Domenico Morace

giornalista italiano (1943-)

Domenico Morace (1943 – vivente), giornalista italiano.

Guerin Sportivo modifica

Citazioni tratte da articoli modifica

  • L'Ajax è un fenomeno da non sottovalutare: è un laboratorio che produce giovani di talento, con ricambi perenni. Non è soltanto una scuola di calcio o una macchina per far soldi: è un modello culturale che privilegia l'uomo al campione e che dal campione tira fuori il meglio dell'uomo; e non è un gioco di parole.[1]
  • [Nel 1995, sul campionato di Serie A 1987-1988] Sussurri se ne sentivano da anni, adesso sono diventati grida. Napoli drogato, in mano alla camorra, scudetto venduto: parola di pentiti. S'intrecciano scenari sconvolgenti, da voltastomaco. Ma che credito dare ai pentiti, a questi pentiti che non sono gentiluomini e forse sono anche millantatori? [...] al Napoli che per la coca si vende alla camorra, ne subisce gli ordini, cede al Milan lo scudetto, io non ci sto. Ad alti livelli, dove sono in gioco l'immagine, il guadagno, la carriera, certe bassezze sono impensabili. Vai in campo e, se ce la fai, giochi per vincere. [...] Quel Napoli, nell'88, crollò perché non aveva più forza nelle gambe e perché era finita la solidarietà del gruppo, minato dai capricci del drogato Maradona e dalle licenziosità di alcuni giovanotti, soggiogati dal capo e dalla bella vita. [...] Non sono però così ingenuo dal pensare che la camorra non ci abbia provato e che tutti i calciatori siano verginelle. In quel Napoli c'era qualche mela marcia. C'era Maradona, campione pieno di macchie e di paure. E c'era qualche giovanotto sconsiderato, qualche imbecille in cerca di emozioni e figli di papà amanti dei brividi. Attorno, i camorristi per i quali l'amicizia con i campioni era un segno di distinzione. Il Napoli in mano alla camorra? Propendo per una storia più semplice di quella che i pentiti vorrebbero farci credere e che molti, con l'ambizione di scrittorelli di gialli, stanno disegnando.[2]

Editoriali modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • La Juve, nei secoli, è stata la più amata dagli italiani. Dalle Alpi a Pantelleria, non c'è zona dove il tifo bianconero non abbia profonde radici. La Juve è stata, ed è, simbolo di integrazione e di riscatto per i meridionali del nord e un trepido amore per quelli nati e cresciuti tra le nebbie. Intrecci sportivi e sociologici hanno spiegato quella che è più di una passione. Gli italiani, si sa, scelgono sempre chi vince e i tifosi proletari della Juve hanno persino dimenticato i rancori di classe: Agnelli, per loro, non è mai stato il padrone, ma soltanto il benefattore che regalava felicità domenicali.[3]
  • [...] in nessun altro sport come nella F.1 l'uomo ha portato all'esasperazione il concetto della sfida alla frontiera del tempo e del pericolo. Le scoperte tecnologiche hanno trasformato la F.1 in un baraccone da fantascienza. L'uomo-pilota, come il torero, è sempre solo nell'arena: sa di entrarci, non sa come ne uscirà. In cambio di questo patto col diavolo, i campioni del circo della morte hanno spuntato contratti miliardari. Col tempo si sono abituati a convivere col rischio, pane quotidiano, e ad esorcizzare la paura. Se va bene, vivi da miliardario; se va male, muori da giovane miliardario. Bruciata ogni categoria morale, con la patetica giustificazione che i rischi fanno parte del mestiere e dell'accordo. Cinismo inaccettabile.[4]
  • Si discute da sempre se i campioni debbano essere tali anche fuori dal campo, per i tifosi che li adorano – fetiscimo sportivo – e che a loro si ispirano. Personalmente credo che si debba essere campioni sul campo ma non di cattivo esempio nella vita. Ritengo anche che ognuno, dal proprio mestiere, debba trarre il massimo della soddisfazione e dei guadagni. Ma c'è, o dovrebbe esserci, un confine tra l'interesse e l'ingordigia, tra l'amore per il mestiere e quello per il denaro. Ci deve anche essere rispetto per gli altri [...]. Quanti lavoratori disoccupati ci sono e quanti guadagnano appena un milione al mese? Essere campioni di calcio, amati e coccolati, non autorizza a scordare tutto questo.[4]
  • È questo lo sport che piace, quello popolato di campioni veri e sinceri e capaci di accendere gli entusiasmi e la passione della gente, ormai stufa di polemiche astiose e di quello sport "parlato" che è venuto a noia assieme ai suoi attorucoli da strapazzo. È arrivato il tempo di tornare al racconto del gesto atletico e dei campioni autentici, quelli del campo, anziché perdere tempo ad inseguire pettegolezzi e dichiarazioni da cortile. C'è, nella gente, una insofferenza verso questo tipo di gare urlate, anche perché di strepiti è pieno il panorama della vita nazionale. Gridano tutti: onorevoli e ladroni, industriali e mascalzoni; almeno lo sport cominci a dare l'esempio: metta la sordina o faccia spegnere le voci da cortile e le linguacciute massaie da spogliatoio. Purtroppo, la lezione è dura da far digerire a tanti del nostro mondo.[5]
  • [...] al di là delle colorazioni di parte, la Juve è la più amata dagli italiani. Non esiste, da Bolzano a Pantelleria, una squadra che abbia un tale seguito, numerico e passionale, come la Juve. Ha tifosi al Nord, dove è di casa, ed ancor più al Sud, dove imparano ad amarla a distanza, attraverso le cronache o le immagini televisive. Come e perché questa squadra colpisca la fantasia ed il cuore dei tifosi, si sa da tempo: [...] l'identificazione col potere del Nord, la voglia di integrazione dei meridionali del Nord, la smania di partecipare ai successi che è la molla di ogni attività umana.[6]
  • [Sulla strage dell'Heysel] Quella dell'85 fu la Coppa del dolore. Ci sentimmo tutti un po' strani: quella sera: chi stava all'Heysel, chi davanti alla Tv e chi negli stanzoni di Redazione preparava i giornali. Dovevamo celebrare un trionfo, la prima Coppa Campioni della Juve, ma non c'era gioia; semmai, angoscia o disagio. Come cancellare dalle menti quelle immagini brutali, i morti ed i feriti, il dolore straziante di chi aveva perso, in quella bolgia, un amico, un parente, uno della stessa fede? Ricordo il giro di campo di Platini, con la Coppa in mano, e, dietro, gli juventini: non era la passerella di chi aveva vinto, ma una cattiva recita della vittoria.[7]

Per voi e con voi

Guerin Sportivo nº 11 (987), 16-22 marzo 1994, p. 3.

  • Il «Guerino» è il più antico settimanale sportivo italiano. La sua storia è andata di pari passo con quella dello sport italiano, del quale ha scandito momenti felici e non, vicende grandi e piccole. Sulle sue pagine hanno scritto, o sono nati, i migliori giornalisti italiani e si sono formate intere generazioni di sportivi. L'Albo dei Direttori è ricco di grandi nomi, da Emilio Colombo a Gianni Brera. Dirigerlo è motivo di orgoglio e di stimolo [...]. Il fatto è che il «Guerino» è un giornale diverso dagli altri, pur nobili o potenti. Per chi lo legge, o lo redige, è una fede. Non esiste, in Italia, una identificazione così intensa, totale, viscerale tra giornalisti, lettori e testata, come nel «Guerino». Chi lo crea, lo vive; chi lo legge, lo sente suo. Negli anni, tutti noi dell'ambiente abbiamo osservato, quasi con invidia, questo rapporto che è esaltante ma anche impegnativo. Non basta esercitare con professionalità il proprio lavoro; ci vogliono anche amore, tenerezza, passione.
  • Per principio, diffido delle dichiarazioni programmatiche, siano di politici o dei direttori di giornale. C'è sempre, magari inconscia, la tendenza a ricercare la simpatia, la benevolenza. È quasi una insincerità istituzionale. Di solito, molte promesse vengono scordate; altre, disattese. Resto dell'idea che un giornale si misura da quel che, di volta in volta, offre ai suoi lettori. È l'edicola, non la grancassa, a decretare se un giornale ha successo, è serio, credibile, interessante.
  • Da sempre si disquisisce se lo sport sia soltanto un momento ludico o anche strumento di formazione. La cultura ufficiale ha sempre considerato poco, e male, lo sport catalogandolo come puro fatto circense. Grave errore. Lo stesso che ha commesso chi giudica lo sport come somma di fatti muscolari e di pulsioni emotive. Inaccettabile l'uso dell'iperbole, della metafora guerresca, di una esaltazione madre di tante violenze.

Lo scandalo Trapattoni

Guerin Sportivo nº 14 (990), 6-12 aprile 1994, p. 3.

  • Giovanni Trapattoni non è soltanto una brava persona e un serio professionista; è anche un grande allenatore. Piaccia o no, è quello che in Italia ha vinto di più. [...] Si discute da sempre se siano gli allenatori a far grandi le squadre o se, viceversa, siano i giocatori a decretare il successo degli allenatori. Questione controversa e ancora irrisolta. Nel caso di Giovanni Trapattoni, meriti e fortune (parco giocatori) si sono bilanciati.
  • Agli insulti ci è abituato. Da anni è nel mirino di certa critica, diciamo così, modernista. Trap è, storicamente, l'emblema di un modello superato, quello, per intenderci, del vecchio ma glorioso calcio all'italiana, esaltazione di una scuola che, tutto sommato, ci ha dato onori e successi. In Italia, purtroppo, si recita secondo copioni prefissati che fanno parte di un modo miope, o idiota, di interpretare le mode del momento. La Juve del Trap, quella d'oro, non era avara di bel gioco, anche se Platini gridava insulti, prima, durante e dopo la partita, contro Trap, reo di spegnergli estri e fantasia. E l'Inter trapattoniana [...] segnava gol a gogò, eppure Matthäus accusava Trap di tenerlo legato in retrovia. I giocatori hanno di queste cattive abitudini; non sempre sono sinceri. Quelle di Platini e Matthäus erano bugie interessate ma vallo a spiegare, e a farlo capire, alla gente e soprattutto a certi critici.
  • In fondo, gli allenatori di calcio sono dei privilegiati: saranno pure criticati e criticabili, ma a fine mese non hanno certo le angustie o le sofferenze dei cassintegrati o dei metalmeccanici [...]
  • Tanti imbonitori razzolano per i campi verdi e molti ciarlatani occupano panchine. Se un professionista serio e competente come Trap dovrà accomodarsi in tribuna, sarà una vergogna. Anzi, uno scandalo.

Arbitri scadenti, giocatori isterici

Guerin Sportivo nº 3 (1029), 18-24 gennaio 1995, p. 3.

  • Non sono mai stato un mangia-arbitri [...]. Ho sempre avuto stima e rispetto per una categoria che, a parte qualche eccezzione, dà più di quello che riceve. Sono dilettanti ai quali i richiedono prestazioni da rofessionisti. Agli allenamenti possono dedicare soltanto i ritagli del loro tempo; il rimborso spese, che ripaga ferie non godure, è minimo, quasi ridicolo. Per un pizzico di notorietà e per la passione, questi signori vanno domenicalmente a prendersi la loro razione di insulti; raramente un applauso. Sono sempre nell'occhio della critica, spesso impietosa: moviole e replay vivisezionano il loro operato. Noi giudichiamo da comode poltrone e con i più sofisticati mezzi tecnici; loro devono decidere in un attimo, sperando di avere visto giusto. Insomma, non è facile il mestiere dell'arbitro [...]
  • [...] il problema va posto: la categoria è mediocre, è in crisi oppure c'è dell'altro? Per principio non credo alle congiure, triste appiglio per presidenti ed allenatori spericolati e colpevoli. In discussione [...] non è l'onestà degli arbitri – sempre al di sopra di ogni sospetto – ma il loro valore. [...] Molti arbitri di serie A non hanno personalità, commettono errori inaccettabili, aggravati dalla presunzione; sono onesti corridori e basta? L'appiattimento della categoria è evidente. Non ci sono più gli aulici tromboni di una volta, ai quali tutto veniva concesso, ma non ci sono neanche i "fischietti" capaci di garantire un regolare andamento delle partite. Abbiamo arbitri-computer, bravissimi nella corsa ma terribilmente scarsi in chiave tecnica e non dotati di quel carisma che aiuta nelle occasioni da brivido. Sui campi si registrano situazioni assurde: il regolamento non è uguale per tutti; la collaborazione con i guardalinee è regolarmente evitata; gli errori di valutazione sono talmente macroscopici da ingenerare sospetti infondati.
  • C'è un altro aspetto delle vicende domenicali da evidenziare: l'isterismo dei giocatori. [...] Si può capire l'eccitazione dovuta alla tensione agonistica, ma non si possono ammettere ed accettare ammoine, sfoghi, violenze, spintoni [...]. I calciatori non sempre si comportano da professionisti e con i loro atteggiamenti nevrotici attizzano la violenza ed il malcostume. Insulti, smanacciamenti e risse non sono certo pagine esemplari da additare ai giovani che si avvicinano allo sport. Tutte queste sceneggiate, alcune sincere, altre strumentali, non distendono gli animi, non propiziano il bel gioco e, spesso, inducono in errore il povero arbitro, che deve far fronte a masnade di ossessi. Non è possibile usare il cervello, è così difficile?

Il calcio che verrà

Guerin Sportivo nº 20 (1096), 15-21 maggio 1996, pp. 6-7.

  • [...] forse è finito un calcio e dobbiamo apprestarci a viverne e celebrarne un altro. Una rivoluzione epocale è in atto e fatichiamo a comprenderla, sentimentalmente legati, come siamo, al calcio ruspante di casa nostra, quello delle figurine Panini, dei derby, delle bandiere e dei calciatori che nascevano in casa e lì s'affermavano. La sentenza Bosman ha cambiato, com'era prevedibile, la connotazione di questo sport, che soltanto per convenienza continuiamo a chiamare gioco ed è invece diventato una industria, potente e piena di problemi [...]. È finito il calcio delle bandiere, arriva il campionato multirazziale e multimediale, dominato da mamma Tv e dall'abbattimento dei confini in omaggio ai dettami europei. [...] Via libera ai calciatori comunitari, tre extracomunitari, mercato aperto sino a fine gennaio: è la nuova frontiera del calcio del Duemila, quello che, d'ora in poi, dovremo abituarci a vivere, trovando nuovi stimoli e identiche passioni. Dovremo accettare – improbabile ma possibile – che nella nostra squadra del cuore ci siano undici "europei" e neanche uno nato a casa nostra. Sono gli effetti del progresso: il mondo va avanti, non si ferma.
  • La Televisione ha cambiato il nostro modo di essere. Non siamo più quelli di prima. Siamo diventati, o almeno lo crediamo, più informati, ma siamo anche più superficiali, meno uniti; è scomparsa l'aggregazione. [...] La Tv è la nostra mamma, ci tiene compagnia, ci opprime, ci guida, ci taglieggia. La rivoluzione tecnologica, più forte anche di quella sessantottina, ha stravolto persino il modo di essere tifosi. La partita la vediamo dalla poltrona di casa, sempre meno dalle gradinate di uno stadio. I nostri stadi sono cattedrali senza conforto, piene di rischi. I padroni del calcio non hanno capito che per sconfiggere la televisione bisognava migliorare gli impianti, ridurre i prezzi, invogliare le famiglie alla frequentazione. Si sono baloccati, poi hanno preferito accordarsi in cambio di tanti, tanti soldi. Dal prossimo settembre, sarà possibile assistere in diretta alla partita della squadra del cuore. Addio trasferte goliardiche, addio stadi ribollenti di passione. Forse non sarà un male. Ma, oggi, chi può dirlo?
  • Come sarà la geografia del calcio? [...] C'è chi teme la supremazia delle grandi, più ricche e quindi più abilitate al potenziamento e chi, invece, esalta la possibilità delle provinciali, più fantasiose ed avide di novità a basso costo. Personalmente, sono del primo partito. In un campionato da tempo spaccato in due tronconi, A/1 e A/2, il divario rischia di diventare più marcato. Le grandi società hanno i mezzi per dragare il mondo, pagare i campioni più celebrati. E le provinciali? Penalizzate da sempre – nel mondo comandano i ricchi – riusciranno ad arrivare per prime sui giovani talentuosi di altri Paesi, potranno creare una rete di osservatori? Inevitabilmente, e spero di essere smentito, si arriverà al campionato d'Europa per club, vecchia idea di Berlusconi, appoggiata dall'Uefa e da mamma Televisione. E la pace sia con noi e con tutti loro.

Domandatelo al Direttore – rubrica modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • Tutti noi col calcio nel sangue abbiamo trepidato, delirato, o ci siamo entusiasmati, sentendo le cronache del grande Nicolò. Carosio ci portava, con la sua voce e la sua immaginazione, a vivere la partita. Ho conosciuto Carosio a Milano, quando lui era avanti negli anni. Ci si vedeva al ristorante «l'Assassino» e Nicolò sedeva sempre allo stesso tavolo, nel salone di mezzo, e la sua voce stentorea si alzava nel silenzio per insultare l'Ottavio, cioè il padrone, al momento del conto. Era uno schema fisso che divertiva noi giovani cronisti. Nicolò era un po' tirchio ma arricchiva sempre la scena a uso degli astanti. È stato un grande radiocronista, ma anche un simpatico uomo. (Sindaco, ricordi Nicolò Carosio)[8]
  • Dal giorno di Superga uno strano tifo ha accompagnato il Torino: tutti tifosi del Toro, pochi veri tifosi del Toro. (Un grido: salvate il Toro)[8]
  • [Su Aldo Biscardi] [...] è uno che sa interessare il telespettatore. È un vecchio cronista di pelo (rosso; oggi rossotinto, malgrado le smentite). Ha avuto il merito di trasferire in TV un modo battagliero di fare giornalismo. Le tavole rotonde che, sino al suo avvento, dovevamo sorbirci erano di una noia e di una monotonia mortali. Col tempo, alla ricerca disperata dell'audience, il buon Biscardone ha alzato il tono, che è diventato qualche volta, se non spesso, sgradevole. Ha avuto il torto – e glielo ho detto molte volte – di permettere, o di accendere, liti e risse che hanno guastato quel che di buono nel programma c'era. [...] Demonizzare Biscardi seguendo il gusto, un po' trucido, e la moda di certi intellettualoidi, mi sembra sbagliato. Purtroppo in Italia oggi si fa critica in un modo inaccettabile: o sei con me o contro di me, al di là di quel che dici o fai. E chi va da Biscardi sa che avrà contro quelli che non ci vanno. Sbagliato. (L'eterna Biscardeide)[9]
  • Il nostro è un mestiere strano, affascinante, incerto: ti assorbe del tutto. Sei sempre in giro: per cercare notizie o in viaggio. Siamo come gli allenatori di calcio, soggetti ai trasferimenti. Io sono partito da Reggio, per approdare a Roma, per poi andare a Milano, per tornare a Roma, per andare a Bologna, per tornare ancora a Roma e infine per fermarmi di nuovo a Bologna. [...] la vita della famiglia ne risente; e qualche volta può saltare. Ricordo che il mio primo Direttore diceva: per essere un buon giornalista, bisogna essere orfani, vedovi o scapoli. (La famiglia del cronista)[10]
  • Sacchi aveva promesso una Nazionale dal gioco nuovo e spettacolare. In tre anni non l'abbiamo mai vista. [...] Sacchi è un uomo capace ed intelligente ma ha avuto il torto di scatenare una guerra di religione che ha finito per scontare in prima persona. Non credo [...] che ci siano stati attacchi strumentali, cioè critico Sacchi per colpire Matarrese, anche se in qualche caso questo può essere successo. È vero, invece, che Sacchi, proponendosi come allenatore e non come selezionatore, come filosofo anziché come uomo di calcio, si è attirato antipatie, accentuate dal suo carattere che sembra dolce e melenso ma è invece, a volte, per fortuna, astioso e vendicativo. (Sacchi pro, Sacchi contro, ancora Sacchi)[11]
  • Conoscevo Costantino [Rozzi], mio compagno in molteplici avventure televisive, e dirigente di grande bravura. Era un uomo generosissimo, vulcanico, molto diverso dal tribuno che appariva in Tv. Ricordo un episodio che mi riguarda. Scrissi una volta, anni fa, tanti anni fa, di un suo gesto in una Assemblea di Lega. Minacciò querele e tolse il sonno al mio Direttore d'allora, spaventato dalla richiesta di risarcimento di Rozzi: un paio di miliardi. Rozzi non aveva letto l'articolo, glielo avevano riferito. Quando seppe che ero stato io a scriverlo, disse abbracciandomi: ritiro la querela perchè se l'ha scritto lei, che è uomo onesto, vuol dire che quelle cose le ho dette davvero. (Il ricordo di Costantino)[12]
  • A volte, si ha la memoria corta e si pensa che i lettori siano gonzi. Sarebbe divertente andare a spulciare nelle collezioni dei giornali per mettere in evidenza pareri che volano come piume al vento. (Inter, tutto ed il contrario di tutto)[13]
  • [Sul calciomercato] Se arrivano campioni, ben vengano. Se bisogna importare «bufale», evitiamo. Il mercato degli stranieri, spesso, è servito per oscure manovre finanziarie. Sarò più chiaro: è servito a rimpolpare le tasche di molti mediatori e di qualche «patron». (Le bufale di mercato)[14]
  • I calciatori oggi sono uomini d'affari prima che gente di sport. Hanno nervi d'acciaio, un cervello che funziona come un computer, non si lasciano distrarre da titoloni o da pagine di giornale. Quando, nelle polemiche, si tirano in ballo i cosiddetti titoloni, lo si fa in malafede [...]. Credimi, i titoloni non hanno mai fatto cambiare le situazioni o le idee. In fondo, la stampa conta meno si quel che si crede o si vuol far credere. (Refrattari ai titoloni)[14]

Note modifica

  1. Da Dimenticare Vienna, Guerin Sportivo nº 22 (1048), 31 maggio – 6 giugno 1995, pp. 20-21.
  2. Da Presunti innocenti, Guerin Sportivo nº 3 (1029), 18-24 gennaio 1995, p. 14.
  3. Da La colpa è dei tifosi?, Guerin Sportivo nº 12 (988), 23-29 marzo 1994, p. 3.
  4. a b Da Sciopero. Contro i piloti, Guerin Sportivo nº 20 (996), 18-24 maggio 1994, p. 3.
  5. Da Ridiamo allo sport la dignità perduta, Guerin Sportivo nº 2 (1028), 11-17 gennaio 1995, p. 3.
  6. Da Bentornata Signora Juventus, l'aspettavamo, Guerin Sportivo nº 21 (1047), 24-30 maggio 1995, pp. 4-5.
  7. Da Olimpico, sia la Coppa della gioia!, Guerin Sportivo nº 21 (1097), 22-28 maggio 1996, pp. 4-5.
  8. a b Guerin Sportivo nº 13 (989), 30 marzo – 5 aprile 1994, pp. 4-5.
  9. Guerin Sportivo nº 14 (990), 6-12 aprile 1994, p. 6.
  10. Guerin Sportivo nº 20 (996), 18-24 maggio 1994, p. 41.
  11. Guerin Sportivo nº 2 (1028), 11-17 gennaio 1995, pp. 18-19.
  12. Guerin Sportivo nº 3 (1029), 18-24 gennaio 1995, p. 4.
  13. Guerin Sportivo nº 22 (1048), 31 maggio – 6 giugno 1995, p. 66.
  14. a b Guerin Sportivo nº 24 (1050), 14-20 giugno 1995, pp. 70-71.

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