Crisi degli ostaggi in Kizljar-Pervomajskoje
presa di ostaggi nella prima guerra cecena
Citazioni sulla crisi degli ostaggi in Kizljar-Pervomajskoje.
Citazioni
modifica- A Kizlyar-Pervomayskoye (il nome vuol dire Primo maggio) gli ostaggi avevano ascoltato le notizie di Mosca che annunciavano che erano stati fucilati e avevano capito di essere condannati, e alcuni di loro chiesero ai rapitori ceceni le armi per difendersi al loro fianco. (Adriano Sofri)
- Dobbiamo convincere i guerriglieri a liberare gli ostaggi e concludere pacificamente questa crisi. Dopodiché, i servizi segreti e l'esercito dovrebbero immediatamente prendere iniziative per sopprimere le gang di banditi ceceni. Non capisco l'atteggiamento del governo, che non ha fatto nulla per combattere il banditismo nel nostro paese. Se dovesse aver luogo uno scambio di ostaggi, Eltsin e il primo ministro Cernomyrdin dovrebbero consegnarsi volontariamente ai ceceni in cambio di tutti gli altri ostaggi, visto che non sono stati capaci di garantire la sicurezza del paese. (Gennadij Zjuganov)
- Facevano sempre vedere i film coi nazisti, adesso al posto dei nazisti ci sono loro. Hanno fatto così a Pervomayskoye. Avevamo chiesto alla gente di andarsene, molti non avevano voluto lasciare le case, hanno distrutto tutto. (Šamil' Salmanovič Basaev)
- No, io non mi presterei a uno scambio con gli ostaggi. Mi offro invece di assumere il comando delle forze russe in Cecenia. E dopo aver ricevuto piena autorità, sono pronto a raggiungere Pervomajskoe in un'ora e a prendermi la responsabilità della vita degli ostaggi. (Aleksandr Ivanovič Lebed')
- Non si può dire cosa sia stato peggio: se l'incapacità, la violenza o la menzogna. (Egor Timurovič Gajdar)
- Se Boris Eltsin non distrugge tutti i combattenti ceceni nel giro di un mese, se non brucia le loro basi col napalm, perderà le elezioni presidenziali del 16 giugno. E allora i ceceni li sistemerò io a partire dal primo luglio, dopo aver vinto le presidenziali. (Vladimir Žirinovskij)
- Se c'è una possibilità di liberare gli ostaggi con uno scambio, sarebbe un peccato mortale non coglierla. Sono pronto a volare immediatamente a Pervomajskoe e ad offrirmi come prigioniero e "scudo umano" per i ceceni. (Egor Timurovič Gajdar)
- Sono disposto a diventare mediatore e garante nei negoziati con i guerriglieri. Sono convinto che ci sia lo spazio per trattare, se lo si vuole veramente. (Grigorij Javlinskij)
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- L'attacco è cominciato alle 9 del mattino dopo due ultimatum in extremis lanciati dalle forze federali. Attacco dall'alto, con missili lanciati da una squadriglia di 12 elicotteri MI-26. Dopo dieci minuti il villaggio era un inferno di fuoco.
- L'operazione Pervomajskaja sta diventando una cloaca i cui miasmi finiranno per asfissiare più d'un generale. Già è saltata la testa di Aleksandr Mikhailov, portavoce dell'Fsb. È tutta una ricerca di capri espiatori, uno scaricabarile. Si salvi chi può! Ma certo mandare in una zona di guerra dei vigili urbani! Che pensata. E scoprire un colonnello dell'Omon che si confessa in un posto telefonico pubblico perché non ha altro mezzo di collegamento con il suo superiore diretto...
Situazioni che spiegano quasi tutto del disastro in cui si trovano le cosiddette forze dell'ordine in Russia. E si capisce perché tremila uomini, potentemente appoggiati dall'aviazione, con missili Grad, cannoni, carri armati, decine di blindati, hanno impiegato quattro giorni per aver ragione di circa 300 guerriglieri, equipaggiati soltanto con armi leggere. Per poi lasciarsene sfuggire quasi la metà, incluso il comandante in capo, con una sessantina di ostaggi. - Non vale a nulla la scusa adottata dai due massimi responsabili militari di questa tragica pagliacciata (Barsukov e Kulikov, rispettivamente direttore dell'Fsb e ministro degl'Interni) secondo cui sarebbe stata la presenza degli ostaggi a imporre una certa cautela. Chi ha visto lo stato in cui hanno ridotto Pervomajskaja, rasa al suolo, capisce perfettamente che non c'è stata alcuna cautela, che si è bombardato indiscriminatamente senza curarsi affatto se a morire in quei 500 metri quadrati sarebbero stati i guerriglieri ceceni o gli ostaggi.
- I morti russi, le centinaia di feriti (adesso emerge che la cifra ufficiale di 96 è di gran lunga inferiore al vero) sono ancora una volta poveri ragazzi ventenni mandati a fronteggiare guerrieri motivati, decisi a tutto, ormai temprati da un anno intero di combattimenti. Ecco perché neppure un rapporto di uno a dieci è riuscito a garantire la vittoria ai russi.
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- Se i combattenti ceceni si sono riuniti a riflettere davanti a un televisore acceso, in una delle casupole del villaggio di Pervomaiskoje, forse avranno visto scorrere sul video le immagini (elicotteri alla carica e bombe al napalm) del film mandato in onda ieri sera, sicuramente per caso, dal primo canale russo: Apocalypse Now. E si saranno fatti un'idea dell'apocalisse che li attende a partire da quest'oggi, se non rimettono in libertà gli ostaggi. (15 gennaio 1996)
- Nel pomeriggio, hanno appostato dei cecchini sul tetto delle case di Pervomaiskoje, schierato gli ostaggi come "scudi umani", e iniziato a fare il tiro a segno con i russi che li circondavano. Ne hanno feriti quattro. Allora i russi hanno ritirato di circa un chilometro i soldati e fatto alzare in volo gli elicotteri, ma appena questi si sono avvicinati al villaggio i ceceni hanno aperto il fuoco anche contro di loro, con i kalashnikov, i mortai, i lanciamissili a spalla. Una scena che fa pensare al Far-West, i coloni che mettono i carri in cerchio (in questo caso, gli autobus), e sparano sugli indiani che li assediano in forze dieci o cento volte più numerose. Con la notevole differenza che di solito, in questi frangenti, i coloni bianchi non usavano ostaggi indiani come scudi umani. (15 gennaio 1996)
- Se moriranno a Pervomaiskoje, del resto, porteranno al Creatore insieme a loro parecchia gente. I guerriglieri si sono sparpagliati fra le case del villaggio; ciascuno ha con sé un gruppo di ostaggi; l'attacco russo, anche se condotto dalle forze di elite, dai Rambo del Cremlino, e con tutte le risorse dell'alta tecnologia militare, si trasformerebbe in una battaglia casa per casa, metro per metro. Una battaglia dall'esito finale scontato, ma ugualmente lunga, sanguinosa, e difficile. Boris Eltsin è così di fronte a un dilemma. Non può permettere ai combattenti ceceni di rientrare in patria con gli ostaggi, perché l'opposizione lo accuserebbe di aver ceduto a un ricatto terroristico. Ma non può nemmeno ordinare un attacco che costi la vita agli ostaggi, perché l'opposizione lo accuserebbe di non aver saputo garantire la sicurezza di civili inermi. (15 gennaio 1996)
- Forse i guerriglieri ceceni sono tutti Che Guevara o Superman. Forse le teste di cuoio dell'ex-Kgb, e le migliaia di soldati lanciati all'assalto col supporto di elicotteri e carri armati, sono tutti degli inetti. Ma qualunque sia il motivo, l'operazione per liberare gli ostaggi è diventata l'ennesimo disastro della guerra in Cecenia: dopo due giorni e due notti di battaglia, i russi sono riusciti soltanto a trasformare il villaggio di Pervomajskoe in un rogo di case in fiamme. I ceceni resistono, varie decine di ostaggi restano nelle loro mani, e non sapendo più come nascondere l'imbarazzo, il Cremlino nasconde almeno il numero delle vittime: ha perfino impedito l'accesso al villaggio ai soccorritori della Croce Rossa e di Medici senza Frontiere. (17 gennaio 1996)
- Certo, errare è umano: anche in guerra. Ma perseverare è diabolico. E c'è qualcosa di perverso nel modo in cui Boris Eltsin e i suoi generali hanno gestito il duello di Pervomajskoe, una catena di incertezze, ripensamenti, errori, conclusa con un attacco che fallisce l'obiettivo nonostante la schiacciante superiorità militare. Lunedì notte, il comando russo aveva annunciato di aver praticamente terminato i combattimenti: restavano solo da "liquidare gli ultimi nidi dei ribelli". Ma ieri mattina è ricominciato tutto come prima: razzi e bombe da elicotteri e carri armati, scontri casa per casa. (17 gennaio 1996)
- Gli ufficiali di ritorno dalla battaglia facevano dichiarazioni allucinanti: "I ribelli sono arroccati su posizioni molto forti, andiamo incontro a una resistenza accanita", come se avessero di fronte un esercito intero. Possibile? Possibile. Perché quella di Pervomajskoe è ormai una battaglia come ce ne sono state tante nell'anno e passa di guerra in Cecenia, e ha seguito la stessa trama: i russi non si azzardano ad entrare in contatto con i guerriglieri, questi dimostrano eccezionali doti di coraggio, alla fine le truppe di Mosca prevalgono solo grazie ai bombardamenti, dopo aver raso al suolo villaggi o città. Con questa tecnica è stata conquistata Grozny, e allo stesso modo prima o poi cadrà Pervomajskoe. (17 gennaio 1996)
- Camion e blindati carichi di trecento commandos russi, stanchi, sporchi, stravolti e impauriti, si sono allontanati poco per volta dal villaggio. Quindi sono stati costretti ad allontanarsi i giornalisti, tenuti finora a tre chilometri di distanza, ieri spediti ancora più in là. A quel punto, altri camion hanno trasportato in prima linea le batterie multiple di missili Grad, un'arma che non si presta a "chirurgici" colpi di precisione, ma rade al suolo grossi bersagli. E i missili sono partiti, uno al minuto, con boati spaventosi, che hanno fatto alzare verso il cielo dense colonne di fumo e tremare la terra per chilometri, sino a notte inoltrata. Che cosa resterà dei guerriglieri e degli ostaggi lo sapremo oggi, o non lo sapremo mai, vista la censura imposta dalle forze russe: con i giornalisti lontani, non sarebbe difficile dimostrare che i ceceni hanno tagliato la gola ai prigionieri. (18 gennaio 1996)
- Constatata l'impossibilità di conquistare il villaggio in tempi brevi, visto il crescente imbarazzo di Eltsin, è stato scelto quello che al Cremlino appariva come un "male minore", cioè il sacrificio degli ostaggi ancora prigionieri. Testimoni scomodi, oltretutto, di una vicenda che forse non è andata esattamente come Mosca si sforza di far credere. Per cui che morissero anche loro, sotto i micidiali missili multipli. (18 gennaio 1996)
- Il villaggio di Pervomajskoe, in cui i guerriglieri ceceni hanno resistito per quattro giorni insieme agli ostaggi al bombardamento russo, non c'è praticamente più: è stato raso al suolo dai missili Grad, la "soluzione finale" che ha permesso a Mosca di vincere questa sporca battaglia. Ma non ci sono più neppure una trentina di guerriglieri (e non si sa quanti ostaggi), protagonisti di una fuga rocambolesca nella notte tra mercoledì e giovedì, che ha permesso loro di attraversare l'inferno di fuoco dell'assedio e mettersi in salvo in Cecenia. Un'incredibile beffa per il Cremlino, ultimo atto di un duello in cui Boris Eltsin canta vittoria, ma che rivela come non era mai accaduto l'impotenza, l'inefficienza e le menzogne della leadership russa. (19 gennaio 1996)
- Dunque la linea dura adottata a Pervomajskoe continuerà, con rappresaglie e bombardamenti: ovvero, la piena ripresa delle ostilità in Cecenia. Il bilancio reso noto da Mosca parla di 153 guerriglieri uccisi e 28 fatti prigionieri, 26 russi morti e 93 feriti, 82 ostaggi liberati. Non dice però quanti ostaggi sono morti nella battaglia, limitandosi ad ammettere che 18 mancano all'appello. (19 gennaio 1996)
- Un ufficiale russo ha dichiarato che 52 guerriglieri sono stati uccisi dal suo reparto durante la fuga: gli altri, a quanto pare, sono scappati in Cecenia, mentre sulla sorte degli ostaggi che erano con loro non si è saputo nulla. Cifre e testimonianze della battaglia contraddicono radicalmente le informazioni fornite dal comando russo e dal Cremlino: per esempio, quando mercoledì è iniziato il bombardamento con i missili Grad, Mosca sosteneva che 41 ostaggi erano stati liberati e che tutti gli altri erano già morti, uccisi dai ribelli; ieri, invece, di ostaggi vivi ne sono saltati fuori il doppio. Un comandante delle forze speciali del ministero degli Interni confida a un giornalista che l'assalto non è stato minimamente organizzato: "Siamo entrati a Pervomajskoe senza sapere quale era il nostro compito, ci hanno utilizzati come carne da cannone, non ho mai visto un simile bordello". (19 gennaio 1996)
- Gli ordini erano talmente tassativi, che le forze russe hanno perfino sparato (all'inviato del New York Times) e usato i cani-lupo (hanno morso un altro reporter americano) per impedire alla stampa di assistere a una così disastrosa battaglia. Linea dura con tutti, insomma, compresi quei paesi che hanno osato criticare le modalità dell'attacco ("Non avrei mai usato missili o bombe per liberare ostaggi", ha detto il ministro della Difesa usa), o invitare al negoziato ("Pervomajskoe dimostra che la crisi cecena non si può risolvere con la forza", ha detto l'Unione Europea). (19 gennaio 1996)
- L'impressionante violenza dell'attacco militare contro i guerriglieri, e le minacce di intense rappresaglie in Cecenia con cui il presidente lo ha accompagnato, sono in effetti i primi slogan elettorali del candidato Eltsin. Il leader russo sembra esser giunto a questa conclusione: affinché la vittoria comunista e nazionalista nelle elezioni legislative del dicembre scorso non si ripeta alle presidenziali di giugno, l'attuale leadership deve appropriarsi dei programmi dell'opposizione. Dunque deve rallentare o modificare le riforme economiche che hanno gettato nella povertà milioni di persone, deve adottare una politica estera più aggressiva nei confronti dell'Occidente, deve spingere l'acceleratore sul nazionalismo e sull'"imperialismo" russo, a cominciare dalla piaga del conflitto ceceno. (20 gennaio 1996)
- È il giorno delle giustificazioni. O più precisamente, delle tentate giustificazioni, perché non molti le prendono per buone. I due "registi" del bombardamento di Pervomajskoe, il capo dei servizi segreti Barzukhov e il ministro degli Interni Kulikhov, inviati personalmente da Eltsin a dirigere la battaglia contro i guerriglieri ceceni, hanno dato ieri a Mosca la loro versione dei fatti in una conferenza stampa. Versione talmente contraddittoria e incredibile che a un certo punto i giornalisti non sono riusciti a trattenere una risata. (21 gennaio 1996)
- I potenti missili Grad, ha [detto] Barzukhov, sono stati usati soltanto come "arma psicologica" , per intimorire i guerriglieri: in realtà non hanno mai colpito il villaggio, perché erano puntati in modo da sorvolarlo e andare a cadere più lontano. È in questa occasione che i giornalisti si sono messi a ridere, poiché numerosi inviati e osservatori indipendenti hanno testimoniato che sono stati i missili Grad a radere praticamente al suolo il minuscolo villaggio. (21 gennaio 1996)
- Un ex-ostaggio ha raccontato che i prigionieri non avevano scelta, i ribelli li hanno obbligati a trasportare feriti e munizioni sotto la minaccia delle armi. E comunque, visto l'inferno di fuoco scatenato dai russi su Pervomajskoe, fuggire era per tutti, ribelli ed ostaggi, l'unica speranza di salvasi la vita. (21 gennaio 1996)
- Il Cremlino [...] ha sostenuto dall'inizio che non si poteva fidare dei terroristi; e prima di lanciare il bombardamento finale di Pervomajskoe con i micidiali missili Grad ha affermato che i guerriglieri avevano già ucciso tutti gli ostaggi. Quando, a battaglia terminata e villaggio distrutto, è apparso evidente che un folto gruppo di ribelli era riuscito a scappare forzando l'assedio russo, e che si erano portati dietro un certo numero di ostaggi, Mosca ha cambiato posizione: insinuando il sospetto che non si trattasse di autentici ostaggi, ma di "collaboratori", ovvero di russi catturati dai ceceni e quindi passati dalla loro parte. (22 gennaio 1996)
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- Marina non credé alle proprie orecchie quando udì la storia di Saša. Il suo gruppo, un mucchio di oper di città dell'FSB, era stato gettato in mezzo a un'operazione militare senza alcun equipaggiamento, senza giubbotti antiproiettile e senza nemmeno un adeguato rifornimento di cibo e di acqua. Era stato loro ordinato di attaccare il villaggio percorrendo a piedi l'aperta campagna, ma avevano dovuto ritirarsi quando si erano ritrovati esposti al fuoco amico di alcuni lanciarazzi. Avevano dormito in un autobus privo di riscaldamento in un gelido freddo. Avevano del cibo in scatola, ma non cucchiai, forchette né coltelli per aprire i barattoli. Erano rimasti due giorni nell'autobus senza ordini né comunicazioni da nessuno.
- Saša era tra il pubblico alla conferenza stampa del direttore dell'FSB, Michail Barsukov, trasmessa dal Daghestan il 20 gennaio 1996, a livello nazionale, dall'ORT. Sentì il suo capo dire: «Abbiamo usato lanciarazzi Grad soprattutto per esercitare una pressione psicologica [...] in modo che la popolazione locale, compresi i ceceni, potesse capire [...] C'erano tre lanciarazzi, ma ne usammo uno solo. Bombardavamo un area di un chilometro e mezzo dal villaggio e sull'altra sponda del [fiume] Terek, sul territorio ceceno, laddove i ribelli che erano venuti ad aiutare i banditi avrebbero potuto concentrarsi».
Saša poté solo imprecare a mezza voce. Quando aveva percorso a passo di corsa i campi fangosi che portavano alla città, quei razzi Grad erano esplosi tutt'intorno a lui, uccidendo due suoi amici. Come poteva il suo capo mentire in quel modo davanti al mondo intero? - Quell'esperienza scosse la fiducia di Saša nel sistema, ma era ancora perfettamente convinto che si dovesse vincere la guerra. Non odiava i ceceni, ma era un patriota. Non poteva accettare di essere sonfitto da loro.
Citazioni in ordine temporale.
- Tremila ostaggi è un'intera città in mano ai guerriglieri ceceni. Questo è stato per i russi il risveglio dalle festività natalizie. A sette mesi dalla tragedia di Budionnovsk, che aveva troncato 150 vite e scosso l'intero Paese, tutto si ripete nei dettagli in un'altra città russa, fino all'altro ieri sconosciuta. (10 gennaio 1996)
- In tarda mattinata finalmente il capo dei terroristi si è messo in contatto con le truppe russe: «Sono arrivati i "lupi"». Poi si è presentato: Salman Raduev, 28 anni, comandante del battaglione «Lupo solitario» noto per il suo fanatismo e la sua crudeltà, ex prefetto di Gudermes, e soprattutto genero del presidente ceceno Dzhokar Dudaev. Ha avanzato una sola richiesta: il ritiro immediato delle truppe russe dalla Cecenia e da tutto il Caucaso. In caso contrario Raduev ha promesso di uccidere uno a uno i 3 mila ostaggi in mano sua. E nel pomeriggio ha tenuto fede alla parola uccidendone due. (10 gennaio 1996)
- Stavolta sembra chiaro che Boris Eltsin non scenderà a trattare con i ribelli, come aveva fatto il premier Cernomyrdin all'epoca di Budionnovsk. A pochi mesi dalle elezioni il Presidente russo non può permettersi debolezze. (10 gennaio 1996)
- In effetti, è difficile spiegare come 400 uomini armati abbiano potuto superare decine di posti di blocco in una zona che pullula di truppe russe. [...] Lo spionaggio militare russo ha fatto una rivelazione inquietante: il 23 dicembre tutti gli organi competenti russi erano stati informati che i «lupi» stavano preparando l'assalto a Kizliar. Nessuno ha mosso un dito. (10 gennaio 1996)
- È tuttora un mistero chi e perché abbia ordinato di bloccare il convoglio, gettando nuovo olio sul fuoco. Le trattative sono arrivate a un punto morto. I ceceni non si fidano più dei russi, i russi dei ceceni. Per giunta gli accordi raggiunti con i dirigenti del Daghestan, sul tragitto del convoglio e le garanzie di sicurezza, vengono subito smentite dal comando federale. (12 gennaio 1996)
- A un certo punto Raduev, esasperato, si è rifiutato di parlare con i negoziatori locali, pretendendo un contatto diretto con il premier russo Cernomyrdin, che aveva risolto con la cornetta in mano l'analoga crisi di Budionnovsk, 7 mesi fa. Ma Mosca ha detto di no. (12 gennaio 1996)
- Il comandante dei terroristi è apparso alla tv russa per dettare le sue condizioni: via libera per i suoi 250 uomini, scortati da giornalisti stranieri, da rappresentanti della Croce rossa e deputati della Duma. [...] Ma quello che appariva sullo schermo non era più un temibile guerrigliero che decide la vita e la morte di centinaia di persone, ma un uomo evidentemente spaventato. (12 gennaio 1996)
- La parte svolta da Mosca in questa drammatica storia si fa sempre più misteriosa. A Pervomajskaja a trattare con i terroristi non è arrivato nessun responsabile federale con poteri sufficienti a prendere decisioni importanti. Tutta la responsabilità per la vita e la morte degli ostaggi grava sui dirigenti locali del Daghestan, che però non possono parlare a nome dei militari russi e dare garanzie sufficienti a Raduev. (13 gennaio 1996)
- Secondo il complesso e rigido codice d'onore dei popoli caucasici, il capo dei terroristi con il suo raid nel territorio daghestano e il sequestro non solo dei comuni nemici russi, ma anche di caucasici, ha offeso un popolo imparentato con quello ceceno. Molti abitanti del Daghestan sostengono la causa dell'indipendenza cecena, ma non vogliono un massacro sulla propria terra. (14 gennaio 1996)
- Raduev aveva anche chiesto di sostituire gli ostaggi con alcuni politici, tra cui Javlinskij, Gaidar e il generale Alexandr Lebed, il quale ieri ha fatto una controproposta. Il generale, uno dei favoriti alle prossime presidenziali, vuole avere da Eltsin il comando di tutte le truppe concentrate attorno a Pervomajskaja e carta bianca per agire. In cambio promette di risolvere il problema. In altre parole, di fare Raduev a pezzi. Eltsin per ora non ha accettato i servigi del generale. (14 gennaio 1996)
- Raduev è in trappola e se ne rende conto. Anche se torna sano e salvo a casa, non lo aspetta una corona d'alloro. Ieri il comandante delle forze di Dudaev, Aslan Maskhadov, ha promesso che il comandante dei terroristi verrà processato secondo le leggi dell'Islam per la sua maldestra e tragica sortita. (14 gennaio 1996)
- Oltre al prezzo delle vite umane ci sarà da pagare anche il prezzo politico: manifestazioni in tutto il Daghestan, chiedendo di rinunciare all'assalto per salvare gli ostaggi, tra i quali ci sono numerosi daghestani. Se moriranno nella battaglia il Cremlino potrebbe farsi un altro nemico nel Caucaso. (15 gennaio 1996)
- L'operazione militare - anzi, ormai si può parlare di distruzione - di Pervomajskoe è stata ordinata in nome loro, per la loro salvezza. Ma loro, gli ostaggi, non la volevano. Ormai temevano più i soldati che sarebbero venuti a liberarli, che i terroristi di Salman Raduev. (16 gennaio 1996)
- Sei giorni e sei notti a morire di paura e di freddo. Fame no, gli abitanti di Pervomajskoe avevano fatto le scorte per l'inverno e le cantine erano piene di ogni ben di Dio. Ma il freddo della steppa coperta dalla neve (nei giorni scorsi la temperatura si è mantenuta attorno ai 10 gradi sotto zero) era onnipresente. Le donne e i bambini - una ventina in tutto - trascorrevano la notte nella moschea locale, stesi per terra. Gli uomini invece dormivano nei pullman, con il vento che soffiava dai finestrini rotti, e le bombe dei terroristi sotto i sedili. I ceceni li tenevano pronti a funzionare come «scudi umani», facendoli scendere al minimo segno di pericolo. (16 gennaio 1996)
- Domenica sera, quando hanno capito che l'assalto era imminente, gli ostaggi si sono cinti la testa con foulard bianchi, per farsi riconoscere nel buio. Ma i terroristi hanno rinunciato allo «scudo umano» e hanno messo i loro prigionieri nei sotterranei delle case. Al sicuro dalle pallottole, ma non dalle bombe. (16 gennaio 1996)
- Si è scoperto [...] che l'uso dei missili multipli «Grad», che hanno raso al suolo il villaggio, serviva soprattutto a «scopo psicologico» In questo modo, ha spiegato orgogliosamente Barsukov tra le risa dei giornalisti, i ceceni «avrebbero saputo che avevamo a disposizione armi potenti». (21 gennaio 1996)
- Kulikov ha difeso la scelta di usare la forza con il pretesto che i ceceni avevano cominciato a fucilare gli ostaggi. Ma alla domanda quanti ne sono stati fucilati e da chi, ha risposto che le esecuzioni «non hanno trovato conferma». (21 gennaio 1996)
- Gli ostaggi [...] avevano già capito che per i russi sterminare i guerriglieri era più importante che salvare loro e hanno preferito seguire i ceceni. Ma non sono complici dei terroristi, come aveva insinuato sabato il generale Barsukov, comandante dell'operazione, parlando di presunti ostaggi che avrebbero seguito Raduev «con entusiasmo». (22 gennaio 1996)
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