La leggenda del pianista sull'oceano

film del 1998 diretto da Giuseppe Tornatore

La leggenda del pianista sull'oceano

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Titolo originale

The Legend of 1900

Lingua originale inglese, italiano e francese
Paese Italia
Anno 1998
Genere drammatico
Regia Giuseppe Tornatore
Soggetto Alessandro Baricco (Novecento)
Sceneggiatura Giuseppe Tornatore
Produttore Giuseppe Tornatore
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani
Note

La leggenda del pianista sull'oceano, film italiano del 1998 con Tim Roth, regia di Giuseppe Tornatore.

Frasi modifica

  • Me lo chiedo ancora se ho fatto bene ad abbandonare la sua città galleggiante... e non lo dico solo per il lavoro. Il fatto è che un amico come quello, un amico vero, non lo incontri più se solo hai deciso di scendere a terra, se solo vuoi sentire qualcosa di solido sotto i piedi e se poi intorno a te non senti più la musica degli dei... ma, come diceva lui, non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla. Il guaio è che nessuno crederebbe a una sola parola della mia storia! (Max Tooney)
  • Quando non sai cos'è, allora è jazz! (Uomo) [a Max Tooney]
  • Quello che per primo vede l'America... su ogni nave ce n'è uno... e non bisogna pensare che sia il caso, o una questione di diottrie. È il destino. Quella è gente che da sempre ci aveva già quell'istante stampato nella vita... e quando erano bambini tu potevi guardarli negli occhi e se guardavi bene già la vedevi, l'America! Io ne ho viste di Americhe... Sei anni su quella nave, cinque viaggi all'anno, Europa-America e ritorno, sempre a mollo nell'Oceano! Quando scendevi a terra non riuscivi neanche a pisciare dritto nel cesso. Lui era fermo, il cesso voglio dire, ma tu continuavi a dondolare come un idiota, perché da una nave si può anche scendere, ma dall'Oceano... (Max Tooney)
  • Novecento! Quante volte te l'ho detto che quassù tu non devi metterci piede, specialmente se si tratta di commettere furti! [Novecento ha appena rubato una torta nelle cucine della nave] Rimetti subito il bottino al suo posto e torna giù nella tua tana, se non vuoi che ti spedisca all'orfanotrofio! (Capitano Smith) [un attimo prima che Novecento gli spiaccichi la torta in faccia]
  • Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede... se Dio è negro. (Max Tooney)
  • Perché perché perché perché perché... Mi sa che voi sulla terra sprechiate troppo tempo a porvi troppi perché. D'inverno non vedete l'ora che arrivi l'estate, poi d'estate avete paura che ritorni l'inverno. Per questo non vi stancate mai di viaggiare, di rincorrere il posto dove non siete: dove è sempre estate. Non dev'essere un bel lavoro... (Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento)
  • Santa Rosalia! Miracolo! – Ma quale Santa Rosalia, la Madonna di Lourdes è! La Madonna di Lourdes! (La folla degli emigranti)
  • Non vi sto raccontando balle e non sono un matto, se vi dico che c'è un uomo a bordo del Virginian, Gesù Cristo, vuol dire che c'è un uomo a bordo del Virginian!! (Max Tooney)
  • Sapeva leggere Novecento, non i libri. Quelli sono buoni tutti. Sapeva leggere la gente, i segni che la gente si porta addosso, posti, rumori, odori. La loro terra, la loro storia, tutta scritta addosso. Lui leggeva e con cura infinita catalogava, sistemava, ordinava in quella immensa mappa che stava disegnandosi in testa. Il mondo magari non l'aveva visto mai, ma erano quasi trent'anni che il mondo passava su quella nave. Ed erano quasi trent'anni che lui su quella nave lo spiava. E gli rubava l'anima. (Max Tooney)
  • [parlando del suo primo viaggio sul Virginian] Fu il giorno più felice della mia vita. Tutta quella gente con la speranza dipinta negli occhi, e quei saluti, e le sirene, e quel mondo galleggiante che cominciava a muoversi! Mi sembrava una gran festa, una gran festa tutta per me... ma appena tre giorni dopo l'Oceano si stancò dei festeggiamenti, così, di improvviso, in piena notte, gli girarono i coglioni e cominciò l'inferno! [viene mostrata la nave in mezzo all'Oceano in tempesta] Ora, uno che su una nave suona la tromba, non è che quando arriva la burrasca possa fare un granché, può giusto evitare di suonare la tromba, tanto per non complicare le cose... però io non ci resistevo là dentro. Nel cervello mi ronzava una sola frase: ha fatto la fine del topo! E io non la volevo fare, la fine del topo.
  • [vedendo Max vomitare in un vaso a causa della burrasca] Ehi, Conn, qual è il problema? Non sai andare sull'acqua? Sei tu il nuovo trombettista, non è vero? E la tua tromba è una Conn, eh? Vieni con me. Ce l'ho io la cura per la tua sofferenza. Vieni! (Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento)
  • Sembrava che il mare ci cullasse. E mentre volteggiavamo tra i tavoli sfiorando lampadari e poltrone capii che in quel momento quello che stavamo veramente facendo era danzare con l'oceano. Noi e lui, ballerini pazzi e perfetti stretti in un torbido valzer sul dorato parquet della notte! Oh yeah! (Max Tooney)
  • Quello che mi piace fare di più quando torno a Parigi è piazzarmi sotto la Torre Eiffel al tramonto, aspettare quelli che si buttano di sotto, e provare ad individuarne la nazionalità in base all'urlo che lanciano prima di sfracellarsi al suolo. (Max Tooney legge la frase, detta da Novecento al senatore americano Wilson in un'intervista)
  • Mio padre una volta mi ha detto di aver sentito la voce del mare. (La ragazza friulana)
  • Aveva la faccia di uno che non scherzava, uno che sapeva benissimo dove stava andando. Era come quando si sedeva al pianoforte e attaccava a suonare: non c'erano dubbi nelle sue mani, era come se i tasti aspettassero quelle note da sempre. Sembrava che inventasse lì per lì, ma da qualche parte, nella sua testa, quelle note erano scritte da sempre. Adesso so che quel giorno, Novecento aveva deciso di sedersi davanti alla tastiera della sua vita, per iniziare a suonare la sua musica più assurda e che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. (Max Tooney)
  • Il mare urlava: Banda di cornuti, la vita è una cosa immensa, avete capito? Immensa. (Contadino friulano)
  • Tutta quella città... non si riusciva a vederne la fine...
    La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
    Era tutto molto bello, su quella scaletta... e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c'era problema.
    Non è quello che vidi che mi fermò, Max
    È quello che non vidi.
    Puoi capirlo? Quello che non vidi... In tutta quella sterminata città c'era tutto tranne la fine.
    C'era tutto.
    Ma non c'era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
    Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita.
    Questo a me piace. In questo posso vivere.
    Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai... Quella tastiera è infinita.
    Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
    Cristo, ma le vedevi le strade?
    Anche soltanto le strade, ce n'erano a migliaia! Ma dimmelo, come fate voialtri laggiù a sceglierne una.
    A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire.
    Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce, e quanto ce n'è.
    Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla...
    Io ci sono nato su questa nave. E vedi, anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave, tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita.
    Io ho imparato a vivere in questo modo.
    La Terra... è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.
    Non scenderò dalla nave.
    Al massimo, posso scendere dalla mia vita. In fin dei conti, è come se non fossi mai nato.
    Sei tu l'eccezione, Max. Solo tu sai che sono qui... e sei una minoranza. Non ti resta che adeguarti.
    Perdonami amico mio, ma io non scenderò. (Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento)
  • Uno come lui non fa la fine di uno qualsiasi, non è nel suo stile. (Max Tooney)
  • [Ultime parole] Ehi Max, sai però che musica con due mani destre! Se solo lassù riesco a trovare un pianoforte... (Novecento)

Dialoghi modifica

  • Max [voce narrante]: Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa e la vedeva. È una cosa difficile da capire... voglio dire, ci stavamo in più di mille su quella nave, tra ricconi in viaggio, emigranti, gente strana e noi, eppure c'era sempre uno, uno solo, che per primo la vedeva. Magari era lì che stava semplicemente mangiando, o passeggiando sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare e la vedeva. Allora si inchiodava, lì, dov'era, gli partiva il cuore a mille, e sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava...
    Passeggero: America!!! [tutti i passeggeri della nave esultano]
    Max [voce narrante]: E ne ho persi di bei soldi scommettendo su chi sarebbe stato il primo a vederla, l'America!
  • Novecento bambino: Che cos'è una mamma, Danny?
    Danny Boodmann: Una mamma? Be', una mamma è un cavallo.
    Novecento bambino: Un cavallo?
    Danny Boodmann: Un cavallo da corsa. Anzi, sai che ti dico? Le mamme sono dei purosangue, i migliori cavalli da corsa del mondo. Se punti su una mamma vinci sempre.
  • Marinaio [entrando nella cabina del capitano Smith, che sta dormendo, e scuotendolo per svegliarlo]: Comandante! Comandante, si svegli!
    Capitano Smith: Lasciami dormire...
    Marinaio: Comandante, venga con me, presto!
    Capitano Smith: Oh Cristo... Si affonda? Si affonda?!
    Marinaio: No, molto di più!
    [viene mostrato che tutto l'equipaggio sta osservando Novecento bambino, il quale si era nascosto nella nave dopo la morte di Danny Boodmann ed è ricomparso suonando il pianoforte in prima classe con eccezionale bravura, senza che nessuno glielo abbia insegnato]
    Passeggera: Ma come si chiama?
    Capitano Smith: Novecento.
    Passeggera: Non la canzone... il bambino.
    Capitano Smith: Novecento!
    Passeggera: Come la canzone!
    Max [voce narrante]: Avrebbe voluto chiedere molte cose, il capitano Smith, in quel momento, per esempio "Dove cazzo hai imparato a suonare il pianoforte?", oppure "In quale maledetto buco della nave ti eri nascosto?" e ancora "Da dove Cristo la stai prendendo questa musica che ti entra nelle vene senza che te ne accorgi?", ma era un uomo in divisa e quello che riuscì a dire fu solo...
    Capitano Smith: Novecento, tutto questo è assolutamente contrario al regolamento!
    Novecento bambino: In culo il regolamento!
  • Novecento: Dimmi un po', hai bambini tu?
    [Max, aggrappato al pianoforte che scivola nella sala da ballo di prima classe durante la tempesta, scuote la testa]
    Novecento: Oh, merda, ti rinchiuderanno in un orfanotrofio prima o poi!
    Max:...È pazzo. [Sempre aggrappato al pianoforte che scivola nella sala da ballo di prima classe durante la tempesta, mentre il lampadario cade e si ferma poco sopra di loro, urla] Mamma!
    Novecento [tranquillissimo]: Vedo però che ti intendi di cavalli.
    Max: Eh? Solo un po'.
  • Max: Che cosa hai fatto per tutti questi anni?
    Novecento: Ho suonato.
  • [Nel presente]
    Max: Fu a Boston, nell'estate del 1931, che sul Virginian salì Jelly Roll Morton, tutto vestito di bianco, e un diamante al dito grosso quanto una polpetta! Perfino le giarrettiere erano tempestate di diamanti!
    [Nel 1931, al porto]
    Giornalista: Jelly Roll, che ci vai a fare in Europa un piroscafo se non hai mai messo piede su una nave che andasse su e giù per il Mississippi?
    Jelly Roll Morton: Io me ne fotto dell'Europa! Vado su questa nave di merda soltanto per incontrare un tipo di cui si dice in giro che accordi bene il piano! [le persone intorno ridono] Ma dicono anche che non vuole mettere piede a terra! [batte il bastone per terra]
    Novecento [assistendo da bordo della nave]: Sta parlando di me?
    Musicista: Certo che sta parlando di te!
    Jelly Roll Morton: Un giorno arriva uno stronzo e mi fa: "Ehi, Jelly, c'è uno che suona il pianoforte meglio di te!". Allora mi sono detto: "Cazzo, come fa a suonare bene uno che non ha nemmeno le palle per scendere da una stupida nave? Ehi, per Dio, Jelly, tu hai inventato il jazz!" [le persone intorno ridono]. Allora mi sono detto: "Puoi anche pagartelo di tasca tua un biglietto per l'Europa, puoi anche pagarti la nave solo alzando un dito!" [ai fotografi] Scattate pure, ragazzi! Scattate pure!
    Max [mentre Jelly Roll Morton continua ad urlare frasi sprezzanti contro Novecento]: Dì la verità: hai paura?
    Novecento: Non lo so. Perché un duello? Che succede in un duello?
    Max [voce narrante]: Sembrava che non gli interessasse molto la cosa... che non la capisse neanche bene... però era curioso. Voleva sentire come diavolo suonava l'inventore del jazz. Non lo diceva per scherzo, ci credeva che quello fosse davvero l'inventore del jazz! Credo che avesse in mente di imparare qualcosa di nuovo. Era fatto così, lui, un po' come il vecchio Danny: non aveva il senso della gara, non gli fregava niente sapere chi vinceva, era il resto che lo stupiva, tutto il resto!
  • Jelly Roll Morton: Io credo che tu sia seduto al mio posto!
    Novecento: Lei è quello che ha inventato il jazz, vero?
    Jelly Roll Morton: Già, così dicono. E tu sei quello che sa suonare solo se ha l'oceano sotto il culo, vero?
    Novecento: Questo lo dico io! [tende la mano a Morton, che non la stringe]
    Jelly Roll Morton: Excusez-moi, s'il vous plait. [Novecento si allontana, mentre Morton si siede al pianoforte e inizia a suonare]
    Max [voce narrante]: Jelly Roll Morton non suonava: sfiorava le note. Era come una sottoveste di seta che scivola via dal corpo di una donna. Le sue mani erano farfalle, leggerissime. Aveva iniziato nei bordelli a New Orleans, lì aveva imparato ad accarezzare la tastiera. Quelli che facevano l'amore al piano di sopra non volevano baccano, volevano una musica che scivolasse dietro le tende e sotto i letti, senza disturbare. Lui faceva quella musica lì, e in quello, veramente... era il migliore!
  • [Durante il duello musicale tra Jelly Roll Morton e Novecento, mentre Morton sta suonando e dopo che Novecento ha suonato due brani decisamente banali]
    Novecento: Ehi, Max!
    Max: Eh?
    Novecento: Dammi una sigaretta.
    Max: Tu non stai bene, te lo dico io!
    Novecento: Tu dammi una sigaretta.
    Max: Non hai mai fumato! Ma che ti succede, tu suoneresti meglio di quel coglione anche con una mano sola! Svegliati!
    Novecento [mentre tutti applaudono Morton, che ha finito di suonare]: Allora, questa sigaretta?
    Max: Ci toccherà spalare carbone per almeno cent'anni e la sola cosa che sai dire è...
    Novecento: Dammi questa cazzo di sigaretta!
    [Max dà la sigaretta a Novecento, il quale si alza tra i fischi del pubblico, solleva la sigaretta, la appoggia sul pianoforte iniziando a suonare, suona un brano molto lungo e difficile e, una volta concluso, avvicina la sigaretta alle corde del pianoforte facendola accendere e mostrando che le corde sono diventate incandescenti, poi si dirige verso Morton, che è arrabbiatissimo, e gli porge la sigaretta]
    Novecento: Fumala tu. Io non sono capace. [il pubblico esulta ed applaude entusiasta e Novecento viene portato in trionfo]
    Max [voce narrante]: Jelly Roll Morton passò il resto del viaggio chiuso nella sua cabina. Arrivati a Southampton, scese dal Virginian e se ne tornò in America. Mi ricordo che Novecento lo guardò, mentre si allontanava sul molo deserto, e tutto quello che riuscì a dire fu...
    Novecento: E in culo anche il jazz!
  • [Dopo aver sentito la registrazione]
    Novecento La mia musica non andrà dove non ci sono io.
    Discografico: Abbiamo un contratto. Non può tornare indietro.
    Novecento: Io torno sempre indietro.
  • Max [raccontando di quando Novecento non riuscì a regalare il suo disco alla ragazza di cui era innamorato]: Non mi parlò più di quella donna, né io gli chiesi mai di farlo, almeno durante le dodici traversate successive. Del resto era allegro, come sempre. La sua popolarità era al culmine, nessuno di noi poteva sospettare che cosa stava covando sotto la cenere della sua apparente allegria... finché, una serata di primavera, a metà strada fra Genova e New York, proprio in mezzo all'oceano... cadde il quadro!
    Venditore: Come sarebbe a dire "cadde il quadro"?
    Max: Nonno, non te lo sei mai chiesto perché cadono i quadri?
    Venditore: No, veramente.
    Max: A me m'ha sempre colpito tutta questa faccenda dei quadri!
    Venditore: Ma che cazzo c'entra il quadro!
    Max: C'entra! Perché a Novecento quella famosa notte andò come va per i quadri: stanno su per anni, e poi, senza che accada nulla, ma nulla, dico... "FRAN"! Giù, cadono. Stanno lì, attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, però loro, a un certo punto, "FRAN"! Cadono lo stesso. Nel più assoluto silenzio, con tutto immobile intorno, non... una mosca... che vola, e loro... "FRAN"! Non c'è una ragione! Perché proprio in quell'istante? Non si sa! "FRAN"! Cos'è che succede ad un chiodo per farlo decidere che proprio non ne può più? Eh? C'ha una anima anche lui, poveretto? Prende delle decisioni?
    Venditore: Sediamoci, sediamoci! [si siedono]
    Max: Eh, eh! Ne ha discusso a lungo col quadro, il chiodo? Erano incerti sul da farsi? Ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante preciso? O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato? "Guarda, io mollo tutto fra sette anni". "Per me va bene". "Allora intesi per il 13 maggio". "Ok". "A mezzogiorno". "Facciamo a mezzogiorno e tre quarti". "D'accordo, allora buonanotte". Sette anni dopo, il 13 maggio, a mezzogiorno e tre quarti... "FRAN"! [il venditore mugola innervosito] È impossibile da capire, è una di quelle cose che... che è meglio che non ci pensi, sennò esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e scopri che non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi "Io devo andarmene da qui". Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando una sera, in mezzo all'oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto... mi guardò negli occhi e...
    Novecento [nel passato]: Domani a New York scenderò da questa nave.
    Max [di nuovo al venditore]: "FRAN"! Ci rimasi di stucco!
  • Novecento [vedendo che Max è rimasto allibito quando gli ha detto di voler scendere dalla nave]: Hai perso la lingua?
    Max: Oh, no... sono contento! Ma così, all'improvviso?
    Novecento: Proprio così, all'improvviso. [Max ride]
    Max: Bene! Finalmente!
    Novecento [serio]: Devo vedere una cosa laggiù.
    Max: Cosa?
    Novecento: Il mare.
    [Max singhiozza in quanto il boccone che stava mangiando gli è andato di traverso]
    Max: Il mare?!
    Novecento: Il mare.
    Max: Mi prendi per il culo? Sono trentadue anni che lo vedi, il mare!
    Novecento: Da qui. Io voglio vederlo da là, non è la stessa cosa.
    Max: Aspetta di essere in porto, ti sporgi e lo guardi per bene! È la stessa cosa!
    Novecento: Non è la stessa cosa. Se uno vede il mare dalla terra può sentirne la voce, da una nave no.
    Max: Come sarebbe "sentire la voce"?
    Novecento: La voce. La voce è... più che un urlo gigantesco... e ti dice che la vita è una cosa immensa, e solo quando gliel'hai sentito dire sai veramente cosa fare per continuare a vivere. Posso rimanere anni qua sopra, ma il mare non mi dirà mai niente! Invece adesso scendo, vivo sulla terra per qualche anno, divento uno normale, come gli altri, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi, guardo il mare, e l'ascolterò gridare!
    Max [ridacchiando]: Io non lo so chi ti ha detto queste cazzate o se te le stai inventando tu, ma vuoi sapere cosa penso? Io penso che la tua vera ragione per scendere è quella ragazza [che si è scoperta essere la figlia dell'anziano viaggiatore italiano che ha raccontato a Novecento di aver sentito la voce del mare]! È sempre una ragazza... ma anche se non fosse così, mi va bene tutto, e lo sai perché? Perché io ho sempre voluto che tu scendessi e andassi a suonare per la gente che abita sulla terra, e sposassi una donna simpatica, e avessi dei figli, e tutte quelle cose della vita, che magari non è immensa... ma vale la pena!
    Novecento: Però mi verrai a trovare, Max? Sulla terra?
    Max: Certo! Così me la farai conoscere, la mamma dei tuoi figli. E mi inviterai anche a pranzo. Io porterò dei dolci, e una bottiglia di vino. Voi mi direte che non dovevo disturbarmi, e... mentre mi farai visitare la casa, a forma di nave, tua moglie cucinerà il tacchino. Poi ci metteremo a tavola. Io dirò che lei è un'eccellente cuoca e lei dirà che tu le hai parlato spesso di me. [si schiarisce la gola] Sai, voglio regalarti il mio cappotto di cammello, così farai un bel figurone quando arriverai laggiù!
    Novecento: Ma potrò fare figli con un cavallo? [Max ride]
  • Passeggero napoletano: A-aa-a-a...
    Altro passeggero: L'America!!
    Passeggero napoletano: Mannaggia 'a miseria! 'O vulevo dicere je 'o vulevo dicere! Mannaggia![1]

Citazioni su La leggenda del pianista sull'oceano modifica

  • Tornatore è una persona tranquilla, gentile e molto siciliano. Ma non dimentichiamo che nella Leggenda del pianista sull'oceano l'altro personaggio straordinario è Morricone, perché protagonista è la musica. (Tim Roth)

Note modifica

  1. «Mannaggia la miseria! Volevo dirlo io volevo dirlo! Mannaggia!»

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