall'intervista di Luigi Bàccolo, Intervista con Montherlant, Il dramma, A. 45, n. 10, luglio 1969, p. 57.
  2. Citato in Henry de Montherlant, ‪Théâtre‬‬, ‪Gallimard, Paris‬, 1972, p. III.
  3. Citato in Testi per Bo, Il Frontespizio, XII, fasc. 4, aprile 1940, p. 237.
  4. Dall'intervista di Piero Accolti, Henry de Montherlant si compiace di festeggiare il compleanno insieme con Roma, Il Tempo, n. 80, 21 marzo 1957, p. 3.
  5. Citato in Stenio Solinas, L'illusione peggiore? Pensare di vivere senza avere illusioni, il Giornale.it, 28 dicembre 2013.
  6. a b c d Citato in Maurizio Serra, La dedica di D'Annunzio a Montherlant, in L'esteta armato : il poeta-condottiero nell'Europa degli anni Trenta, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 210.
  7. Citato in Ferdinando Castelli S.I., Henry de Montherlant, cavaliere del nulla, in La Civiltà cattolica, Quaderno 2946, 1973, pp. 539-540.
  8. Citato in Pierre Pascal: Lux evoliana, in Testimonianze su Evola, a cura di Gianfranco de Turris, Edizioni Mediterranee, Roma, 1985, p. 166.
  9. a b Citato in Montherlant di se stesso, La Fiera Letteraria, 40, 1° ottobre 1972, p. 7.
  10. (FR) Citato in Jean Cau, ‪Contre-attaques; précédé d'un Eloge incongru du lourd‬, ‪Le Labyrinthe‬, Paris, 1993, p. 86.
  11. a b c d Citato in Renzo Rossellini, Ultimi colloqui con Montherlant, Imprimerie Monegasque, Monte-Carlo, 1972, p. 9.
  12. Citato in Discours de réception de Claude Lévi-Strauss, su Académie française.
  13. Da D'Annunzio ed io, Il Giornale d'Italia, 9-10 luglio 1963.
  14. a b Citato Stenio Solinas, La scelta stoica e terribile di andarsene a modo suo, il Giornale.it, 01 dicembre 2010.
  15. Citato in Carlo Maria Pensa, "La regina morta" di Montherlant, Radiocorriere TV, n. 44, 1965, p. 21.
  16. Dall'intervista di Luigi Maria Personè, Il Bacione di Montherlant, La Gazzetta del Mezzogiorno, 7 ottobre 1972, p. 3.
  17. a b c Da Appendice, in L'infinito è dalla parte di Malatesta, Raffaelli, Rimini, 2004.
  18. Da Sur les Femmes; citato in Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, traduzione di Alda Arduini, il Saggiatore, Milano, 2013.
  19. Citato in Il dramma, A. 44, n. 2, novembre 1968, p. 131.
  20. Citato in Giorgio Locchi, De Montherlant l'ultimo scrittore aristocratico, Il Tempo, anno XXIX, n. 242, 23 settembre 1972, p. 3.
  21. a b Da Preface, in Diderot, La religieuse, Le livre de poche, Paris, 1972, p. VII.
  22. Citato in Nazareno Padellaro, La tesi dell'ipocrisia, Primato educativo, n. 3-4, luglio-settembre 1934, p. 227.
  23. Citato in Alain de Benoist, Il feticismo del primato, il Giornale.it, 02 agosto 2008.
  24. Citato in Maurizio Cabona, Guai agli adulti che non ricordano di essere stati una volta bambini, il Giornale.it, 09 luglio 2010.
  25. Da Les lépreuses.
  26. a b c d e f Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  27. a b Citato in Alberto Castoldi, Intellettuali e Fronte popolare in Francia‬, De Donato, Bari, 1978, p. 138.
  28. Citato in Luigi Baccolo, Il piacere dei grandi sentimenti, La Fiera Letteraria, 9 giugno 1966, p. 7.
  29. Citato in Mircea Eliade, Fragmentarium, Jaca Book, Milano, 2008, p. 179.
  30. Citato in Ugo Ronfani, Non crede nel mondo moderno, Giornale di Sicilia, 12 ottobre 1962, p. 3.
  31. a b c Citato in Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 26 ottobre 2002; ora in cinquantamila.it.
  32. Citato in Gian Gaspare Napolitano, Limiti dell'Occidente, Meridiani, n. 3, luglio 1935, p. 17.
  33. Citato in Luigi Bàccolo, I fantasmi di Pisa, L'Approdo letterario, n. 41, gennaio-marzo 1968, p. 104.
  34. Citato in ‪Album Montherlant‬, Gallimard, Paris, 1979, p. 107.
  35. Da Quelle che prendiamo tra le braccia, traduzione di Camillo Sbarbaro, Sipario, n. 63, luglio 1951, p. 47.
  36. Citato in Marcella Croce, Iraniani, popolo di poeti, la Repubblica.it, 10 febbraio 2004.
  37. Da Pages catholiques recueillies et présentées par Marya Kasterska, ‬Plon, Paris, 1947, p. 114.
  38. Da ‪L'éventail de fer, ‬Flammarion, Paris, 1944, p. 61.
  39. Da Preface, in ‪Maurice Barrès, Oeuvre, XI,‬ Au Club de l'honnête homme, Paris, 1967, p. XII.
  40. Da Un voyageur solitaire est un diable, Ėditions du Rocher, Monaco, 1955, p. 165.
  41. Citato in Maurice Bardèche, Sei risposte a Renzo De Felice, Giovanni Volpe Editore, Roma, 1976, p. 187.
  42. Citato in Il cinico ha sempre la battuta pronta, Il Giornale, 19 gennaio 2010, p. 33; ora in cinquantamila.it.
  43. a b Citato in Alfredo Mortier, Movimento intellettuale in Francia, Il Secolo XX, anno 25, n. 8, agosto 1926, p. 567.
  44. Da ‪La tragédie sans masque‬, Gallimard, Paris, 1972, p. 52.
  45. Da Preface, in Pétrone, Le satiricon, Gallimard, Paris, 1959, p. 10.
  46. Dall'intervista di Vittorio Abrami, A colloquio con Montherlant, Il Popolo, 26 ottobre 1963.
  47. Dall'intervista di Luigi Bàccolo, Visita a Montherlant: L'inaccessibile, Il Mondo, XV, 11, 12 marzo 1963.
  48. Citato in Stenio Solinas, Memorie di Marguerite dall'isola della scrittura, il Giornale.it, 23 aprile 2015.
  49. Da Preface, in Pétrone, Le satiricon, Gallimard, Paris, 1959, pp. 11-12.
  50. a b c d Citato in Lorenzo Giusso, Montherlant, in Il viandante e le statue, Corbaccio, Milano, 1929.
  51. Da ‪Aux fontaines du désir, ‬B. Grasset, Paris, 1927, p. 29
  52. a b Citato in Pierre Pascal, In ricordo di Montherlant: XXI settembre MCMLXXII, sedicesima ora, la Destra, n. 10, ottobre 1972, p. 74.
  53. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  54. Citato in Shinshō Hanayama, La via dell'Eternità, traduzione di Pierre Pascal, presentazione di Giovanni Artieri, Circolo Gabriele D'Annunzio, Grosseto, 1975, p. 29.
  55. Da La marée du soir. Carnets 1968-1971, Gallimard, Paris, 1972, p. 98.
  56. a b Da La marée du soir. Carnets 1968-1971, Gallimard, Paris, 1972, p. 101.
  57. a b Citato in Ferdinando Castelli S.I., Henry de Montherlant, cavaliere del nulla, in La Civiltà cattolica, Quaderno 2946, 1973, pp. 548.
  58. Da La marée du soir. Carnets 1968-1971, Gallimard, Paris, 1972, p. 16.
  59. Citato in La mort de Montherlant, Montherlant.be.
  60. Citato in Shinshō Hanayama, La via dell'Eternità, traduzione di Pierre Pascal, Circolo Gabriele D'Annunzio, Grosseto, 1975, p. 34.
  61. Da Carnets: années 1930 à 1944, Gallimard, Paris, 1957, vol. I, p. 102.
  62. Da La marée du soir. Carnets 1968-1971, Gallimard, Paris, 1972, p. 85.
  63. Da La marée du soir. Carnets 1968-1971, Gallimard, Paris, 1972, p. 68.
  64. Citato in Gabriel Pommerand, Le petit philosophe de poche, Le livre de poche, 1962, p. 9.
  65. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  66. Citato in Elémire Zolla, Archetipi, a cura di Grazia Marchianò, Marsilio, Venezia, 2016, p. 283.
  67. Citato in Luigi Báccolo, Notre Dame la France, Il Ponte, XX, n. 3, marzo 1964, p. 394.
  68. Da Il cardinale di Spagna, in Il cardinale di Spagna; Port-Royal, Bompiani, Milano, 1961, p. 101.
  69. Da Nota III: La "durezza" di Cisneros, in in Il cardinale di Spagna; Port-Royal, Bompiani, Milano, 1961, p. 136.
  70. Da Nota IV: Le due porpore, in Il cardinale di Spagna; Port-Royal, Bompiani, Milano, 1961, p. 141.
  71. Citato in Antonio Corsaro, Per Montherlant, in Astrattismo nella poesia francese del Seicento e altri studi, Palermo, Flaccovio, 1968, pp. 258-259.
  72. Da Commento al Greco, trad. di Maria Chiappelli, Pesci rossi, XIX, n. 8-9, agosto-settembre 1950.
  73. Da Présentation du capitaine Romero, ‪Théâtre, ‬Gallimard, Paris, 1968, p. 590.
  74. Citato in Antonio Corsaro, Per Montherlant, in Astrattismo nella poesia francese del Seicento e altri studi, Palermo, Flaccovio, 1968, p. 255.
  75. a b Citato in Maurizio Serra, La dedica di D'Annunzio a Montherlant, in L'esteta armato : il poeta-condottiero nell'Europa degli anni Trenta, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 217.
  76. Da L'équinoxe de septembre: suivi de Le solstice de juin, et de Mémoire (texte inédit), ‬Gallimard, Paris, 1976, p. 135.
  77. Da L'équinoxe de septembre: suivi de Le solstice de juin, et de Mémoire (texte inédit), ‬Gallimard, Paris, 1976, p. 281.
  78. Citato in Shinshō Hanayama, La via dell'Eternità, traduzione di Pierre Pascal, Circolo Gabriele D'Annunzio, Grosseto, 1975, p. 433.
  79. Citato in La vita è Proteo, la Destra, IV, aprile-maggio 1974, p. 165.
  80. Citato in Henry de Montherlant, L'infinito è dalla parte di Malatesta, Raffaelli, Rimini, 2004, p. 51.
  81. Da Les Olympiques, Gallimard, Paris, 1954, p. 36.
  82. Citato in ‪Lo sport e la "Grande Guerra", a cura di Sergio Giuntini, Stato maggiore dell'Esercito, Ufficio storico‬, Roma, 2000, p. 6.
  83. Citato in Una poesia di Montherlant, traduzione di Stefano Jacomuzzi, TuttoLibri-La Stampa, n. 417, 28 luglio 1984, p. 5.
  84. Citato in Gian Piero Bona, Elogio olimpico; antologia di poesie sportive da Omero ai giorni nostri, All'insegna del pesce d'oro, Milano, 1960, p. 6.
  85. a b Citato nell'abstract di De Montherlant Henry, L'infinito è dalla parte di Malatesta, Raffaelli editore, Rimini, 2004.
  86. Da Il Malatesta di Montherlant, Il Resto del Carlino, 28 luglio 1969, p. 3.
  87. a b Citato in Ferdinando Castelli S.I., Henry de Montherlant, cavaliere del nulla, in La Civiltà cattolica, Quaderno 2946, 1973, p. 546.
  88. a b c Citato in Ferdinando Castelli S.I., Henry de Montherlant, cavaliere del nulla, in La Civiltà cattolica, Quaderno 2946, 1973, p. 551.
  89. Citato in Maurizio Serra, La dedica di D'Annunzio a Montherlant, in L'esteta armato : il poeta-condottiero nell'Europa degli anni Trenta, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 216.

Bibliografia

modifica
  • Henry de Montherlant, I bestiari, in Rodolfo De Mattei, Viaggi in libreria, Sansoni, Firenze, 1941, pp. 179-185.
  • Henry de Montherlant, Il gran maestro di Santiago: dramma in tre atti, traduzione di Cesare Vico Lodovici, Sipario, a. 5, n. 45, 1950.
  • Henry de Montherlant, Il gran maestro di Santiago. La regina morta. Malatesta, traduzione di Massimo Bontempelli e Camillo Sbarbaro, Bompiani, Milano, 1952.
  • Henry de Montherlant,Théâtre, in Lucio Ridenti, Il dramma, 1952, N. 156.
  • Henry de Montherlant, Ragazze, Il demone del bene, Le lebbrose, in Ragazze, traduzione di Maria Luisa Cipriani Fagioli, Mondadori, Milano, 1958.
  • Henry de Montherlant, Il caos e la notte, Club degli editori, Milano, 1966.
  • Henry de Montherlant, Il paradiso all'ombra delle spade, in Calcio: I racconti del calcio, a cura di Giordano Goggioli, Edizioni sportive italiane, Roma, 1970.
  • Henry de Montherlant, Infelicità di D'Annunzio, Corriera della Sera, 18 febbraio 1972, p. 3.
  • Henry de Montherlant, Fils de personne; La Mort qui fait le trottoir (Don Juan), in Théâtre, Gallimard, Paris, 1972.
  • Henry de Montherlant, La vita è Proteo, la Destra, IV, aprile-maggio 1974, p. 164.
  • Henry de Montherlant, Gli scapoli, traduzione di Egidio Bianchetti, Mondadori, Milano, 1980.
  • Henry de Montherlant, Il solstizio di giugno, traduzione di Claudio Vinti, Akropolis, Napoli, 1983.
  • Henry de Montherlant, L'infinito è dalla parte di Malatesta, traduzione di Moreno Neri, Raffaelli, Rimini, 2004.
  • Henry de Montherlant, Carnets (1930-1972), in Antonio Castronuovo, I Carnets di Montherlant, Cartevive, anno XX, n. 2 (44), dicembre 2009, pp. 170-182.

Altri progetti

modifica