Alberto Sabbatini
giornalista italiano
Alberto Sabbatini (1958 – vivente), giornalista italiano.
Citazioni di Alberto SabbatiniModifica
Citazioni in ordine temporale.
- Il progresso tecnologico spesso fa a botte con lo spettacolo. Nelle corse tra i due scelgo lo spettacolo.[1]
- [«[...] quale la sua visione sul rapporto tra mezzi tradizionali, quelli cartacei e la televisione, nella coesistenza con web, webmagazine e socialnetwork?»] Io sono un produttore e fruitore di tutti questi mezzi. La passione per la tecnologia mi ha spinto a seguire il web sin dal 1995, epoca in cui non era frequente avere una connessione a Internet. Sono stato uno dei primi abbonati a Twitter avendolo scoperto quasi per caso negli Stati Uniti, e rendendomi conto immediatamente delle sue grandi potenzialità, più quale strumento di lavoro che mezzo di informazione. Ritengo di essere stato tra i primi a comprendere l'importanza dei social: all'epoca in cui Bruno Senna debuttò con la HRT a metà stagione, lo annunciò su Twitter, anticipando la notizia che nessuna agenzia ancora conosceva. In quella occasione ho compreso la velocità con la quale liinformazione rendeva immediatamente vecchi e superati i canali tradizionali della comunicazione, annullando in parte la rete di informatori credibili e autorevoli che il giornalista si crea per poter svolgere il proprio lavoro. Tra tutti i media, tradizionali e quelli nuovi, il circolo virtuoso della notizia dovrebbe seguire un percorso in cui prima appare sui social in 140 battute, poi sul web in un articolo di venti o trenta righe senza fornire troppi dettagli e infine sul giornale di carta con gli approfondimenti e tutti i dettagli del caso. In questo modo ogni mezzo di informazione gode della propria esclusività evitando sovrapposizioni. È il giornalista il vero detentore della notizia e non possiamo pensare che i giornali tradizionali siano finiti con l'avvento del web o minacciati dai social. Ogni "mezzo" deve essere un ingranaggio diverso nel complesso meccanismo dell'informazione e tra loro devono convivere in una ideale complementarietà.[2]
- [Su Gilles Villeneuve] Un pilota dal talento smisurato, che a quei tempi riusciva ancora ad imporre la bravura del pilota sul mezzo, anche quando quest'ultima non era particolarmente competitivo. La sua morte è stata una tragedia che ha paralizzato il mondo dello sport. Ancora oggi, nelle classifiche dei 10 piloti più forti della storia della Formula 1, Villeneuve è sempre presente nonostante abbia vinto soltanto 6 GP. Questo significa che la vittoria non è preponderante rispetto al messaggio di velocità e di spettacolarità che trasmette il pilota.[3]
Citazioni tratte da articoliModifica
Citazioni in ordine temporale.
- Probabilmente non esiste un altro marchio automobilistico che abbia preso parte alle corse in modo così trasversale e totale come ha fatto la Renault, innovando in ogni campo del motorsport in cui si è cimentato. Direttamente o attraverso i brand che gli appartenevano, Renault ha corso e vinto dappertutto: dalla F1 alla 24 Ore di Le Mans, dal Mondiale Rally alle gare Turismo, dalla Parigi-Dakar fino alla Formula E elettrica, di cui Renault è stata la prima dominatrice [...] La grande forza di Renault è stata però anche l'impegno nelle categorie minori del motorsport: è stata Renault ad inventare le corse monomarca per allevare giovani piloti e far correre a costi ridotti intere generazioni di ragazzi per scoprire campioni. [...] Tanti campioni sono usciti da lì: uno per tutti Kimi Raikkonen.[4]
- Renault è stata la prima casa automobilistica a sviluppare e portare alla vittoria in F1 un motore turbocompresso. Un fatto epocale che ha aperto un nuovo capitolo tecnologico nella storia della F1. La tecnologia del turbo fino agli anni '70 sembrava troppo complicata ed acerba. Tanto che la prima Renault F1 turbo del 1976 venne soprannominata la "teiera" perché dopo alcuni minuti di gara cominciava a fumare vistosamente, presagio della rottura del motore che arrivava immancabilmente poco dopo. Renault insistette caparbiamente finché il 1 luglio 1979 il francese Jabouille, vinse finalmente a Digione con la Renault turbo il GP di Francia. La prima storica affermazione di un motore sovralimentato in F1. Ma quell'episodio così importante fu offuscato da un'altra vicenda: il leggendario duello Villeneuve-Arnoux a ruotate per conquistare la seconda posizione. Un gesto sportivo che conquistò le prime pagine dei giornali per settimane e fece passare in secondo piano l'impresa tecnica della Renault.[4]
- [Le] statistiche dimostrano quanto la Formula elettrica sia molto più imprevedibile e assai meno scontata della Formula 1. Ad ogni corsa i rapporti di forza sul campo tra le varie squadre cambiano ed è estremamente difficile pronosticare la vittoria. Questo dipende da almeno tre motivi. Primo: l'elevatissimo livello tecnico e agonistico dei piloti. [...] ci sono [...] ex piloti di F1, [...] campioni del mondo Prototipi, [...] Turismo [e] DTM (Turismo tedesco), [...] vincitori della 24 Ore di Le Mans e diversi piloti che hanno corso e raccolto successi nella GP2 (la categoria di contorno alla F1) o nelle gare per vetture GT. Non sono piloti abituati ad accontentarsi. Secondo aspetto: la Formula E è una categoria monotipo. Significa che le vetture di base sono tutte uguali tra loro; differiscono soltanto in pochi componenti, fra cui la personalizzazione del motore elettrico e la gestione di funzionamento di quest'ultimo. Perciò sono tutte estremamente competitive e non c'è in Formula E quella abnorme differenza di prestazioni fra primo e ultimo in griglia cui ci ha abituato la Formula 1. Terzo aspetto che accentua l'imprevedibilità della categoria: il fatto che si corra su circuiti cittadini, stretti e delimitati da muretti e barriere, dove difficoltà ed imprevisti sono più frequenti. Spesso un incidente o una collisione tra i piloti in testa alla gara ha condizionato il risultato.[5]
- [Su Kimi Räikkönen] [...] nell'estate 2000, il finlandese guidò per la prima volta una F1. Iniziò proprio in Toscana la sua carriera di pilota professionista. All'epoca Kimi era un ragazzino 21enne che aveva corso fino a quel momento soltanto con la Formula Renault. D'improvviso fu catapultato nel grande mondo della F1. [...] Il test fu organizzato dal titolare della Sauber di allora, Peter Sauber, che era in cerca di giovani talenti da valorizzare. E Raikkonen stupì subito tutti quanti. [...] Quel giorno del 2000 al Mugello la Sauber non era sola in pista: i test erano stati organizzati dalla Ferrari che era scesa in pista con Schumacher per sviluppare la F2000. Siccome la Sauber era motorizzata Ferrari era stata invitata anche lei a svolgere collaudi. Per cui a un certo punto il debuttante Raikkonen si trovò a precedere sulle curve del tracciato proprio Schumacher che rimase impressionato dalla velocità dimostrata da quel giovane esordiente. Tanto che al rientro al box chiese ai suoi tecnici chi fosse quel ragazzino con la Sauber che andava così veloce. Da quel giorno la carriera di Kimi è decollata in F1.[6]
- Come ve l'immaginate da guidare una Ferrari? Rabbiosa, brutale, estrema? Difficile da portare al limite? Beh, la nuova Ferrari 296 GTB non è niente di tutto questo. Non genera ansia da prestazione quando si schiaccia il piede sul gas ma al contrario è facile, tremendamente facile da guidare forte e ispira rapidamente confidenza. È un'auto che il pilota "sente" subito in mano. Con la quale chi possiede un minimo di esperienza di guida sportiva riesce presto a compiere manovre spettacolari con grande naturalezza: derapate, sovrasterzi di potenza e controsterzi. Un'auto che ti dona il vero piacere di guida. Quello che gli inglesi, con un termine molto esplicito, definiscono "fun to drive". Divertimento puro al volante. Un'auto dalla quale dopo mezz'ora al volante scendi con un sorriso euforico stampato sul viso.[7]
Autologia.netModifica
Citazioni in ordine temporale.
- [Sul Quadrifoglio Alfa Romeo] A volere il quadrifoglio su un'auto da corsa fu un pilota dei primi Anni Venti: Ugo Sivocci. Faceva parte dello squadrone Alfa Romeo ed era amico fraterno di Enzo Ferrari, anzi fu proprio Sivocci a introdurre il più giovane Ferrari al mondo delle competizioni. Sivocci era un pilota temerario, ma molto sfortunato. Più volte aveva subìto guai meccanici che gli avevano precluso la vittoria. Nel maggio 1923 lo squadrone Alfa Romeo che contava su quattro piloti di punta, i famosi "moschettieri" e cioé Antonio Ascari, Enzo Ferrari, Giuseppe Campari e Ugo Sivocci si stava preparando per la Targa Florio. Una delle corse più impegnative dell'epoca. Sivocci, che da bravo casertano era forse anche superstizioso, alla vigilia della gara fece dipingere sulla sua Alfa Romeo RL un quadrifoglio verde iscritto in un quadrato bianco. Forse perché gli portasse fortuna in gara oppure semplicemente per distinguersi fra le quattro rosse Alfa. Incredibilmente, il simbolo fece valere il suo potere: in gara Sivocci era secondo, ma davanti a lui Ascari, che aveva tagliato il traguardo prima, fu penalizzato per una irregolarità. Così Sivocci si aggiudicò la sua prima corsa, la Targa Florio. Grazie al benefico influsso del quadrifoglio. Purtroppo quattro mesi dopo, il potere del quadrifoglio fece sentire ancora una volta il proprio effetto. Ma nella sua forma più tragica. Durante le prove del GP d’Europa a Monza, nel settembre di quello stesso 1923, Sivocci uscì di pista alla curva del Vialone, quella dove nel 1955 morirà Alberto Ascari e perse la vita nell'impatto contro un albero. Solo dopo l'incidente ci si accorse che quel giorno sulla carrozzeria dell'Alfa mancava il simbolo del quadrifoglio. Un tragico scherzo del destino: per la fretta di approntare la nuova Alfa P1 per le prove, non c'era stato il tempo di dipingerlo. Da allora in poi l'Alfa Romeo, per ricordare il suo sfortunato pilota, ha dipinto il quadrifoglio verde sulla carrozzeria di tutte le Alfa Romeo da corsa e anche su quelle stradali più sportive. Ma con una differenza: il simbolo verde era iscritto non più in un quadrato a quattro punte, ma in un triangolo per ricordare che una delle "punte" dello squadrone Alfa non c'era più.[8]
- [...] una Formula 1 che ha fatto epoca: la Ferrari 312B del 1970, la monoposto con cui Maranello ha aperto una nuova era tecnica nella F1 dopo anni di ombre, introducendo la prima generazione di quel motore 12 cilindri boxer che ha restituito negli Anni '70 alla Ferrari la supremazia tecnologica e avrebbe portato a Maranello tre titoli mondiali in dieci anni con Lauda e Scheckter. [...] scolpitevi nelle orecchie il rombo indimenticabile di quel 12 cilindri, erroneamente passato alla storia come boxer (mentre tecnicamente parlando era un V12 a 180 gradi). In una F1 dominata dal sibilo anonimo dei turbo ibridi, quel rombo vero e maschio del 12 cilindri [...] fa davvero vibrare il cuore.[9]
Analisi critica della Formula E, il test
autologia.net, 13 aprile 2019.
- [Sulla Formula E] La cosa che mi ha impressionato di più non è l'accelerazione, ma la velocità nel più assoluto silenzio. [...] Si sente solo il fruscio dell'aria contro il casco. Si va forte senza sentire rumore. Strano, no? Io per esempio non mi accorgevo di andare forte. Non avevo punti di riferimento e mancava il rumore a darmi la controprova della velocità. È una sensazione strana. Ripensandoci, ho messo a fuoco una spiegazione. Da che mondo è mondo, il nostro cervello è abituato a generare la sensazione della velocità abbinando i due sensi più importanti: vista e udito. Su un'auto da corsa o su una sportiva molto potente noi vediamo l'orizzonte scorrere sempre più in fretta e sentiamo il rombo del motore aumentare sempre di più. Poi magari aggiungeteci le vibrazioni che genera il motore e le forze fisiche che si trasmettono al corpo tramite le cinture che si stringono quando accelerate, e il gioco è fatto. Dall'insieme delle sensazioni dei due sensi fondamentali – vista e udito (se si aggiunge anche il tatto, cioé le vibrazioni, tanto meglio) il nostro cervello ricava la percezione che stiamo andando più veloci. Ma se manca l'apporto di uno di questi sensi – nella fattispecie l'udito – il nostro cervello si disorienta. Non capisce più che sensazioni trasmettere al corpo. È quello che ho sperimentato al volante della Formula E. Non mi rendevo conto che stavo andando sempre più veloce in rettifilo perché non sentivo il rombo del motore. Quando manca uno dei sensi, le tue sensazioni sono limitate [...]
- [...] ricorderò sempre i brividi che mi trasmise l'Audi R15 di Le Mans, un turbodiesel V10 da 5,7 litri che aveva quasi mille newtonmetri di coppia. Quando affondavi il gas le cinture ti sfondavano il petto e con le dita dovevi aggrapparti al volante per non perdere la presa, tanto era brutale l'accelerazione di quella barchetta.
- [...] mi ha entusiasmato la cattiveria della Lambo Huracan SuperTrofeo, che aveva un rombo talmente deflagrante, grazie al suo motore V10, che ti faceva vibrare ogni poro della pelle. Trasmetteva potenza e brutalità da ogni parte.
- [Sulla Formula E] È scattante, frena forte grazie a pinze e dischi in carbonio, permette di staccare sotto le curve ed è pure abbastanza rapida nell'inserimento. Ma le manca il sound per sembrare "cattiva". C'è poco da fare. Ai giovani piacerà pure, ma a me un'auto da corsa priva di un vero rombo non eccita. È come ascoltare musica rock in sottofondo a volume bassissimo. Quindi una delusione? Assolutamente no. Soltanto che è un'auto diversa. Le emozioni, il piacere della guida vengono da qualcos'altro che la pura guida.
- [Sull'Halo] Sulla bruttezza non si discute. Ma in nome della sicurezza tutto è lecito.
AutosprintModifica
Citazioni in ordine temporale.
- Per via del fisico minuto, la de Filippis era soprannominata "pilotino" nell'ambiente delle corse. Faceva scalpore vedere questa donna minuta domare e gestire in corsa la più pesante, grossa e potente F1 dell'epoca, la Maserati 250 F a motore anteriore quando già cominciavano a comparire le piccole e agili F1 inglesi a motore posteriore. Ma al volante si meritò più volte i complimenti di Fangio che però sosteneva che prendesse troppi rischi alla guida.[10]
Quei 3 grandi meriti di Marchionne
Da Autosprint, 24 luglio 2018; citato in auto.sabbatini.news.
- Si fa torto a qualcuno dicendo che Sergio Marchionne è stato il più grande manager italiano del dopoguerra? Manager, non imprenditore, capiamoci bene. Marchionne non ha posseduto società, ma le ha gestite, le ha fatte funzionare e ne ha decuplicato il valore ricavando profitti miliardari ai proprietari ma garantendo anche il lavoro a centinaia di migliaia di dipendenti. Basta questo a renderlo il più grande. È l'uomo che nel bene e nel male ha salvato la Fiat, rilanciato la Ferrari e cambiato profondamente la stessa società italiana. Sia a livello industriale che sociale. Non solo Marchionne ha trasformato un'azienda privata italiana in un gruppo industriale globale con radici sparse fra l'Europa e gli Stati Uniti, ma ha anche cambiato le regole del gioco fra impresa e lavoratori. Ha introdotto il concetto di flessibilità cancellando abitudini di accordi sindacali consolidati e uscendo persino da Confindustria per agire più liberamente. Soprattutto, cosa cui non tutti gli rendono sufficiente merito, ha salvato la Fiat dal fallimento. Senza di lui centomila dipendenti non avrebbero più avuto un lavoro dopo il 2004. Quando gli sono state affidate le redini della Fiat, nel 2004, la società era in profonda crisi e capitalizzava poco più di 5 miliardi di euro. Era tecnicamente fallita. Non aveva i soldi per pagare i propri debiti e gli stipendi nei mesi successivi. In quattordici anni Marchionne l'ha portata a un valore complessivo di oltre 65 miliardi facendola diventare la settima industria automobilistica del mondo, scorporando e quotando in borsa la Ferrari che prima era parte del gruppo Fiat mentre poi, da sola, ha capitalizzato quasi 25 miliardi. Marchionne insomma ha creato valore per le aziende che guidava e ha creato lavoro per i dipendenti Fiat salvando l'azienda dal fallimento. Questo merito nessuno, nemmeno il più acerrimo dei suoi nemici come i sindacalisti della Fiom che l'hanno spesso combattuto, potrà mai toglierglielo.
- A Torino Marchionne arrivò praticamente da sconosciuto nel 2004. Era appena morto Umberto Agnelli e la famiglia aveva estromesso brutalmente l'ad Giuseppe Morchio, che aveva avuto l'ardore di chiedere, direttamente al funerale di Umberto, di entrare come socio nell'azienda. Ma chi mettere al suo posto? Montezemolo fu scelto presidente, ma a chi affidare il gravoso compito della gestione quotidiana dell'azienda che deve sorbirsi l'amministratore delegato? Qualcuno si ricordò che Umberto Agnelli, prima di morire, aveva parlato benissimo di un tal Sergio Marchionne, esperto di economia, italiano di Chieti emigrato in Canada e ora cittadino svizzero che dirigeva una piccola compagnia finanziaria satellite del gruppo, la Sgs. Marchionne fu convocato e assunse l'incarico. All'epoca indossava ancora giacca e cravatta. La Fiat a quell'epoca aveva un indebitamento di qualcosa come otto miliardi di euro. Era alle soglie del fallimento. In cassa c'erano soldi per pochi mesi di stipendio delle maestranze. Marchionne all'inizio non diresse direttamente il settore dell'auto, ma l'intero gruppo industriale. C'erano altri manager alla guida di Fiat, Alfa e Lancia. Un ingegnere austriaco e uno tedesco ex BMW. Bastò un anno e mezzo a Marchionne per capire che non facevano al caso suo. [...] quei manager-tecnici erano lenti e troppo esitanti a prendere decisioni per riuscire a rivoluzionare. Erano abituati con calma, alla tedesca, a sperimentare ben bene prima di costruire. Marchionne gli fece capire che non c'era tempo. Mancavano i soldi per sopravvivere così a lungo se non si costruivano in fretta nuove auto da vendere per fare cassa. Li mandò via e assunse in prima persona l'incarico di amministratore delegato di Fiat Auto, Alfa e Lancia. Un finanziere alle prese con la meccanica. Cosa ci avrebbe capito? Qui è uscita fuori la grande dote di Marchionne [...]: saper individuare quelli bravi e sottostimati. E valorizzare il loro coraggio di osare. Così ha dato un impulso formidabile all'azienda e il primo anno nacque la nuova Punto, l'anno dopo la 500. Due boom. Con i soldi guadagnati la Fiat poté risollevare le finanze e investire sul futuro.
- Tre sono stati i grandi meriti di Marchionne che col senno di poi hanno salvato la Fiat dal fallimento. Primo e meno conosciuto, ma basilare per il futuro, è la rinegoziazione del famoso "convertendo" con la General Motors. Nel 2005 Marchionne è riuscito a farsi pagare dagli americani un miliardo e mezzo di euro per svincolarli da un impegno firmato cinque anni prima che non volevano più rispettare. Quei soldi, versati nelle casse torinesi, hanno ridato ossigeno ai conti Fiat. Con quel denaro Marchionne si è pagato lo sviluppo dei nuovi modelli Panda, Punto e 500 prodotti fra il 2006 e il 2007 che hanno portato altri capitali freschi. La terza grande impresa è stata l'aver acquistato nel 2009 la quasi fallita Chrysler a costi ridottissimi grazie alla mediazione di Obama e del governo Usa. Cosa che gli ha portato in dote anche la Jeep che è diventata la vera fabbrica di soldi del gruppo FCA [...]. La Ferrari è un successo a parte. Il suo fiore all'occhiello. La sua passione recente. Che gli piaceva così tanto da tenere sempre sott'occhio, durante le conferenze stampa ai saloni dell'auto invernali, un telefonino dove riceveva gli aggiornamento in tempo reale dei crono durante i test invernali.
Giochi di squadra e ipocrisie
autosprint.corrieredellosport.it, 1º ottobre 2018.
- Ma diciamoci la verità senza fare i falsi ingenui: non trovate davvero ipocrita lamentarvi del gioco di squadra in F1? [...] Inutile fare le verginelle. L'amara verità è che i grandi team hanno sempre dato team orders. Tutti quanti. Perché quando l'interesse è alto, non si guarda in faccia a nessuno. Nemmeno al rispetto per gli uomini della propria stessa squadra. Tutti si scandalizzano e giocano a fare i puri, però quando viene utile il gioco di squadra lo fanno eccome. [...] Per un motivo semplicissimo: perché chi comanda sono i team, non i piloti che da questi sono stipendiati. Il titolo mondiale Piloti dà prestigio al corridore. Ma è il mondiale Costruttori che riversa denaro nelle casse della squadra. Perché il particolare meccanismo del Patto della Concordia, che regola gli accordi commercial-sportivi della F1, prevede che i punti iridati e la posizione di classifica valgano milioni e milioni di euro. Vincere il titolo Costruttori o arrivare secondi può fare una differenza anche di decine di milioni di euro. E nessuna squadra rinuncia a quei soldi perché è determinante per il bilancio finanziario. Quindi siccome sono le squadre che stipendiano i piloti, è anche logico e giusto che il team chieda ai suoi piloti di anteporre gli interessi della squadra a quelli personali.
- [...] la prima squadra a dare un plateale team order in F1 fu proprio la Ferrari. Nel lontano 1956. Al GP d'Argentina di quell'anno, Juan Manuel Fangio con la Lancia-Ferrari dovette ritirarsi. E il team del Cavallino cosa fece? Costrinse l'altro pilota della squadra, Luigi Musso, a fermarsi ai box; lo fece scendere dall'auto per far salire al suo posto Fangio; il quale così vinse la corsa e quei punti preziosi gli servirono per laurearsi campione del mondo. Incredibile no? Ma all'epoca era permesso che un pilota del team sostituisse un altro in corsa sulla stessa macchina perché nei primi anni della F1 era un'eredità del regolamento delle gare sport dov'è la macchina a vincere, non l'uomo che la guida. Poi questa stortura fu vietata perché in F1 era giusto fosse il pilota il protagonista principale e non più l'auto. Ma pensate se quella libertà esistesse ancora oggi, cosa succederebbe? Meglio non pensarci.
- La madre di tutti i giochi di squadra [...] fu l'ordine perentorio di Todt a Barrichello al GP Austria 2002 di rallentare all'ultimo giro per far vincere Schumacher. Fu clamoroso e indecente perché portò davanti agli occhi di tutti in modo sfacciato quella che fino a quel tempo era sempre stata una pratica nascosta. Far rallentare il pilota da sacrificare con qualche scusa concordata e un linguaggio in codice ma senza mai scoprire il gesto. Invece Todt lo rese palese al mondo dicendolo via radio in chiaro, e lo ascoltarono le orecchie di milioni di spettatori perché ebbe la sfortuna che all'epoca il cameraman della F1 fosse al muretto Ferrari per inquadrarlo da vicino in quel momento topico. Così il microfono della telecamera, all'insaputa del team principal ferrarista, registrò e diffuse in mondovisione le parole con cui Todt prima supplicava, poi ordinava a Barrichello di rallentare. La plateale violazione di un codice etico in modo così lampante fece impazzire di rabbia il presidente della Fia Mosley perché dimostrò al mondo che quello sport di eroi che sembrava puro agli occhi della gente la F1 perché i suoi protagonisti rischiavano la vita per vincere, si poteva manipolare per interesse come una qualsiasi partita di calcio. Così Mosley, non potendo penalizzare la Ferrari per lo scambio di posizioni – era permesso dalle regole – ma volendoli comunque punire per il cattivo esempio sportivo in qualche modo, comminò al Cavallino una multa salatissima esemplare. Un milione di dollari per l'infrazione della cerimonia di premiazione. Una punizione che fece scalpore sia per l'entità della cifra che per il pretesto con cui fu data. Un po' come quando lo stato americano, non potendo incarcerare Al Capone per omicidio perchè non trovava le prove, non trovò altro modo che metterlo in manette per evasione fiscale...
- Chiunque in F1 si lamenta o fa la verginella accusando scandalizzato gli altri di aver praticato giochi di squadra o dato team order, probabilmente ha compiuto pure lui il "misfatto". Volete un altro esempio? Jacques Villeneuve. [...] Pochi sanno che anche lui fu costretto a farlo. Addirittura proprio nel GP Europa 1997 – quello famoso di Jerez del fallo di Schumacher – che sancì la vittoria del mondiale di Jacques. Villeneuve, dopo che Schumi era finito fuori gara nel tentativo di speronarlo, aveva il titolo iridato in tasca. Ed era primo. Poteva chiudere in bellezza l'impresa vincendo anche la gara. Invece rallentò e fece passare le McLaren-Mercedes di Hakkinen e Coulthard che ottennero vittoria e doppietta. Un caso? No, perché mesi dopo si scoprì che via radio l'ingegnere di pista di Villeneuve in Williams, Jock Clear [...] lo aveva supplicato in corsa di lasciar passare Hakkinen dicendogli: "Devi farlo Jacques! Ricordi? Ne avevamo parlato prima della corsa se andava in un certo modo...". Evidentemente la Williams aveva stretto un'alleanza con la McLaren per la gara in chiave anti-Ferrari per aumentare le proprie probabilità di successo. E la contropartita evidentemente era di lasciargli la vittoria del GP. Se Villeneuve avesse conquistato il titolo, avrebbero dovuto lasciar trionfare la McLaren-Mercedes. In realtà la McLaren in gara non aiutò più di tanto Jacques perché fu Schumacher a danneggiarsi da solo con quella scorrettezza. Ma tanto bastò al team per ricordare al suo pilota di onorare il patto stretto prima del via.
Sabbatini.news – blogModifica
Citazioni in ordine temporale.
- [...] sapete che l'idea di portare le qualifiche [di Formula 1] alle ore 14 del sabato è farina del sacco proprio della Rai? Fino agli anni '80 le qualifiche F1 si svolgevano alle 13, non alle 14. Poi un bel giorno qualcuno da viale Mazzini, in fase di rinnovo del contratto tv, convinse Bernie [Ecclestone] a spostare l'inizio delle prove del sabato alle 14 spiegandogli che in Italia (ma anche in altri paesi europei) i ragazzi alle 13 erano ancora a scuola e la F1 si stava perdendo l'audience dei giovanissimi. Bernie scaltramente capì che era una buona idea e l'applicò subito. Ecclestone aveva questo pregio: la rapidità nel cambiare idea se capiva che lo status quo non funzionava bene. Da bravo mercante, sapeva come dar valore al proprio show per monetizzarlo meglio.[11]
- Credeteci. È nata una stella. O meglio, si è affermata e si è fatta notare. Perché chi segue le corse con attenzione Charles Leclerc lo aveva già scoperto un paio di anni fa quando aveva cominciato a vincere a ripetizione nelle categorie minori. [...] Ma prima ancora che la sua velocità, la grande dote di Charles Leclerc è la freddezza. L'autocontrollo. Che gli permette di dominare le emozioni. Questo monegasco dagli occhi azzurri nasconde dietro un'aspetto timido un carattere davvero ferreo. Due anni fa alla vigilia della gara di Baku, in Azerbaijan, morì il padre cui era legatissimo. Pianse al funerale, si asciugò le lacrime e due giorni dopo era in pista a fare la pole con la F2 e vincere la corsa senza farsi condizionare dall'emotività del momento e da uno stato d'animo che avrebbe prostrato chiunque. Per questo non deve stupire il modo in cui ha combattuto, superato e tenuto a bada il suo "capitano" Vettel [...]. Impressionante.[12]
- [...] non compio un azzardo a dire che Hamilton secondo me è uno dei cinque piloti più forti della storia della F1. Come Fangio era il campione degli Anni Cinquanta, Jim Clark quello degli anni Sessanta, Lauda il dominatore degli Anni '70, Senna degli anni Novanta e Schumacher il Re dei primi anni Duemila. Tutti loro in un modo o nell'altro hanno segnato una decade. Hamilton è il Re di quest'ultima. Se ci facciamo caso, di tutti quei leggendari campioni, Hamilton possiede un pezzetto delle rispettive qualità. Ha la dedizione di Lauda, la velocità di Senna, la determinazione di Schumacher, la longevità agonistica di Fangio. E poi il metro della bravura di un campione te lo dà il confronto interno a pari macchina. Uno può avere anche la migliore monoposto del mondiale, ma ce l'ha anche il suo compagno di squadra. E se uno macina regolarmente i colleghi di team, come ha fatto Hamilton negli anni con Alonso, Button, Rosberg e adesso Bottas, qualcosa vorrà dire no?[13]
- La F1 non è il calcio, dove basta cambiare allenatore per cambiare sistema di lavoro e risultati da una settimana all'altra. Nel mondo del pallone l'allenatore è una figura-chiave perché detta schemi, metodi di gioco e ritmi di allenamento. Ma è anche una sorta di motivatore psicologico della mente dei suoi atleti. Un ruolo determinante ai fini del risultato. Cambiando allenatore si sostituiscono sia gli schemi di gioco che la motivazione dei giocatori. Gli effetti si vedono in fretta. Non ci vogliono anni ma poche settimane. La F1 non funziona così. La F1 è fatta di tecnologia e progettazione, due compiti richiedono tempi lunghi; i telai si cominciano a progettare nove mesi prima che la macchina scenda in pista. Si inizia a disegnarla a giugno/luglio per farla correre a marzo dell'anno dopo. Per fare un motore nuovo servono poi mesi e mesi. In una squadra F1 sono coinvolte mille persone che vanno gestite, fatte collaborare fra di loro e soprattutto conosciute a fondo per saperne sfruttare le qualità e le competenze specifiche di ciascuno. Ai piloti poi non serve un mental coach ma un motore con un sacco di cavalli. E un buon telaio. Cambiare "l'allenatore", cioé il team principal, sarebbe ora soltanto un gran casino [...]. Significherebbe ricominciare da zero, perdendo almeno tre anni di riorganizzazione tra impostazione e progetti. Perché il nuovo arrivato [...] dovrebbe prima imparare a capire come funzionano le cose nell'azienda [...]. Poi conoscere i tecnici, capire il metodo di lavoro per decidere se funziona o no e se è il caso di impostarne un altro. Un ribaltone gerarchico, insomma, secondo me allungherebbe i tempi, quindi peggiorerebbe le cose invece di migliorarle. Provocherebbe il caos a tempi brevi, non la riscossa. Ci vorrebbero anni per far ripartire il lavoro secondo un nuovo metodo. [...] E poi c'è un problema non da poco: [...] Un team principal non è mica come l'allenatore di calcio; non è una figura che si trova così facilmente sulla piazza. Servono competenze politiche, gestionali, finanziarie, tecniche. E cultura sportiva automobilistica. Difficile trovare il giusto candidato in fretta [...]. La gente adatta si conta sulle dita di una mano.[14]
- Michele [Alboreto] era l'impersonificazione perfetta del pilota-gentiluomo. L'ultimo gentleman driver di un'epoca che non c'è più da tempo. Quella categoria di corridori che mettevano l'educazione, la signorilità e la disponibilità verso colleghi ed addetti ai lavori sopra ad ogni altra caratteristica caratteriale. Michele era di origini semplici, ma non si è mai montato la testa diventando uno sportivo di fama mondiale. Denaro e popolarità non lo hanno cambiato, come invece è capitato a tanti altri personaggi dello sport o dello spettacolo che si sono montati la testa. Alboreto no: ha sempre mantenuto quel carattere schietto e semplice degli inizi. Ha vissuto con discrezione e umiltà il suo ruolo di pilota. Proprio lui che è stato per cinque anni pilota Ferrari in F1 e quindi completamente al centro dell'attenzione; eppure è riuscito a non far mai parlare di sé per gli eccessi o per le polemiche, quanto per il suo stile e per l'altruismo del proprio comportamento. Nadia, sua moglie, e le due figlie Alice e Noemi possono essere fiere di aver avuto un marito e un padre che ha dato lezione di stile e di comportamento a tutto il mondo della F1.[15]
- [...] a differenza di tanti altri piloti Elio [De Angelis] era un signore nel vero senso della parola. Educato, colto, elegante, di buona famiglia, mai un gesto fuori dalle righe. Tranne uno: una ruotata molto aggressiva che nel '78 diede a Gaillard a Montecarlo alla curva del Loews per superarlo e andare a vincere la gara di Monaco F3. Ma lo assolvo: era più veloce del francese e in palio c'era la più importante gara del mondo di F3 davanti agli occhi dell'intera F1. Elio aveva gusti raffinati e sobri: amava suonare il pianoforte, e quando i piloti a Kyalami nel 1982 scioperarono clamorosamente chiudendosi in albergo per due giorni, Elio per far passare il tempo suonò al piano musica per tutti i suoi colleghi. Ve lo vedete un pilota con le mani sporche di grasso e abituato a stringere con forza un volante, far scorrere delicatamente quelle stesse dita sulla tastiera di un pianoforte? Ecco, Elio de Angelis era un po' una mosca bianca fra gli altri piloti F1 di quell'epoca rude. Era un signore, certo, ma in pista era anche dannatamente veloce.[16]
- Ci sono state tre epoche ben precise nella storia di Frank Williams: gli inizi, con la vita stentata nelle corse fatta di espedienti e sotterfugi per sbarcare il lunario, da fine anni Sessanta a metà anni Settanta; poi quella dei primi successi grazie ai soldi raccolti presso gli sponsor arabi, periodo che è andato dal 1977 fino al 1986, anno del suo incidente in auto. E infine il terzo periodo, il più glorioso ma triste: in cui ha raccolto successo e guadagnato tanto denaro in F1 ma che lo ha anche reso tetraplegico. Oggi tutti ricordano l'ultimo Frank Williams, il manager che nonostante fosse immobilizzato su una sedia a rotelle, riusciva a guidare la sua squadra con piglio forte e determinato. Un'epoca di trionfi serrati, con 5 mondiali Piloti vinti in appena dieci anni, da Piquet a Jacques Villeneuve. Ma anche di tragedie come la morte di Ayrton Senna a Imola a causa di un guasto tecnico di cui la squadra porterà sempre dentro di sé il rimorso. Ma il primo Frank Williams, quello che si barcamenava per riuscire a schierare in pista le sue monoposto prendendo pezzi di ricambio a prestito da amici e rivali, e che viveva alla giornata utilizzando una cabina telefonica stradale come collegamento per i contatti di lavoro perché non aveva nemmeno i soldi per affittare una sede, pochi lo conoscono. [...] Entrò nel mondo delle corse nel 1966, quando fondò la sua prima scuderia per far correre auto di F3 e F2, poi nel 1969 approdò finalmente alla F1. Che allora era ben diversa dal mondo scintillante di oggi. È in quegli anni che imparò bene la lingua italiana, perché fra il 1965 e il 1970 Frank Williams veniva spesso in Italia portando di nascosto pezzi di ricambio per auto da corsa inglesi per rivenderle a tutti i piloti italiani che gareggiavano con le piccole formule e che non riuscivano ad acquistare oltre Manica i ricambi di cui avevano bisogno. A furia di contrattare e scambiare soldi in cambio di ingranaggi, cambi, freni e frizioni, Williams riusciva a mettere insieme quei quattro soldi per sbarcare il lunario e pagarsi l'attività del suo team. Imparò sul campo l'arte della trattativa d'affari, del business e del mercanteggiamento. Che si rivelò molto utile quando un decennio dopo ebbe a che fare con i munifici sponsor dei paesi arabi che però, come tutti gli abitanti di quei luoghi, amano mercanteggiare quando si tratta di fare business. Tale era la sua frequentazione dell'Italia che nel giro delle corse lo chiamavano, o si faceva chiamare, Franco Guglielmi. La traduzione esatta del suo nome in italiano.[17]
- [...] devo dire che in tanti anni da inviato di F1, dove ho visto correre dal vero e battagliare piloti come Senna, Prost, Mansell, Schumacher — e sentire pure a volte le loro giustificazioni per certi azzardi — io uno scorretto nella guida come Verstappen non l'avevo mai visto prima. Ogni volta che va dritto in staccata per un sorpasso insiste per spostare l'avversario e tenersi la posizione. È sempre al di là delle righe. Quelle metaforiche, ma anche quelle bianche che delimitano la pista. Verstappen è un pilota fantastico, lo riconosco. E lo ammiro. Uno col piede di Senna e la grinta di Mansell. Un campione di talento. È bravo bravo bravo. Ma per me è troppo scorretto. È come uno che grida sempre per avere ragione. Lui non duella e basta; lui aggredisce e spintona l'avversario. Tira delle staccate impossibili per resistere al rivale, va fuoripista e quando rientra ostruisce l'avversario pensando di avere il diritto di restare lì davanti. Nel duello con Verstappen è sempre "l'altro", è sempre il suo avversario del momento che deve preoccuparsi di evitare il contatto e l'incidente. Lui non ci pensa: si butta dentro e sta al suo avversario del momento evitare la collisione. Non si guida così. Anche se sei il più bravo del mondo! [...] Lui non desiste mai. Questo sentimento è bello in un pilota, ma fino a un certo punto. Quando la manovra va male, con la staccata finisci lungo oppure l'altro ti mette le ruote dentro, devi imparare a mollare. Fa parte del gioco delle corse. Invece Verstappen non desiste anche quando la partita è persa. E questo comportamento ne fa un irresponsabile in tante occasioni.[18]
- Che cosa ha reso grande Villeneuve che pure non era un tipo affabile ed empatico, ma al contrario timido e scontroso? Il suo stile di guida spettacolare [...]. E poi il suo talento. La sua grinta. Le imprese impossibili che ha compiuto al volante della Ferrari. Villeneuve era la personificazione del Pilota con la P maiuscola. Tutto coraggio e temerarietà. Il cavaliere del Rischio per antonomasia. Un Nuvolari moderno. Rispecchiava quello che noi tutti, forse in privato sogniamo di essere: un supereroe con il mantello e i superpoteri capace di imprese impossibili. Vincere con un sorpasso mozzafiato all'ultimo giro oppure combattere e non arrendersi mai, cercare di portare la macchina al traguardo anche se a pezzi e senza ruote. Come Nuvolari divenne famoso per aver vinto una Mille Miglia superando Varzi a fari spenti nella notte per sorprenderlo in scia, così Villeneuve esaltò le folle concludendo un GP in Canada sotto la pioggia con l'alettone anteriore divelto, piegato davanti al casco che gli faceva da schermo e gli impediva di vedere la strada. Guidò sulla pista di Montreal a memoria, e per trovare il punto di inserimento in curva guardava di lato le tracce lasciate sul bagnato dalle gomme delle altre F1. Non sono tanto le vittorie che hanno esaltato la leggenda di Gilles, quanto le sue imprese al limite del disperato. [...] Ai tifosi Villeneuve piaceva perché era spettacolare, capace di imprese impossibili ed era il principale motivo per cui valeva la pena pagare il prezzo del biglietto di un Gran Premio. A Enzo Ferrari Gilles piaceva perché era uno che non si risparmiava: portava al limite le sue automobili e maciullava la meccanica stimolando i suoi progettisti a costruire auto sempre migliori e più solide. Solo a una certa F1 un po' altezzosa, le imprese esagerate di Gilles facevano storcere il naso. Alcuni piloti lo reputavano un pericolo pubblico perché guidava sempre al limite; diversi giornalisti e opinionisti lo snobbavano perché il suo atteggiamento spavaldo ed emotivo era così lontano dal freddo e razionale comportamento di Niki Lauda che aveva introdotto in F1 il concetto del pilota-computer, insensibile alle emozioni e portato a dosare al minimo i rischi. Gilles era l'esatto contrario.[19]
Addio Forghieri, il più grande degli ing. F1
auto.sabbatini.news, 3 novembre 2022.
- Mauro Forghieri era davvero il numero uno fra gli ingegneri e progettisti di auto da corsa. Non perché le sue Ferrari avessero vinto più titoli mondiali; questo no. Se contiamo rigidamente i campionati vinti, Adrian Newey fra Williams, McLaren e Red Bull per esempio ne ha conquistati almeno una decina, e anche Patrick Head e John Barnard possono vantarsi di aver raccolto altrettanti mondiali F1 e per di più in un periodo più breve. Ma Forghieri resta nella storia delle corse motorsport una eccellenza vera. Perché era un progettista vero. Completo. Il più eclettico. L’unico capace di disegnare una intera F1: dal telaio, al motore all'aerodinamica fino pure al cambio! Tutti gli altri sono specialisti. Tecnici fantastici ma specializzati in un solo aspetto della monoposto. Telaisti, oppure aerodinamici o ancora motoristi. Forghieri invece sapeva fare tutto della macchina. Sapeva progettarla e costruirla dalla prima all'ultima vite. Questa è stata la sua vera grandezza. Un genio. E questa dote eclettica purtroppo è anche quella che l'ha paradossalmente allontanato dal mondo della F1 quando ancora poteva dare tanto. Perché si era diffusa a un certo punto la mania della specializzazione spinta: si riteneva fosse più importante — per costruire la macchina — che una squadra avesse tanti specialisti di settore e non un'unica grande figura completa. Ma al di là del tecnico puro, di Forghieri mi ricordo la grandezza della sua figura umana. Era un signore. Nel vero senso della parola. Un uomo affabile e di cultura, prima che un ingegnere. Aveva una spiccata e innata curiosità per ogni vicenda umana. Era una mente aperta, non blindata dentro argomenti settoriali delle corse. In tre parole potrei definirlo un pozzo di cultura e di conoscenza. E poi sapeva disegnare benissimo. E questo non è scontato neanche per un progettista.
- La Ferrari P4 del 1967, l'auto che non riuscì a sconfiggere la Ford a Le Mans ma entrò nella storia per l'arrivo in parata alla 24 ore di Daytona. Uno schiaffo in casa propria che gli americani ancora si ricordano. Un prototipo V12 con motore 4,4 litri che doveva rivaleggiare con le Ford Mark IV di cilindrata quasi doppia. Un'auto dalle linee sinuose ed eleganti che vinse meno di quanto fosse bella ma che molti oggi considerano la Ferrari da corsa più bella della storia.
- Bella non era, perché era tozza, squadrata ed apparentemente ben poco aerodinamica. Ma la 312 T4 era l'esempio perfetto del motto coniato da Enzo Ferrari, che sosteneva che qualsiasi auto che vince diventa bella.
NoteModifica
- ↑ Da un post sul profilo ufficiale twitter.com, 22 marzo 2014.
- ↑ Dall'intervista di Antonio Azzano, Alberto Sabbatini tra Formula 1, giornali e nuovi media, formulapassion.it, 18 gennaio 2016.
- ↑ Dall'intervento a Circus! - Puntata 331 | Ospite Alberto Sabbatini e Gian Carlo Minardi, LiveGP.it, facebook.com, 18 gennaio 2021; citato in Carlo Luciani, Alberto Sabbatini ospite a 'Circus!': "Villeneuve simbolo di velocità e spettacolarità", livegp.it.
- ↑ a b Da L'innovazione cuore Renault. La casa francese è stata la prima a credere nelle monoposto elettriche, motori.quotidianodipuglia.it, 5 maggio 2018.
- ↑ Da Formula E, oggi sull'asfalto dell'Eur scendono in pista per il secondo anno i bolidi elettrici, motori.ilmattino.it, 13 aprile 2019.
- ↑ Da Raikkonen e quel debutto di 20 anni fa che impressionò pure Schumacher: «A 41 anni mi diverto ancora tanto», motori.ilmattino.it, 11 settembre 2020.
- ↑ Da Ferrari 296 GTB, al volante dell'ibrida di Maranello. La supercar con il V6 Phev da 330 km/h è "facile" ed emozionante, motori.ilmessaggero.it, 7 marzo 2022.
- ↑ Da Il quadrifoglio Alfa per vincere con la Ferrari, autologia.net, 6 aprile 2017.
- ↑ Da Ferrari 312B, la monoposto che ha cambiato la storia della F1: nei cinema solo per 3 giorni, autologia.net, 11 ottobre 2017.
- ↑ Da Morta Maria Teresa de Filippis, prima pilotessa F1, autosprint.corrieredellosport.it, 9 gennaio 2016.
- ↑ Da Rimpiangeremo la F1 di Ecclestone?, auto.sabbatini.news, 29 gennaio 2018.
- ↑ Da Leclerc: è nata una stella? Parliamone, auto.sabbatini.news, 1º aprile 2019.
- ↑ Da Quanto vale Hamilton nella storia F1, auto.sabbatini.news, 15 novembre 2019.
- ↑ Da Ferrari, perché non serve il "ribaltone", auto.sabbatini.news, 20 novembre 2020.
- ↑ Da Alboreto, vent'anni dopo, auto.sabbatini.news, 23 aprile 2021.
- ↑ Da Quel calembour per ricordare De Angelis, auto.sabbatini.news, 16 maggio 2021.
- ↑ Da Frank Williams e la F1, la storia segreta, auto.sabbatini.news, 30 novembre 2021.
- ↑ Da Verstappen ma quanto sei scorretto?, auto.sabbatini.news, 6 dicembre 2021.
- ↑ Da Villeneuve: 40 anni senza Gilles, auto.sabbatini.news, 8 maggio 2022.
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