Aldo Capitini

filosofo, politico e antifascista italiano (1899-1968)
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Aldo Capitini (1899 – 1968), filosofo, politico, antifascista, poeta ed educatore italiano.

Aldo Capitini

Citazioni di Aldo Capitini

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  • Chi è nonviolento è portato ad avere simpatia particolare con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime.[1]
  • E non coglierai i fiori. Solo il fiore che lasci sulla pianta è tuo.[2]
  • Faccio acquistare il Suo libro [Esperienze pastorali], e piace a tutti. È così fresco, vivo, sincero, schietto, che conferma nella certezza che ci sono persone bene orientate. Io vi ho trovato tante cose in cui convengo [...] era una mia vecchia idea quella della scuola che insegna a capire ciò che è testo, le parole, la lingua.[3]
  • Gentile era impaziente che io sistemassi le mie cose e me ne andassi [dalla Scuola Normale di Pisa], perché ero divenuto di colpo vegetariano (per la convinzione che esitando davanti all'uccisione degli animali, gli italiani – che Mussolini stava portando alla guerra – esitassero ancor più davanti all'uccisione di esseri umani), e a Gentile infastidiva che io, mangiando a tavola con gli studenti come continuavo a fare, fossi di scandalo con la mia novità![4]
  • [Declinando un'onorificenza proposta in suo favore da Gentile alla Scuola Normale di Pisa] Ho preso in esame dal punto di vista religioso il problema della violenza e l'insegnamento ad avere fiducia in essa, e mi è sembrato che quell'insegnamento sia un errore e riveli mancanza di profonda fede nello spirito perché l'amore è veramente spirituale solo quando è infinita possibilità di amare – e perciò la religione è educazione all'amore – mentre l'amore deliberatamente limitato è idolatria o superstite egoismo.[5]
  • Il vegetarianesimo è in stretto rapporto con i problemi morali e religiosi, ed anzitutto con il problema dei fini e dei mezzi.[6]
  • Mentre il terrorismo acuisce la difesa violenta dei potenti, le azioni dirette nonviolente creano nei potenti uno stato di disagio e di inferiorità.[7]
  • Non isolarsi, non cercare di affrontare e risolvere i problemi importanti da isolati; da isolati non si risolvono che problemi di igiene, di salute personale e, se mai, di benessere ad un livello angusto.[8]
  • Non mi pare, infatti, che si possa fondare l'educazione alla pace senza la preliminare disposizione a pagarla, eventualmente, a caro prezzo; e questo mi pare che fosse uno dei limiti della politica di Nehru, certamente non gandhiano, che voleva essere neutralista senza avere disposto una coscienza e un'adeguata preparazione nel suo Stato a ciò che il neutralismo significa.[9]
  • Non sono lontano dal pensare che gli uomini arriveranno veramente a non uccidersi tra di loro, quando arriveranno a non uccidere più gli animali.[10]
  • Ogni società fino ad oggi è stata oligarchica, cioè governata da pochi, anche se "rappresentanti" di molti; oggi specialmente, malgrado la diffusione di certi modi detti democratici, il potere (un potere enorme) è in mano a pochi, in ogni paese. Bisogna, invece, arrivare ad una società di tutti, alla "omnicrazia".[11]
  • Se Perugia fosse città di pianura soffrirebbe di ciò perché sentirebbe dietro di sé sovrastare tutte le montagne della parte settentrionale; ma la sua altezza (cinquecento metri) la salva, e Perugia sta, senza l'incombere di null'altro che del cielo.[12]
  • Tutte le volte che un uomo rifiuta, in nome del suo senso morale (coscienza), di divenire complice di una situazione che ritiene ingiusta, o di eseguire certi comandi o certe azioni, si fa obbiezione di coscienza.[13]

Aggiunta religiosa all'opposizione

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  • Sarebbe un errore intendere l'amore religioso come accettazione del male; perché anzi esso è lotta instancabile con il male dovunque si trovi. Soltantoché ci sono due modi di lottare: uno che mira a distruggere il peccato e il peccatore, e l'altro che vuol togliere il peccato, ma non perdendo l'unità e l'amore col peccatore. Per il primo esiste la condanna a morte e l'inferno (che chiude il peccatore nel suo peccato); il secondo, invece, sviluppa un'azione di noncollaborazione col peccato, di solidarietà tra le vittime del peccato stesso (che in senso largo, è anche ciò che si fa contro la libertà e contro la giustizia, contro la pace e il benessere degli altri, contro il possesso da parte di tutti dei mezzi di vita e di sviluppo); e, insieme, distingue dal peccato le persone, che commettono il peccato, che sono possibilità di altro, di bene, di unità con tutti: è fondamentalmente religioso riconoscere che la destinazione di tutti senza eccezione è ritrovarci, malgrado tutto e oltre tutto, sempre più uniti.
  • Un religioso non può accettare una società dove ci sia una folla immensa di disoccupati, esposti per anni, decenni, l'intera vita, al pericolo di una disintegrazione morale, civile ed anche fisica. E il religioso farà due cose: farà sentire al disoccupato che, pur nel suo stato, egli ha una coscienza, un'intima dignità, un valore di persona; e si adopererà perché tutta la società si muova, costi quel che costi di sacrifici a tutti, perché il disoccupato possa lavorare; e sia davanti ai suoi figli lieto come ogni altro padre.
  • Per una nuova vita religiosa, in cui il culto è facoltativo e non essenziale, e in cui l'interiorità è aperta, non si può più essere né re né sfruttatori; e bisogna perciò sentirsi continuamente inquieti, domandandoci se non ci si valga del potere o dei beni in modo privilegiato ed usurpativo. Con questi scrupoli si va più in profondo, ci si prepara a nuove azioni, ci si sente solidali proprio con chi rischia di essere oppresso dal potere o di essere sacrificato dall'economia. Pur tormentandosi, e beneficamente, in ciò, la coscienza ha un punto sereno che è questo: non escludere nessuno dai «tutti» della liberazione, dalla realtà di tutti, che è il regno di Dio bene inteso.
  • Di giorno in giorno sempre più la religione può essere chiamata a dire la sua parola; e questo proprio quando le religioni stanno rivedendo i loro punti ed alcune sono in crisi. Forse tra qualche decennio sarà visto chiaramente che le religioni sono in crisi e la religione è in aumento: situazione strana solo in apparenza, perché sono le profonde e creatrici esigenze religiose che aumentano, mentre le tradizioni, i dogmi, le istituzioni, i privilegi e i pregiudizi risultano trascinati dal tempo che consuma le cose del mondo.

Elementi di un'esperienza religiosa

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  • Solo amando, non mi domando il perché della vita; e non debbo fuggire le occasioni di provare concretamente, anche se è più duro che fare vagheggiamenti generici, questo mio amore verso gli altri. Che cosa ho di più mio dell'amore?
  • Se non tutti faranno così, sarà pur bene che qualcuno lo faccia: il fuoco viene sempre acceso da un punto.
  • Bisogna, inoltre, tener sempre presente che non sono le direttive viste in astratto, ma l'animo che vive concretamente, quello che ispira e sorregge e colora l'azione. La direttiva, in sé, potrebbe essere sorgente d'inerzia o di superbia; e la stessa religione tutta quanta è tentazione, se per essa ci si crede sufficienti e a posto. È l'animo da riprendere sempre e da rinnovare.
  • Col vegetarianesimo (cioè non nutrendosi della carne di animali macellati, ma di prodotti della terra, e di derivati dagli animali, ma senza ucciderli) si realizza principalmente il riconoscimento del valore dell'esistenza di quegli esseri animali contro i quali si decide di non usare l'uccisione, e, di riflesso, si realizza una maggiore persuasione che non si debba usare violenza contro gli esseri umani. Dopo la decisione vegetariana noi guardiamo subito con nuovi occhi gli animali; non ne esageriamo il valore, ma sentiamo in noi qualche cosa di franco, di calmo, di affettuoso fino all'intimo. Se è vero che noi abbiamo una maggiore vita spirituale, dobbiamo compensar ciò con maggiore affetto intorno a noi e con una più precisa coscienza dei doveri di ampliamento della vita spirituale nell'universo.
  • Nell'intimità si presentano le idee, i propositi: l'affermazione qualsiasi che intendo fare, quando io ne sia profondamente persuaso, ha una forza intrinseca. Questa forza viene alla mia affermazione dalla dedizione che io metto in essa, dalla persuasione che essa è bene, è verità, è valore, che non è per un mio interesse egoistico. Quando è così, l'idea che io propugno è fondata nel mio intimo con la stessa certezza che ho quanto alla durezza della pietra; e come non maltratterei nessuno per attestare quest'ultimo fatto, cosi è assurdo che ricorra alla forza per affermare tra gli altri la mia idea: essa ha una forza in sé, che è la forza della verità intima, la forza dell'anima.
  • Solo così si rinnova il mondo, per amore; e chi è innamorato non aspetta che gli altri si innamorino. Chi si guarda sempre dietro prima di muoversi, si muoverà alfine sospinto dagli altri, e senza sapere dove vada.
  • L'altro uomo è a noi un'immagine di come siamo noi; se io, anche nel silenzio e nella solitudine della mente, rispetto l'immagine di un uomo, affermo in quel momento stesso la mia dignità di uomo, rendo omaggio all'essere spirituale in lui e in me. Chi non rispetta un altro, in realtà non rispetta nemmeno se stesso. Meglio è essere offesi che offendere; bisogna ricambiare il male con il bene: noi non dobbiamo dare che il bene, la vita, l'amore, la luce, la vicinanza, l'atto infinitamente aperto.
  • La vita è lotta. Non c'è cosa di valore che non costi.
  • Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà perfettamente nonviolenta, regno dell'amore che noi potremo vedere con i nostri occhi. Io so che gli ostacoli saranno sempre tanti, e risorgeranno forse sempre, anche se non è assurdo sperare un certo miglioramento. A me importa fondamentalmente l'impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore e di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione, del mio atto, che, anche se non è visto da nessuno, ha il suo peso alla presenza e per la presenza di Dio.

Il problema religioso attuale

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  • La nonviolenza non è soltanto rifiuto della violenza attuale, ma è diffidenza contro il risultato ingiusto di una violenza passata.
  • Il nonviolento che si fa cortigiano è disgustoso: migliore è allora il tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesù Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli offesi. La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata.
  • La nonviolenza è attivissima. La nonviolenza è prova di sovrabbondanza interiore, per cui all'uso della violenza che sarebbe ovvio, naturale, possibilissimo, viene sostituita, per ulteriore ricerca e sforzo, la nonviolenza. Sarebbe anche qui falsificazione intendere il nonviolento come un pedante occupato esclusivamente a torcere il volto davanti ad ogni menomo atto violento, senza addentrarsi nella vita e nei suoi motivi. Tra il nonviolento inerte e il soldato che si esercita faticosamente ed arrischia, la possibilità di un valore morale è più nel secondo che nel primo.
  • La nonviolenza [...] è inquietudine continua, passione mai saziata di interesse per le individualità.
  • La nonviolenza [...] è collocazione e scelta volontaria, non un dogma; e ognuno può a sua ispirazione (Spiritus ubi vult spirat) dirigerla.
  • Il vegetarianesimo, per es., è una cospicua scelta che viene fatta nel campo degli esseri subumani. Si decide di rinunciare al cibo che comporti uccisione di animali; e con ciò stesso muta il nostro modo di avvicinarsi ad essi, il nostro modo di considerarli; si accetta sorridendo ma con fermezza l'apparente stranezza che galline e pecore, dopo averci dato uova e lana, «muoiano di vecchiaia»; si amplia, al posto della violenza spietata alle sofferenze e all'uccisione, quel piano di collaborazione in cui consiste l'incremento della civiltà. Questa «sospensione» introdotta nella leggerezza sterminatrice e nella freddezza utilitaria si riflette in accrescimento di valore interiore. Ma c'è di più e forse il meglio. Io debbo confessare che, pur avendo un notevole interesse all'esistenza degli animali, mi decisi al vegetarianesimo nel 1932, quando, nell'opposizione al fascismo, mi convinsi che l'esitazione ad uccidere animali, avrebbe fatto risaltare ancora meglio l'importanza del rispetto dell'esistenza umana.
  • Se io voglio che tu agisca da persuaso interiormente, bisogna che io prima sia in tutto persuaso e non retore.
  • Accanto ad una società che usa la guerra come via alla pace, la violenza come via all'amore, la dittatura come via alla libertà, la religione mi porta ad anticipare di colpo il fine nel mezzo; e ad attuare comunque, qui e sùbito, pace, amore, libertà. La religione è impazienza dell'attendere il fine [...].

Italia nonviolenta

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  • Il vero Novecento comincia nel 1917, con la rivoluzione russa e con l'intervento americano fuori dal proprio continente. Sono i due fatti che questo secolo dovrà assimilare e risolvere, preparando altro.
  • Il ferreo impero di Roma fu vinto da chi era persuaso, nella parola e nei fatti, di una verità più alta.
  • Ma che importa perdere qualche cosa se si acquista ciò che vale e sovrabbonda? Proprio questo senso del «sovrabbondare» è uno dei temi principali del Vangelo, di presenza, di valore, di letizia nel convito, di infinito compenso alle anguste e tempestose soddisfazioni e attaccamento alla vecchia realtà.
  • Risulta subito evidente un carattere dell'obbiezione di coscienza, dovunque sia stata fatta: essa non è qualche cosa di negativo, ma è atto affermativo di un valore, di una visione ideale, fondazione di un rapporto spirituale (con Dio, con la società degli uomini, o con entrambi).
    E questo atto affermativo è tale non solo per il fatto che è riferito ad una visione ideale che si vuol seguire, e incarnare iniziandola nel mondo, ma anche perché, per le difficoltà che esso incontra e le conseguenze avverse che si tira addosso, richiede un animo tutt'altro che vile, e profondamente persuaso. Se il soldato deve dare uno strappo ad un modo di vita abitudinario, quieto, piacevole e senza colpi, l'obbiettore di coscienza deve andare anche più in là, perché deve farsi forza contro quello stare insieme e in tanti che è nei soldati, e quel certo movimento ed esaltazione fisica; e, invece, affrontare decisamente e calmamente l'esser solo, inerme, colpito, oltre alla croce dell'accusa di viltà.
  • Quanto farebbero meglio i governi di Stati specialmente esigui a dedicare tanto delle loro spese, invece che ad eserciti e a marine insufficienti e destinate a diventar mercenarie, alla preparazione dell'attrezzatura e dell'addestramento in una decisa noncollaborazione con l'eventuale invasore!
  • La nuova realtà è la compresenza non solo dei proletari, ma di tutti i sofferenti, di tutti i morti, dell'interiorità di tutti. Il Marx è il profeta di un regno di Dio inteso secondo il realismo terreno politico per una classe eletta dalla Storia, il proletariato; noi dobbiamo affermare che la nuova realtà è di tutti gli oppressi, i sofferenti, i morti: è la compresenza infinita di tutti.
  • Racconta il Berdiaeff di un socialista democratico che gli disse di Lenin: «egli non fa differenza tra il bene e il male» (Au seuil de la nouvelle Époque, p. 40). Questo perché Lenin era tutto teso alla rivoluzione; e il resto gli pareva di poca importanza. Il male per lui sarebbe stato non gettarsi nella rivoluzione. Davanti al regno dei cieli Gesù provava un sentimento simile, e il vero peccato era dormire, non vigilare, non essere pronti ad accogliere l'imminente Regno; gli altri peccati erano meno gravi.

La compresenza dei morti e dei viventi

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Tutta la realtà, e specialmente la società, tengono l'individuo dentro limiti, e così egli cresce abituandosi a sentire questo freno: se si ammala, se diventa zoppo, cieco, non può infastidire, dilagare; e la gente gli è grata se egli resta quieto e sereno, ed anche sorride, pur avendo il grosso fatto della sua sventura, tra sé, da fronteggiare. Così è quando gli si avvicina quel fatto che egli sa essere la morte, e quanto più egli manifestasse sbigottimento, terrore, protesta, tanto più la realtà intorno si mostrerebbe urtata, spiacente ed ostile.

Citazioni

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  • Il bambino è il figlio della festa; ogni data di nascita è un natale che non è soltanto un incremento della compresenza, ma è anche una prova del portare al massimo il nostro impegno al valore, al quale segue qualche cosa della realtà liberata. (p. 118)
  • La protesta per il passo della morte è più religiosa che la sua accettazione, e il Leopardi è più religioso del Croce. Dal Leopardi possono venire le aperture pratiche religiose, dal Croce può venire il servizio ai valori. Il Croce è greco-europeo, perché la civiltà europea porta al suo sommo l'affermazione dei valori. Il Leopardi comprende questi (le virtù), ma cerca gl'individui, e li vede morire, non li trova più, sono i morti. È aperto, dunque, al tu; in potenza ci sono le aperture pratiche religiose. (p. 131)
  • La carità, divenuta apertura religiosa, siede in silenzio vicino al morente, con la certezza che egli non andrà nel nulla, ma, lasciato il suo corpo, sta nell'intima compresenza da cui sorgerà una realtà liberata. (p. 139)
  • Il sogno è dell'anima, il pensiero è dello spirito. (p. 149)
  • Una verità accertata, un'opera di bellezza, un atto di bontà, non solo preaccennano a ciò che può essere una realtà più desiderabile, ma operano sulla realtà attuale, la trasformano già parzialmente, e quel colle è diverso dopo una grande musica o dopo la carità francescana. (p. 175)
  • E il progresso è evidente per questo: ammesso che ogni essere che nasca e ogni atto di valore che si compia è incremento della compresenza, incremento positivo, è evidente che questa realtà è in progresso, perché esseri nascono, e valori si producono, anche rivivendo appassionatamente i vecchi; mentre la natura in quanto è morte, è morte, e non può essere «più morte»; il male non ha progresso, è sforzo momentaneo e ripetuto, ma non incremento. Dunque è destinato ad essere trasformato da chi è in incremento. (pp. 233-234)
  • Spesso accade che per mancanza di dedizione, si perdano alte occasioni! (p. 246)
  • Religioso indubbiamente è nell'Arpa birmana il contrasto tra il piacevolissimo ritorno dei reduci alle cose semplici e quotidiane della vita e la missione di chi resta, solo e piangente, a seppellire i soldati morti.
    La rivoluzione che porta il cristianesimo è di rendere la morte apparente. Per far questo poggia sulla «resurrezione» di Gesù Cristo. (p. 255)
  • Ogni essere che muore è un martire, un testimone dei limiti di questa realtà, è uno che ne ha sofferto. (p. 255)
  • Dovremmo aver coscienza che abitiamo in un immenso cimitero. (p. 259)
  • Bisogna piangere per essere consolati, bussare perché sia aperto, buttarsi alla molteplicità dei Tutti affinché viviamo l'Unità. Bisogna esprimere costantemente l'opposizione alla realtà che dà la morte, come in politica bisogna essere per la rivoluzione aperta permanente. Se per principio si accettano gli eventi, si finisce per accettarli tutti, anche quello della morte; ma allora non si vedono altro che gli eventi. L'apertura alla compresenza accetta solo gli eventi di incremento: le nascite e i valori. Quello che si suol dire, che l'uomo sulla terra è un pellegrino, può trasformarsi così: che l'uomo sulla terra si è aperto a tutti, protesta perché essa gliene toglie alcuni, cioè che l'uomo non è soddisfatto sulla terra, o nella realtà com'è ora. Vuole una realtà che svolga la compresenza, una realtà liberata. Se egli non si aprisse a tutti, come protestare perché la morte, la distanza, la malattia gliene toglie o colpisce o debilita alcuni? (p. 269)
  • Tutte le volte che salgo su una cima di un monte mi accade di trovarla più familiare, nel terreno, nei sassi, nelle erbe, e meno misteriosa di quanto l'immaginavo tendendo ad essa, ma l'orizzonte mi sorprende sempre. (p. 279)
  • Nella festa si trova una ragione più profonda della vita, una solidarietà più salda, un anticipo della liberazione, un'atmosfera in cui ci si purifica, ci si eleva, ci si abbandona. (p. 281)
  • È segno di senilità per le persone e per le civiltà tornare sempre alla propria fanciullezza, mentre è segno di apertura affezionarsi ai bambini ora viventi: avete questi, e perché state a rievocare, affranti e stupefatti, la vostra infanzia? (pp. 281-282)
  • I cadaveri non chiedono nulla, e perciò si è più spinti a dar loro ciò che di più puro e gentile possiamo offrire: la luce, i fiori, le devote parole delle epigrafi, il raccoglimento nel paesaggio. (p. 283)
  • La festa è come il ritorno ad uno stato natale, un più o meno esplicito ringraziamento per essere oltre la nascita, e non prima, un ritrovamento di sentimenti espansivi e gioiosi, il senso di un contatto con ciò che fa nascere. (p. 284)
  • Non c'è cosa più ingannevole dell'accettazione abitudinaria di un ritmo immutabile; mentre fin ai fanciulli bisogna mostrare che questo tempo è quello dell'intensificarsi del ritmo degl'impegni straordinari alle aperture e alle aggiunte: credo che per millenni si siano perdute le occasioni di liberazione dell'uomo che i fanciulli portavano, appunto per aver imposto loro come assoluto e immodificabile quel ritmo che era lo schema di un'età adulta, chiusa, meccanica e presuntuosa. Da qui lo sforzo di Gesù di rendere tutti come fanciulli. (p. 294)
  • La polemica tra teismo e ateismo alcune volte non va alla sostanza del discorso religioso. Non per nulla i primi cristiani erano presi per atei, perché non parlavano di Giove, ma di Cristo. (p. 295)

Religione aperta

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  • La nonviolenza non è cosa negativa, come parrebbe dal nome, ma è attenzione e affetto per ogni singolo essere proprio nel suo esser lui e non un altro, per la sua esistenza, libertà, sviluppo. La nonviolenza non può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la trasformazione; ed è attivissima, interviene in mille modi, facendo come le bestie piccole che si moltiplicano in tanti e tanti figli. Nella società la nonviolenza suscita solidarietà viva e dal basso. Anche verso gli esseri non umani la nonviolenza ha un grande valore, appunto come ampliamento di amore e di collaborazione.
  • E qui si capisce uno dei caratteri essenziali della nonviolenza bene intesa: essa non è mai perfetta e non finisce mai, appunto perché è una cosa dell'anima; è un valore, è come la musica, la poesia, e si può sempre fare nuova musica, nuova poesia; e la vecchia musica, la vecchia poesia, possono essere vissute più profondamente.
  • E poi la nonviolenza, quando è professata sul serio ed eventualmente con sacrificio, è un valore, che può essere riconosciuto anche da chi non la pratica, come uno stima chi fa poesia, anche se si occupa d'altro. Se è un valore, fa bene intimamente a tutti, influisce su tutti.
  • La vera nonviolenza non accetta nemmeno le violenze passate, e perciò non approva l'umanità, la società, la realtà, come sono ora. Non accetta la realtà dove l'animale grande mangia l'animale piccolo; e perciò cerca di stabilire unità amore anche verso gli animali, appunto per iniziare il bene; non accetta che i viventi prendano il posto dei morti; non accetta la fortuna dei forti e dei potenti, e perciò tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la ricchezza privata, e perciò tende a costituire forme di federalismo nonviolento dal basso e forme di aiuto e reciprocità sociale e fruizione comune di beni sempre più larghe. Essa ha come guida instancabile la presenza di tutti, e il principio che ogni singolo essere è insostituibile.
  • Una volta c'è stato un pacifismo molto blando, tanto è vero che davanti alla prima guerra mondiale e alla seconda vacillò. Esso credeva di arrivare alla pace molto facilmente attraverso la cultura, la scienza, l'interesse al benessere, il cosmopolitismo delle classi dirigenti. Si è visto poi che non bastavano, e si capisce perché. Non era stato affrontato il lato religioso del rifiuto della violenza, che cioè la violenza si rifiuta in nome dell'amore (e non dello star bene), di una realtà liberata dagli attuali limiti (e non in nome della continuazione di una realtà insufficiente), e con una disposizione al sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo[14] che muore per far sorgere la nuova pianta. Il vecchio pacifismo era ottimista, il nuovo è drammatico e di fede nella liberazione dell'uomo-società-realtà dagli attuali limiti.
  • Ogni musica ha cominciato, prima di aspettare che tutti ascoltassero; ognuno che è innamorato, non aspetta che tutti quanti si innamorino.
  • Allo stato attuale delle cose già sarebbe possibile risparmiare tante uccisioni di animali; e perciò dobbiamo portarci subito al punto possibile. Quelli che ci presentano il caso della tigre che assale, e poi uccidono tranquillamente le galline dopo che esse ci hanno fornito uova e uova, parlano per parlare, non con la buona fede di prendere impegni, se risultassero ragionevoli. Un primo lavoro da fare è di togliere tutte le crudeltà ed uccisioni inutili, se si vuol tener fede al principio di estendere l'unità anche con gli esseri subumani.
  • Il vegetarianesimo è un modo considerevole per ridurre l'uccisione di animali. Condotto bene, non presenta inconvenienti allo stato del nostro corpo fisico. Anzi c'è chi sostiene che migliora la nostra indole stessa; come che stia questa cosa, è certo che la nostra indole migliora per il proposito di affetto verso gli animali, per il nuovo sguardo che abbiamo verso di loro, dopo il proposito di non distruggerli, per il senso di cooperare che stabiliamo. Finora si è considerato il campo animale come un campo libero dove uno potesse portare stragi; la nonviolenza inizia il piano di un accordo col campo animale, che potrà arrivare molto lontano. Di riflesso poi, la direttiva di rispettare la vita animale porta maggiore attenzione alla vita umana.
    Ma verso tanti esseri animali è ancora difficilissimo attuare la nonviolenza: che noi proviamo dolore di questo, è già un passo avanti. Col tempo le stesse bestie feroci potranno essere allevate, nutrite diversamente e trasformate. Noi potremo sviluppare le nostre energie interne e meglio dominare, senza ucciderle, molte bestie.
  • Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non l'accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com'è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà così fatta non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente, ed io mi apro ad una sua trasformazione profonda, ad una sua liberazione dal male nelle forme del peccato, del dolore, della morte. Questa è l'apertura religiosa fondamentale, e così alle persone, agli esseri che incontro, resto unito intimamente per sempre qualunque cosa loro accada, in una compresenza intima, di cui fanno parte anche i morti; i quali non sono né finiti né stanno a fare cose diverse da noi, ma sono uniti a noi, cooperanti, a fare il bene, i valori che facciamo, e che nessuno può vantarsi di fare da sé. Cosi anche chi è, per ora, sfinito, pallido, infermo, e pare che non faccia nulla di importante; anche chi è sfortunato, pazzo (per ora), è una presenza e un aiuto unito a tutti.

Citazioni su Aldo Capitini

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Aldo Capitini nel 1929
  • Era affascinato dalla figura di Gandhi. Si definiva un religioso laico. Certe volte pranzavamo insieme alla mensa della Normale. La sua scelta vegetariana lo portava a escludere ogni sospetta presenza di grassi animali. Poteva chiamare il cameriere che arrivava in guanti bianchi per ritirare il piatto incriminato. (Sabino Cassese)
  • Gentile e Capitini si separarono [...] nella sala delle adunanze del palazzo dei Cavalieri. Il filosofo disse di sperare che «le future esperienze gli facessero vedere la vita e la realtà delle cose sotto un aspetto diverso»; e Capitini rispose che non poteva fare altro che «contraccambiare l'augurio». Fu certamente una rottura. Ma non appena il giovane pacifista uscì dalla sala, il filosofo si voltò verso Francesco Arnaldi, che aveva assistito a questo scambio di battute, e disse «Abbiamo fatto bene a mandarlo via perché, oltre tutto, è un galantuomo». (Sergio Romano)
  • Sostenitore di una religiosità indipendente da qualsiasi forma di chiesa o di setta, fondata sulla fratellanza umana, la non violenza e il pacifismo, Capitini rimase sempre decisamente antifascista, sebbene non volesse mai far parte di alcuna organizzazione propriamente politica (neppure del partito d'azione) e si limitasse ad una funzione di ispiratore morale. (Giorgio Candeloro)
  • Aldo Capitini, filosofo e uomo politico rimasto ai margini della corrente principale della storia politica del Novecento, ma oggi imprescindibile.
  • È stato fra gli uomini politici più incompresi del nostro Paese. Antifascista slegato dai grandi partiti di massa, introdusse in Italia il tema della nonviolenza, senza essere davvero capito. Era considerato un eccentrico, un politico anomalo a metà strada fra filosofia e religione. Tuttora si pensa spesso alla nonviolenza come a un'opzione politica rinunciataria, di esclusione del conflitto, o come a un'espressione ideale priva di effetti pratici, una sorta di aspirazione che si sa irraggiungibile. E invece Capitini scriveva nonviolenza in unica parola proprio per distinguerla dalla semplice assenza di violenza.
  • La battaglia solitaria di Capitini a me sembra un potente incoraggiamento ad agire, a farlo sempre e comunque, in qualsiasi contesto.
  1. Da Azione nonviolenta, gennaio 1964, editoriale, in Le ragioni della nonviolenza, p. 179.
  2. Da Scritti filosofici e religiosi, a cura di Mario Martini, Fondazione Centro studi Aldo Capitini, 1998.
  3. Da una lettera a Don Milani, gennaio 1960; citato in Neera Fallaci, Dalla parte dell'ultimo: vita del prete Lorenzo Milani, Milano Libri Edizioni, Milano, 1974, p. 360.
  4. Da Opposizione e liberazione, a cura di Piero Giorgio Giacché, L'Ancora del Mediterraneo, 2003.
  5. Citato in Sergio Romano, Aldo Capitini e il pacifismo alla Scuola Normale, Corriere della Sera, 4 luglio 2006, p. 37.
  6. Da Aspetti dell'educazione alla nonviolenza, 1959.
  7. Da Le tecniche della nonviolenza, 1967, in Le ragioni della nonviolenza, p. 188.
  8. Da Le tecniche della nonviolenza, 1967, in Le ragioni della nonviolenza, p. 190.
  9. Da Azione nonviolenta, dicembre 1964, editoriale, in Le ragioni della nonviolenza, p. 184.
  10. Citato in Giacomo Zanga, Aldo Capitini: La sua vita, il suo pensiero, L'Età dell'Acquario Bresci editore, 1988.
  11. Da Educazione aperta; citato in Claudio Tugnoli (a cura di), Maestri e scolari di non violenza, FrancoAngeli, Milano, 2000, p. 109. ISBN 88-464-2550-2
  12. Da Perugia. Punti di vista per una interpretazione, La nuova Italia, Firenze, 1947, p. 7; citato in Roberto Segatori, I tre volti del centro storico di Perugia degli anni Duemila, in Luca Ferrucci (a cura di), I centri storici delle città tra ricerca di nuove identità e valorizzazione del commercio. L'esperienza di Perugia, Franco Angeli, 2013, pp. 125-126. ISBN 9788820421861
  13. Citato in Mario Martini, Introduzione, in Le ragioni della nonviolenza, p. 31.
  14. Cfr. Gesù: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto».

Bibliografia

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  • Aldo Capitini, Aggiunta religiosa all'opposizione, Parenti, Firenze, 1958.
  • Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Laterza, Bari, 1937.
  • Aldo Capitini, Il problema religioso attuale, Guanda, Modena, 1948.
  • Aldo Capitini, Italia nonviolenta, Libreria Internazionale di avanguardia, Bologna, 1949 (Centro studi Aldo Capitini, Perugia, 1981).
  • Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, 1966.
  • Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza: Antologia degli scritti, a cura di Mario Martini, Edizioni ETS, Pisa, 2004. ISBN 88-467-0983-7
  • Aldo Capitini, Religione aperta, Guanda, Modena, 1955 (Neri Pozza, Vicenza, 1964).

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