Gino Gori (scrittore)
Gino Gori (1876 – 1952), scrittore, poeta e filosofo italiano.
Il teatro contemporaneo
modifica- Di là dal fato di Eschilo, di Dante, di Shakespeare, c'è il fato di Maeterlinck. È altro. La tragedia non riscoppia dall'azione umana soltanto e soprattutto, né dal conflitto di pensieri, come nel teatro d'Ibsen; né è generata solo dall'urto dell'io contro il formidabile io della Legge. La tragedia di Maeterlinck è in fondo alle anime, nella sorte che essa, dalla nascita, portano in sé; quando non irrompe dall'incontro d'un istinto passivo e adinamico con le primordiali leggi dell'Essere e della Vita.
Ecco perché le creature di Maeterlinck non pensano nè agiscono, ma sentono. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, p. 35)
- Ci sono scrittori che si perdono e naufragano nella realtà che li risucchia e li abolisce, come soggetti tagliati fuori dal tutto. È, in questo caso, il numero, la pluralità, il particolare, che imprigiona la coscienza creatrice e la riassorbe definitivamente in sé. Così avviene di Zola e di Maupassant. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, p. 42)
- [...] Andreieff è un simbolista.
Appartiene a questa seconda categoria di scrittori. Il suo teatro è una drammatizzazione di ombre chinesi che hanno tuttavia la saldezza delle cose precise; aspre e possenti verità lo illuminano e ne fanno un catechismo sociale e metafisico degno d'essere preso in esame.
I problemi sociali, i problemi umani, i problemi dell'anima trovano in Andreieff drammaturgo un esegeta acutissimo e attento, un interprete audace ed eloquente. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, p. 43)
- Guardar la vita, la società, l'anima, così come le guarda Andreieff significa subordinare la visione della realtà a un irrimediabile pessimismo. Il pessimismo di Andreieff non ha un motivo personale come quello di Iob, né ha radici organiche come quello di Leopardi; diverso dal pessimismo di Schopenhauer che è d'origine mistica, quantunque rampolli di una concezione metafisica. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, p. 47)
- Wagner creò, nell'età moderna, primo e con stupefacente bellezza, il teatro integrale. Ma Wagner era uno di quegli spiriti unici, una di quelle anime complesse, uno di quei cervelli vulcanici, che nell'apparenza dell'esteriorismo sculturale e pittorico concluse, terzo nella storia del mondo, dopo Eschilo e dopo Shakespeare, dopo due momenti della evoluzione spirituale degli uomini, il possente dramma tragico più reale, più interiore, più singhiozzante e sublime. E sotto le caduche spoglie d'un fasto asiatico che a quel dramma mirabilmente s'intona, dandogli l'apparenza d'una sibilla rivelatrice avvolta nei più sontuosi veli, nascose l'eterno e primigenio Dionysos patiens et agens contra inexorabile Fatum. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, p. 60)
- Il dramma di Wagner, unico nel mondo, rappresenta una volta tanto, una fusione delle arti, non voluta ma richiesta dalle necessità di quel mondo che doveva essere espresso. Tutto, luci, colori, scenografia, architettonica, concorre non già ad una magnetizzazione dello spettatore, il che sarebbe una preordinata scelta e distribuzione di effetti, ma ad una unica e totale rivelazione. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, p. 60)
- Nietzsche non capì niente di Wagner quando lo definì un artista di decadenza; Wagner, è, come Kant nella filosofia, come Shakespeare nel teatro, un'energia solitaria, una di quelle comete che attraversano il cielo visibile per schiarare con la loro folgorazione la vita. È inimitabile, non maschera, non nasconde, e non abbellisce, ma dice. Il suo mondo, per essere detto, ha bisogno di quanto non abbisogna il mondo di altri poeti. (cap. II L'anima eroica e l'anima barbarica, pp. 60-61)
- Il misticismo dall'azione domina tutto il teatro d'Ibsen, e per conseguenza il suo ferreo sistema di idee. L'azione è giudicata il primo dovere che incombe ad ogni uomo. Poiché il mondo è un bivacco di dormienti, di malati, di traviati, l'obbligo che ci sovrasta, ove di quella malattia ci rendiamo conto, è di destare, di risvegliare, di infrenare, di sferzare. Verbi attivi, i quali non conoscono possibilità di riposo. (cap. IV La Volontà, p. 129)
- Quel che importa ad Ibsen non è il successo, ma la intenzione di obbedienza all'imperativo primo che risuona sullo spirito della Terra: svegliare, flagellare, lottare; sopprimere la materia e l'egoismo di cui l'uomo s'aureola, instaurare il regno dello spirito, sia pure negli squallori del deserto, nobilitare in sé l'uomo, e nel mondo, gli uomini. (cap. IV La Volontà, p. 130)
Prevalgono intorno al grottesco non pochi pregiudizi, i quali occorre rimuovere prima d'intraprendere un'analisi del fenomeno che conduce direttamente a una dottrina legittimata dalla realtà. Codesti pregiudizi sono, più o meno, riducibili a una formula che è la seguente: «il grottesco è una sottospecie del comico». In altri termini, si farebbe del grottesco una forma cugina dell'umorismo, della satira e della caricatura; forma che, con queste altre tre, ricadrebbe appunto nella comprensione del concetto di comico. Sarebbe dunque, esso, un modo di esprimere una qualsiasi sintesi fantastica, la quale, dove più dove meno, dovrebbe, o, come il comico puro, indurre al riso, come l'umorismo, al riso-pianto, al riso pensoso e romantico; o, come la caricatura e la satira, al riso interessato e commisto di elementi etici.
Bibliografia
modifica- Gino Gori, Il grottesco nell'arte e nella letteratura, Casa editrice Alberto Stock, Roma, 1926.
- Gino Gori, Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1924.