Paolo Mieli
giornalista e saggista italiano (1949-)
Paolo Mieli (1949 – vivente), giornalista italiano.
Citazioni di Paolo Mieli
modificaCitazioni in ordine temporale.
- [Su Nilde Iotti] L'Italia seppe di lei per la prima volta la mattina del 15 luglio 1948. I giornali che raccontavano dell'attentato a Palmiro Togliatti, riferivano tra l'altro che una giovane deputata emiliana ventottenne, una "ragazzona dall'aria stravolta", tale Leonilde Jotti, s'era gettata sul corpo del leader comunista. Nessuno sapeva chi fosse. Nessuno, beninteso, tranne il gruppo dirigente del Pci.[1]
- [Su Francesco II delle Due Sicilie] La ridicolizzazione attraverso cui la storiografia post-risorgimentale ha consegnato ai posteri un'immagine storpiata di quel sovrano, è nient'altro che un'ennesima manifestazione di infierimento su un vinto.[2]
- Molti anni fa la mia firma capitò (me colpevole) in calce a uno di questi manifesti; nelle intenzioni dei promotori – e mia – quell'appello avrebbe dovuto essere a favore della libertà di stampa; ma, per una riprovevole ambiguità della formulazione, pareva che quel testo difendesse la lotta armata e incitasse al linciaggio di Luigi Calabresi. Poco dopo il commissario fu ucciso e io, a distanza di trent'anni, provo ancora vergogna per quella coincidenza. Come, credo (o quantomeno mi auguro), tutti coloro il cui nome comparve in fondo a quel foglio.[3][4]
- Caro Coscioni, la sua è una grande battaglia di civiltà e, per quel che vale, mi iscrivo anch'io alla corsa della "maratona" al suo fianco. [...] La libertà di ricerca scientifica è qualcosa di molto importante: non c'è da essere ottimisti ma, la prego caro Coscioni, stamane non si senta solo.[5]
- La difesa della libertà di stampa significa salvare per le future generazioni il lascito immenso della lettura, da cui dipende tutta intera la trasmissione del patrimonio culturale della nostra civiltà e la possibilità che continui ad esistere un valido sistema di istruzione.[6]
- Sono in molti [...] a pensare che l'Europa (così come la conosciamo oggi) abbia i giorni contati. Bassam Tibi, un immigrato siriano, tra i più autorevoli rappresentanti dell'islamismo dialogante in Germania, ha dichiarato sul «Welt am Sonntag» che «il problema non è se la maggioranza degli europei diventa musulmana, ma piuttosto quale forma di Islam è destinata a dominare in Europa: l'Islam della sharia o l'euroislam.[7]
- [Carlo Maria Martini] Un grande guardiano di confine.[8]
- La Massoneria ha sempre sostenuto i valori del Risorgimento, ma in modo rigido. Il risorgimento, invece, è fatto di luci ed ombre, come tutti i periodi storici, e che una associazione come la Massoneria, nata proprio per difendere una tradizione, inizi a metterla in discussione è molto importante. Il ruolo della massoneria nel Risorgimento è fondamentale, basti pensare che i grandi uomini dell’epoca, primo fra tutti Giuseppe Garibaldi, erano massoni.[9]
- Certo, sarà dura dover abbassare lo sguardo ogni volta che qualcuno ci rinfaccerà le due o trecentomila uccisioni volute da Assad. Ma, se vogliamo che la guerra contro l’Isis sia efficace, è giunto il momento di accantonare (temporaneamente) questi ricordi. E di farlo a testa alta, senza infingimenti, ammettendolo apertamente. Tanto più che, probabilmente, questo non sarà neanche il peggiore dei compromessi che ci verranno chiesti.[10]
- Il califfato islamico [...] affianca una lettura apocalittica dell’Islam con una burocrazia da stato di polizia che ha poco a che fare con le tradizioni ottomane del lontano passato, ma deve molto al partito Baath, basato sul modello sovietico; il concetto islamista della cospirazione demoniaca degli ebrei invece è un’eredità nazista. Insomma ci troveremmo al cospetto di un’unione infernale tra il peggio della storia d’Europa e di quella del Medio Oriente.[11]
- Quei curdi che, dopo aver aiutato per tre interminabili anni l'America e l'Occidente intero a debellare i terroristi di Daesh, sono stati lasciati in preda alle milizie sciite Hashd al-Shaabi guidate dal sanguinario Qasem Soleimani. E, con lui, a chiunque nella regione intenda approfittare del loro esser sfiniti dalla lunga guerra contro il Califfato per poterli sbranare una volta per tutte. Un tradimento orribile, il nostro. Quel popolo che, al prezzo di inimmaginabili sacrifici in vite umane, ci ha consentito di far saltare la centrale del terrorismo mondiale (senza che con ciò gli estremisti islamici, a ogni evidenza, possano esser considerati definitivamente debellati) proprio in questi giorni viene dato in pasto ai carnefici venuti dall'Iran e dall'Iraq.[12]
- Silvestri aveva conosciuto Mussolini quando erano entrambi socialisti e aveva appoggiato nel 1914 il suo passaggio dal pacifismo all'interventismo. Nel 1920 poi, Silvestri aveva provato a giustificare il nascente squadrismo in quanto «legittima reazione alle violenze rosse». Ma, dopo aver indagato, sul «Corriere» ne aveva denuciato gli eccessi. E, come risposta, aveva ricevuto dagli squadristi un pestaggio che lo aveva fatto finire in ospedale. Dopo aver puntato il dito contro Mussolini per il delitto Matteotti, Silvestri era stato segretario generale delle Opposizioni nella secessione parlamentare dell'Aventino. Nel 1925 fu processato e (in ottobre) nuovamente picchiato dalle camicie nere alla stazione di Milano, ciò che gli provocò una commozione cerebrale. Sarà poi radiato dall'Albo dei giornalisti e spedito al confino a Ustica, Ponza e Lipari.[13]
- [Su Carlo Silvestri] Tornato a Milano nel 1932, è una persona diversa. Scrive a Mussolini lunghe lettere sull'interpretazione di ciò che è accaduto nei primi anni Venti, ma il Duce non risponde. Ai tempi della guerra d'Etiopia scrive ancora, stavolta ai governi inglese e francese per spiegare le ragioni dell'Italia. Anche qui nessuno lo prende in considerazione. Chiede a questo punto la tessera del Partito nazionale fascista. Gli viene rifiutata. Quando l'Italia nel 1940 entra in guerra, viene internato a Chieti. Il medico personale di Mussolini, l'ex socialista Luigi Veratti, riesce a farlo liberare e lui scrive al dittatore un messaggio di ringraziamento untuoso a tal punto da far annotare al capo della segreteria politica del Duce: «È un buffoncello».[13]
- E arriviamo al 1943: la seduta del Gran consiglio del 25 luglio che porta alla caduta del fascismo; l'armistizio dell'8 settembre; la divisione dell'Italia in due con la nascita a Nord della repubblica di Salò. In novembre, a Milano, Silvestri viene arrestato a seguito di un attentato all'ufficio turistico tedesco. Stavolta è Mussolini in persona a intercedere per farlo rimettere in libertà. Lui lo ringrazia con lettere fin troppo affettuose in cui addirittura lo chiama «papà» (nonostante abbia appena una decina di anni meno di lui). Finalmente Mussolini lo riceve e nei primi colloqui tornano a parlare dell'uccisione di Matteotti. Il Duce lo convince che, all'epoca, era in procinto di «aprire ai socialisti» e che la «destra», per ostacolare questo disegno, gli avrebbe gettato tra i piedi quell'ingombrante cadavere. Silvestri sposa in pieno questa inverosimile versione dei fatti e a favore della tesi dell'estraneità di Mussolini all'uccisione del parlamentare socialista deporrà al processo del 1947 (come spiega il libro di Mauro Canali Il delitto Matteotti, edito dal Mulino).[13]
- Fece scalpore la circostanza che, a ridosso della breccia di Porta Pia, una delle prime decisioni del potere politico, dopo che Roma era stata «liberata dal giogo pontificio», fu quella di rimettere in libertà Antonio Gasbarrone, accreditando in quel modo la leggenda che quel brigante fosse stato recluso in quanto nemico di Papi e di governi reazionari. All'epoca l'ex bandito era un arzillo settantasettenne e, dopo quarantacinque anni trascorsi in prigione, non era più in grado di rimettere in piedi la sua banda né di riprendere attività delittuose.[14]
- [Sul brigante Antonio Gasbarrone] Lui, già celebre per un libro agiografico che gli era stato dedicato in Francia, raccontava storie sempre più rocambolesche, in gran parte inventate. I ragazzi per strada lo acclamavano educati da lui, riferisce Pesci, a ritenere «onorevole» il «mestiere di brigante», visto come colui che aveva avuto il coraggio di battersi contro i poteri costituiti. Quando il governo si accorse del passo falso e decise di mandarlo a vivere il più lontano possibile da Roma – nella Pia casa di Abbiategrasso (dove sarebbe morto nel 1882 all'età di ottantanove anni) – il danno era fatto. I primi anni di Roma capitale furono dunque vissuti all'insegna del mito di Gasbarrone. Ciò che non giovò alla fama della capitale.[14]
- Si chiamava Antonio Gasbarrone (o Gasparone), era nato ai confini tra Lazio e Campania e aveva combattuto contro il Papa, contro i Borbone, contro Napoleone, contro Murat, contro tutti insomma. Poco prima dell'arrivo di Stendhal a Civitavecchia, era stato arrestato grazie ad un saltafosso del vicario di Sezze, don Pietro Pellegrini, che lo indusse a consegnarsi prospettandogli un'immediata amnistia.[14]
- Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, morì a Parigi allo scader dell'Ottocento, il 29 novembre del 1899, colpita da apoplessia cerebrale. Aveva 62 anni. Da tempo viveva appartata e progettava una mostra di proprie fotografie che doveva inaugurarsi, pochi mesi dopo, in occasione dell'Esposizione universale, con il titolo La più bella donna del secolo. Una sorta di riscatto dal decadimento fisico e sociale.[15]
- [In riferimento alla liasion tra Virginia Aldoini e l'Imperatore Napoleone III di Francia] In quel momento – ai tempi della guerra di Crimea – per il Regno sabaudo era fondamentale stringere un'alleanza indissolubile con la Francia in funzione antiaustriaca. Con l'incoraggiamento di Vittorio Emanuele II (con il quale la contessa già nel 1855 aveva avuto un incontro amoroso fugace, ma destinato a ripetersi nel tempo, nonché, si disse, una sorta di tacito consenso del marito, Virginia Oldoini – intelligente, spregiudicata, con una qualche vocazione al mestiere dell'attrice – fu individuata come la persona adatta a saldare quell'asse. E lei si prestò. Con entusiasmo. Cavour parlò esplicitamente del suo piano in una lettera al ministro degli Esteri Luigi Cibrario: «Vi avverto che ho arruolato nelle file della diplomazia la bellissima Contessa di Castiglione, invitandola a conqueter ed a sedurre, ove d'uopo, l'Imperatore». Aggiungeva poi, l'allora presidente del Consiglio, che la dama si era già messa all'opera.[15]
- Nel gennaio del 1077, Enrico IV, colpito da un interdetto papale, aveva accettato la mediazione dell'abate Ugo di Clumy per riuscire ad essere ricevuto e «perdonato» dal pontefice. Prima dell'incontro aveva trascorso tre giorni al gelo nel piazzale innevato del castello di Canossa. Scalzo, vestito con un misero abito da penitente, l'imperatore si era poi inginocchiato ai piedi di Gregorio VII per ottenere la revoca della scomunica. Quell'umiliazione fece diventare Matilde, coprotagonista – assieme al papa e all'imperatore – del clamoroso evento. Divenne la donna più celebre del Medioevo, la più importate, forse, assieme a Giovanna d'Arco, vissuta tre secoli dopo di lei.[16]
Teletrasmesso su Rai 3, 1999
- [Sul nazionalismo serbo] Nasce da almeno sei, sette secoli. In pratica, nasce da una famosa battaglia persa dai progenitori di Milošević dal principe Lazaro, la famosa battaglia del campo dei merli, più volte evocata durante questa crisi. È una battaglia del 1389 in cui i serbi tentano di opporsi alla avanzata ottomana e vengono travolti e guidati dal principe Lazaro. Questa battaglia è una battaglia mitica, e oggi è raccontata così, in modo molto sommario. In realtà, i progenitori degli albanesi, degli albanesi kosovari, allora [...] erano divisi in clan e stavano dall'una all'altra parte. Oggi si racconta che questa battaglia come se fosse un [...] anticipazione delle battaglie di oggi. In realtà le cose erano più complicate già sei, sette secoli fa. Poi, durante i secoli, questa battaglia è rimasta nella memoria quasi come un evento mitico religioso, e Milošević [...] sfrutta la prossimità della ricorrenza dei sei secoli [...] nell'ottantanove, dei sei secoli di quella battaglia, per ordire una sorta di colpo di Stato [...] dentro la sua repubblica.
- I serbi hanno avuto, in questi secoli, un ruolo fondamentale europeo. Dapprima, i serbi sono stati un baluardo forte, anche sotto la dominazione turca ottomana, contro appunto questa dominazione a favore dell'Europa. [...] Quando i turchi portarono l'assedio a Vienna nel 1683, fu fondamentale la resistenza che gli fecero i serbi. I serbi, all'inizio del secolo nelle guerre balcaniche, nel 1912-13 hanno inferto colpi alla dominazione ottomana che l'hanno fatta crollare. E poi, durante tutto il secolo, quando ci sono stati i grandi conflitti, i serbi stavano dalla parte giusta. Sono stati contro la Germania sia nella prima e nella seconda guerra mondiale. [...] Nella seconda guerra mondiale ebbero dalla parte dei croati lutti infiniti. In più, [...] la comunità serba subì delle persecuzioni in Croazia raccapriccianti. Ci fu a Zara nel maggio del '91 una notte dei cristalli, in cui picchiatori croati andarono a sfasciare i negozi esattamente come a Berlino. E poi, per capire bene che razza di tipi sono i croati, bisogna dire che [...] dopo che fu riconosciuta la Croazia, un pezzo di Croazia rimase in mano ai serbi. [...] Nel '96, poco tempo fa, furono respinti e fu provocato un esodo di centinaia di miglaia di serbi fuori dalla Croazia.
- Quel Milošević è il suo popolo, e la vicenda non si risolverà se non succederà quello che è accaduto in Germania, in Austria, in Giappone dopo la guerra, cioè una grande presenza internazionale che svelenisce gli animi per un congruo numero di anni, dopodiché questi paesi hanno dimostrato di [...] riprendere una vita democratica.
Da Nella storia
Corriere.it, 14 luglio 2005
- Quella del Papa polacco è stata una Chiesa che ha dato un apporto fondamentale al processo da cui è uscito in frantumi l'impero sovietico ma ad un tempo non si è poi messa in alcun modo «al servizio» o più semplicemente al traino dei vincitori della guerra fredda, gli Stati Uniti d'America.
- Va riconosciuto che al cospetto di Karol Wojtyla persino il mondo dei non cattolici è stato obbligato, eccezion fatta per qualche residuo, a mettere in soffitta toni, argomenti e stilemi del tradizionale anticlericalismo e anzi ad emendarsi non senza qualche fatica e sofferenza da essi.
- Wojtyla è stato il Papa del dialogo interreligioso, della mano tesa al mondo ebraico e musulmano, del riconoscimento dei torti della propria parte. Qualcosa a ben pensarci di davvero atipico, unico nella Storia universale.
Note
modifica- ↑ Dall'articolo Una storia d'amore e di politica, La Stampa, 28 marzo 1987
- ↑ Da I Mille di Franceschiello, La Stampa, 9 luglio 2000.
- ↑ Fu tra i 757 sottoscrittori dell'appello de L'espresso contro il commissario Calabresi.
- ↑ Da Attenti alle firme in calce agli appelli e ai manifesti, Corriere della Sera, 3 luglio 2002.
- ↑ Dalla risposta alla lettera al Corriere di Luca Coscioni, 20 dicembre 2002; citato in Libera scienza: la “maratona” di Luca Coscioni, RadicalParty.org.
- ↑ Da La libertà di stampa, Corriere.it, 24 dicembre 2004.
- ↑ Da Oriana Fallaci, la Cassandra trascurata dai chierici, Corriere.it, 24 dicembre 2004.
- ↑ Citato in Aldo Grasso, La preziosa lezione del cardinal Martini, Corriere.it, 23 marzo 2011.
- ↑ Citato in Catanzaro - con Mieli e Bisi si fanno " i conti con la storia del Risorgimento", Strill.it, 29 marzo 2015.
- ↑ Da Gli attentati a Parigi e le colpe di Assad (l'alleato), Corriere.it, 19 novembre 2015.
- ↑ Da Quei paragoni sbagliati sull’Isis, Corriere.it, 23 marzo 2016.
- ↑ Da I meriti dimenticati del popolo curdo, Corriere.it, 1º novembre 2017.
- ↑ a b c Da Tipi bizzarri nella RSI spiccano nell'ultima stagione fascista le figure eccentriche di Silvestri e Cione, Corriere della Sera, 10 novembre 2020.
- ↑ a b c Da Il fuorilegge acclamato Dopo Porta Pia il brigante Gasbarrone divenne un mito perché ostile al Papa, Corriere della Sera, 16 febbraio 2021.
- ↑ a b Da Seduzione patriottica La Contessa di Castiglione contribuì con il suo fascino all'unità italiana, Corriere della Sera, 11 ottobre 2021.
- ↑ Da L'attualità di Matilde, Corriere della Sera, 15 novembre 2011.
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