Guy de Maupassant

scrittore e drammaturgo francese
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Henri-René-Albert-Guy de Maupassant (1850 – 1893), scrittore francese.

Guy de Maupassant

Citazioni di Guy de Maupassant modifica

  • Bisognerebbe amare, amare follemente, senza vedere ciò che si ama. Perché vedere è comprendere, e comprendere è disprezzare.[1]
  • I grandi artisti sono quelli che impongono all'umanità la loro particolare illusione.[2]
  • [Segesta] Il tempio di Segesta sembra essere stato posto ai piedi della montagna da un uomo geniale che aveva avuto la rivelazione del punto unico in cui lo doveva erigere. Anima da solo l'immensità del paesaggio che vivifica ed abbellisce divinamente.[3]
  • Infatti nella vita tutto consiste nel poter digerire bene. Così l'artista trova l'ispirazione, i giovanotti la voglia d'amare, i pensatori le idee luminose e tutti quanti la gioia di stare al mondo.[4]
  • L'anno scorso [...] ho spesso accompagnato Monet in cerca di impressioni. Non era più un pittore, in verità, ma un cacciatore. Camminava, seguito dai bambini che portavano le sue tele, cinque o sei tele raffiguranti lo stesso soggetto in diverse ore del giorno e con diversi effetti di luce [5]
  • La cosa più insignificante racchiude un po' d'ignoto. Troviamolo.[6]
  • La luna, al primo quarto, quella che sorge alle quattro o alle cinque di sera, è vivida, gaia, di lucentissimo argento; ma quella che appare dopo mezzanotte è rossastra, fosca, inquietante; è la vera mezzaluna delle tregende. Tutti i nottambuli devono averlo notato. La luna nuova, anche se sottile come un filo, manda una tenue luce allegra, che allieta il cuore, e disegna sulla terra ombre nitide; l'ultimo quarto diffonde appena un chiarore morente, che quasi non fa ombre.[7]
  • [...] [il] matrimonio [...], secondo un uomo famoso, altro non è se non uno scambio di cattivi umori durante il giorno e di cattivi odori durante la notte.[8]
  • L'orribile, quest'antica parola, vuol dire assai più che terribile. Una paurosa disgrazia, come quella narrata, commuove, sconcerta, impaurisce: non atterrisce. Perché si provi orrore più che la commozione dell'anima e più dello spettacolo di un morto, bisogna provare un fremito di mistero, o una sensazione di spavento anormale, innaturale. Un uomo che muore, anche nelle condizioni più drammatiche, non suscita orrore; un campo di battaglia non è orribile; la vista del sangue non è orribile; i delitti più vili di rado sono orribili.[9]
  • Lo scorso anno, in questo paese, ho spesso seguito Claude Monet in cerca di 'impressioni'. Non era un pittore, in verità, ma un cacciatore. Andava, seguito dai bambini che portavano le sue tele, cinque o sei tele raffiguranti lo stesso motivo, in diverse ore del giorno e con diversi effetti di luce. Egli le riprendeva e le riponeva a turno, secondo i mutamenti del cielo. E il pittore, davanti al suo soggetto, restava in attesa del sole e delle ombre, fissando con poche pennellate il raggio che appariva o la nube che passava... E sprezzante del falso e dell'opportuno, li poggiava sulla tela con velocità... L'ho visto cogliere così un barbaglio di luce su una roccia bianca, e registrarlo con un fiotto di pennellate gialle che, stranamente, rendevano l'effetto improvviso e fuggevole di quel rapido e inafferrabile bagliore. Un'altra volta ha preso a piene mani uno scroscio d'acqua abbattutosi sul mare e lo ha gettato rapidamente sulla tela. Ed era proprio la pioggia che era riuscito a dipingere, nient'altro che della pioggia che velava le onde, le rocce e il cielo, appena distinguibili sotto quel diluvio.[10]
  • L'uomo che ama normalmente sotto il sole, adora freneticamente sotto la luna.
L'homme qui aime normalement sous le soleil, adore frénétiquement sous la lune.[11]
  • Oltrepassammo Freius, Saint-Raphaël: il treno correva attraverso quel giardino, quel paradiso delle rose, quei boschi d'aranci e limoni in fiore che portano insieme le bianche zàgare e i frutti dorati, attraverso quel regno dei profumi, patria dei fiori: la meravigliosa riviera che si stende tra Marsiglia e Genova.
    Bisogna percorrerla di giugno questa costa sulla quale crescono, liberi e selvaggi, nelle strette vallicelle, sui pendii delle colline, i fiori più belli. E continuamente si vedono rose: campi, distese, siepi, boschetti di rose. S'arrampicano sui muri, sbocciano sui tetti, salgono sugli alberi, esplodono in mezzo alle foglie: bianche, rosse, gialle, piccole o grandissime, esili, con un vestitino unito e semplice, oppure carnose, abbigliate pesantemente e splendidamente.
    Il loro respiro possente e continuo rende l'aria più densa, saporosa e illanguidente. Quel profumo ancor più penetrante di quello dei fiori d'arancio raddolcisce l'aria ed è una festa per l'odorato.
    La gran costa di rocce brune si distende, bagnata dall'immobile Mediterraneo. Il pesante sole estivo si riversa in pioggia infuocata sulle montagne, sulle lunghe spiagge, sul mare d'un color turchino intenso e come solido. Il treno corre sempre, penetra nelle gallerie per traversare i promontori, striscia sulle ondulazioni delle colline, passa sull'acqua, su ripide scarpate; ed un dolce, vago odore salso, di alghe secche, si mischia a tratti al forte e sconvolgente odore dei fiori.[12]
  • Ormai ci conoscevano, nelle strade in cui giravamo dalla mattina alla sera, nelle stradine strette e senza marciapiedi di quella città [Genova] che somiglia a un immenso labirinto di pietra, traforato da corridoi simili a sotterranei. Andavamo in quei vicoli percorsi da furiose correnti d'aria, stretti tra muri così alti che appena si riesce a scorgere il cielo.[13]
  • Quale che sia la cosa che vogliamo dire, esistono una sola parola per esprimerla, un solo verbo per animarla, un solo aggettivo per qualificarla.[14]
  • Se la guerra è una cosa orribile, il patriottismo non è forse l'idea madre che la nutre?[15]
  • Siamo due razze, sulla terra: la razza di coloro che hanno bisogno degli altri, per esser calmi e sereni, e che nella solitudine sono spossati, affranti, come per l'ascensione a un formidabile ghiacciaio o per la traversata d'un deserto; e la razza di coloro che invece per la presenza di altre persone provano stanchezza, fastidio, oppressione, mentre l'isolamento li calma, li riposa profondamente nell'indipendenza e nel capriccio del loro pensiero.[7]
  • Un bacio legale non potrà mai valere un bacio rubato.[16]

Bel-Ami modifica

Incipit modifica

Originale modifica

Quand la caissière lui eut rendu la monnaie de sa pièce de cent sous, Georges Duroy sortit du restaurant.
Comme il portait beau, par nature et par pose d'ancien sous-officier, il cambra sa taille, frisa sa moustache d'un geste militaire et familier, et jeta sur les dîneurs attardés un regard rapide et circulaire, un de ces regards de joli garçon, qui s'étendent comme des coups d'épervier.

Giorgio Caproni modifica

Avuto dalla cassiera il resto alla sua moneta da cinque franchi, Georges Duroy uscì di trattoria.
Sfoggiando il suo bel portamento, naturale in parte e in parte posa d'ex sottufficiale, spinse in fuori il petto, s'arricciò i baffi con gesto militaresco divenutogli abituale, e lanciò su quanti erano ancora a tavola una rapida occhiata avvolgente, una di quelle occhiate da bel giovanottone, gittate a tondo come il giacchio in mare.

Orsola Nemi modifica

Quando la cassiera gli ebbe dato il resto dei cinque franchi, Georges Duroy uscì dal ristorante. Siccome aveva un bel portamento, sia per natura, sia per posa di ex sottufficiale, si impettì, si arricciò i baffi con un gesto militaresco abituale, e girò su quelli che stavano a tavola uno sguardo rapido e circolare, uno di quegli sguardi da bel giovane, che si stendono intorno come una rete nell'acqua.

Citazioni modifica

Prima parte modifica

  • Non è difficile passare per forte in materia; tutto sta nel non lasciarsi cogliere in flagrante delitto di ignoranza. (cap. I, 2010)
  • [...] il miglior modo per giungere a una transazione è sempre quello di lasciar che i debiti si accumulino.[17] (cap. IV, 2012)
  • «Devo imparare il trucco anch'io,» pensava, scorgendo certi suoi colleghi sempre con le tasche gonfie d'oro, senza peraltro riuscir mai a capire a quali segreti espedienti essi ricorressero per procacciarsi tanta agiatezza. E pieno d'invidia immaginava intrallazzi a lui ignoti ed equivoci, ricompense per favori fatti, tutto un commercio illecito ma pur accettato e consentito. Già, doveva penetrare il mistero, entrar nella tacita associazione, imporsi ai colleghi che si dividevano la torta senza di lui. (cap. IV, 2012)
  • Quante belle cose piacevoli ci sarebbero nella vita, se si potesse contare sulla discrezione assoluta gli uni degli altri! Quello che spesso, molto spesso, quasi sempre, trattiene le donne, è la paura del segreto violato. (cap. V, 2010)
  • È profondo e triste il silenzio della stanza dove si vive soli. Non è soltanto il silenzio intorno a un corpo, ma il silenzio intorno a un'anima, e, quando un mobile scricchiola, si trasale fino in fondo al cuore, perché non ci si aspetta nessun rumore, nella casa tetra. (cap. VI, 2010)
  • La vita è un monte. Finché si sale, si guarda la vetta, e ci si sente felici; ma quando s'arriva lassù, si scorge d'un tratto la china, e giù in fondo la fine, che è la morte. L'ascesa è lenta, ma la discesa è un ruzzolone. (cap. VI, 2012)
  • [...] eravamo nati per vivere più in obbedienza alla materia che in obbedienza allo spirito; ma a furia di pensare, s'è creato uno squilibrio fra la nostra intelligenza ingigantita e le immutabili condizioni della nostra esistenza. Guardi la gente mediocre: se non son grosse catastrofi a cader loro fra capo e collo, son beati e contenti, senza soffrire per la comune sventura. Neppure le bestie ne soffrono. (cap. VI, 2012)
  • Una vita! qualche giorno, e poi più nulla! (cap. VIII, 2012)
  • Ebbene, ecco la sola cosa buona della vita: l'amore! Tenere fra le braccia la donna amata! Quello è il limite della felicità umana. (cap. VIII, 2010)
  • [...] s'accorse che la sua inquietudine proveniva da uno di quei pensieri non formulati e confusi, segreti, che nascondiamo a noi stessi e che scopriamo soltanto quando frughiamo in fondo al nostro animo. (cap. VIII, 2012)

Seconda parte modifica

  • Era uno di quegli uomini politici senza un suo volto preciso, senza convinzioni proprie, senza grandi mezzi, senza ardimento e senza una seria preparazione, un avvocatuccio di provincia, un simpatico figurino nella sua cittaduzza, un furbacchiotto che sapeva barcamenarsi fra i partiti estremisti, una specie di gesuita repubblicano e di fungo liberale di dubbia commestibilità, come ne spuntano a bizzeffe sul letamaio popolare del suffragio universale. (cap. II, 2012)
  • Cosa vuol dire l'abitudine a servirsi della religione come d'un ombrello! L'aria è mite, e ti fa da bastone da passeggio; c'è la canicola, ed è un parasole; diluvia, ed è un parapioggia; non sorti, e lo lasci in anticamera. (cap. IV, 2012)
  • «Nemmeno a farlo apposta, ho con me la chiave del confessionale
    E frugatosi in tasca ne cavò un anello pieno di chiavi, ne scelse una e si diresse, a passo svelto, verso uno dei casotti di legno, specie di bussoli per la spazzatura dell'anima, dove i fedeli vuotano i loro peccati. (cap. IV, 2012)
  • Proprio vero che le parole d'amore, che son sempre le medesime, prendono il gusto delle labbra che le pronunciano. (cap. V, 2012)

Explicit modifica

Scendeva lentamente i gradini dell'alta scalea, fra due ali di spettatori. Ma lui non li vedeva; il suo pensiero, ora, tornava indietro, e davanti ai suoi occhi abbagliati dallo splendore del sole vagava la figurina della signora de Marelle, intenta ad aggiustarsi allo specchio i riccioletti leggeri sulle tempie, sempre scompigliati al sortir dal letto.

[Traduzione di Giorgio Caproni]

La vita errante modifica

Incipit modifica

Ho lasciato Parigi, anzi la Francia, perché la Torre Eiffel cominciava a darmi troppo sui nervi.[18]

Citazioni modifica

  • Genova vista dal mare è una delle cose più belle che si possano vedere al mondo.
    La città si innalza in fondo al golfo, come se uscisse dai flutti, ai piedi della montagna. Lungo le due coste che si arrotondano intorno a lei per racchiuderla, proteggerla e accarezzarla, vi sono quindici cittadine, serve e vassalle, che riflettono nell'acqua le case dai colori chiari. A sinistra della loro grande patrona ci sono Cogoleto, Arenzano, Voltri, Pra, Pegli, Sestri Ponente, San Pier d'Arena; a destra, Sturla, Quarto, Quinto, Nervi, Bogliasco, Sori, Recco, Camogli, ultima macchia bianca sulla punta di Portofino, che chiude il golfo a sud est.
    Sopra al suo immenso porto, Genova si stende sui primi mammelloni delle Alpi, che si innalzano dietro, curvi e allungati in una gigantesca muraglia. Sul molo, la torre alta e quadrata del faro, detto 'la Lanterna', sembra una candela smisurata. (p. 42)
  • Dopo aver aggirato il molo est, entriamo nel porto, pieno di navi, le belle navi del Mezzogiorno e dell'Oriente dai colori incantevoli, tartane, bilancelle, maone, fornite di vele e alberati e pitturate con grande fantasia, guarnite di madonne blu e oro, santi ritti sulla prua, animali bizzarri considerati santi protettori.
    Tutta questa flotta con vergini e talismani contro la sventura è allineata lungo le banchine, con i nasi puntuti e ineguali rivolti verso il centro dei bacini. Poi appaiono, raggruppati per compagnie, robuste navi a vapore in ferro, strette e alte, dalle forme colossali e sottili. Al centro di questi pellegrini del mare, vi sono dei navigli bianchi, dei grandi tre alberi o brigantini vestiti, come gli Arabi, di abiti appariscenti sul quale scivola il sole. (pp. 42-43)
  • A Genova si prova quello che si prova a Firenze e ancora di più a Venezia, l'impressione di una città molto aristocratica caduta in potere del volgo.
    Qui nacque il pensiero dei rudi signori che si battevano o commerciavano sui mari e che poi, col denaro delle loro conquiste o del commercio, costruivano gli straordinari palazzi di marmo, che ancora oggi fiancheggiano le strade principali.
    Quando si entra in queste magnifiche residenze signorili, che i discendenti dei grandi cittadini della più fiera delle repubbliche hanno dipinto di colori chiassosi, quando se ne paragona lo stile, i cortili, i giardini, i portici, le gallerie, le superbe decorazioni con l'opulenta barbarie delle belle dimore della Parigi moderna, appartenenti a milionari capaci di incassare soldi ma non di concepire e realizzare una cosa nuova e bella, si comprende che nella nostra società democratizzata, composta da ricchi finanzieri senza gusto e da parvenu privi di tradizioni la distinzione data dall'intelligenza, il senso della bellezza delle forme, quello della perfezione nelle proporzioni e nelle linee sono scomparsi. (pp. 43-44)
  • Dopo aver visitato le antiche e nobili dimore di Genova e ammirato alcuni quadri fra i quali i tre capolavori di Van Dyck, non rimane da vedere che il Camposanto, il più bizzarro, sorprendente, macabro e comico museo di sculture funebri che vi sia al mondo. Lungo l'immenso quadrilatero corre una galleria, come un chiostro gigantesco aperto su un cortile che accoglie le tombe dei poveri ricoperte da lapidi bianche come neve. Percorrendola, si passa davanti a una processione di borghesi di marmo che piangono i loro morti.
    Che mistero! Queste statue testimoniano una grande capacità, un vero talento da parte degli artigiani che le hanno realizzate. La natura dei vestiti, delle camicie, dei pantaloni rivela una lavorazione di fattura stupefacente. Ho visto un abito di amoerro a cui i tagli netti della stoffa davano un aspetto di totale verosimiglianza. Non vi è niente di più irresistibilmente grottesco, mostruosamente ordinario, indegnamente comune di queste persone che piangono gli amati congiunti.
    Di chi è la colpa? Dello scultore, che nei lineamenti dei suoi modelli ha visto soltanto la volgarità dei borghesi moderni e non ha saputo trovarvi quel riflesso superiore d'umanità che i pittori fiamminghi hanno colto così bene nei tipi più laidi e plebei della loro razza? Dei borghesi, ai quali il basso livello di civilizzazione democratica ha eroso e cancellato ogni carattere distintivo e ha fatto perdere i segni di originalità di cui ogni classe sociale è sempre stata dotata?
    I Genovesi sembrano molto fieri di questo sorprendente museo che disorienta e rende difficile il giudizio. (pp. 45-46)
  • Un'opera d'arte è superiore soltanto se è, nello stesso tempo, un simbolo e l'espressione esatta di una realtà.
  • [Sull'Etna] Davanti a noi una spessa nuvola si leva lentamente come una cortina bianca che sale e che sorge dalla terra. Avanziamo ancora qualche passo, naso e bocca avvolti, per non essere soffocati dallo zolfo, ed all'improvviso, davanti ai nostri piedi, si apre un prodigioso, uno spaventevole abisso, di quasi cinque chilometri di circonferenza.[19]
  • La bestia è calma, e dorme in fondo, tutt'in fondo. Solo la pesante fumata sfugge dal prodigioso fumaiolo alto 3312 metri.[19]

Pierre e Jean modifica

Incipit modifica

«Accidenti!» esclamò all'improvviso papà Roland, che, da un quarto d'ora, se ne stava immobile, con gli occhi fissi sull'acqua e a tratti sollevava leggermente la lenza immersa nel mare.

Citazioni modifica

  • [...] Le Havre separa la bassa Normandia dall'alta. Nella bassa Normandia la costa piatta digrada in pascoli, in prati e campi fino al mare. La costa dell'alta Normandia, invece, è ripida: una grande scogliera, frastagliata, dentellata, magnifica, che forma, fino a Dunkerque, un'immensa muraglia bianca, dove in ogni insenatura si nasconde un villaggio o un porto: Etretat, Fécamlp, Saint-Valery, Le Tréport, Dieppe, ecc. (cap. I)
  • Sentiva male in qualche parte, senza sapere dove; portava in sé un piccolo punto doloroso, uno di quegli indolenzimenti quasi insensibili che non si sanno localizzare, ma che impacciano, irritano, rendono tristi e depressi; una sofferenza ignota e lieve, qualcosa come il seme di un dolore. (cap. II)
  • Quando si nasce poveri, bisogna lavorare; ebbene, tanto peggio: si lavora! Ma quando si hanno rendite, perbacco, bisognerebbe essere stupidi per sgobbare. (Papà Roland: cap. III)
  • Quando non si è soli non ci si sente più così smarriti. Nei momenti di turbamento e di incertezza sentiamo almeno qualcuno muoversi intorno a noi. È già qualche cosa dare del tu ad una donna, quando si soffre. (cap. III)
  • «Le donne,» pensava, «devono apparirci in un sogno o in una aureola di lusso, che sublimi la loro volgarità.» (Pierre: cap. III)
  • Uscì presto e ricominciò a girare per le strade, sepolte sotto la nebbia che rendeva la notte pesante, opaca e nauseabonda. Sembrava che un fumo pestilenziale fosse calato sulla terra. Si vedeva la nebbia passare sui fanali a gas e, a momenti, pareva spegnerli. I selciati delle strade diventavano scivolosi come nelle serate di gelo e pareva che dai ventri delle case si sprigionassero tutti gli odori cattivi, puzza di cantine, di fossi, di fogne, di cucine povere, per mescolarsi all'orribile sentore di quella nebbia vagante. (cap. IV)
  • Quando [Pierre] si svegliò al buio soffocante della sua camera risentì, prima ancora che i pensieri lo riprendessero, quel senso di oppressione, quel malessere che lascia in noi il dolore dopo aver dormito. Come se la disgrazia che ci ha colpiti soltanto il giorno prima, durante il sonno sia entrata nel nostro corpo lasciandolo pesto e indolenzito come una febbre. (cap. V)
  • Il bacio colpisce come il fulmine, l'amore passa come un uragano; poi la vita, di nuovo, si calma come il cielo e ricomincia come prima. Ci ricordiamo, forse, di una nuvola? (cap. V)
  • L'amore tra uomo e donna è un patto volontario nel quale chi manca è colpevole soltanto di perfidia; ma, quando la donna diventa madre, il suo dovere è molto maggiore, perché la natura le assegna una razza. Se viene meno allora, è vile, indegna, infame. (cap. V)
  • Com'è miserabile e ingannatrice, la vita!... Non c'è nulla che duri... (Louise Roland: cap. VII)
  • È brutta, la vita. Se una volta si trova un po' di dolcezza, siamo colpevoli di esserci abbandonati ad essa e, più tardi, la scontiamo a prezzo molto caro. (Louise Roland: cap. VIII)

Explicit modifica

E, poiché stavano per lasciare la banchina e prendere il boulevard François I, la moglie si girò ancora per lanciare un ultimo sguardo verso il mare aperto. Ma non vide che un filo di fumo grigio, così lontano, così leggero, che sembrava foschia.

Racconti fantastici modifica

  • Ho paura della paura; paura degli spasmi del mio spirito che si smarrisce, paura di questa orribile sensazione del terrore incomprensibile. [...] Ho paura dei muri, dei mobili, degli oggetti familiari che si animano, per me, d'una vita animale. Ho paura soprattutto dell'orribile turbamento della mia mente, della ragione che mi sfugge, confusa, dispersa da una misteriosa e invisibile angoscia. (da Lui?)
  • Nella maggioranza dei casi, le donne leggiadre non hanno un'intelligenza in proporzione con la loro persona. (da Lettera trovata indosso a un annegato)
  • Voi, signora, che avete occhi azzurri, non potete considerare l'esistenza, giudicare le cose e gli eventi come se aveste occhi neri. Il colore del vostro sguardo deve fatalmente corrispondere al colore del vostro pensiero. (da Lettera trovata indosso a un annegato)
  • Il passato mi attira, il presente mi atterrisce perché l'avvenire è la morte. (da La chioma)
  • [La musica] [...] la più poetica e la più precisa delle arti, vaga come un sogno ed esatta come l'algebra. (da Lettera di un pazzo)
  • Il suicidio! ma è la forza di quelli che non hanno più forza, è la speranza di quelli che non credono più, è il sublime coraggio dei vinti! Già: in questa vita c'è almeno una porta che possiamo sempre aprire per passare dall'altra parte! La natura ha avuto un moto di pietà: non ci ha imprigionati. (da L'addormentatrice)
  • Si può amare un'amica come la propria moglie: la passione non ha legge. (da Le tombali)
  • Quello che amiamo con violenza finisce sempre con l'ucciderci. (da La notte)
  • Da quando ho sentito la solitudine del mio essere, mi sembra di sprofondare ogni giorno di più in un oscuro sotterraneo del quale non trovo i margini, del quale non conosco la fine, e che forse non ha limite! Ci vado senza alcuna compagnia, senza nessuno ntorno a me, senza un vivente che percorra questa stessa via tenebrosa: questo sotterraneo è la vita. (da "Solitudine")
  • No, nessuno comprende gli altri, checché si pensi, checché si dica, checché si tenti. La terra sa forse che cosa avviene nelle stelle gettate lassù? Ebbene, non maggiormente l'uomo sa quello che avviene in un altro uomo. Noi siamo lontani uno dall'altro più di quegli astri, siamo soprattutto isolati, perché il pensiero è insondabile. Conosci qualcosa di più spaventoso di questo sfiorare essere che non possiamo penetrare? Ci amiamo l'un l'altro come se, incatenati vicinissimi, tendessimo le braccia senza riuscire a congiungerci. Ci travaglia un torturante bisogno d'unione, ma tutti i nostri sforzi rimangono sterili, i nostri abbandoni inutili, le nostre confidenze infruttuose, i nostri amplessi impotenti, le nostre carezze vane. Quando vogliamo compenetrarci, gli slanci dell'uno verso l'altro non fanno che urtarci l'uno contro l'altro. E io ho un bel volere donarmi interamente, aprire tutte le porte della mia anima: ma non riesco ad abbandonarmi. Conservo in fondo, proprio nell'intimo, quel luogo segreto di ME dove nessuno penetra. Nesuno può scoprirlo, entrarvi, perché nessuno m'assomiglia, perché nessuno comprende nessun altro. (da "Solitudine")
  • Non ho paura d'un pericolo: se un uomo entrasse qui dentro lo ucciderei senza fremere. Non ho paura dei fantasmi; non credo al sovrannaturale. Non ho paura dei morti; credo all'annientamento definitivo di tutti gli esseri che trapassano. Allora?...già. Ebbene ho paura di me stesso, paura della paura; paura degli spasmi del mio spirito che si smarrisce, paura di questa orribile sensazione del terrore incomprensibile." (da "Lui?")
  • I clienti dell'albergo entravano lentamente nella grande sala da pranzo e si sedevano.
    I camerieri cominciarono a servire con la stessa lentezza, per permettere ai ritardatari di giungere in tempo, e per non dover più tardi recare una seconda volta le stesse vivande.
    I clienti più vecchi guardavano a ogni schiudersi d'uscio il sopraggiunto, in attesa di un viso nuovo. E questa la maggior distrazione delle città climatiche. Si attende l'ora dei pasti per conoscere i nuovi villeggianti, per indovinare chi sono, ciò che fanno, ciò che pensano. Un desiderio nasce in noi: quello di incontri gradevoli, di conoscenze piacevoli, forse anche di amori.
    E ogni vicino, ogni sconosciuto, assume una grande importanza. La curiosità è vigile, la simpatia in attesa, la socievolezza in fermento.
    Si hanno antipatie di una settimana e amicizie che durano un mese; si vedono le persone con occhi sempre diversi, sotto un'ottica speciale.
    Si scoprono negli uomini, a un tratto, durante una conversazione, dopo cena, sotto gli alberi, una intelligenza superiore e meriti eccezionali, ma, dopo un mese, i nuovi amici così simpatici nei primi giorni, sono già bell'e dimenticati.
    Si formano però anche legami durevoli e seri più presto che in qualunque altro luogo. Ci si vede tutti i giorni, ci si conosce molto presto e alla cordialità che comincia si mescola qualche cosa simile alla dolcezza e all'abbandono delle vecchie intimità.
    Più tardi si conserva il ricordo caro e commosso di quelle prime conversazioni attraverso le quali si fa la scoperta delle anime, e si serba il ricordo dei primi sguardi che interrogano e rispondono alle domande e ai pensieri segreti che la bocca ancora non dice, il ricordo della prima confidenza cordiale, il ricordo della deliziosa sensazione provata aprendo il proprio cuore a qualcuno che sembrava aprirvi il suo.
    E la tristezza della stazione climatica, la monotonia dei giorni sempre eguali rendono d'ora in poi più completo quello sbocciare d'affetti. (da Il tic)
  • 14 luglio. Festa della Repubblica. Ho passeggiato per strada. petardi e bandiere mi rallegravano come un fanciullo, anche se è stupido essere allegri a una data fissa, per decreto governativo. Il popolo è un gregge imbecille, qualche volta stupidamente paziente, qualche volta ferocemente ribelle. Se gli si dice: «Divertiti», si diverte. Gli dicono «Va' a a combattere il nemico», e lui va a combattere. Gli dicono: «Vota per l'Imperatore», e lui vota così. Poco dopo gli dicono: «Vota per la Repubblica». E lui vota così.
    Anche coloro che lo influenzano sono idioti, con la sola differenza che non ubbidiscono a degli uomini, ma a dei princìpi, che non possono essere altro che stolidi, sterili e falsi proprio per il fatto che sono dei princìpi, e cioè idee ritenute certe e immutabili, in un mondo dove non si è sicuri di nulla, dato che la luce è un'illusione, il rumore è un' illusione. (da Le Horla)

Una vita modifica

Incipit modifica

Giovanna, fatte le valigie, s'avvicinò alla finestra: che insistenza, la pioggia!
L'acquazzone aveva battuto tutta notte lastrico e tetti. Il cielo basso, carico d'acqua, sembrava rompersi e vuotarsi sopra la terra; e spappolarla, la terra, fonderla come zucchero. Passavano raffiche piene d'un calore pesante. Il mugliare dei ruscelli straripati empiva le strade deserte là dove le case bevevano l'umidità come spugne; l'umidità che invade gl'interni e fa sudare i muri dalla cantina al solaio.

Citazioni modifica

  • E poiché aveva finito d'attendere non c'era più nulla da fare, né oggi, né domani, né mai. Tutto ciò le dava una vaga delusione. È così che crollano i sogni. (pp. 74-75)
  • Non c'è niente di peggio, quando s'è vecchi, che rimettere il naso nella propria giovinezza. (p. 137)
  • Il curato si avvicinò a Giovanna, le prese le mani, cercò di farle animo versando in quel povero cuore l'onda untuosa dei conforti chiesastici, parlò della morta, la celebrò in termini sacerdotali, mostrandosi triste di quella falsa tristezza dei preti per i quali un cadavere rappresenta pur sempre un beneficio [...]. (p. 140)

Viaggio in Sicilia modifica

  • Nel siciliano [invece], si trova già molto dell'arabo. Egli possiede la gravità di movimento, benché tenga dall'italiano una grande vivacità di mente. Il suo orgoglio natìo, il suo amore per i titoli, la natura della sua fierezza e persino i tratti del viso lo avvicinano anzi più allo spagnolo che all'italiano. Tuttavia, quel che suscita sempre, non appena si mette piede in Sicilia, l'impressione profonda dell'oriente, è il timbro della voce, l'intonazione nasale dei banditori per le strade. La si ritrova ovunque, la nota acuta dell'arabo, quella nota che sembra scendere dalla fronte nella gola, mentre, nel nord, sale dal petto alla bocca. E la cantilena trascinata, monotona e morbida, sentita di sfuggita dalla porta aperta di una casa, è proprio la stessa, col ritmo e con l'accento, di quella cantata dal cavaliere vestito di bianco che guida i viaggiatori attraverso i grandi spazi spogli del deserto. (pp. 39-41)
  • In una, la Latomia del Paradiso, si osserva, in fondo ad una grotta, una strana apertura, chiamata l'orecchio di Dionisio, il quale veniva ad ascoltare vicino a questo buco, così almeno dicono, i lamenti delle proprie vittime. Circolano pure altre versioni. Alcuni eruditi pretendono che la grotta, messa in comunicazione col teatro, servisse da sala sotterranea per le rappresentazioni cui prestava l'eco della sua prodigiosa sonorità; i minimi rumori, infatti, vi assumono una sorprendente risonanza. (p. 125)
  • [Riferendosi alla Venere Landolina] La Venere di Siracusa è una donna, ed è anche il simbolo della carne. [...] La Venere di Siracusa è la perfetta espressione della bellezza possente, sana e semplice. Questo busto stupendo, di marmo di Paros, è – dicono – La Venere Callipigia descritta da Ateneo e Lampridio, data da Eliogabalo ai siracusani.
    Non ha testa! E che importa? Il simbolo non è diventato più completo. È un corpo di donna che esprime tutta l'autentica poesia della carezza.
    Schopenhauer scrisse che la natura, volendo perpetuare la specie, ha fatto della riproduzione una trappola.
    La forma di marmo, vista a Siracusa, è proprio l'umana trappola intuita dall'artista antico, la donna che nasconde rivela l'incredibile mistero della vita.
    È una trappola? Che importa! Essa chiama la bocca, attira la mano, offre ai baci la tangibile realtà della carne stupenda, della carne soffice bianca, tonda e soda e deliziosa da stringere.
    È divina, non perché esprima un pensiero, bensì semplicemente perché è bella. (pp. 127-133)
  • [...] quindi salgo subito in barca per andare a salutare, dovere di scrittore, i papiri dell'Anapo.
    Si attraversa il golfo da una riva all'altra si scorge, sulla sponda piatta è spoglia, la foce di un piccolissimo fiume, quasi un ruscello, in cui si inoltra il battello.,
    La corrente impetuosa è difficile da risalire. A volte si rema, volte ci si serve della gaffa fa per scivolare sull'acqua che scorre veloce tra due rive coperte di fiori gialli, minuscoli e splendenti, due rive d'oro.,
    Vediamo canne sgualcite dal nostro passaggio che si impegnano essi rialzano, poi, con gli steli nell'acqua, degli iris blu, di un blu intenso, sui quali volteggiano innumerevoli libellule dalle ali di vetro, madreperlacee frementi, grandi come uccelli-mosca. Adesso, sulle due scarpate che ci imprigionano, crescono cardi giganteschi con voli voli smisurati, che allacciano le piante terrestri con le camere ruscello.,
    Sotto di noi, in fondo all'acqua, di una foresta di grandi erbe ondeggianti che si muovono, galleggiano, sembrano notare nella corrente che le agita. Poi il Anapo si separa dall'antico Ciane, suo affluente. Procediamo tra le righe, aiutandoci sempre con una pertica. Il ruscello serpeggia con graziosi panorami, prospettive fiorite carine. Un'isola appare infine, piena di strani arbusti. Gli steli fragili e triangolari, alti da nove a dodici piedi, portano in cima ciuffi tondi di filamenti verdi, lunghi, essi e soffici come capelli. Sembrano teste umane divenute piante, gettate nell'acqua sacra della sorgente da uno degli dei pagani che vivevano lì una volta. È il papiro antico.,
    I contadini, d'altronde, chiamano questa canna: parrucca.,
    Eccone altri più lontano, un intero bosco. Fremono, mormorano, si chinano, mescolano le loro fronti pelose, le urtano, paiono parlare di cose ignote lontane.,
    Non è forse strano che l'arbusto venerabile, che ci portò il pensiero dei morti, che fu gusto del genio umano, abbia, sul corpo infimo di arboscello, una grossa criniera folta e fluttuante, simile a quella dei poeti? (p. 135)
  • La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo... Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo, è il fatto che da un'estremità all'altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura.

Incipit di alcune opere modifica

Forte come la morte modifica

Il giorno penetrava nel vasto studio attraverso il lucernario aperto nel soffitto.[20]

In famiglia modifica

Il tramway a vapore proveniente da Neuilly, passata la Porta Maillot, sferragliava per il lungo viale che conduce alla Senna. La piccola macchina col suo vagone a rimorchio fischiava per allontanare ogni ostacolo, sputava fumo, ansimava come una persona che corre.[18]

L'eredità modifica

Benché non fossero ancora le dieci, gli impiegati arrivavano come una fiumana sotto il portone del Ministero della Marina, affluendo frettolosi dalle quattro estremità di Parigi, poiché si avvicinava il capodanno, epoca di zelo e d'avanzamenti. Il rumore dei passi rapidi riempiva il vasto edificio tortuoso come un labirinto, solcato da inestricabili corridoi, forati da innumerevoli porte d'ingresso ai vari uffici.

La casa Tellier modifica

Ci si andava ogni sera, verso le undici, come si va al caffè: in tutta semplicità.[18]

Le Horla modifica

8 maggio[21][22]. Che splendida giornata! Ho passato tutta la mattina sdraiato sull'erba, davanti a casa mia, sotto l'enorme platano che le offre riparo, protezione e ombra. Mi piace questo paese e mi piace viverci perché qui sono le mie radici, radici profonde e sottili, che legano un uomo alla terra dove sono nati e morti i suoi antenati e lo legano anche ai pensieri, ai pasti, alle usanze e agli alimenti, alle locuzioni del posto, alle intonazioni degli abitanti, agli odori della terra, dei villaggi e persino dell'aria! Mi piace la casa dove sono cresciuto. Dalle finestre vedo scorrere la Senna lungo il giardino dietro la strada, quasi presso di me, la grande e larga Senna, che va da Rouen a Le Havre, affollata da battelli che passano.[23]

Palla di sego modifica

Resti dell'esercito in rotta passavano da più giorni per la città. Non erano più truppe ma orde di sbandati, ormai. Sporchi e con la barba lunga, le uniformi lacere, andavano stracchi e senza bandiera, senza reggimento.[24]

Citazioni su Guy de Maupassant modifica

  • Ho letto Maupassant. Ti prende con la maestria dei colori, ma non ha nulla da dire, poveretto. (Lev Tolstoj)

Note modifica

  1. Da Un caso di divorzio; in Tutti i racconti neri, fantastici e crudeli, a cura di Lucio Chiavarelli, Newton Compton editori, 1994
  2. Da Pietro e Giovanni, Prefazione
  3. Citato in Quando Segesta affascinò Alberto Moravia, Repubblica.it, 6 dicembre 2007.
  4. Da Suicidi; in Tutti i racconti neri, fantastici e crudeli, a cura di Lucio Chiavarelli, Newton Compton editori, 1994
  5. Da La vie d'un paysagiste, "Gil Blas", 28 settembre 1886 in Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet, Parigi catalogo della mostra presso Complesso del Vittoriano - Ala Brasini, Roma, 19 ottobre 2017 - 11 febbraio 2018, Arthemisia Books, 2017
  6. Da Pietro e Giovanni, prefazione; citato in Elena Spagnol, Citazioni, Garzanti, 2003.
  7. a b Da Chi sa?, traduzione di Bruno Dell'Amore, Alfredo Fabietti, Ottavio Cecchi, in Jorge Luis Borges, Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares (a cura di), Antologia della letteratura fantastica, Editori Riuniti, Roma, 1981.
  8. Da Una trovata, in Maupassant, La casa Tellier, traduzione di Mario Picchi, Sansoni, 1965
  9. Da L'orribile; in Le Horla e altri racconti dell'orrore, a cura di Lucio Chiavarelli, Newton Compton editori, 1994
  10. Citato in Vanessa Gavioli, Monet, in I Classici dell'Arte, vol. 4, Rizzoli, 2003, p. 46.
  11. Da (FR) Sur l'eau, in Œuvres complètes de Guy de Maupassant: Sur l'eau. Blanc et bleu. Livre de bord, Louis Conard, Parigi, 1921, p. 70.
  12. Da Le sorelle Rondoli, p. 213
  13. Da Le sorelle Rondoli, pp. 223-224
  14. Dalla prefazione a Pietro e Giovanni
  15. Da Les dimanches d'un bourgeois de Paris. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  16. Da Confessioni di una donna, in Maupassant, La casa Tellier, Sansoni 1965, trad. di Mario Picchi
  17. Il testo ha: «[...] il faut toujours accumuler ses dettes pour transiger.»
  18. a b c Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  19. a b Citato in Rina La Mesa, Scrittori stranieri in Sicilia, Cappelli, 1961
  20. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  21. La prima versione di questo lungo racconto fu pubblicata in Gil Blas del 26 ottobre 1886 e raccolta in volume solo dopo la morte dell'Autore; la seconda – che è quella qui pubblicata – fa parte della raccolta Le Horla edita a Parigi da Ollendorff nel 1887. Il titolo «Le Horla» è affascinante e misterioso. Da dove deriva questo nome? Sono state avanzate in proposito ipotesi altrettanto affascinanti, molte delle quali sono riassunte e presentate nel bel saggio di André Vial sulla Revue d'istoire littéraire de la France (nov.-dic. 1973). Si va da Horloribo, personaggio di una nota pantomima a Hurlubleu, racconto di Charles Nodier, dalla metatesi sillabica di Lahor (pseudonimo del dottor Cazalis, amico di Maupassant) a un incipit di Eugène Sue (Hors l'Eglise pas de salut). Marie Claure Bancquart, che a Maupassant ha dedicato la cura di tre volumi antologici e un esauriente saggio critico (Maupassant conteur fantastique, 1976), propone una derivazione da horsain, che nel patois di Normandia significa «lo straniero», «l'estraneo». Ammand Lanoux e Louis Forestier, curatori dell'opera di Maupassant nell'edizione della Bibliothèque de la Pléiade, registrano anche derivazioni dall'alternanza vocalica o/a che si trova in Zola, e la fantasia slavizzante che vede in «Orla» l'accusativo della parola russa Oriol. Qualche maggior attendibilità potrebbe avere l'ipotesi d'un anagramma da choléra (l'epidemia di colera apre e chiude il racconto). Ma la più semplice delle derivazioni mi sembra la più attendibile: Horla è una semplice contrazione di hors-là: e si torna quindi al concetto di qualcosa che è al di fuori, al concetto di altro, estraneo, straniero. Sulla versione del titolo molte edizioni italiane cadono nella trappola grammaticale dell'acca aspirata francese e propongono semplicisticamente «L'Horla», che è un errore bello e buono. Ma anche la soluzione proposta dal finissimo ingegno di Alberto Savinio («Il Gorla») non persuade troppo per le risibili assonanze coi soprannomi della «mala» nell'hinterland milanese. Meglio, dunque, lasciare l'intraducibile titolo originale (N.d.T.).
  22. Flaubert è morto l'8 maggio 1880 (N.d.T.).
  23. La descrizione della casa corrisponde con esattezza assoluta alla topografia e alla disposizione interna della casa di Flaubert a Croisset. Cfr. anche l'articolo di Maupassant intitolato «Flaubert et sa maison» (Gil Blas, 24.XI.1890) (N.d.T.).
  24. Da Le serate di Médan, citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.

Bibliografia modifica

  • (FR) Guy de Maupassant, Bel-Ami, Ollendorf, Paris, 1901.
  • Guy de Maupassant, Bel-Ami, traduzione di Orsola Nemi, Rizzoli, 2010 (edizione digitale). ISBN 978-88-58-60122-8.
  • Guy de Maupassant, Bel-Ami, traduzione di Giorgio Caproni, Rizzoli, 2012 (edizione digitale). ISBN 978-88-58-62498-2.
  • Guy de Maupassant, L'eredità, traduzione di Massimo Mila, Einaudi, 1989
  • Guy de Maupassant, La vita errante, traduzione di Graziella Martina, Ibis, 2012. ISBN 978-88-7164-120-1
  • Guy de Maupassant, Le Horla, traduzione di Lucio Chiavarelli, in "Storie di vampiri", a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton & Compton 1994. ISBN 8879834177
  • Guy de Maupassant, Le sorelle Rondoli, in Tutte le novelle vol. II, Gherardo Casini Editore, Roma, 1956
  • Guy de Maupassant, Racconti fantastici, traduzione di Egidio Bianchetti, Oscar Classici, Mondadori editore 1988. ISBN
  • Guy de Maupassant, Una vita, traduzione di Marino Moretti, Oscar Mondadori, 1984.
  • Guy de Maupassant, Viaggio in Sicilia, Sigma edizioni. ISBN 887231039X
  • Guy de Maupassant, Pierre e Jean, traduzione di Giacomo di Belsito, Garzanti.

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