Jean-Baptiste-Louis Crevier

letterato e storico francese

Jean-Baptiste-Louis Crevier (1693 – 1765), letterato e storico francese.

Storia degli imperatori romani del Crevier in un'edizione inglese del 1755

Storia degli imperatori romani da Augusto sino a Costantino modifica

  • Sejano è noto a tutto il mondo come l'esempio il più rinomato del prodigioso innalzamento, e della spaventevole caduta di un favorito, che si abusa della sua fortuna. (tomo III, libro VI, p. 7)
  • Sejano aveva tutto ciò, ch'è necessario per formare quei gran scellerati, autori del rovesciamento degli Stati, e delle più terribili rivoluzioni. Un corpo dei più forti e robusti per tollerare la fatica: un'audacia smoderata, unita ad una profonda dissimulazione: il talento di rendere se stesso accetto e caro, e di screditare ed avvilire gli altri: sapeva far uso egualmente dell'adulazione e dell'arroganza secondo il bisogno: mostrava all'esterno un'aria di modestia, mentre era internamente divorato dal desio di regnare. E per riuscire impiegava qualche volta le liberalità, e l'esca del lusso e della dissolutezza, il più sovente l'attività e la vigilanza, qualità lodevoli in se stesse, ma che divengono estremamente nocevoli, quando non si finge di averle che per soddisfare l'ambizione. (tomo III, libro VI, pp. 8-9)
  • Questo celebre uomo, [Gneo Domizio Afro] lodato sovente da Quintiliano come il più grande Oratore che avesse udito, era nato a Nimes, Colonia Romana, ed essendosi trasferito a Roma per migliorare fortuna, camminava attualmente per la strada degli onori. Era stato poco tempo prima Pretore; ma siccome non occupava, che un rango mediocre nella Città, così cercava le occasioni di farsi nome a qualunque prezzo si fosse. Accusò dunque Claudia [Pulcra, pronipote di Augusto] di adulterio con Furnio, di sortilegi, e di operazioni magiche dirette contro l'Imperatore. (tomo III, libro VI, pp. 29-30)
  • Era più difficile di aver accesso presso Sejano, che presso l'Imperatore. Il favore di una udienza di questo insolente Ministro, non si otteneva che con caldissime istanze, e colla disposizione di servirlo nei suoi ambiziosi progetti. Si afferma, che lo spettacolo della servitù, esposto in questa occasione sotto i suoi occhi, accrebbe di molto la sua arroganza. (tomo III, libro VI, pp. 44)
  • [...] la Storia non istruisce soltanto col racconto delle virtù: ella presenta esempj di ogni spezie, ma sempre lezioni, quando si sappia approfittarsene. (tomo III, libro VII, pp. 139)
  • [Caligola] Giammai Principe alcuno ritrovò salendo al Trono, in quelli che dovevano a lui ubbidire, più favorevoli disposizioni. Era amato dalle Armate e dalle Provincie, che quasi tutte l'avevano visto fanciullo in compagnia di Germanico suo padre, da lui accompagnato non solo al Reno, ma anche in Oriente. L'amore incredibile del Popolo Romano per Germanico cadeva sovra suo figlio, e le disgrazie della sua famiglia avevano reso questo sentimento ancora più tenero: aggiungendovi quello della commiserazione. Usciva da una tirannia, sotto la quale aveva per lungo tempo gemuto, e l'odio contro Tiberio cangiavasi in affetto per Cajo[1]. (tomo III, libro VII, pp. 143)
  • Trajano non ebbe alcuno di que' vizi che direttamente nuocono alla società, e possedette altresì in alto grado le virtù contrarie, la modestia, la clemenza, l'amore della giustizia, e l'alienazione del fasto, ed una giudiziosa liberalità, la quale trovava sorgenti inesauribili nella sua saggia e prudente economia. Il Genere Umano felice sotto il suo Governo, gli ha dato a divedere il suo riconoscimento con una stima, e con una ammirazione, che ancora al giorno d'oggi sussistono. (tomo IX, libro XVIII, p. 43)
  • [Trajano] Ho più di una volta parlato della sua passione pel vino, da cui fu, secondo un Autore, obbligato a prendere l'ignominosa precauzione di vietare, che fossero eseguiti gli ordini, che dava dopo un lungo pranzo. Le sue dissolutezze contro natura debbono ricoprirlo d'una eterna infamia. Ardisco di annoverare parimente tra i suoi difetti il suo insaziabile ardore per la guerra, i cui buoni eventi lo fecero levare in superbia, e i di cui sinistri successi gli cagionarono grande afflizione negli ultimi anni della sua vita. (tomo IX, libro XVIII, p. 44)
  • Commodo s'era fin da' suoi primi anni dimostrato quale fu poi in progresso: privo di elevatezza d'animo, di sentimento, e di coraggio, pieghevole a tutte le cattive impressioni, e contumace a qualunque sorta di bene, che si voleva ispirargli; una fortissima inclinazione al piacere, ed una violenta avversione alla fatica. Se aveva qualche abilità, l'aveva unicamente per quelle cose, che non convenivano al suo rango. Sapeva giostrare, ballare e cantare: era commediante e gladiatore. Ma i maestri, che suo padre gli mise intorno, perché gli formassero l'ingegno e il cuore, e le lezioni di saviezza e di virtù, ch'egli stesso gli diede, non trovarono in questo Principe né ingresso né buona volontà. (tomo X, libro XX, p. 10)
  • Cleandro era a parte di tutti i piaceri, o per meglio dire, di tutte le dissolutezze di Commodo, ed avendosi in tal modo guadagnata la sua confidenza, fu per qualche tempo il rivale di Perenne[2], e alla fine sostenuto dalla fazione de' liberti del palazzo, di cui era il capo, giunse a rovinarlo. Erede del suo potere, se n'abusò con tutta la malvagità propria di un animo vile, e recò nel ministero tutti i vizj della servil condizione. Tutto era in vendita appresso di lui, i posti de' Senatori, i comandi dell'armate, i governi di Provincia, e le Prefetture, e si faceva pagar caramente. (tomo X, libro XXI, p. 74)
  • Cleandro per moltiplicare i suoi guadagni moltiplicava le cariche, e nominò, il che non s'era veduto giammai, venticinque Consoli per un solo anno. Non rispettava né le Leggi, né le cose giudicate. Chiunque aveva denaro a dargli, era sicuro di essere assoluto[3], qualunque delitto avesse commesso; o reintegrato, se era stato precedentemente condannato, e bene spesso ancora con aumento di dignità e di splendore. (tomo X, libro XXI, p. 75)
  • [Cleandro] Non prese subito da principio la carica di Prefetto del Pretorio troppo sproporzionata alla bassezza della sua condizione, ma si spianò ad essa la via degradandola, e avvilendola con frequenti mutazioni. Faceva e disfaceva i Prefetti del Pretorio a suo talento. Ve n'ebbe uno di cinque giorni, e un altro di sei ore. Finalmente quando Cleandro credette di aver ridotta questa potente carica proporzionata al suoi grado, la conferì a se medesimo, prendendosi due colleghi, che erano sue creature, e che dipendevano interamente da lui. Allora si videro per la prima volta tre Prefetti del Pretorio. (tomo X, libro XXI, p. 76)
  • La gloria di Pertinace uguagliava e superava ancora lo splendore delle sue dignità. Erasi dimostrato ugualmente capace degl'impieghi militari e civili. Bravo ed abile guerriero, il suo nome, era divenuto il terrore de' Barbari; ed aveva nel medesimo tempo saputo mantenere la disciplina con severità tra le truppe inquiete e sediziose. Nel Governo di Roma si diportò con tale dolcezza, affabilità, e bontà, che gli conciliarono l'amore d'ogni uno. Semplice modello a segno tale, che riconosceva anche allora per suo protettore Lolliano Avito[4], a cui era divenuto per lo meno uguale, ma per cui conservò sempre gran riverenza e gratitudine, essendo egli stato il primo autore della sua fortuna; nemico del lusso, e amatore della frugalità, la Storia altro non gli rinfaccia, che un'economia troppo eccessiva, e il costume di promettere più di quello che avesse intenzione di mantenere per contentare con belle parole coloro, a cui non poteva soddisfare coll'opera. (tomo X, libro XXI, p. 108)
  • [Pertinace] La stima per la sua virtù era universale. Quando arrivò nelle Provincie, la novella della morte di Commodo, e dell'elezione di Pertinace, i popoli esitarono a prestarle credenza. Temettero che quella non fosse un'insidia, tesa da Commodo per avere occasione di esercitare le sue crudeltà, e le sue rapine. In quella incertezza molti Governatori presero il partito di attendere la conferma, e di far anche metter prigione i corrieri, essendo certi, che se la nuova fosse vera, Pertinace avrebbe loro di leggieri perdonato un fallo, che non procedeva da cattiva volontà. I popoli alleati dell'Imperio non avevano di lui una men vantaggiosa idea. Il suo inalzamento gli ricolmò di allegrezza; ed inviarono a gara Ambasciatori per congratularsene col Senato, e col Popolo Romano. (tomo X, libro XXI, p. 117)
  • Se Niger fu un Generale severo verso i suoi soldati, fu dall'altro canto suo protettore contro l'ingiustizia. I soldati Romani erano in certo modo tributarj di coloro, che gli comandavano, ed erasi introdotto l'uso, che pagassero certe supposte tasse, che degeneravano in vessazioni. Soppresse queste esazioni nell'armate, di cui ebbe il comando; proibì agli Offiziali il ricevere alcuna cosa da' loro soldati, e ne fece lapidar due, che s'erano resi colpevoli di tal sorta di estorsione contro il suo divieto. Aveva su questo proposito frequentemente in bocca un bellissimo detto. Diceva che un Offiziale deve farsi temere e rispettare da' suoi soldati, e che non può mai ottener questo, quando non sia senza colpa e senza macchia in quello, che concerne l'interesse. (tomo X, libro XXII, p. 153)

Note modifica

  1. Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico detto Caligola.
  2. Tigidio Perenne (125 circa – 185/186), politico e prefetto del pretorio dell'Impero romano.
  3. assolto, forma antica del part. passato di assolvere.
  4. Questo senatore da Vittore è chiamato Lollio Genziano. Ma egli è certamente quel desso che Capitolino nella vita di Pertinace n. 1 denomina Lolliano Avito. [N.d.A.]

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