Jack London

scrittore, giornalista e drammaturgo statunitense
(Reindirizzamento da Il vagabondo delle stelle)

Jack London, pseudonimo di John Griffith Chaney (1876 – 1916), scrittore e giornalista statunitense.

Jack London nel 1906

Citazioni di Jack London

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  • Di tutti gli sport, l'unico che ami veramente è la boxe. Certo, è uno sport che a poco a poco va scomparendo. Ma mi auguro che, nei giorni che mi restano da vivere, ci sia sempre da qualche parte un'arena cui poter andare.[1]
  • Di tutto, questo è rimasto: | l'aver vissuto e l'aver lottato. | Questo sarà il guadagno del gioco | anche se sarà perso l'oro della posta.[2]
  • Dimenticati di te stesso e il mondo ti ricorderà.
Forget you! And then the world will remember you.[3]
  • L'atollo di Hikueru si stendeva basso nell'acqua, un cerchio di sabbia fine di corallo largo un centinaio di metri, con una circonferenza di venti miglia, emergente di un metro, un metro e mezzo dal limite dell'alta marea. Il fondo dell'immensa laguna trasparente era ricco di ostriche perlifere e dal ponte della goletta, attraverso l'anello sottile dell'atollo, si potevano vedere i tuffatori al lavoro.[4]
  • La razza che possiede il più elevato altruismo durerà.[5]
The race with the highest altruism will endure.[6]
  • Leggete il mio Radiosa aurora, dove descrivo un superuomo di successo che, al culmine del suo trionfo e della sua carriera, getta via i suoi trenta milioni di dollari al vento per guadagnare qualcosa di più grande, l'amore.
Read my Burning Daylight, in which I show a successful superman who at the end of his triumph and career, throws his thirty million dollars to the winds in order to win to a greater thing, namely love.[7]
  • [Leggendo per la prima volta un'opera di Carl Gustav Jung] Mi trovo sull'orlo di un mondo talmente nuovo, terribile e meraviglioso che ho quasi paura a guardarci dentro.[8]
  • Preferirei di gran lunga essere campione del mondo dei pesi massimi – cosa impossibile – che re d'Inghilterra o presidente degli Stati Uniti o kaiser di Germania.[9]
  • Questa è la mia visione. Guardo al futuro, a un tempo in cui l'uomo progredirà verso qualcosa di più degno e più alto del suo stomaco, quando ci sarà una motivazione più sottile che spinga gli uomini all'azione che quella di oggi, lo stomaco. Mantengo la mia convinzione della nobiltà e dell'eccellenza del genere umano. Credo che la dolcezza spirituale e l'altruismo avranno la meglio sulla grossolanità della gola. E ultimo di tutto, la mia fede è nella classe operaia. Come ha detto un francese, "La scala del tempo fa sempre eco alla scarpa di legno che sale, mentre lo stivale tirato a lucido discende."
Such is my outlook. I look forward to a time when man shall progress upon something worthier and higher than his stomach, when there will be a finer incentive to impel men to action than the incentive of to-day, which is the incentive of the stomach. I retain my belief in the nobility and excellence of the human. I believe that spiritual sweetness and unselfishness will conquer the gross gluttony of to-day. And last of all, my faith is in the working-class. As some Frenchman has said, "The stairway of time is ever echoing with the wooden shoe going up, the polished boot descending."[10]

Attribuite

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  • La giusta funzione di un uomo è di vivere, non di esistere.[11]
  • Preferirei essere una superba meteora, ogni mio atomo esploso in un magnifico bagliore, piuttosto che un sonnolento e perseverante pianeta.[11]

Il richiamo della foresta

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Copertina de Il richiamo della foresta, Macmillan, 1903

Originale

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Buck did not read the newspapers, or he would have known that trouble was brewing, not alone for himself, but for every tide-water dog, strong of muscle and with warm, long hair, from Puget Sound to San Diego. Because men, groping in the Arctic darkness, had found a yellow metal, and because steamship and transportation companies were booming the find, thousands of men were rushing into the Northland. These men wanted dogs, and the dogs they wanted were heavy dogs, with strong muscles by which to toil, and furry coats to protect them from the frost.

Gian Dàuli

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Buck non leggeva i giornali; altrimenti avrebbe saputo che maturavano guai, non soltanto per lui, ma per tutti i cani da guardia dai muscoli forti e dal pelo lungo e soffice; da Puget Sound a San Diego. Perché uomini brancolanti nelle tenebre artiche avevano trovato un metallo giallo, e perché compagnie di navigazione e di trasporti, propagavano con gran rumore la scoperta, migliaia di uomini si precipitavano in Northland, la terra del Nord. Questi uomini avevano bisogno di cani, e occorrevano cani grossi, dai muscoli robusti, con i quali faticare e dal pelo lanoso per proteggerli dal gelo.

Grazia Gatti

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Buck non leggeva i giornali, altrimenti avrebbe saputo quali guai si stavano preparando non soltanto per lui, ma per tutti i cani di forte muscolatura e col pelo lungo e soffice da Puget Sound a San Diego. Brancolando tra le tenebre artiche gli uomini avevano trovato un metallo giallo e, poiché le compagnie di navigazione e di trasporto avevano divulgato la notizia, migliaia di persone correvano verso il Nord. Questi uomini avevano bisogno di cani; cani robusti, con una forte muscolatura e pelo folto per difendersi dal gelo.

Citazioni

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  • Una volta per tutte aveva capito che davanti a un uomo con un bastone non aveva possibilità. Aveva imparato la lezione e non la dimenticò per tutta la vita. (cap. I; 2011, p. 62)
  • Da lì in avanti tra i due fu guerra. Spitz, il cane leader e il capo riconosciuto della muta, sentiva la minaccia che questo strano cane delle Terre del Sud rappresentava per la propria supremazia. Per lui Buck era davvero strano [...]. (cap. III; 2011, p. 85)
  • Con l'aurora boreale che fiammeggiava fredda in alto, o le stelle saltellanti nella danza del gelo, e la terra intorpidita e gelata sotto il suo manto di neve, il canto degli huskies pareva la sfida della vita; soltanto, era espressa in tono minore, con lunghi lamenti e mezzi singhiozzi, ed era piuttosto la supplica della vita, l'articolato travaglio dell'esistenza. Era un vecchio canto, vecchio quanto la stessa razza ‒ uno dei primi canti del mondo più giovane, quando i canti erano tristi. (cap. III, 1924)
  • C'è un'estasi che caratterizza il culmine della vita e oltre la quale la vita non può innalzarsi. E il paradosso di vivere è tale che questa estasi arriva quando si è sommamente vivi e viene come un totale oblio dell'essere vivi. Questa estasi, questo dimenticarsi di vivere, viene all'artista fuori di sé colto da una vampata di passione; viene durante la battaglia campale al soldato pazzo di guerra quando rifiuta la tregua; e venne a Buck alla testa del branco mentre faceva risuonare il vecchio grido del lupo, teso a inseguire il cibo ancora vivo che fuggiva rapido davanti a lui sotto la luna. Stava scandagliando le profondità della sua natura e di parti della sua natura ancora più profonde di lui, le stesse che risalivano nel grembo del Tempo. (cap. III; 2011, p. 91)
  • Era più vecchio dei giorni che aveva vissuto e dei respiri che aveva esalato. Collegava il presente al passato, e l'eternità alle sue spalle gli palpitava dentro come un potente ritmo al quale ondeggiava come le mareggiate e le stagioni. Al fuoco di John Thornton sedeva un cane dall'ampio torace con la zanna bianca e il pelo lungo; ma alle spalle lo pressavano e lo stimolavano le ombre di ogni genere di cane, mezzi lupi e lupi selvaggi, i quali assaporavano il gusto della carne che mangiava, bramavano la sua acqua, annusavano il vento con lui e con lui stavano in ascolto; e quando dormiva gli parlavano dei suoni della vita nella foresta, dettandone gli stati d'animo e guidandone le azioni, coricati al suo fianco a sognare con lui e anche oltre, facendosi materia stessa dei suoi sogni. (cap. VI; 2011, p. 129)
  • Thornton si inginocchiò di fianco a Buck. Gli prese la testa tra le mani e gli mise contro la guancia. Non lo sballottò scherzosamente come al solito; non gli mormorò dolci imprecazioni d'amore; ma nell'orecchio gli sussurrò: "Come quando mi vuoi bene, Buck. Come quando mi vuoi bene". Questo sussurrò. Buck guaì per trattenere l'entusiasmo. (cap. VI; 2011, p. 137)
  • E molto simili alle visioni dell'uomo peloso c'era il richiamo che anche ora risuonava nel cuore della foresta. Questo lo riempiva di grande agitazione e strani desideri. Gli faceva sentire una felicità dolce, elusiva, ed era consapevole di provare struggimenti e stimoli selvaggi per una cosa che non conosceva. A volte inseguiva il richiamo sin dentro la foresta, per cercarlo come qualcosa di tangibile, e abbaiava secondo lo stato d'animo, piano o spavaldo. Poi infilava il naso nel muschio fresco del legno o nel terreno scuro dove cresceva l'erba alta e annusava con gioia gli odori della terra grassa; oppure stava per ore accucciato come se si nascondesse dietro i tronchi ricoperti di funghi o gli alberi caduti, dove teneva occhi e orecchie spalancati davanti a tutto ciò che si muoveva e risuonava intorno a lui. Poteva essere che restando così disteso sperasse di sorprendere il richiamo che non riusciva a capire. Ma non sapeva perché faceva tutte queste cose. Era spinto a farle, e non ci ragionava affatto. (cap. VII; 2011, pp. 143-144)

Citazioni su Il richiamo della foresta

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  • Ci tengo a evidenziare che Jack London è "il più grande scrittore americano nel mondo" e che il Richiamo della foresta è "il più grande romanzo del mondo". Notate che ho detto "romanzo del MONDO" – non "degli Stati Uniti". (Earle Labor)
  • È la proiezione el Sé mitologico del lettore [...] un'allegoria della redenzione umana. (Earle Labor)
  • London rivela la propria fede nell'evoluzionismo biologico e nell'onnipotenza dell'ambiente; ma, nonostante la tesi, il libro è tutto vivo: vivo è Buck, vivi son gli altri cani, con i loro eroismi, le loro ferocie, le loro ambizioni. Non meraviglia che, nell'America del suo tempo, il libro avesse grande fortuna, richiamando gli uomini industrializzati e meccanicizzati all'acre profumo selvaggio dell'istinto, alla verità primordiale della natura e della vita. (Ada Gobetti)
  • Il Richiamo della foresta andò ad aprire un sarcofago nel quale l'America aveva seppellito le proprie origini, il proprio destino, un sarcofago che già altri scrittori avevano aperto (Herman Melville ed Edgar Allan Poe, per esempio) e che London esplorò fino a penentrare la psiche americana e a restituirne l'immagine riflessa.
  • London scrive colto da un'energia sconosciuta e che ha preferito sempre lasciar scorrere nei sotterranei del'inconscio. Quando rialza la testa si ritrova con una creatura "imprevista", un testo lungo otto volte tanto quello che aveva in mente (trentaduemila parole). Poco importerebbe riferire di questi dati se non stessimo parlando di uno dei libri più potenti e popolari pubblicati nel ventesimo secolo. Jack compie ventisette anni il 12 gennaio 1903 e senza saperlo ha affidato a The Call of the Wild anche il racconto della propria vita.
  • Questo libro è Storia Universale, Odissea, un Antico Testamento della Wilderness, l'Esodo da una situazione di sottomissione a una miracolosa liberazione non senza la componente tragica.

Il tallone di ferro

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La lieve brezza estiva agita le sequoie e la Wild Water sciaborda con ritmiche cadenze sulle pietre muscose. Ci son farfalle nel sole, e dappertutto si leva il sonnolento ronzio delle api. C'è tanta pace e silenzio e io me ne sto qui, inquieta, a pensare. È questa pace a rendermi inquieta: mi sembra irreale. Una quiete profonda, ma è la quiete che precede la tempesta. Tendo dunque l'orecchio, e tutti i sensi, al primo segnale della tempesta imminente. Purché non sia prematura. Purché non scoppi troppo presto.

Citazioni

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  • È così che noi povere creature umane raggiungiamo i nostri scopi; solo attraverso stragi e distruzioni riusciamo a portare pace e felicità durature sulla terra! (cap. 1, p. 17)
  • Vi definisco metafisici [...] perché ragionate metafisicamente. Il vostro metodo è l'opposto di quello della scienza e le vostre conclusioni non hanno alcuna validità. Dimostrate tutto e al tempo stesso niente, e neppure due tra voi riescono a mettersi d'accordo su un punto qualsiasi. Per spiegare l'universo e se stesso, ognuno di voi si tuffa nella propria coscienza, e pretendere di spiegare la coscienza con la coscienza è come pretendere di sollevarsi da terra tirandosi per i lacci delle scarpe. (Ernest; cap. 1, pp. 22-23)
  • La filosofia non è altro che la più vasta di tutte le scienze. Il suo metodo non si distacca da quello di una qualunque scienza particolare o di tutte le scienze in generale. E appunto per questo suo meccanismo, questo suo metodo di ragionamento, il metodo induttivo, la filosofia fonde insieme tutte le scienze particolari, formando una sola, grande scienza. Come dice Spencer, i dati di ogni scienza particolare formano una conoscenza unificata solo in parte, mentre la filosofia sintetizza in sé la conoscenza offerta da tutte le scienze. È cioè la scienza delle scienze, la scienza assoluta, se volete. (Ernest; cap. 1, p. 24)
  • C'è un'altra maniera per squalificare i metafisici [...] giudicarli dalle loro opere. Cosa hanno fatto per l'umanità oltre a tessere aeree fantasie e scambiare per divinità la propria ombra? Riconosco che hanno aggiunto nuovi motivi all'allegria del genere umano, ma quale bene tangibile hanno mai apportato? Hanno filosofato, scusatemi la parola di cattivo gusto, sul cuore come sede delle emozioni, mentre intanto gli scienziati studiavano la circolazione del sangue. Hanno declamato sulla peste e sulla carestia, considerandole flagelli di Dio, mentre intanto gli scienziati costruivano silos e risanavano gli agglomerati urbani. Descrivevano la terra come centro dell'universo, mentre gli scienziati scoprivano l'America e scrutavano lo spazio per scoprirvi le stelle e le leggi degli astri. Insomma, i metafisici non hanno fatto assolutamente niente per l'umanità. Han dovuto indietreggiare passo dopo passo davanti alle conquiste della scienza; ma appena i fatti scientificamente accertati rovesciavano le loro spiegazioni soggettive, ne fabbricavano altre su scala più vasta per spiegare appunto i fatti accertati. E così, senza dubbio, continueranno a fare sino alla fine dei secoli. Signori, i metafisici sono impostori. Fra voi e l'esquimese che immaginava dio come un mangiatore di grasso vestito di pelliccia, c'è solo una differenza di qualche migliaio d'anni di fatti accertati. Tutto qui. (Ernest; cap. 1, pp. 24-25)
  • Ecco dunque la nostra risposta. Non abbiamo parole da sprecare con voi. Quando allungherete le mani, di cui vantate la forza, per afferrare i nostri palazzi, il nostro benessere dorato, vi faremo vedere che cos'è la forza. La nostra risposta sarà costituita dal rombo degli obici, dagli scoppi delle granate, dai crepitii delle mitragliatrici. Noi schiacceremo i vostri rivoluzionari sotto i piedi e calpesteremo il loro viso. Il mondo è nostro, ne siamo padroni, e resterà nostro. Quanto all'esercito del lavoro, è stato nel fango dagli inizi della storia, e io, che interpreto la storia come si deve, dico che rimarrà nel fango, finché io e i miei, e coloro che verranno dopo di noi, resteremo al potere. Ecco la grande parola, la regina delle parole: Potere! Né Dio, né Mammona, ma il Potere! Riempitevi la bocca di questa parola: il Potere! (Wickson; cap. 5, pp. 81-82)
  • Non mi rendevo conto dell'utilità delle carrozze. Ora so. Sono fatte per trasportare i deboli, gli ammalati e i vecchi, non per rendere onore a coloro che hanno perduto persino il senso della vergogna. (Morehouse; cap. 7, p. 92)
  • È il fiat dell'evoluzione, il comando divino. L'associazione è più forte della rivalità. Gli uomini primitivi erano poveri schiavi che si nascondevano nelle grotte tra le rocce, ma un giorno si unirono per lottare contro i loro nemici carnivori. Le fiere avevano il solo istinto della rivalità, mentre l'uomo era dotato di un istinto di cooperazione; per questo stabilì la sua supremazia su tutti gli altri animali. E da allora non ha fatto che creare associazioni sempre più vaste. La lotta dell'organizzazione contro la concorrenza data da un migliaio di secoli, e sempre ha trionfato l'organizzazione. Coloro che si arruolano nel campo della concorrenza sono destinati a perire. (Ernest; cap. 8, p. 106)
  • Sosteneva che era più bello per un'infima molecola mortale sentirsi divina che per un dio sentirsi, appunto, divino, e in tal modo esaltava quella che lui considerava la propria mortalità. (cap. 11, pp. 141-142)
  • Colui che scacciasti dall'Eden | ero io, Signore, io, | e là tornerò ancora quando terra e aria | saran squarciate dal mare al cielo; | perché quello è il mio mondo, il mio mondo stupendo | degli affanni miei più cari, | dal luminoso bagliore della corrente artica | al buio della mia notte amorosa. (poema; cap. 11, p. 143)
  • I minuti di tenerezza rubati al lavoro: una semplice parola, una rapida carezza, uno sguardo d'amore; e questi minuti erano tanto dolci, quanto più furtivi. Vivevamo sulle vette, dove l'aria è pura e frizzante, dove ci si adopera per l'umanità, dove il sordido egoismo non potrebbe respirare. Amavamo l'amore che per noi si coloriva delle tinte più belle. E, di tutto, questo rimane: non fallii il mio scopo. Gli diedi un po' di riposo, a lui che si prodigava per gli altri, al mio caro mortale dagli occhi stanchi! (p. 144)
  • Non credo nel fuoco dell'inferno, ma a volte mi spiace e sono tentato di crederci; in questo momento, per esempio, perché lo zolfo e la pece non sarebbero una punizione eccessiva per i vostri delitti. Finché esisteranno i vostri simili, l'inferno sarà una necessità cosmica. (Ernest; cap. 17, p. 189)
  • La grande forza motrice della oligarchia è la convinzione di far bene. (cap. 21, p. 221)

Il vagabondo delle stelle

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Jack London fotografato nel suo ranch, Sonoma County, California, 1914

Assai spesso, nella mia vita, ho provato la strana impressione che il mio essere si sdoppiasse, che altri esseri vivessero o avessero vissuto in lui, in altri tempi o in altri luoghi.

[Jack London, Il vagabondo delle stelle, traduzione di Dienne Carter e Gian Dàuli, Barion, Milano, 1936.]

Citazioni

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  • E ora sono qui, nel braccio degli assassini del carcere di Folsom, che attendo, le mani rosse di sangue, il giorno fissato dalla macchina dello Stato, quando i suoi servitori mi porteranno in quella che chiamano tenebra, quella tenebra di cui hanno paura e da cui attingono immagini di superstizione e terrore, la stessa tenebra che li spinge, fra tremiti e lamenti, davanti agli altari delle divinità antropomorfe, generate dal medesimo orrore. (cap. I)
  • Per la psicologia carceraria un soggetto incorreggibile è un essere spaventoso. (cap. II)
  • Se gli uomini intelligenti possono essere crudeli, gli imbecilli lo sono ad un livello mostruoso. (cap. II)
  • Se riuscire a dimenticare è segno di sanità mentale, il ricordare senza posa è ossessione e follia. (cap. VI)
  • Se per mezzo dell'ipnosi lo spirito cosciente fosse indotto al sonno e fosse al tempo stesso risvegliata la sua parte subcosciente, il problema sarebbe risolto, le carceri della mente spalancherebbero le loro porte e i prigionieri ritornerebbero alla luce del sole. (cap. VI)
  • È la vita a costituire l'unica realtà e il vero mistero. La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia. Lo so. Io sono la vita. Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi. Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato. (cap. XII)
  • La materia è la grande illusione. La materia, cioè, si manifesta nella forma e la forma è un fantasma. (cap. XII)
  • La mente... solo la mente sopravvive. La materia fluisce, si solidifica, fluisce di nuovo, le forme che essa assume sono sempre nuove. Poi si disintegrano in quel nulla eterno donde non vi è ritorno. La forma è un'apparizione, [...], ma il ricordo permane, rimarrà fino a quando lo spirito resiste, e lo spirito è indistruttibile. (cap. XVI)
  • L'incanto che emana da una donna è ineffabile, è diverso dalla percezione che sfocia nella ragione. Questo stato, infatti, nasce dalla sensazione e culmina nell'emozione, la quale – è giocoforza ammetterlo – altro non è che sensazione al suo livello più alto. (cap. XVII)
  • La materia non ricorda, lo spirito sì. Ed il mio spirito altro non è che la memoria delle mie infinite incarnazioni. (cap. XVIII).
  • Creatura quanto mai strana è l'uomo: insaziabile, sempre inappagato, irrequieto, mai in pace con Dio o con se stesso, di giorno tende senza posa a inutili mete, di notte si abbandona a un'orgia di desideri proibiti e malvagi. (cap. XIX)
  • Nel lungo corso del tempo ho vissuto molte vite, e posso affermare con decisione che sul piano morale l'uomo inteso come individuo non ha compiuto alcun progresso negli ultimi diecimila anni. (cap. XXII)
  • La morale è un fondo sociale che viene accresciuto lungo il doloroso corso delle epoche. (cap. XXII)
  • «Non uccidere». Stupidaggini. Domani mattina mi uccideranno. «Non uccidere». Stupidaggini. Proprio ora nei cantieri navali di tutte le nazioni civili stanno costruendo le chiglie di corazzate e supercorazzate. Cari amici, io che sto per morire vi saluto con questa parola: stupidaggini! (cap. XXII)
  • «L'uso peggiore che si possa fare di un uomo è quello di impiccarlo». No, non ho alcun rispetto per la pena di morte. Si tratta di un'azione sporca, che non degrada solo i cani da forca pagati per compierla ma anche la comunità sociale che la tollera, la sostiene col voto e paga tasse specifiche per farla mettere in atto. La pena di morte è un atto stupido, idiota, orribilmente privo di scientificità: «... ad essere impiccato per la gola finché morte non sopravvenga» recita il famoso frasario della società... (cap. XXII)

La strada

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Ogni volta che trovo in giornali, riviste e dizionari bibliografici degli schizzi sulla mia vita, delicatamente tratteggiati, vengo a sapere che io, per studiare sociologia, divenni vagabondo. Ciò è molto simpatico e gentile da parte dei biografi, ma è inesatto.

Citazioni

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  • Un osso dato al cane non è carità: carità è l'osso diviso col cane quando avete fame come lui. (cap. 2)
  • Forse il più grande fascino della vita del vagabondo è l'assenza di monotonia. (cap. 4)
  • [...] il principale tratto di distinzione fra l'uomo e gli altri animali è che l'uomo è l'unico animale che maltratta le femmine della sua specie. (cap. 4)

Martin Eden

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Originale

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The one opened the door with a latch-key and went in, followed by a young fellow who awkwardly removed his cap. He wore rough clothes that smacked of the sea, and he was manifestly out of place in the spacious hall in which he found himself. He did not know what to do with his cap, and was stuffing it into his coat pocket when the other took it from him. The act was done quietly and naturally, and the awkward young fellow appreciated it. "He understands," was his thought. "He'll see me through all right."

[Jack London, Martin Eden, Penguin books, 2019.]

Oriana Previtali

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Il primo aprì la porta con una chiave piatta ed entrò, seguito da un giovane che si levò il berretto con fare impacciato. Il giovane indossava rozzi panni che odoravano forte di mare ed era palesemente fuori posto nell'atrio spazioso in cui si trovava. Non sapeva che fare del berretto e se lo stava cacciando nella tasca della giubba, quando l'altro glielo levò di mano. Il gesto fu calmo e naturale e il giovanotto impacciato lo apprezzò. "Capisce" pensò; "mi porterà sino in fondo proprio come si deve."

Citazioni

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  • [...] le menti limitate non riconoscono che le limitazioni altrui. (cap. VIII, 2010)
  • Se lei vuole acquistare una cultura generale, importa poco la natura dei suoi studi. Lei può imparare il francese o il tedesco, e persino l'esperanto, e perciò non sarà meno colto. (Onley: cap. XIII; 1925, p. 134)
  • Quello che non ci viene detto è questo: che tutti debbono aver studiato il latino, ma che nessuno ha bisogno di saperlo! (Onley: cap. XIII; 1925, p. 137)
  • Quanto a me, io sono individualista; io credo che la corsa sia vinta dal più rapido, che la vita sia del più forte. Questo me l'ha insegnato la biologia; credo almeno d'averlo imparato. Sì, sono individualista, e l'individualismo è il nemico eterno, ereditario del socialismo. (Martin Eden: cap. XXIX; 1925, p. 294)
  • «Veramente, non ho nulla contro le banalità» disse più tardi a Ruth; «ma quello che mi urta i nervi è quell'aria pomposa, soddisfatta e compiaciuta, di superiorità e di sicurezza, con cui ce le propinano, e il tempo che ci mettono a farlo.» (cap. XXVII, 2010)
  • Il fatto che una cosa esiste basta da solo a giustificarla! Notate che solo l'ignoranza della gente fa credere una stupidaggine simile; la loro ignoranza, che non è altro che l'omicida mentale descritto da Weininger. La gente immagina di pensare, e accade che degli esseri senza pensiero si erigano ad arbitri di coloro che pensano davvero. (Martin Eden: cap. XXX; 1925, p. 302)

Prima di Adamo

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Immagini! Immagini! Immagini! Tante volte, prima che infine sapessi, mi ero domandato donde venissero le moltitudini di immagini che si affollavano entro i miei sogni. Immagini simili, infatti, mai le avevo viste nella vita reale, nello stato di veglia. Esse mi tormentarono per tutta l'infanzia, facendo dei miei sogni una sequela di incubi, tanto da convincermi ben presto di essere io diverso dai miei simili: una creatura anormale e maledetta.

Citazioni

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  • Era dunque questo il Nostro: un atavismo. Noi tutti eravamo sulla via di evolverci dalla vita arboricola alla vita sul suolo. Tale evoluzione era in atto ormai da molte generazioni, e ci andavamo quindi modificando tanto nel corpo che nell'andatura. (1988, p. 45)
  • Man mano che il mio sé reale, cioè io, cresceva, riuscivo a penetrare sempre di più nella sostanza dei miei sogni. Accade che sognando ci si renda conto, nel bel mezzo del sogno, di stare appunto sognando; e in caso di brutto sogno può accadere che si riesca a farsi coraggio pensando che si tratta solo di un sogno. (1988, p. 103)
  • E qui finiscono le mie memorie. Non intraprendemmo più un'altra migrazione; e non mi è mai capitato di sognare qualcosa che andasse oltre la nostra alta e inaccessibile grotta. E qui con tutta probabilità allevammo il bimbo erede della sostanza ei miei sogni, l'essere che fu plasmato con le impressioni della mia vita; o meglio, della vita di Gran Dente, che è l'altro me stesso, non il mio io reale; e che pure è così reale che spesso non sono in grado di dire quale età io stia vivendo. (1988, pp. 176-177)

Ricordi di un bevitore: John Barleycorn

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  • L'alcolismo mina l'uomo. Lo rende inabile a vivere coscientemente la propria vita.
  • La repulsione stessa del palato dimostra che l'alcool non è gradito all'organismo... eppure, malgrado il ribrezzo fisico i ricordi più felici della mia infanzia sono proprio quelli delle ore passate nei saloon.
  • Non bevevo mai prima di aver eseguito il mio compito giornaliero. A lavoro finito, i cocktail alzavano quasi un muro divisorio fra le ore di lavoro e quelle di divertimento.
  • Studiavo diciannove ore al giorno, fin quando non sostenni l'ultimo esame. Non volevo assolutamente più vedere libri. Non c'era che un'unica cura che mi potesse guarire, ed era riprendere le avventure.

Incipit di alcune opere

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Jack London nel suo studio, 1916

Bâtard

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Bâtard era un diavolo. La cosa era risaputa in tutte le Terre del Nord. Molti lo chiamavano Stirpe d'Inferno ma Black Leclère, il suo padrone, per lui scelse l'infame nome di Bâtard. Dunque, anche Black Leclère era un diavolo e i due erano bene assortiti. Il proverbio dice che quando due diavoli si mettono insieme, alla fine sono guai. Il che era prevedibile, soprattutto quando Bâtard e Black Leclère si unirono. La prima volta che si incontrarono, Bâtard era ancora un cucciolo magro e affamato, gli occhi duri; i due si incontrarono a morsi, ringhia e cattivi sguardi, visto che Leclère aveva il labbro superiore lupesco per come si alzava quando mostrava i bianchi denti crudeli. E si alzò allora, e i suoi occhi luccicavano perversi, mentre agguantava Bâtard che si dimenava per trascinarlo fuori dalla figliata. Si capirono di sicuro, infatti Bâtard affondò all'istante le sue zanne da cucciolo nella mano di Leclère e Leclère, con freddezza, strinse il pollice e l'indice sul cane facendolo quasi soffocare.
[in Il richiamo della foresta, Feltrinelli, 2011]

Il figlio del mare

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Prestai l'orecchio stanco all'interminabile salmodiare sulle azioni e le avventure di Maui, il prometeico semidio della Polinesia, colui che pescò la terra dalle profondità dell'oceano servendosi di ami assicurati al paradiso, che innalzò il cielo sotto il quale in precedenza avevano camminato gli uomini a quattro zampe non avendo lo spazio per rimanere eretti, e che era riuscito a fermare il sole e a intrappolare le sue sedici gambe per convincerlo ad attraversare più lentamente il cielo – visto che evidentemente il sole era un sindacalista che credeva nella giornata di sei ore, mentre Maui era favorevole al libero commercio e alla giornata di dodici ore.
[in Cacciatore di anime, Mattioli, 1995]

Il Rosso

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Ecco l'improvvisa liberazione del suono! Mentre la cronometrava usando l'orologio, Bassett la paragonò alla tromba di un arcangelo. Sarebbero potute crollare le mura di intere città di fronte a un così irresistibile richiamo, rifletté. Invano, per la millesima volta, cercò di analizzare la qualità del timbro di quell'enorme fragore che dominava la terra sino alle roccaforti delle tribù circostanti. La sorgente era la gola della montagna in cui risuonava crescendo come alta marea fino a tracimare e a inondare terra, cielo e aria. La sua sfrenata fantasia di malato lo spinse a paragonarla al potente urlo di un Titano del Mondo Antico, vessato dal supplizio o dal furore. Crebbe, levandosi sempre più alto, come una sfida esigente la cui intensità di volume pareva destinata a orecchie poste oltre gli angusti confini del sistema solare. C'era, in esso, anche il lamento della protesta provocata dall'assenza di orecchie capaci di ascoltare e di comprendere quell'espressione.
[in Cacciatore di anime, Mattioli, 1995]

La peste scarlatta

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Il sentiero correva lungo quello che un tempo era il terrapieno di una ferrovia. Ma non ci transitavano più treni ormai da molti anni. La foresta rimontava i versanti del terrapieno scavalcando il dosso, un'onda verde di alberi e di arbusti. Il tratturo era una pista di animali selvatici da seguire in fila indiana.

Preparare un fuoco

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Freddo e grigio, il giorno era arrivato ed era esageratamente freddo e grigio quando l'uomo si spostò dalla pista sul Fiume Yukon per risalire l'elevato argine di terra dove una traccia poco battuta sbucava in direzione est per attraversare la folta foresta di abeti rossi. L'argine era ripido e una volta in cima l'uomo si fermò ansimando, raccontandosi che voleva controllare l'oraio. Nove in punto. Niente sole, neppure un barlume, nonostante non ci fosse una nuvola in cielo. La giornata era limpida, eppure ogni cosa appariva come se fosse avvolta da un impalpabile sudario, un'ombra sottile che rabbuiava il giorno – e questo per l'assenza del sole. La cosa non preoccupava l'uomo. Lui era abituato alla mancanza di sole. Erano passati diversi giorni da che l'aveva visto l'ultima volta e sapeva che ne sarebbero trascorsi altrettanti prima che, risalendo da sud, la gioiosa sfera facesse capolino all'orizzonte per rituffarsi lontana dalla vista.
[in Il richiamo della foresta, Feltrinelli, 2011]

Zanna Bianca

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L'ultimo bagliore del tramonto si spegneva sulle deserte solitudini gelate e, contro l'indistinto colore del cielo, più viva spiccava la massa scura degli abeti che premevano e incalzavano il corso gelato del fiume.
Il vento che sino allora aveva impazzato, strappando dagli alberi la veste gelata che li aveva ricoperti, ora aveva tregua.
Nessun rumore, nessuna voce d'uomo rompeva quel silenzio, e la natura, sempre uguale da che è nato il mondo, dominava incontrastata.

Citazioni su Jack London

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  • Autore amatissimo dal pubblico ma animosamente discusso dalla critica, come spesso succede. Personaggio davvero contraddittorio, violento e dolcissimo, grandioso e miserabile, costruttore di fortune e dissipatore di ogni cosa (compresi gli affetti), fervido socialista e meschino piccolo borghese, strenuo denunciatore delle condizioni dei derelitti suoi simili (il sottoproletariato americano e londinese, nel Popolo dell'abisso) e sarcastico schernitore di altri derelitti (il popolo messicano in guerra con il suo paese, gli Stati Uniti), ardente propagandista del socialismo e al tempo stesso esaltatore di un confuso mito superomistico. Marx mescolato a Nietzsche, si è detto. Darwin più Spencer. E così via, attribuendogli, come spesso succede nelle ansie denigratrici di vario genere, una ridda in più di ambizioni e finalità rispetto a quella da cui era in realtà animato. Che si riducevano in sostanza a una: quella di scrivere, raccontare le vicende che si era visto dipanare davanti agli occhi nella sua vita avventurosa e altre, più misteriose, che tesseva giorno e notte la sua mente infaticabile. (Mario Biondi)
  • Dobbiamo a certi libri e a certi film se noi, che apparteniamo a una generazione in via d'estinzione, non siamo cresciuti del tutto stupidi, diceva Federico Fellini. Per me, contano i russi, poi Jack London, qualche americano e il James Joyce di Gente di Dublino. (Enzo Biagi)
  • Fu London lo scrittore veramente grande quale alcuni lo ritengono, fu un talento possente nato fuori tempo, o fu uno di quegli artisti secondari la cui opera, grazie alla ricchezza della loro esperienza personale, dà solo una falsa impressione di arte? È difficile dirlo. (Alfred Kazin)
  • In London l'impellenza narrativa non si lascia soverchiare dagli agi della letteratura. Sta qui tutta la forza di una presa che pungola e non molla mai il lettore, ogni tipo di lettore. (Ottavio Fatica)
  • Jack credeva in un socialismo evoluzionista e rivoluzionario. Voleva che un'aristocrazia (bianca) dell'intelletto si assumesse il governo dello stato per il bene comune. (Andrew Sinclair)
  • Kipling e Nietzsche, uomini sedentari, anelarono l'azione e i pericoli che il destino negò loro; London e Hemingway, uomini d'avventura, si affezionarono ad essa. Imperdonabilmente, giunsero al culto gratuito della violenza e persino della brutalità. (Jorge Luis Borges)
  • La figura più incompresa del canone letterario americano. (James L. Haley)
  • Lo stigma di "scrittore di storie di cani" è ancora un problema – così come lo è la "ghettizzazione" delle sue opere nel reparto "per ragazzi" delle librerie. Purtroppo ci sono ancora troppi critici accademici che lo liquidano come fosse uno scribacchino che ha scritto troppo in fretta e solo per il mercato. (Earle Labor)
  • Strano a dirsi questo autore, che amava Nietzsche e andava a braccetto col socialismo, sembra sia piaciuto a Hitler, Stalin e Roosevelt! (Antonio Debenedetti)
  • Jack London è stato un grande scrittore amato dagli uomini di cultura ma anche, e molto, dal popolo. Un tempo i suoi libri erano ben presenti nelle stesse case degli operai, per la sua capacità di mettere insieme realismo e avventura, osservazione del mondo e vivacità inventiva.
  • [Su Il popolo dell'abisso] Ma in questa perlustrazione fitta e appassionata di una realtà sociale sprofondata nell'abisso della miseria disperata – oltre le illusioni di un mondo nuovo e realmente nuovo, l'America – ci incanta la voce dello scrittore, la sua capacità di oltrepassare i confini del semplice reportage, per darci l'emozione di entrare insieme con lui nell'inferno di una condizione umana che ha spazzato via innumerevoli esseri senza neppure dare loro il privilegio della parola, della testimonianza di un lamento.
  • Una delle figure più intriganti e bizzarre della storia americana, una figura ad un tempo eccitante e ripugnante. Durante i suoi quaranta anni di vita fu il figlio "bastardo" di una spiritualista con tendenze suicide che viveva in uno slum, un bambino lavoratore, un pirata, un barbone, un socialista rivoluzionario, un razzista vagheggiante il genocidio, un cercatore d'oro, un corrispondente di guerra, un milionario, un depresso con manie suicide, e per qualche tempo anche lo scrittore più popolare d'America.
  • Si iscrisse ad un'altra scuola, ma fu espulso per aver completato il curriculum di due anni in quattro mesi, lasciandosi dietro, in maniera imbarazzante, gli altri ragazzi ricchi. London si sentiva umiliato e arrabbiato. Subito dopo partì per l'Artico canadese, in cui si diceva che ci fosse l'oro. Vide i cercatori d'oro del suo gruppo morire annegati, di freddo e di scorbuto. A ventidue anni giurò che se fosse sopravvissuto sarebbe diventato uno scrittore, ad ogni costo.
  • A leggere oggi le sue opere si vede come il suo seme letterario si sia diffuso su tutto il secolo americano, è evidente nelle opere degli scrittori più importanti americani e di altri paesi. Ernest Hemingway e John Steinbeck attinsero alla sua crudezza, imitandola.
  • Il peccato commesso sia dagli accademici malati di intellettualismo che dai critici letterari affetti da marxismo è in fondo il medesimo: dare una lettura ideologica di Jack London. E se indossare le lenti dell'ideologia è il sistema migliore per tradire la vita, la stessa cosa si può dire anche per l'arte, che della vita è uno degli specchi più fedeli.
  • Liberatosi dalle pastoie dell'ideologia, il giovane scrittore che voglia imparare qualcosa dall'arte di Jack London si renderà conto di come i conflitti sociali, le lotte sindacali, le palestre di boxe, il gelo del Klondike sono più che altro l'occasione, il contesto, l'apparato scenografico necessario a mettere in scena il più universale dei temi: il confronto tra singolo e mondo.
  • Jack London è capace di calarsi con una sconcertante facilità nei panni di proletari, aristocratici, operai, malati di mente, bambini, vecchi, madri, assassini, poliziotti, rivoluzionari, maggiordomi, giornalisti… senza tra l'altro limitare questa facoltà al solo genere umano: quando dalle sue pagine a un certo punto salta fuori un lupo, ci sembra stranamente di essere nella testa del lupo, di pensare insieme a lui; la stessa cosa per orsi, cani, caribù fino ad attraversare una soglia piuttosto inquietante – quella tra organico e inorganico – oltre la quale London può convincerci di essere capace (e noi, leggendo, capaci insieme a lui) di incarnare lo spirito, il senso (il pensiero?) di una distesa di neve, di un ruscello, di una roccia, di un cadavere, di una locomotiva.
  • Forse non c'entra molto con le tecniche narrative, ma leggendo Jack London ci si ricorda come i veri uomini non si vergognino di piangere.
  • Pioniere in assoluto della letteratura americana naturalista, London visse e consumò intensamente l'avventura del reale, fino a pagarne di persona le conseguenze e gli impatti, quando la finzione cessava di essere tale e si traduceva in sordida e angosciosa verità.
  • [Su La sfida] La lezione di un naturalismo non fotografico, bensì avvivata da soluzioni formali e descrittive di grande fascinazione espressiva, risulta così ampiamente intuita dallo scrittore, da consentirgli non soltanto l'esibizione della tecnica pugilistica, da lui praticata in più occasioni, ma anche una forte capacità di introspezione psicologica all'interno del personaggio, sì da determinarne la condizione esistenziale.
  • [Su Il messicano] The Mexican (Il messicano) nel contesto delle opere di London dedicate al mondo della boxe, assume un significato molto particolare, poiché in questo caso il Gioco diventa tremendamente serio, riguarda la lotta di classe, la Rivoluzione, e quindi la possibilità di garantirne la vittoria con una bella borsa pugilistica.
  • Irruento, litigioso, assiomatico, ripetitivo, lo scrittore potrà anche avere urtato coi suoi vertiginosi guadagni (settantamila dollari l'anno erano la media: una somma enorme sperperata rapidamente), l'irritabile genus dei critici; ma è anche scritto nel destino di coloro che salgono troppo in alto nei cieli della fama e della ricchezza di subire dopo morti la vendetta dei posteri.
  • L'errore della critica bigotta americana è stato di avere preso alla lettera le affermazioni di London: quando proclamava il suo socialismo contraddicendolo poi con l'individualismo anche esagerato della vita e dell'opera; quando si atteggiava a filosofo, a sociologo, a propagatore di dottrine già esaurite o in via di ridefinizione.
  • Americano fino al midollo, persino nella patetica ricerca delle sue (nobili) origini, London resta ancor oggi, con Edgar A. Poe, il più universale degli scrittori americani, che mischia nella sua opera, con ugual potenza di energia e di speranza, la sua vita vera e idealizzata insieme con lo slancio per l'avvenire.
  1. Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, 1992, p. 84, ISBN 88-8598-826-2.
  2. Da L'amore della vita; citato nell'introduzione di Mario Maffi a Jack London, Racconti dello Yukon e dei mari del Sud, Mondadori, Milano, 2015.
  3. Dalla lettera a Cloudesley Johns, 16 giugno 1900, in Letters from Jack London.
  4. Da Le morti concentriche, a cura di Jorge Louis Borges, traduzione di Umberto Melli, Mondadori, Milano, 1989, p. 11. ISBN 88-04-32149-0
  5. Citato in Mario Picchi, Saggio introduttivo, introduzione a Jack London, I grandi romanzi e i racconti, Newton Compton, 2012.
  6. Da una lettera del 17 aprile 1899, in Letters from Jack London.
  7. Dalla presentazione di Burning Daylight, pubblicato a puntate sul The New York Herald, giugno 1910; citato in BURNING DAYLIGHT, jacklondons.net.
  8. Citato nell'introduzione a Jack London, Cacciatore di anime, a cura di Davide Sapienza, Mattioli, 2009, p. 11.
  9. Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, 1992, p. 85, ISBN 88-8598-826-2.
  10. Da What Life Means to Me, 1905, pubblicato in Revolution and Other Essays, Macmillan, 1909; citato in What Life Means to Me, jacklondons.net.
  11. a b Presente in un testo apocrifo conosciuto come Jack London's "Credo"; per maggiori dettagli, si veda questo commento di Clarice Stasz.

Bibliografia

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  • Jack London, Cacciatore di anime, cura e traduzione di Davide Sapienza, Mattioli, 2009.
  • Jack London, Il richiamo della foresta, traduzione di Gian Dàuli, Modernissima, Milano, 1924.
  • Jack London, Il richiamo della foresta, traduzione di Grazia Gatti, Bompiani, 1987.
  • Jack London, Il richiamo della foresta, a cura di Davide Sapienza, Feltrinelli, 2011.
  • Jack London, Il tallone di ferro, traduzione di Carlo Sallustro, Feltrinelli, Milano, 2000. ISBN 88-07-80643-6
  • Jack London, Il vagabondo delle stelle (1915), traduzione di Stefano Manferlotti, Adelphi, Milano, 2005.
  • Jack London, La strada, traduzione di Maria Carlesimo Pasquali, Savelli, Roma, 1978.
  • Jack London, La peste scarlatta, a cura di Ottavio Fatica, Adelphi, 2009.
  • Jack London, Letters from Jack London, a cura di King Hendricks e Irving Milo Shepard, Odyssey Press, 1965.
  • Jack London, Martin Eden, a cura di Gian Dàuli, Modernissima, Milano, 1925.
  • Jack London, Martin Eden, traduzione di Oriana Previtali, Rizzoli, 2010.
  • Jack London, Prima di Adamo, traduzione di Maria Teresa Fenoglio, SEI, 1988.
  • Jack London, Zanna bianca, versione di Marinella Pagura, Fabbri Editori, 1965

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