John Keats

poeta romantico britannico
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John Keats (1795 – 1821), poeta britannico.

John Keats

Citazioni di John Keats

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  • Dove la giovinezza impallidisce e si consuma e spettrale muore.[1]
  • La filosofia mozzerà le ali di un angelo.
Philosophy will clip an Angel’s wings.[2]
  • Lascia sempre briglie sciolte alla fantasia, | Il piacere non è mai in casa nostra.[3][4]
  • Nel caso di un grande poeta il senso della Bellezza supera ogni altra considerazione, o meglio annulla ogni considerazione.[5]
  • [...] nel tempio stesso del Diletto | la velata Malinconia ha il suo sovrano santuario [...].[6][4]
  • Qui giace uno il cui nome è stato scritto sull'acqua.[7][8]
  • Stagione delle nebbie e della molle fecondità, | stretta amica del cuore del maturante sole; | che cospiri con lui per caricare e beare | di frutti le viti che intorno alle grondaie corrono; | per piegare sotto le mele i muscosi alberi della capanna, | ed empire tutti i frutti di maturità fino al torso; | per gonfiare la zucca, e arrotondare i gusci delle nocciuole | con un dolce nòcciolo; per far gemmare altri | e ancora altri, più tardivi fiori per le api, | finché esse pensino che i giorni tepidi non finiranno mai, | perché l'Estate ha colmate fino all'orlo le loro viscose celle.[9]
  • [...] tenera è la notte [...].[10]

Endymione

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  • Una bella cosa è una gioia per sempre: | La sua bellezza aumenta e mai | Sparirà nel nulla.

Citazioni

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  • Spesso il piacere è un ospite passeggero; ma il dolore | ci avvinghia crudelmente.
Pleasure is oft a visitant; but pain | clings cruelly to us.

Lettere

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A Benjamin Bailey

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  • Non sono certo di nulla tranne che della santità degli affetti del cuore, e della verità dell'immaginazione. Quel che l'immaginazione percepisce come bellezza deve essere vero – sia o no esistito prima – poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l'amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura. [...] L'immaginazione si può paragonare al sogno di Adamo: si svegliò e lo trovò vero. (22 novembre 1817)
  • Ci si dovrebbe sopportare un po' tutti: non c'è nessuno che non sia vulnerabile, che anzi non possa essere colto e fatto a pezzi nel suo lato debole. (23 gennaio 1818)
  • Al di là del piacere che sempre danno le lodi – piacere malefico cui è difficile sfuggire – io ho sempre avuto un grande rispetto per l'entusiasmo: c'è qualcosa di glorioso in esso. Ma non posso far finta che il mondo non sia maligno abbastanza da non deridere la più degna semplicità. (13 agosto 1819)
  • Oh se solo potessi avere una vita di sensazioni invece di una vita di pensieri! (22 novembre 1827)[4]

A Benjamin Robert Haydon

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  • Non c'è peccato più grave, dopo i sette peccati mortali, di credersi un grande poeta, o uno di quei privilegiati che dedicano tutta la vita a inseguire la gloria. (10-11 maggio 1817)
  • Ammiro la natura umana, ma non mi piacciono gli uomini: mi piacerebbe comporre qualcosa che faccia onore all'uomo, ma che gli uomini non possano toccare. (22 dicembre 1818)

A Charles Brown

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  • Sono le nostre passioni e i nostri sentimenti violenti a evocare e incoraggiare le sofferenze immaginarie: quelle reali vengono da sé, e la mente può contrastarle concentrandosi e applicandosi con tenacia. Le sofferenze reali si sostituiscono alle passioni; quelle immaginarie inchiodano l'uomo come un disgraziato sulla croce; quelle reali lo spingono all'azione. (23 settembre 1819)
  • Notte e giorno desidero che venga la morte a liberarmi da questi dolori, ma poi no, perché la morte distruggerebbe quei dolori che sono pur sempre meglio di niente. La terra, il mare, la debolezza e la malattia possono certo dividere, ma mai come la morte, che è per sempre. Il prendere coscienza di tanto strazio è in pratica come provare in anticipo l'amarezza della morte. (28 settembre 1820)
  • Ho la continua sensazione che la mia vita reale sia finita, e che stia vivendo un'esistenza postuma. (30 novembre 1820)
  • [A Charles Brown] Mi riesce difficile dirti addio anche per lettera. Sono sempre stato goffo nel fare l'inchino. (30 novembre 1820)

A Fanny Brawne

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  • Ora che mi succede di passare notti insonni e ansiose, strani pensieri si infilano nella mia mente. Se morissi ora, dico a me stesso, non lascerei nessuna opera che sia degna di sopravvivermi, niente che possa rendere i miei amici orgogliosi della mia memoria. Eppure ho amato il principio della bellezza in ogni cosa, e se ne avessi avuto il tempo sarei riuscito a farmi ricordare. (febbraio 1820)
  • Un tempo rabbrividivo quando pensavo che delle persone potessero morire da martiri per una religione. Adesso non più. Potrei essere martirizzato io stesso per la mia religione. L'amore è la mia religione. Potrei morire per esso. (13 ottobre 1819)

A Fanny Keats

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  • Vorrei che l'italiano si sostituisse al francese in tutte le scuole del nostro paese, perché quella sì che è una lingua ricca di vera poesia e di fascino, forse più adatta della nostra a soddisfare i gusti delle signore. (10 settembre 1817)

A George e Georgiana Keats

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  • C'è molta gente superficiale che prende le cose alla lettera. Ma la vita di un uomo che abbia in sé qualche valore è una continua Allegoria. Solo pochi occhi possono capire il mistero della sua vita. Una vita figurativa, come nelle scritture sacre, che molta gente non può riuscire a capire, non più di quanto possa capire la Bibbia scritta in ebraico. Shakespeare ha vissuto una vita di Allegoria. Le sue opere ne sono il commento. (18 febbraio 1819)
  • Non potrebbero esserci degli esseri superiori che godono degli stati d'animo della mia mente, belli anche se istintivi, nello stesso modo in cui io sono attratto dalla vivacità di un ermellino o dall'agitazione di un cervo? Anche se una lite per strada è qualcosa di decisamente deprecabile, le energie che si sprigionano sono belle: persino l'uomo più insignificante diventa in qualche modo attraente quando litiga. Per un essere superiore i nostri pensieri possono tutti prendere lo stesso tono: anche se sbagliati, possono essere belli. (18 febbraio 1819)
  • Niente può mai diventare reale, senza essere vagliato dall'esperienza. Persino un proverbio: che proverbio è, prima che la vita te l'abbia mostrato? (18 febbraio 1819)
  • Questo mondo viene di solito chiamato, dai superstiziosi e dagli ignoranti, "una valle di lacrime", da cui saremo redenti grazie a qualche arbitrario intervento di Dio, e portati in cielo. Che concetto ristretto e rigido! Piuttosto, se vi va, chiamiamolo "la valle che forma l'anima". Allora, sì, sarà possibile comprendere a che cosa serve il mondo [...]. Io dico che forma l'anima, distinguendo l'anima dall'intelligenza. Ci possono essere intelligenze o scintille della divinità a milioni – ma non ci sono anime finché le scintille non hanno raggiunto un'identità, finché ognuna non è individualmente sé stessa. Le intelligenze sono atomi di percezione: conoscono, e vedono, e sono pure; in breve sono Dio. Ma allora come si formano le anime? Come riescono queste scintille, che sono Dio, a ricevere un'identità, così da possedere una beatitudine propria, specifica di ogni singola esistenza? Come, se non grazie a un mondo come il nostro? (18 febbraio 1819)

A James Rice

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  • È sorprendente, ma l'idea di lasciare questo mondo rende ancora più profondo in noi il senso delle sue bellezze naturali. Come il povero Falstaff, anche se non balbetto come lui, penso ai prati verdi. Medito con il più grande affetto su ogni fiore che conosco dall'infanzia. Le loro forme e i loro colori mi sembrano così nuovi, quasi li avessi appena creati io con fantasia sovrumana. Probabilmente è perché sono legati ai momenti più felici e ingenui della nostra vita. Ho visto fiori di paesi stranieri delle specie più meravigliose nelle serre, eppure non me ne importa un fico secco. Gli unici fiori che voglio vedere sono i semplici fiori della nostra primavera. (14-16 febbraio 1820)

A John Hamilton Reynolds

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  • Non sopportiamo la poesia che ha un disegno chiaro per noi [...] La poesia dovrebbe essere grande ma discreta; qualcosa che ti penetra dentro senza farti trasalire, senza colpirti in sé stessa, ma col suo messaggio. Come sono belli i fiori nascosti! Come se ne sciuperebbe la bellezza se si spingessero dalla strada gridando: "Ammiratemi: sono una violetta! Adoratemi: sono una primula!". (3 febbraio 1818)
  • Non ho il più piccolo senso di umiltà verso il pubblico – o verso chiunque altro – eccetto l'essere eterno, il principio della bellezza – e la memoria dei grandi uomini. (9 aprile 1818)
  • Recentemente ho cambiato pelle. Ma niente nuove piume e nuove ali. Queste sono sparite, al loro posto spero di avere un paio di pazienti gambe terrestri. Sono cambiato, ma non da crisalide in farfalla, bensì al contrario. Ho delle piccole feritoie dalle quali posso guardare il palcoscenico del mondo e, venendo qui, quel mondo l'ho quasi dimenticato. (11 luglio 1819)
  • Amico mio, sarebbe inutile che io cercassi di scrivere cose più ragionevoli. Non ho altro di cui parlare se non di me stesso. E di cosa potrei parlare se non di ciò che sento? Se per qualche ragione questo mio stato di eccitazione dovesse dispiacerti, ti prego di ricordare che è questa la condizione che ci vuole per la poesia, e della poesia solo m'importa. La poesia è ciò per cui vivo. (25 agosto 1819)

A John Taylor

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  • Se la poesia non viene naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non venga per niente. (27 febbraio 1818)
  • So con certezza che, se volessi, potrei diventare uno scrittore di successo. Per mia scelta, tuttavia, non lo sarò mai. (23 agosto 1819)

A James Augustus Hessey

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  • [In risposta alle critiche sul poema Endimione] Ormai comincio a conoscere le mie virtù e i miei difetti. La lode e la critica possono influire solo per un attimo su chi, amando la bellezza pura, diventa un giudice severo delle proprie opere. La mia critica "domestica" mi ha tormentato molto di più di quanto abbiano potuto fare Blackwood o l'«Edinburgh Quarterly». E così, quando sento di essere nel giusto, nessun'altra lode può darmi una gioia pari al rivivere da solo e confermare quanto è bello. (8 ottobre 1818)
  • Non ho mai temuto l'insuccesso: infatti, addirittura lo preferirei, piuttosto che non essere fra i più grandi. (8 ottobre 1818)

A Percy Bysshe Shelley

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  • La mia immaginazione è un monastero e io sono un monaco. (16 agosto 1820)

A Richard Woodhouse

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  • Il poeta è la meno poetica delle creature: non ha identità – ma di continuo foggia e riempie qualche altro corpo. [...] Quando sono in una stanza fra la gente, se per caso non sono assorto nei miei più intimi pensieri, allora non riesco a essere più me stesso, ma la personalità di ciascuno dei presenti comincia a soffocarmi fino addirittura ad annientarmi. E non solo fra gli uomini, sarebbe lo stesso in un asilo. (27 ottobre 1818)

Ode su un'urna greca

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Amica inviolata della pace,
Del tardo tempo e del silenzio alunna,
Narratrice silvestre che si piace
Di raccontare favole fiorite,
Dolci ad udire più del nostro canto;
Qual leggenda di foglie incoronata
È dalle forme tue qui figurata
Di celesti o mortali, o d'amendue
In Tempe o per le valli dell'Arcadia?

[John Keeats, A un'urna greca, in Luigi Siciliani, Canti pagani e altre poesie classiche, scelte da Glauco Viazzi, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, 1982]

Citazioni

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  • Dolci le melodie sono ad udire, | Ma queste, che non odo, son più dolci; (1982)
Heard melodies are sweet, | but those unheard are sweeter.
  • «Bellezza e verità sono una cosa». | Questo è quanto sappiamo sulla terra | E questo è tutto che sapere importa. (1982)
"Beauty is truth, truth beauty", – That is all | Ye know on earth, and all Ye need to know.

Citazioni su John Keats

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  • Io piango per Adonais, oh lui è morto! | Piangete per Adonais, benché le nostre | lacrime non sciolgano il gelo che recinge | il loro capo. E tu, triste Ora | scelta tra tutti gli anni per lamentare | la nostra perdita, fa' alzare le tue oscure | compagne e insegna loro la tua stessa | pena, di' loro: con me morì Adonais, | finché il Futuro non oserà dimenticare il Passato | il suo fato e la sua fama saranno | un'eco e una luce verso l'eternità. (vv. 1-9) [...]
    Egli ha sorpassata l'ombra della nostra notte; | né invidia né calunnia, né odio né pena, | né l'inquietudine che gli uomini a torto chiamano voluttà, | possono più toccarlo e torturarlo ancora. | Dal contagio lento della macchia del mondo | egli è salvo (vv. 352-357) [...]
    Lui è della sostanza della natura. | È udita la sua voce in tutta la sua musica | dal gemere del tuono alla canzone | che canta il dolce alato della notte. | Lui è una presenza che va sentita, conosciuta | nel buio e nella luce, dall'erba e dalla pietra, | che si sparge dovunque agisce il Potere, | che ha tutto in sé il suo essere, | che governa il mondo con un mai esausto | amore, che lo sostiene di sotto e di sopra, | lo incendia. (vv. 370-378) (Percy Bysshe Shelley, Adonais)
  • Il genio della persona qui lamentata e alla cui memoria ho dedicato questi innumerevoli versi [Adonais] era non meno delicato e fragile di quanto fosse bello [...]. La furiosa critica al suo Endimione, apparsa sulla «Quarterly Review», produsse sulla sua mente suscettibile il più violento effetto; l'agitazione così originata si concluse con la rottura di un vaso sanguigno nei polmoni, e ne seguì una rapida consunzione. (Percy Bysshe Shelley)
  • Questo tipo di scrittura [Endimione] è una specie di masturbazione mentale. Sono sempre in guerra con Shelley, quel serpente, a proposito di Keats: non capisco cosa ci trovi in quell'idolo dei cockney per farne un dio. Sono sicuro che un giorno anche Shelley tornerà, come me, ad ammirare Pope. Sono convinto che Il ricciolo rapito valga cinquanta Endimioni. (Lord Byron)
  • [Byron al suo editore, Murray] Come Lei saprà, Shelley ha scritto un'elegia su Keats accusando la «Quarterly Review» di averlo ucciso. [...] Lei sa benissimo che io non ho mai approvato la poesia di Keats, i suoi principi di poetica e il suo abuso di Pope, ma, poiché è morto, per favore cancellate ogni riferimento a lui dalle mie pubblicazioni. Il suo Iperione è un bel monumento e contribuirà a renderlo famoso nel tempo. Non invidio l'autore dell'attacco a Keats sulla «Quarterly». [...] Comunque, uno che muore per l'articolo di una rivista sarebbe morto per qualcosa di altrettanto futile. (Lord Byron, lettera del 31 luglio 1821)
  • John Keats fu assassinato da una critica | quando cominciava a promettere qualcosa di grande, | anche se poco comprensibile; non conosceva il greco | ma riuscì lo stesso di recente a far parlare gli antichi dèi, | come immaginava che loro parlassero. | Poveraccio! Che destino sfortunato il suo! | «È strano come una mente, quella tanto fiera particella, possa essere spenta da un articolo di rivista» (Lord Byron, Don Juan, Canto XI, stanza 60)
  • [Leigh Hunt a Joseph Severn] Di' a Keats – di' a quel grande poeta e all'uomo dal nobile cuore – che la sua memoria rimarrà sempre nella parte più preziosa del nostro cuore e che il mondo intero si inchinerà di fronte al suo Genio, come facciamo noi ora. Di' a Keats che non cesseremo mai di ricordarlo e di amarlo. Di' a Keats che ci ha soltanto preceduti sulla strada dell'immortalità, come in qualunque altra cosa che lui abbia fatto. (Leigh Hunt, lettera dell'8 marzo 1821)
  • Talvolta appaiono sulla terra degli esseri che riflettono nella loro esistenza una luce più che umana. Ma per appartenere a questa ristrettissima élite il genio non basta: né Shakespeare, né Dante, né Michelangelo, né Baudelaire sono degli "angeli". Sono forse degli Dei, angeli non sono. Bisogna, per essere annoverati fra gli angeli, morire molto giovani, o giovanissimi cessare qualunque attività artistica; bisogna, va da sé, che questa attività sia di valore supremo; bisogna insomma che la loro apparizione sia fulgida e brevissima, così da dare a noi grigi mortali la sensazione di un visitatore superumano che durante un istante ci abbia guardato, e sia dopo ritornato ai suoi cieli, lasciandoci doni di qualità divina e anche un amaro rimpianto per la fugacità della sua apparizione. Fra gli "angeli" io ritrovo Raffaello e Masaccio, Mozart e Hölderlin, Rimbaud e Maurice de Guérin, Shelley, Marlowe e Keats. [...] In questa lista, splendente di gioia e, per noi, di lacrime, il posto supremo spetta a John Keats. Di tutti egli è il solo assolutamente puro. So bene che non è colpa loro, ma qualche macchia di fango imbratta le ali di Marlowe e di Shelley; Rimbaud è indubbiamente un angelo, ma, come Marlowe, non si sa bene se venisse da su o da giù; la lussuria di Raffaello, la follia di Hölderlin, l'iracondia di Masaccio, la moglie di Mozart sono delle lievi mende sul candore delle loro vesti. Angelo di prima classe, arcangelo, serafino, cherubino, angelo a tutto tondo, angelo a cento carati, angelo con le ali di prima scelta garantite contro le tarme non vi è che John Keats. (Giuseppe Tomasi di Lampedusa)
  • Nella stanza in cui era morto Keats, Pietro rimase bloccato dalla propria ignoranza nei confronti del poeta e quindi di ciò che desiderava fotografare. La casa imbiancata a calce di Hampstead era stata un soggetto abbastanza facile, ma questa era diversa. Nell'aria aleggiava un che di minaccioso, la sensazione lasciata dalla presenza di un uomo che si era proposto di arrestare il tempo in un momento particolare, e ci era riuscito in un modo imprevisto, con la morte. (Sebastian Faulks)
  • Quando lasciò l'Inghilterra per morire, nel 1819, Keats non aveva la forza di scrivere. Riuscì comunque a rivedere una poesia, mentre giaceva nella cuccetta della nave che lo portava a sud. Era un sonetto che cominciava con le parole Bright star, would I were stedfast as thou art: "O stella ardente, foss'io costante come tu sei". La lirica, l'ultima da lui completata, non indugia sulla malinconia dell'esilio, anche se racchiude una visione distaccata del mondo, osservato dall'alto, dal punto di vista di una stella. (Sebastian Faulks)
  • Una mattina di aprile, rientrando in casa dal giardino, Keats ficcò alcuni fogli di carta dietro una pila di libri su uno scaffale, per metterli in salvo dallo zelo eccessivo della cameriera nel riordinare. Quando l'amico Brown gli domandò di che cosa si trattasse, lui rispose che non era niente di speciale. Mentre Keats era assente dalla stanza, Brown li ripescò dal loro nascondiglio e scoprì che in realtà contenevano l'Ode a un usignolo, che Keats aveva scritto quella mattina sotto un susino. Il giorno prima quella poesia non esisteva. (Sebastian Faulks)
  1. Da Ode a un usignuolo, Stanza 2, 1819. Citato in AA.VV., Il libro della medicina, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2021, p. 207. ISBN 9788858036730
  2. Da Lamia, II, 229.
  3. Da Fancy, 1, 1-2.
  4. a b c Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, Rizzoli, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Da Lettere sulla poesia, a cura di Nadia Fusini, Mondadori, Milano, 2014.
  6. Da Ode alla Malinconia, III, in Iperione, odi e sonetti, p. 89.
  7. Il suo epitaffio, pensato e voluto da lui stesso, sulla tomba nel Cimitero acattolico di Roma (Cfr. foto della lapide).
  8. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, Rizzoli, 2013. ISBN 9788858654644
  9. Da All'Autunno, I, in Iperione, odi e sonetti, p. 85.
  10. Da Ode a un Usignuolo, IV, v. 5, in Iperione, odi e sonetti, p. 59.

Bibliografia

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  • John Keats, Il sogno di Adamo. Lettere scelte 1817-1820, a cura di Anna Foch, Oscar Classici, Mondadori, Milano, 2001. ISBN 88-04-49109-4
  • John Keats, Iperione, odi e sonetti, versione col testo a fronte, introduzione e note a cura di Raffaello Piccoli, Sansoni, Firenze, 1943.
  • Elido Fazi, L'amore della luna, Fazi Editori, Roma, 2005. ISBN 88-81-12654-0
  • John Keats, Poesie, con saggio di Jorge Louis Borges, a cura di Silvano Sabbadini, Oscar Classici, Mondadori, Milano, 2006. ISBN 88-04-53314-5

Voci correlate

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