Joseph Campbell

saggista e storico delle religioni statunitense

Joseph Campbell (1904 – 1987), saggista e storico delle religioni statunitense.

Joseph Campbell

Citazioni

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  • Credo che la persona che accetta un lavoro allo scopo di sopravvivere – in altre parole, per il denaro – faccia di sé stesso uno schiavo.[1]

Le maschere di Dio – Mitologia occidentale

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  • Chiunque abbia un minimo di familiarità con la dea degli antichi mondi orientali non può non riconoscere nella Bibbia personaggi ricorrenti in quelle varie culture, anche se più o meno trasfigurati. Per esempio, nella scena di Eva e dell'albero, nulla indica che il serpente tentatore fosse a sua volta una divinità che era stata venerata nel Levante per almeno settemila anni prima della composizione del Libro della Genesi. (p. 15)
  • La straordinaria peculiarità del serpente di cambiare la pelle, e così di rinnovarsi, gli ha fatto assumere in tutto il mondo il carattere di signore del mistero della rinascita, di cui la luna, che sorge e svanisce, che cresce e diminuisce, è il segno celeste. (p. 15)
  • [Sul serpente] Dimorando nella terra, fra le radici degli alberi, e frequentando le sorgenti, le paludi ed i corsi d'acqua, si sposta con un movimento ondeggiante; oppure sale come una liana fra i rami, cui si appende come qualche frutto velenoso. Inoltre suggerisce subito un'immagine fallica e, come animale che inghiotte, anche l'immagine dell'organo femminile; in tal modo, è investito di un doppio valore simbolico sicuramente in grado di suggestionare l'immaginazione umana. Analogamente, si crea la duplice associazione con il fuoco e con l'acqua, derivata dal suo attacco fulmineo, dal dardeggiare della sua lingua biforcuta e dal suo liquido velenoso. Il battito della sua coda, come nel leggendario uroboro, suggerisce l'immagine delle acque che, in tutte le mitologie arcaiche, circondano e permeano l'isola circolare della Terra, che vi galleggia sopra. (p. 16)
  • Le letterature dell'Età del Ferro sia dei Greci ariani e dei Romani, sia dei Semiti del Vicino Levante ripetono il tema della sconfitta, da parte di un eroe solare, di uno spregevole mostro appartenente ad un precedente ordine divino e possessore di qualche tesoro: una terra, una fanciulla, dell'oro o semplicemente il proprio potere.
    Il principale esempio biblico è la vittoria di Yahweh sul serpente del mare cosmico, il Leviatano, di cui egli stesso si vanta con Giobbe. (p. 30)
  • Abbiamo chiare testimonianze in tutto il testo biblico che il Signore Yahweh era egli stesso un aspetto del potere del serpente; era lo sposo-serpente della dea-serpente del caduceo, la Madre Terra. Pensiamo anzitutto al bastone con cui Mosè spaventò il faraone. [...] Quello stesso bastone fece scaturire in seguito acqua dalla roccia del deserto. E quando il popolo del deserto se la prese con Yahweh, questi, come leggiamo, inviò fra il popolo serpenti feroci, che morsero la gente, cosicché molti morirono... Allora Mosè pregò per Israele. E Yahweh gli disse: «Costruisci un serpente e mettilo sopra un palo; chi sarà morsicato e lo guarderà, si salverà», Così Mosè fece un serpente di bronzo e lo pose su un palo; e se un serpente morsicava qualcuno, questi guardava il serpente di bronzo e restava in vita. [...] Non ci meraviglieremo allora di apprendere che il nome della tribù sacerdotale di Levi, la preferita di Yahweh, derivò dalla stessa radice verbale del termine Leviatano e che, quando alla fine apparvero pitture del dio non-raffigurabile, la sua forma fu quella di un dio con gambe a forma di serpente. (p. 39)
  • Nessun buon cattolico si inginocchierebbe davanti ad un'immagine di Iside. Tuttavia, tutti i motivi mitici attribuiti ora dogmaticamente a Maria come essere umano storico appartengono anche – e sono appartenuti nel periodo e nel luogo di sviluppo del suo culto – a quella dea-madre di tutte le cose, di cui sia Maria sia Iside erano manifestazioni locali: la sposa-madre del dio morto e risorto, le cui prime rappresentazioni note vanno oggi fatte risalire almeno intorno al 5500 a.C. (p. 54)
  • Gli studiosi hanno spesso notato come il nome della grande dea-madre in questo racconto babilonese della creazione, ti'amat sia collegato etimologicamente al termine ebraico tehom, «l'abisso», del secondo verso della Genesi, e che come il vento di Anu spirò sull'abisso e quello di Marduk sulla faccia di Tiamat, così in Genesi 1, 2, «il vento [lo spirito] di Elohim aleggiava [o spirava] sulla superficie delle acque». Inoltre, come Marduk sistemò la metà superiore del corpo materno come un tetto con le acque di sotto, così in Genesi 1, 7, «Elohim fece il firmamento e separò le acque che erano sotto il firmamento da quelle che erano sopra». Di nuovo, come Ea sconfisse Apsu e Marduk sconfisse Tiamat, così fece Yahweh con il mostro marino Rahab (Giobbe 26, 12-13) e con il Leviatano (Giobbe 41; Salmi 74, 14).
    Non ci sono dubbi che le varie storie bibliche della creazione derivino da un mito generale sumero-semitico, di cui il poema babilonese della creazione è un esempio. Ma si è anche notato – talvolta con puntiglio – che fra la Bibbia e questo racconto epico «le divergenze», per citare uno studioso, «sono assai più numerose e più significative delle rassomiglianze». La Bibbia rappresenta uno stadio successivo della cultura patriarcale, in cui il principio femminile, rappresentato nella precedente Età del Bronzo dalla grande dea-madre e in questo poema da un mostro femminile, è ridotto al suo stato più elementare, al tehom, e solo la divinità maschile è in grado di creare, così come in passato aveva fatto la divinità femminile. (p. 102)
  • Secondo la concezione cristiana, tutto il genere umano ha ereditato dalla prima coppia una natura corrotta, che ha talmente oscurato la ragione, indebolito la volontà ed inclinato al male che, senza il miracolo dell'assunzione su di sé da parte di un Dio misericordioso della colpa e della punizione dovuta per quel peccato, la razza umana sarebbe rimasta per sempre lontana dalla conoscenza, dall'amore, dallo spirito di servizio e dalla beatitudine del suo Creatore. Viene così nettamente respinta l'ottimistica concezione orientale secondo cui, attraverso un processo d'introversione, l'uomo può realizzare la propria divinità interiore (identificazione mitica); infatti, secondo la mitologia cristiana, esiste soltanto un'anima corrotta, che non è divina in se stessa e che non è capace di stabilire da sola un rapporto con Dio (dissociazione mitica), il quale, nella sua clemenza, ha predisposto una via, una luce, nella persona di suo Figlio, la cui sacra Croce ha controbilanciato l'Albero della caduta (restaurazione mitica). (pp. 134-135)
  • La leggenda della nascita di Mosè risulta chiaramente modellata sulla storia della nascita di Sargon di Accad (2350 a. C.), e non è di origine egiziana, poiché in Egitto non si usò il bitume, o la pece, prima dell'epoca tolomeica, quando fu introdotto dalla Palestina. (p. 150)
  • Secondo la nuova concezione mitica di Zoroastro, il mondo era corrotto – per così dire – non per natura, ma per un preciso evento, ed andava cambiato dall'azione umana. La saggezza, la virtù e la verità stavano, dunque, nell'impegno, non nel distacco. E la linea di divisione fra essere e non-essere era di tipo etico. Infatti, la creazione era in origine luminosa, saggia e vera, e solo in seguito erano penetrati in essa l'oscurità, la falsità e la menzogna; ed ora il compito dell'uomo era quello di sradicare il male attraverso la propria virtù nel pensiero, nella parola e nell'azione. (p. 220)
  • Oltre alla prima novità dell'atteggiamento etico di Zoroastro, esiste la seconda novità della sua visione progressiva della storia cosmica. Non si tratta più dell'antico ciclo eterno delle arcaiche mitologie dell'Età del Bronzo, ma di un'irreversibile successione di creazione, caduta e progressiva redenzione, che culminerà in una vittoria finale, decisiva e inoppugnabile del Dio della Giustizia e delle Verità. (p. 220)
  • L'Antico Testamento dimostra un grande interesse verso l'obbedienza ad una moltitudine di ordini apparentemente arbitrari di questo tipo (tabù alimentari, leggi sabbatiche, divieto di culto delle immagini, circoncisione, endogamia, ecc.). Anche nello Zoroastrismo esiste un grande interesse per simili questioni: matrimonio endogamico, taglio dei capelli e delle unghie, legno secco per il fuoco, impurità mestruale, ecc. Ma quando si confrontano gli aspetti fondamentali delle due tradizioni – al di là dell'elevazione dei costumi tribali a leggi cosmiche –, emergono evidenti le profonde differenze.
    La concezione biblica, ponendo la caduta all'interno della storia umana come un'offesa a Dio, nasconde l'elemento di sfida a quel Dio, denigra la natura umana e favorisce l'interpretazione storica del mito; invece l'altra concezione cosmica si presenta come una filosofia che si serve di simboli, diventando, come dimostrano i secoli successivi, la principale fonte d'ispirazione di ogni spiritualità che mise in discussione l'egemonia del letteralismo biblico in Occidente. (pp. 238-239)
  • Lo scopo ultimo del profeta Zoroastro era stato quello di provocare, attraverso il proprio insegnamento, la trasfigurazione della terra, in seguito alla quale il mondo sarebbe tornato com'era agli inizi, libera da oscurità, dolore e morte. (p. 240)
  • L'evento mitologico ricorrente della morte e della resurrezione di un dio, che era stato per millenni il mistero centrale di tutte le grandi religioni del Vicino Oriente, divenne nel Cristianesimo un avvenimento storico che era accaduto solo una volta e che aveva contrassegnato il momento della trasfigurazione della storia. (p. 383)
  • Questo concetto di Messia è molto diverso da quello ortodosso ebraico, dove il Messia non è considerato Dio. [...] Invece, la leggenda cristiana, fin dai primi tempi (ma la data è incerta), utilizzò un motivo già ben noto sia nella mitologia greca – per esempio, nei miti di Leda e del Cigno, di Danae e della Pioggia d'Oro – sia in quella zoroastriana del Saoshyant. (p. 385)
  • [Sul Vangelo secondo Marco] Qui non si parla della nascita verginale. Ma essa non viene menzionata neppure da Paolo o da Giovanni evangelista; ed i due brani di Matteo e di Luca potrebbero essere tarde interpolazioni. Inoltre, in Matteo e in Luca appaiono due genealogie assai differenti; ma tutt'e due ricollegano Gesù alla casata di Davide per mezzo di Giuseppe. È quindi ragionevolmente sicuro che nel primo stadio di sviluppo – strettamente ebraico – di questa leggenda, l'idea del tutto non ebraica della nascita dell'eroe da un dio non abbia alcun ruolo, e che l'episodio del battesimo d'iniziazione nel Giordano abbia contrassegnato l'inizio della missione messianica. (pp. 401-402)
  • È chiaro che la commovente leggenda del Cristo crocifisso e risorto – storica o non storica – diede nuovo calore, immediatezza e umanità agli antichi motivi dei cicli di Tammuz, Adone e Osiride. In effetti, furono proprio quegli antichi miti, presenti in tutto il Mediterraneo orientale, a fornire il terreno propizio alla crescita e alla diffusione della leggenda cristiana. (pp. 414-415)
  • Il ruolo di Costantino nella storia del Cristianesimo può essere paragonato a quello di Ashoka nella storia del Buddhismo. Entrambi agirono tre secoli dopo il loro maestro, ed entrambi trasformarono una religione indifferente alla politica ed anche all'ordine sociale in una religione di stato. [...] Mentre, però, Ashoka predicò e praticò la non-violenza e la tolleranza religiosa, Costantino si impegnò, appena ebbe conquistato il trono, ad estirpare due eresie. (p. 442)
  • La maschera di Dio chiamata Allah è un prodotto di quello stesso deserto da cui provenne, secoli prima, la maschera di Yahweh. In effetti, il termine Yahweh [...] non ha un'origine ebraica, ma araba. Quindi siamo costretti, in qualche misura, a dar credito all'affermazione di Maometto secondo cui un popolo di origine semitica era stato il primo adoratore del Dio proclamato nella Bibbia.
    In quanto Dio di un popolo semitico del deserto, Allah rivela, come Yahweh, i caratteri di una tipica divinità tribale semitica, il primo dei quali è di non essere immanente, ma trascendente. Questi Iddii non possono essere scoperti nella natura, esterna (per mezzo dell'indagine scientifica) o interna (per mezzo della meditazione). Infatti, la natura non può contenerli. Ed il secondo carattere è legato al primo: ossia, per ogni tribù semitica, quel dio è colui che protegge e che dà le leggi al gruppo locale, e solo ad esso. Egli si fa riconoscere non nel sole, nella luna o nell'ordine cosmico, ma nelle leggi e negli ordinamenti locali, che differiscono, ovviamente, da un gruppo all'altro. Perciò, mentre tra gli Ariani, per i quali le principali divinità erano quelle della natura, c'era sempre e dappertutto una tendenza a riconoscere la propria divinità nei culti stranieri (ossia, una tendenza al sincretismo), la tendenza dei Semiti, nel culto dei loro dei tribali è sempre stata verso l'esclusivismo, il separatismo e l'intolleranza. (p. 495)
  • Nessuna mente adulta si riferirebbe oggi al Libro della Genesi per conoscere le origini della terra, delle piante, degli animali e dell'uomo. Non ci fu nessun diluvio, nessuna torre di Babele, nessuna prima coppia in paradiso, e fra la prima comparsa degli uomini sulla terra e le prime costruzioni di città non passò una sola generazione (da Adamo a Caino), ma almeno due milioni. Oggi ci rivolgiamo alla scienza per immaginare il passato e la struttura del mondo, e ciò che rivelano i roteanti demoni dell'atomo e le galassie osservate al telescopio è di tale meraviglia che al confronto la torre di Babele sembra un sogno infantile. (p. 596)
  • Una prova della posizione avanzata dell'Europa sulla via del rispetto dell'individuo è il fatto che, mentre il massacro da parte di Hitler di cinque milioni di Ebrei provoca (giustamente) l'orrore di tutti, quello da parte di Stalin di venticinque milioni di Russi passa quasi sotto silenzio, e l'attuale massacro cinese è del tutto trascurato. Sia in Oriente sia in Occidente, tale disumanità viene ritenuta normale per l'Est, mentre dall'Ovest ci si attende qualcosa di meglio. Infatti, fu soltanto in Europa che il principio del giudizio e della responsabilità individuale si sviluppò in relazione non ad un ordine fisso di presunte leggi divine, ma ad un contesto mutevole di realtà umane, razionalmente governate. (p. 598)
  1. Citato in Will Tuttle, Cibo per la pace, traduzione di Marta Mariotto, Sonda, Casale Monferrato, 2014, p. 173. ISBN 978-88-7106-742-1

Bibliografia

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  • Joseph Campbell, Le maschere di Dio – Mitologia occidentale, traduzione di Claudio Lamparelli, Arnoldo Mondadori Editore, 1992, ISBN 8804336332

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