Carlo Picchio

avvocato, giornalista, germanista e traduttore italiano (1888-1977)
(Reindirizzamento da Il crepuscolo di un eroe)

Carlo Picchio (1888 – 1977), scrittore, giornalista e traduttore italiano.

La nemica di Cartagine

Storia Illustrata, Anno IV, N. 1, gennaio 1960, Arnoldo Mondadori Editore

Un itinerario archeologico-storico in Sicilia può avere la sua stazione di partenza a Siracusa, la colonia ellenica più antica dell'isola, dopo quella di Naxos fondata da Teocle di Calcide intorno al 735 a. C. Ma mentre di Naxos restano appena pochi metri di muro a secco e dubie tracce di una necropoli a Capo Schisò, presso i Giardini di Taormina, Siracusa ha saputo serbare il suo nome e custodire le superbe vestigia della sua antichità.

Citazioni

modifica
  • Sorta per opera d'una colonia di Corinti, guidata da un Archia, appena vent'anni dopo Roma, Siracusa fu, prima di Roma, la maggiore città d'Europa, raggiungendo, e forse superando, il milione d'abitanti e facendosi, a sua volta, metropoli, cioè madre di nuove città, come Acre, Casmene e Camarina, con le quali cercò di frenare l'espansione della sua rivale Gela.
  • Dal V al III secolo a. C. Siracusa fu la zecca più importante della Sicilia.
  • Monumento più vivo d'ogni altro, perché ancora operoso, è il Teatro greco di Siracusa. È uno dei maggiori del mondo ellenico e fu scavato da Gerone I nella roccia ai piedi della collina di Terminite, in vista della città, del Porto Grande e del mare.
  • [Teatro greco di Siracusa] Qui furono rappresentati i Persiani di Eschilo per commemorare la vittoria riportata da Gelone di Siracusa su 300.000 cartaginesi ad Imera nel giorno stesso (20 settembre del 480 a. C.) in cui Temistocle sconfiggeva i Persiani a Salamina. Qui, su queste gradinate, sedettero Eschilo e Pindaro e Platone, e qui è tornato oggi ad aver voce il dramma classico.
  • Da Siracusa si può arrivare, toccando Ragusa e Vittoria, sulla costa meridionale dell'isola attraverso gli Iblèi, i monti ricchi di sapida flora che già divisero con l'Imetto dell'Attica la fama d'alimentatori d'innumerevoli arnie e la gloria di produttori di miele con cui gli antichi raddolcivano il loro vino robusto.
  • Città agricola più che marinara, fondata da coloni dori di Rodi 45 anni dopo Siracusa e 108 anni prima di Agrigento, l'antica Gela visse sempre anni di travagliatissima vita lottando con i sicani dell'interno e, quando un uomo geniale, Gelone, parve darle ordine e lustro, vide il suo principe trasferire a Siracusa la propria corte, e divenne città seconda dopo la più splendid emula, finché non la superò anche lo splendore della sua stessa colonia Agrigento.
  • Nel 406 a. C. Cartagine distrusse Gela; fece poi grazia, nel 400, agli abitanti e concedette loro di ritornare alle loro dimore purché non ricostruissero le mura abbattute.
  • Uno dei giorni più luminosi nella storia di Gela fu quello in cui Timoleonte, che allora reggeva Siracusa, restituì alla città, con le sue mura, l'antica dignità.
  • Da Gela ad Agrigento la strada che corre lungo il margine meridionale dell'isola, ma raramente si affaccia sul mare, non offre grande interesse. Tuttavia il cuore vi batte più forte quando appare, sul suo aspro acrocoro, alta sulla Valle dei Templi e in vista del mare, Agrigento, la più giovane e la più fastosa delle colonie greche di Sicilia, patria di Empedocle (e, perché no? di Pirandello), che Pindaro nella sua seconda Pitica chiamò la più bella città dei mortali.
  • Come Corinto e Sibari, Agrigento fu città di piacere. I suoi ricchi allevarono cavalli da corsa che precorse l'entusiasmo degli ippòfili d'Irlanda.
  • La più luminosa giornata di Agrigento fu quella del ritorno di Epeneto, vincitore delle gare di Olimpia.
  • Se la Sicilia aveva certo i migliori conii del mondo, le monete d'Agrigento superavano tutte le altre per finezza di disegno e d'incisione.
  • Le grandi meraviglie di Agrigento sono raccolte nella Valle dei Templi e sono, tra le altre, il Tempio della Concordia, perfetta opera dell'architettura dorica, sacro probabilmente ai Diòscuri; il Tempio chiamato, per errore, di Giunone Lacinia, e il Tempio di Giove Olimpico, il maggiore degli edifici sacri di Sicilia.
  • Là dove fu Selinunte la spiaggia deserta e il colore unico del paesaggio lasciano in tutti una impressione che non si dimentica. Il senso di morte che a volte emana dalle rovine non è qui superato dalla vicinanza di un centro abitato, poiché non può dirsi tale il branco di case di Marinella, appartato presso la stazione. Anche la mancanza dei nomi delle divinità di ciascuno dei templi, che sono contrassegnati ora da nude e fredde lettere: A, B, C, D, E, F, G. O, concorre ad accrescere l'impressione di squallore, mentre la mente a stento ricompone l'antica grandezza.
  • L'escursione a Piazza Armerina giova altresì come orientamento geografico poiché sgorgano qui le acque che scendono poi a formare il Gela, il fiume dal nome siculo che significò freddo o gelido e da cui fu chiamata l'antica città dove si spense e fu sepolto Eschilo nel 456 a. C. Di lei porta ora il nome quella che, fino al 1927, fu Terranova di Sicilia.
  • Piazza Armerina, pittoresca, posta su tre colli, è medioevale, barocca e moderna e non fu meta di amanti delle antichità classiche fino ad una trentina di anni addietro quando, in contrada Casale, in una grande villa romana, furono scoperti dei meravigliosi mosaici pavimentali.
  • [Timoleonte] Molti chiamano Timoleone questo Garibaldi antico dal cuore di fiamma, il quale consacrò la vita alle battaglie per la libertà e sbarcò egli pure, con una schiera di suoi volontari, in Sicilia, chiamato dal grido d'angoscia di Siracusa asservita.
  • [Timoleonte] Volle che fossero rialzate le mura di Gela, e noi amiamo rievocare il giorno in cui Timoleonte, che anche era un gagliardo oratore, e già aveva suscitato l'entusiasmo dei siracusani parlando dal proscenio del loro teatro, annunciò i Geloi che più non erano dei servi esposti all'arbitrio di qualunque nemico cui piacesse di varcare il loro confine, ma erano cittadini con armi e difese.
  • Segesta, o, come la dissero i greci, Egesta, sorgeva presso il monte Barbaro, a ridosso dei colli dov'è Calatafimi. Vi si arriva presto da Castelvetrano in grazia di una configurazione dell'isola che, nella parte occidentale, verso Capo Lilibeo, si restringe ed avvicina la costa meridionale a quella del nord.
  • Intorno a Salemi, sul parallelo di Marsala, correva l'instabile confine tra Segesta e Silinunte, le due grandi rivali.
  • Fu un romano, Verre, il rapace protettore della Sicilia, a fare gran guasto a Segesta, depredandola, tra l'altro, del simulacro di Diana, insigne opera d'arte, ma anche venerato come protettore della città.
  • Segesta non era città marinara, sebbene sul mare il suo "emporio" pressappoco là dove ora è Castellamare del Golfo. E prima della conquista romana la sua storia non fu dissimile da quella delle altre minori città siciliane, costrette a fiutare sempre, e spesso ingannandosi, il vento di Cartagine o di Siracusa. Soprattutto fu storia di lotte con Selinunte, di cui Segesta non riuscì, peraltro, mai ad eguagliare lo splendore.
  • Tindari, colonia di Siracusa, ne seguì le sorti; fu poi fedele alleata di Roma e, infine, la distrussero gli arabi. Secoli e secoli di dolori e di speranze, di battaglie e di lutti si compendiano in queste brevi parole.
  • Ai romani era cara Tindari. Ricordava loro un atto d'audacia di uno dei loro eroi più generosi, Attilio Regolo. Fu qui, al largo di Capo Tindari, in quello che oggi è chiamato Golfo di Patti, che nel 257 a. C. l'eroico Regolo aggredì la flotta punica più forte di quella romana. L'esito della battaglia fu incerto. Ma Roma decretò al suo generale il trionfo.
  • Imera è a circa centoventi chilometri ad est di Castellamare del Golfo e, in mezzo, c'è nientemeno che Palermo.
  • Una sosta ad Imera, patria di Stesicoro che fu detto "ordinatore dei cori". Colonia messinese, Imera fu certo grande cultrice di poesia e di bellezza, e ne fa fede la leggenda stessa di Stesicoro che – si diceva – osò scagliare lirici dardi velenosi contro la mitica Elena e fu, per questo, punito con la perdita della vista. Ma quando Stesicoro, con una nuova lirica, cioè con un'opera d'arte, che egli chiamò Polinodia, ritrattò le sue ingiurie, tornò a splendere anche per i suoi occhi la luce.
  • Il nome d'Imera è legato soprattutto alla famosa battaglia che vide, nel 480 a. C., sconfitto un formidabile esercito punico. Trecentomila uomini, si disse allora; forse esagerando. Certo Cartagine fece, in quel giorno, uno sforzo immane, e tanto maggiore fu perciò la sua disfatta. [...] La fama di questa vittoria riempie per decenni, e per secoli, l'isola intera. Neppure fu cancellata dalla riscossa punica quando settant'anni dopo, un Annibale Barca, nipote del primo Amilcare, assalì Imera e la distrusse.
  • In basso la costa sicula sfuma verso Catania; lo Stretto splende d'azzurro e i monti di Sicilia si levano da ogni parte con inattesi profili. E su tutti grandeggia candido l'Etna, la Montagna per antonomasia, a ricordare la potenza del fuoco che, oltre le vicende degli uomini, è la vera, immortale anima dell'isola.

Il crepuscolo di un eroe

Storia Illustrata, Anno IV, N. 1, gennaio 1960, Arnoldo Mondadori Editore

Nella meravigliosa storia del cavallo s'incontra una nota di prosa soltanto in principio, nel tempo in cui il quadrupede nobile fu bestia da carne e da latte per gli uomini delle caverne che lo domarono nell'età della pietra. Ma dall'era dei metalli in poi, cioè da quando il cavallo diventò animale da tiro e, assai più tardi, da sella, la sua storia è segnata sempre dal ritmo sonante dell'epoca. Il cavallo, generoso e veloce, rende possibili i primi grandi viaggi ampliando a dismisura il breve raggio del cammino pedestre.

Citazioni

modifica
  • La tradizione cinese attribuisce ad un remoto imperatore Ci-Mung l'invenzione dell'arte del cavalcare.
  • Gli Avari, gente tartarica, affermavano con orgoglio di discendere dal connubio di un dio con un'illustre giumenta.
  • Per i Greci erano tirati da cavalli il carro del sole e quello di Poseidone. È anzi Poseidone che crea il cavallo facendolo balzare dalla rupe dell'Acropoli con un colpo del suo magico tridente.
  • La potenza militare e politica nell'Età di Mezzo si misura a cavalli. L'uomo a cavallo non è soltanto più forte, è anche socialmente superiore al pedone. L'aristocrazia è montata. La sua disciplina si chiama cavalleria.
  • E ancora il cavallo è mezzo, strumento principe di conquista. I cosacchi del Don galoppano fino al mare di Ochotsk, recando le insegne degli Zar sul Pacifico dove sorgerà poi quella che si chiamerà Wladivostock, la «Dominatrice d'Oriente».

Oggi ancora la gloria e l'autorità del cavallo sono salvate dall'ippica e dureranno fino a che si correrà un derby, finché vi saranno fantini da grido e irlandesi pronti ad esaltarsi nel turf e a puntare tutto ciò che posseggono su di un purosangue d'illustre progenie.