Giorgio Caproni

poeta, critico letterario e traduttore italiano. (1912-1990)

Giorgio Caproni (1912 – 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano.

Roma, libreria Croce, 1976, presentazione libro Lontano dal corpo. Italo Benedetti, Giacinto Spagnoletti, Giorgio Caproni e Graziana Pentic

Citazioni di Giorgio Caproni modifica

  • Ah mia famiglia, mia famiglia dispersa [...] | ah mia casata | infranta — mia lacerata tenda volata via | col suo fuoco e il suo dio.[1]
  • Ah, mio dio, Mio Dio, | perché non esisti? | Dio onnipotente, cerca (sfórzati) a furia di insistere – almeno di esistere.[2]
  • Cosa volete ch'io chieda. | Lasciatemi nel mio buio. Solo questo. | Ch'io veda.[3]
  • La vita, una volta che è data, non la si può togliere. Chi non la desidera, non la dia. Tanto più che dando una vita non è che si faccia, da un punto di vista non-cristiano, un grosso regalo. Perché la vita è più sofferenza che gioia: a maggior ragione, quindi, non bisogna stroncarla. Semmai, bisogna cercare di aiutarla.[4]
  • Mi hai scritto una lettera tragica, che mi fa paura (). Che posso dirti? Sono vecchio anch'io, ho anch'io tanti malanni addosso e intorno (): sei stato grande nel dolore, nella gioia, nella vita. Sempre. E ora vuoi "buttarti giù dalla finestra"? Son pensieri degni di Carlo Betocchi, questi? Anch'io sono vecchio, ti ripeto. Anch'io mi trovo sull'orlo.[5]
  • Montale, | ciottolo roso, | dal greto che più non risuona, | ha tolto una canna | bruciata dal sole, | e intesse liscosa canzone.[6]
  • Ora che più forte sento | stridere il freno, vi lascio | davvero, amici. Addio. | Di questo, sono certo: io | son giunto alla disperazione | calma, senza sgomento. | Scendo. Buon proseguimento.[7]
  • Portavano via Annina | (nel sole) quella mattina. | Erano quattro i cavalli | (neri) senza sonagli | Annina con me a Palermo | di notte era morta, e d'inverno. | Fuori c'era il temporale. | Poi cominciò ad albeggiare.[8]
  • Tonica, terza, quinta, | settima diminuita. | Resta dunque irrisolto | l'accordo della mia vita?[9]
  • Un semplice dato: | Dio non s'è nascosto. | Dio si è suicidato.[10]
  • Un'idea mi frulla, | scema come una rosa. | Dopo di noi non c'è nulla. | Nemmeno il nulla, | che già sarebbe qualcosa.[11]

Genova di tutta la vita modifica

Introduzione

originariamente pubblicata sulla rivista Weekend n. 42, ottobre 1977

  • Il punto di stazione da cui guardo Genova non è quello, scelto ad arte, del turista. È un punto di stazione che si trova dentro di me. Perché Genova l'ho tutta dentro. Anzi, Genova sono io. Sono io che sono "fatto" di Genova. Per questo anche se nato a Livorno (altro porto, altra città mercantile), mi sento genovese. (p. 9)
  • Per un uomo, si sa, la città che conta non è quella della fede di nascita. È la città dov'ha trascorso l'infanzia, dov'è cresciuto, dov'è andato a scuola, dov'è andato a donne, dove s'è innamorato e magari sposato: in breve, è la città dove s'è formato. È la città che lo ha formato. (p. 9)
  • A Genova ho scritto le prime poesie, che la domenica andavo a ricopiare a macchina nello scagno di mio padre in piazza della Commenda, in pieno porto, e più tardi in piazza dell'Acquaverde, accanto all'antica chiesa di San Giovanni di Prè, grigia a buia – nel suo buio Medioevo – come un sommergibile. (pp. 9-10)
  • Genova è una città che mi ha stregato. Nemmeno ora che vivo a Roma riesco a levarmela di dentro [...] Me la sogno di notte, la sospiro di giorno. Per dirla alla francese, je suis malade de Gênes... (p. 10)
  • Ma ragioni sentimentali a parte, forse fu in primo luogo la sua verticalità ad esaltarmi fin dal primo impatto.
    Con le sue salite, le sue rampe, le sue scalinate, i suoi ascensori pubblici, le sue funicolari e le sue strade disposte una sull'altra, Genova è una città tutta verticale. Verticale e quindi, almeno per me, lirica, se non addirittura omerica. Una città che direi, urbanisticamente, tra le più irrazionali, se non sapessi come invece, tale apparente irrazionalità, altro non sia che il frutto d'un ben ponderato calcolo: quello di trarre il maggior profitto possibile, e nel modo migliore, da una tirannica configurazione geografica, che sempre ha imposto ai genovesi d'espandersi soltanto in altezza. (pp. 10-11)
  • [...] tanto sono attaccato a Genova (o, viceversa, tanto Genova è attaccata a me) da non saper nemmeno discernere le parti brutte dalle parti belle. Bello e brutto li trovo così intimamente commisti (così "alla rinfusa", nel senso più marinaresco) da formare un unicum che proprio da tale commistione stretta trae il suo irripetibile fascino. (p. 11)
  • L'intera Genova, nel suo insieme, è città doppia: bifronte come il Giano che ne sormonta lo stemma o ne vigila le aiuole e i giardini. (p. 12)
  • Alzatevi fino al Righi con la funicolare che parte dalla Zecca.
    Già il viaggio è di per sé un attrait, in quanto quella funicolare è un po' come un'allegoria della nostra nascita, se non – per le prospettive che apre – della nostra intera vita.
    Esce da un buio tunnel, come da un ventre materno, e su su si arrampica ben oliata e silenziosa, tirata dal suo inarrestabile cavo, per portarti diritto nella luce sempre più accesa, fino alle cupole dorate del proustiano Hôtel Pagoda, vicino alla tozza torre di mattoni rossi dalla quale, prima della guerra, rombava il cannone delle dodici. Dal Righi, seguendo la strada che va verso il forte Begato e oltre, si ha perfetta la visione dei due volti della città, nettamente divisi dalla catena massiccia delle serpigne mura. (p. 12)
  • [...] il putrido e a modo suo affascinante Bisagno (affascinante proprio per la sua incommensurabile bruttezza, così male incassato nel grigioverde dei suoi monti spellati) [...] (p. 13)
  • Tale doppia faccia di Genova, infine, appare in un'altra dimensione ancora, e molto più intima: quella dello stesso spirito o animo genovese. Nell'uomo come nel paesaggio genovese vive acuto il contrasto fra la continua tentazione al dissolvimento ch'è nella stessa estatica luce marina e il ritmo d'una vita che invece tende tutta, con minuzioso accanimento, alle cose solide e ferme... (p. 13)
  • S'è fatto tardi. È già buio. Ne approfitterò per godermi ancora una volta – anche se sa un po' troppo di cartolina illustrata – l'imparagonabile spettacolo della Genova notturna.
    Dalle bianche lune delle navi [...] o dalle gialle fiamme della zona industriale, è tutto un rincorrersi e un salire di lunghe file di luci: linee oblique, linee orizzontali, linee verticali, tutte da dar l'impressione d'una vetrina di gioielliere in pieno scintillamento. O, se vogliamo un'immagine meno logora, di un firmamento rovesciatosi sulla terra e sul mare. (p. 13)

Poesie modifica

  • Dove recava il sentiero | umido, nell'ombra dolce | di foglie che già impensieriva | la sera? (Villa Doria (Pegli), p. 18)
  • Una funicolare dove porta, | amici, nella notte? Le pareti | preme una lampada elettrica, morta | nei vapori dei fiati – premon cheti | rombi velati di polvere e d'olio | lo scorrevole cavo. E come vibra, | come profondamente vibra ai vetri | anneriti dal tunnel, | quella pigra | corda inflessibile che via trascina | de profundis gli utenti e li ha in balia | nei sobbalzi di feltro! (Stanze della funicolare, p. 37)
  • E via per scogli freschissimi ed aria, | nella tremula Genova, l'antico | legname della barca a fune in aria | nero travalica i ponti – l'intrico | scande d'obliqui deviamenti, e giunge | per terrazze a conoscere l'aperta | trasparenza del giorno. (Stanze della funicolare, p. 38)
  • I lati | vibrano della muta arpa che inclina | unicorde a altre balze, ma già un Righi | rosso da un'altra Genova la cima | tira inflessibile al cavo [...] (Stanze della funicolare, p. 39)
  • A un'Oregina | grigia di casamenti ove il furgone | duro s'inerpica, ahimè se una prima | nube la copre mentre una sassata | fa in frantumi quel sangue [...] (Stanze della funicolare, p. 39)
  • Forse qui è l'urto... Ma no! | allo Zerbino alto sopra le carceri, nel grigio | fiato di tramontana ora un bambino | corre ancora di piume – porta il viso | ad un palmo dai vetri, e se scompare | nel colpo che di tenebra riannera | l'aria, fra le rovine d'aria appare | dei genovesi in raduno la nera | mutria [...] (Stanze della funicolare, p. 40)
  • Era un portone in tenebra | di scivolosa arenaria: | era, nell'umida sera promiscua, | il mio ingresso a Genova. (All Alone, p. 45)
  • Forse era la mia vita | intera, che mi lambiva. | Ma entrato oltre la porta | verde, mai con più remora | m'era accaduto che Genova | (da me lasciata), morta | io già piangessi, e sepolta, | nel tonfo di quella porta. || Eppure io piansi Genova, | l'ultima volta, entrato. (All Alone, p. 46)
  • Salita della Tosse | scandivano ragazze rosse. | Ragazze che in ciabatte | e senza calze [...] | andavano, percorse | da un brivido, sulla salita | che anch'io facevo, solo, | già al canto d'un usignolo. || Genova di tutta la vita | nasceva in quella salita. (All Alone, pp. 46-47)
  • Fors'era in me un sessuale | émpito di voler arricchire. | La Genova mercantile | dei vicoli – l'intestinale | tenebra dov'anche il mare, | se s'ode, pare insaccare | denaro nel rotolio | della risacca (ma io, | scusate, non mi so spiegare | troppo bene), il Male | in me sembrava inculcare | con spasimo quasi viscerale. (Lamento (o boria) del preticello deriso, p. 67)
  • Alessandra Vangelo | è il suo nome e cognome. | Di Smirne: una giunone | così [...] | [...] che per mia ossessione | [...] impero | ebbe, giù da Porta dei Vacca, | fino a Vico del Pelo. || Ragazzi, che baldoria | quando, la gran baldracca | in gloria, la sua apparizione | faceva, in piena Portoria! (Lamento (o boria) del preticello deriso, p. 68)
  • Se al crepuscolo, almeno, | ci fosse, dietro i vetri, il mare... || [...] Amore... | Tremore | in trasparenza... | Se almeno | questo fosse il rumore | del mare... (Albàro, p. 85)
  • Ero a Livorno, alla Darsena. | irta di rimochiatori. | O, più tangibilmente, a Genova, | alla Commenda, insieme | con mio padre, curvo | sul bilico della sua partita | doppia... || Al netto, | ho visto soltanto Mirko, | compagno di sassaiole | a San Martino (Intarsio, p. 88)

L'opera in versi modifica

  • La mia città dagli amori in salita, | Genova mia di mare tutta scale | e, su dal porto, risucchi di vita | viva fino a raggiungere il crinale | di lamiera dei tetti, ora con quale | spinta nel petto, qui dove è finita | in piombo ogni parola, iodio e sale | rivibra sulla punta delle dita | che sui tasti mi dolgono?... (Sirena, p. 143)
  • Genova mia città fina: | ardesia e ghiaia marina. (Su cartolina, p. 163)
  • Quando mi sarò deciso | d'andarci, in paradiso | ci andrò con l'ascensore | di Castelletto, nelle ore | notturne, rubando un poco | di tempo al mio riposo. (L'ascensore, p. 168)
  • Le case così salde nei colori | a fresco in piena aria, | è dalle case tue invano impara, | sospese nella brezza | salina, una fermezza | la mia vita precaria. (Stornello, p. 171)
  • Genova città pulita. | Brezza e luce in salita. | Genova verticale, | vertigine, aria, scale. (Litania, p. 172)
  • Genova illividita. | Inverno nelle dita. | Genova mercantile, | industriale, civile. (Litania, p. 173)
  • Genova di tramontana. | Di tanfo. Di sottana. | Genova d'acquamarina, | aerea, turchina. (Litania, p. 174)
  • Genova che non mi lascia. | Mia fidanzata. Bagascia. | Genova ch'è tutto dire, | sospiro da non finire. (Litania, p. 175)
  • Genova di Sottoripa. | Emporio. Sesso. Stipa. (Litania, p. 176)
  • Genova di tutta la vita. | Mia litania infinita. (Litania, p. 178)

Rumore di mare fra le navate modifica

  • Non posso paragonare la mia Genova a nessuna Contessa di Tripoli, per giunta mai vista. Come, del resto, a nessun'altra donna. A nessuna donna.
    Amo Genova – mi sto struggendo per Genova – soltanto come si può amare (e qui sta per me il diverso, l'insolito del mio sentimento nella sua medesima naturalezza) una città. Una città nella quale io entrai, di soprassalto, ancora coi pantaloni corti, e nella quale poi vissi finché non ne fui sradicato, e brutalmente, dalla guerra e dall'esilio.
  • [Sulle chiese di Genova] Intanto, più che chiese le direi bui gusci marini (conchiglie che sembrano a volte fossilizzate) ed entrare in una di tali chiese di dure pietre grige annerite dai fumi portuali e industriali (in San Donato, in San Giovanni in Prè, per tacer di tutte le altre, arcifamose), sempre mi è parso un poco entrare in una sorta di murice, ingrandimento di quelli, ruvidi d'incrostazioni calcaree e saline, che i ragazzi raccattano sul litorale, e accostano all'orecchi per sentire il rumore del mare.
  • [Sulle chiese di Genova] È un diffuso e impalpabile rumor di mare, quello che senti o ti par di sentire tra le navate nere di secoli e di semitenebra, ch'è anche, per chi abbia orecchio esercitato ad intenderlo, sommesso brusio di traffici e di lucri: di cantieri in opera lungo i due corni della città, nonché di gravi sirene mercantili, le quali da navi che vengono e vanno, e sempre profonde come bassi d'organo, specie di notte fanno vibrare le invetriate, quando placatosi il concerto delle gru, dei magli e delle perforatrici, odi più chiaro l'ansito della risacca, la cui rotolante ghiaia dà anch'essa il suono e l'idea, nella doppia caligine di quelle chiese, d'un fosforico rotolio di zecchini.

Citazioni su Giorgio Caproni modifica

  • Qui nacque Giorgio Caproni poeta delicato e forte come la città che lo vide nascere. (Targa a Livorno[12])
  • Vorrei sfatare una volta per tutte la presunta irreligiosità di mio padre. Si parla di un Caproni ateo. Iniziò un colloquio con Dio nella seconda stagione della sua vita, o forse sarebbe meglio dire un colloquio con la trascendenza. Faceva fatica a trovare Dio perché faceva fatica a trovare il bene, senz'altro meno appariscente del male, che invece si incontra tutti i giorni. L'etichetta di ateo è stata attaccata in modo troppo sbrigativo, anche perché lui era profondamente religioso. Andava a Messa tutte le domeniche con mia madre. Forse ci andava per accontentarla, ma comunque ci andava. Diceva le preghiere due volte al giorno e un po' si seccava se tu te ne accorgevi. Era molto devoto alla Madonna della Guardia di cui aveva un'immaginetta nel taccuino. Poi la smarrì e ci restò molto male. Era un'immagine molto consumata vecchia di quarant'anni. Mia madre gliene portò un'altra. Sulla sua scrivania c'erano due testi che leggeva regolarmente: l'Antico e il Nuovo Testamento. (Attilio Mauro Caproni)

Note modifica

  1. Da Il muro della terra, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 2002
  2. Citato in Gianfranco Ravasi, L'incontro: ritrovarsi nella preghiera, Oscar Mondadori, Milano, 2014, p. 99. ISBN 978-88-04-63591-8
  3. Da Istanza al medesimo, in Il muro della terra, Garzanti
  4. Da Cesare Cavalleri, «Un poeta in cerca dell'anima». intervista con Caproni del 1983Studi cattolici, ottobre 1983
  5. Da una lettera a Carlo Betocchi; citato in Corriere della sera, 1 aprile 2008
  6. Da Epigramma in Res Amissa
  7. Da Congedo del viaggiatore cerimonioso, "Congedo"; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  8. Da Il carro di vetro, in Poesie 1932-1986, Garzanti, Milano, 1986.
  9. Da Cadenza, 1972
  10. Da Deus absconditus, in Il muro della terra, Garzanti
  11. Da Pensatina dell'antimetafisicante
  12. Lapide scolpita sulla casa natale di Caproni in Corso Amedeo, 279 a Livorno; citato in Buon compleanno, Giorgio Caproni poeta del libeccio!, Costaovest.info.

Bibliografia modifica

  • Giorgio Caproni, Genova di tutta la vita, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova, 1997. ISBN 88-04-43586-0
  • Giorgio Caproni, L'opera in versi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1998. ISBN 88-04-43586-0
  • Giorgio Caproni, Res amissa (postumo), a cura di Giorgio Agamben, Garzanti, 1991. ISBN 8811631017
  • Giorgio Caproni, Rumore di mare fra le navate, in Camillo Arcuri (a cura di), Genova, cara Genova, Edizioni GGallery, Genova, 1988, pp. 11-13

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