Raniero Cantalamessa

cardinale e teologo italiano, predicatore della Casa pontificia dal 1980
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Raniero Cantalamessa (1934 – vivente), cardinale, teologo e predicatore italiano dell'Ordine dei frati minori cappuccini.

Raniero Cantalamessa nel 2020

Citazioni di Raniero Cantalamessa

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  • Accanto alla gratuità, il servizio esprime un'altra grande caratteristica dell'agápe divina: l'umiltà. Le parole di Gesù: "Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri", significano: dovete rendervi a vicenda i servizi di un'umile carità. Carità e umiltà, insieme, formano il servizio evangelico.[1]
  • Dall'inchiesta su Gesù si ha l'impressione che si passi a volte al pettegolezzo su Gesù. Il fenomeno ha però una spiegazione. È sempre esistita la tendenza a rivestire Cristo dei panni della propria epoca o della propria ideologia. In passato, per quanto discutibili, erano cause serie e di grande respiro: il Cristo idealista, socialista, rivoluzionario… La nostra epoca, ossessionata dal sesso, non riesce a pensarlo che alle prese con problemi sentimentali. Io credo che il fatto di aver messo insieme una visione di taglio giornalistico dichiaratamente alternativa con una visione storica anch'essa radicale e minimalista ha portato a un risultato d'insieme inaccettabile, non solo per l'uomo di fede, ma anche per lo storico. A lettura ultimata uno si pone la domanda: come ha fatto Gesù, che non ha portato assolutamente nulla di nuovo rispetto all'ebraismo, che non ha voluto fondare nessuna religione, che non ha fatto nessun miracolo e non è risorto se non nella mente alterata dei suoi seguaci, come ha fatto, ripeto, a diventare "l'uomo che ha cambiato il mondo"?[2]
  • Dio non strappa mai alle creature dei consensi, nascondendo loro le conseguenze, ciò cui andranno incontro.[3]
  • Gli uomini possono essere, o atteggiarsi, a nemici di Dio, Dio non potrà mai essere nemico dell'uomo. È il terribile vantaggio dei figli sui padri (e sulle madri).[4]
  • Il problema delle persone, soprattutto nell'amore, è che si vuole possedere l'altro. E quando, anziché il dono, c'è il desiderio di possesso, si inquina tutto. Molti matrimoni falliscono per questo. Perché, quando tu vuoi possedere, riduci automaticamente l'altro a un oggetto. Non è più una persona, un interlocutore, ma diventa un possesso. È il contrario dell'amore. L'amore è spento, a quel punto.[5]
  • L'atto supremo della ragione umana è riconoscere che c’è qualcosa al di sopra di essa.[6]
  • La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.[3]
  • La misericordia è per ogni tipo di comunità quello che è l'olio per il motore. Se uno si mette in viaggio su un'auto che non ha neppure una goccia d'olio nel motore, dopo pochi minuti vedrà andare tutto in fiamme.[7]
  • Maria è l'unica ad aver creduto "in situazione di contemporaneità", cioè mentre la cosa accadeva, prima di ogni conferma e di ogni convalida da parte degli eventi e della storia.[3]
  • Noi uomini possiamo dividere la Chiesa nel suo elemento umano e visibile, ma non la sua unità profonda che si identifica con lo Spirito Santo.[8]
  • Se il proposito non è messo in atto, Gesù è concepito, ma non è partorito.[3]

Da Io sono il pane della vita – XIX domenica del tempo ordinario

Disponibile su Cantalamessa.org

  • Ecco come Paolo VI spiegava, con un linguaggio più vicino all'uomo d'oggi, ciò che avviene al momento della consacrazione: «Questo simbolo sacro della vita umana che è il pane volle scegliere Cristo per farne simbolo, ancor più sacro, di sé. Lo ha transustanziato, ma non gli ha tolto il suo potere espressivo; anzi ha elevato questo potere espressivo a un significato nuovo, a un significato superiore, a un significato mistico, religioso, divino. Ne ha fatto scala per una ascensione che trascende il livello naturale. Come un suono diventa voce, e come la voce diventa parola, diventa pensiero, diventa verità; così il segno del pane è passato, dall'umile e pio essere suo, a significare un mistero; è diventato sacramento, ha acquistato il potere di dimostrare presente il corpo di Cristo». (Discorso tenuto nella festa del Corpus Domini del 1959)
  • Nell'Eucaristia la stessa materia – sole, terra, acqua – viene presentata a Dio e raggiunge il suo fine che è quello di proclamare la gloria del creatore. L'Eucaristia è il vero "cantico delle creature". "Frutto della terra e del lavoro dell'uomo", il pane eucaristico ha qualcosa di importante da dire proprio sul lavoro umano, e non solo su quello agricolo. Nel processo che porta dal seme al pane sulla tavola, interviene l'industria con le sue macchine, il commercio, i trasporti e un'infinità di altre attività umane. Tutto il lavoro umano.
  • Per capire [la] transustanziazione, chiediamo aiuto a una parola ad essa imparentata e che ci è più famigliare, la parola trasformazione. Trasformazione significa passare da una forma a un'altra, transustanziazione passare da una sostanza a un'altra. Facciamo un esempio. Vedendo una signora uscire dal parrucchiere con una acconciatura tutta nuova, viene spontaneo a volte esclamare: “Che trasformazione!”. Nessuno si sogna di esclamare: “Che transustanziazione!”. Giustamente. Sono cambiati infatti la sua forma e l'aspetto esterno, ma non il suo essere profondo e la sua personalità. Se era intelligente prima, lo è ora; se non lo era prima, mi dispiace ma non lo è neppure ora. Sono cambiate le apparenze, non la sostanza. Nell'Eucaristia avviene esattamente il contrario: cambia la sostanza, ma non le apparenze. Il pane viene transustanziato, ma non trasformato; le apparenze infatti (forma, sapore, colore, peso) restano quelle di prima, mentre è cambiata la realtà profonda, è diventato corpo di Cristo. Si è realizzata la promessa di Gesù ascoltata all'inizio: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

Da Credere in Dio "Padre" dopo Freud, L'Osservatore Romano, 28 marzo 1999

  • Bisogna distinguere nettamente il Freud geniale inventore della psicanalisi e il Freud teorico della religione. Egli gode immeritatamente, nel secondo campo, della fama meritatamente conquistata nel primo. Notiamo anzitutto che l'atteggiamento di Freud verso la religione non è il risultato delle sue analisi psicologiche, perché le precede. È risaputo che, quanto alla sostanza, egli aveva già chiaro il suo punto di vista fin dall'inizio e non l'ha mai cambiato. [...] Nel suo trattamento della religione, egli trasgredisce quei criteri scientifici che altrove difende con tanto accanimento, fondandosi su ipotesi e voci del tutto indimostrabili, come quella dell'uccisione di Mosè da parte dei suoi connazionali.
  • Il sospetto ha il potere di inquietare e gettare il dubbio su tutto, finché lo si lascia agire nel suo ambiente naturale che è l'incertezza, il vago, la penombra.
  • La critica di Freud, come quella di Feuerbach e di Nietzsche, ha ignorato completamente la dottrina cristiana della Trinità e, a proposito dello stesso Gesù Cristo, si basa su uno stadio della ricerca oggi nettamente superato che gli permetteva di liquidare con due parole la questione della sua storicità.
  • Per il credente non è la fede nell'esistenza di un Dio Padre a dipendere dall'importanza che ha il padre terreno nella vita, ma, viceversa, l'importanza che il padre riveste nella vita umana a dipendere dall'esistenza di un Padre "dal quale tutto proviene e al quale tutti tendiamo".

Dall'intervista al programma televisivo A sua immagine, Rai Uno, 28 novembre 2009

  • A tredici anni io ho sentito la chiamata del Signore e con una chiarezza tale che non ho mai potuto dubitare nel resto della mia vita; è una grazia straordinaria.
  • [Su Giovanni Paolo II] Alle volte mi lasciava sbigottito la sua umiltà. Diceva: «oggi ci ha spiegato tante cose», oppure: «pubblichi presto quello che ci ha detto oggi». Ma un aneddoto io lo ricordo sempre e lo devo raccontare: la prima volta che ho predicato in San Pietro, appena ho cominciato a parlare mi sono reso conto che dovevo parlare lentamente perché c'era un'eco nella basilica, però parlando lentamente durai dieci minuti più del previsto e il prefetto della Casa Pontificia — che era un vescovo, a quel tempo — era un po' nervoso, ogni tanto guardava l'orologio, perché dopo, come si sa, il Papa deve presiedere la Via Crucis al Colosseo. Io non lo vedevo perché era di fianco, però il giorno dopo questo vescovo — lo hanno detto alcune suore — dopo la liturgia il Papa lo chiamò e sorridendo gli disse: «Quando un uomo ci parla in nome di Dio, non bisogna guardare l'orologio»
  • [Alla domanda: come prepari le prediche?] La preparazione per la predica è una cosa un po' difficile da definire, perché c'è di mezzo un lavoro intellettuale ma c'è anche tanta ispirazione dall'alto: si riceve e magari alle volte in un baleno si ha un'idea, un seme, e poi da lì viene tutto il resto. È così che avviene l'ispirazione profetica. Io me la immagino così: è una goccia di fuoco che ti cade nella mente e che di colpo ti dà l'autorità di Dio. Non che io sia un profeta, ma quando si annuncia la Parola di Dio c'è, in un modo o in un altro, sempre un elemento di profezia: si parla, anzi, si tace e si lascia parlare Dio, perché il vero profeta — diceva uno scrittore ebreo — quando parla tace, perché in quel momento non è lui che parla.
  • [Sul passare del tempo] Non c'è nostalgia, perché con il Signore si va sempre avanti. E poi c'è un'età crescente, cronologica, ma c'è anche un'età decrescente, spirituale, per cui si può ringiovanire invecchiando; anzi, secondo i Padri della Chiesa, la Pasqua cristiana dovrebbe servire proprio a ringiovanire, a far passare dalla vecchiaia alla gioventù, e io credo veramente di sperimentare che, con Gesù, si vive sempre una nuova giovinezza.

Dal programma televisivo Le ragioni della speranza, Rai Uno, 31 ottobre 2010

  • I santi sono gli unici uomini veramente e pienamente realizzati.
  • Il regno di Dio è anche il regno dell'uomo, perché è la condizione che permette all'uomo di realizzare i suoi desideri più profondi, di amore, di felicità, di eternità, di libertà. Soprattutto di amore, perché Dio è amore e il regno di Dio è il regno dell'amore.

Dal programma televisivo Le ragioni della speranza, Rai Uno, 21 novembre 2010

  • A proposito di Gesù, c'è un salto da fare che non riguarda solo i non-credenti, ma anche i credenti. Per i non-credenti il salto è passare da «Gesù solo uomo» a «Gesù anche Dio». Per i credenti il salto è passare da «Gesù personaggio» a «Gesù persona». Per «Gesù personaggio» io intendo un Gesù che rimane sostanzialmente nel passato, del quale si può parlare a piacimento ma al quale, o con il quale, nessuno si sogna di parlare. Se uno parla a Giulio Cesare o a Napoleone lo mandano naturalmente in manicomio, invece Gesù persona è un Gesù vivo, è Gesù che ha detto «io sono con voi tutti i giorni», è Gesù risorto, con il quale si può parlare e al quale si può parlare. La maggioranza dei cristiani, ahimè, non è mai passata dal Gesù personaggio — cioè un insieme di dottrine, di dogmi — a Gesù persona viva; non è passata mai da «Gesù Egli» a «Gesù Tu». Per questo la fede di molti cristiani è come il sole invernale, che illumina ma non riscalda. Permettetemi, carissimi amici, in quest'ultimo incontro (o almeno, l'ultimo della serie), di confidarvi quello che ha riempito e riempie la mia vita di serenità, di pace e di gioia. Ed è precisamente un rapporto personale, da amico, continuo, così semplice e familiare con Gesù.
  • Voi, carissimi amici non-credenti, avete ragione su tanti punti, molti di più di quelli che noi uomini di Chiesa forse di solito ammettiamo. Però avete torto sulla cosa fondamentale, perché Dio esiste e Gesù è veramente quello che ha detto di essere, cioè «la via, la verità e la vita».

Gettate le reti

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  • Così vediamo come il Vangelo, indirettamente, è anche scuola di vita; ci insegna a stabilire delle priorità, a tendere all'essenziale. In una parola, a non perdere l'importante per l'urgente, come successe agli invitati della nostra parabola [del banchetto nuziale]. Ma non posso tacere un'ultima applicazione. Il banchetto di cui parla la parabola si rinnova ogni Domenica nella Chiesa. È il banchetto eucaristico. Vediamo di non essere di quelli che hanno preso moglie e perciò...; hanno comprato cinque paia di buoi (o una nuova auto) e perciò...; devono andare allo stadio, o sono andati a letto tardi, e perciò... (I, p. 308)
  • Quando una persona bestemmia somiglia a uno che è trattenuto per mano sopra un precipizio e che fa di tutto per colpire e graffiare negli occhi colui che lo trattiene, senza pensare che se lasciasse un istante la presa, egli precipiterebbe nel vuoto. [...] dico semplicemente a chi ha bestemmiato, se le circostanze lo permettono: «Perché bestemmi! Dio è forse l'unica persona al mondo che ti vuole veramente bene». (II, p. 91)
  • I sensi di colpa possono essere di due generi assai diversi. Ci sono i falsi sensi di colpa, cioè i sensi di colpa indotti dall'esterno, dalla società o da una falsa educazione, o causati da una coscienza scrupolosa; e ci sono veri sensi di colpa, quelli cioè che hanno avuto origine da oggettivi sbagli e peccati commessi, e che si chiamano comunemente rimorsi di coscienza. Spesso la psicologia non tiene conto di questa distinzione fondamentale e pretende di combattere i sensi di colpa negandoli in blocco. Cerca di eliminare, insieme con il complesso di colpa, anche il senso del peccato. (II, p. 110)
  • Si sa che alcuni errori lasciano nell'anima un segno più profondo degli altri e si configurano come veri e propri traumi spirituali. Avviene quando altri hanno riportato un danno grave, economico o morale, dal nostro operato; oppure quando la colpa (per esempio, un adulterio) è rimasta segreta e ci si sente quindi falsi e ipocriti. Per alcune donne, un vero trauma è spesso il ricordo di un aborto. [...] Questi sono sensi di colpa che non si rimuovono, se non rimuovendo la loro causa che è, appunto, la colpa. Non, dunque, seppellendoli nell'inconscio e non pensandoci, ma solo mediante un sincero riconoscimento, accompagnato dal pentimento e dalla fiducia nella misericordia di Dio. (II, p. 110)
  • La grandezza del messaggio pasquale è che non c'è senso di colpa, vero o falso che sia, giustificato o ingiustificato, dal quale non si possa venire fuori. (II, p. 110)
  • [Il processo di Kafka] È la storia simbolica dell'umanità che lotta, fino alla morte, con il senso di un'oscura colpa, di cui non riesce a liberarsi. (II, p. 111)
  • Amnistia viene dal greco e significa «non ricordare più» (ha la stessa origine di amnesia). Ma le amnistie umane sono sempre parziali, a metà. Anche quando fa grazia, la giustizia umana non dimentica; si resta schedati, la fedina rimane sporca. Non così Dio. Quando perdona, egli dimentica, cancella, «getta le nostre colpe nel fondo del mare» (Michea 7, 19). (II, p. 112)
  • Forse chi è in grado di capire meglio il discorso sulla purezza sono proprio i veri innamorati. Il sesso diventa «impuro» quando riduce l'altro (o il proprio corpo) a oggetto, a cosa, ma questo è ciò che anche un vero amore rifiuterà di fare. Molti degli eccessi in atto in questo campo hanno qualcosa di artificiale, sono dovuti a imposizione esterna, dettata da ragioni commerciali e di consumo. Non sono affatto, come si vuol far credere, «evoluzione spontanea dei costumi».
    Una delle scuse che più contribuiscono a favorire il peccato di impurità nella mentalità comune e a scaricarlo di ogni responsabilità è che, tanto, esso non fa del male ad alcuno, non viola i diritti e la libertà degli altri, eccetto, si dice, che si tratti di stupro o di violenza. Ma non è vero che il peccato di impurità finisce con chi lo commette. Ogni abuso, dovunque e da chiunque venga commesso, inquina l'ambiente morale dell'uomo, produce un'erosione dei valori e crea quella che Paolo definisce «la legge del peccato» e di cui illustra il terribile potere di trascinare gli uomini in rovina (cfr. Romani 7, 14 ss). La prima vittima di tutto ciò è la famiglia. (II, pp. 170-171)
  • Fenomeni tanto deprecati, come lo sfruttamento dei minori, lo stupro e la pedofilia, non nascono dal nulla. Sono, almeno in parte, il risultato del clima di esasperata eccitazione in cui viviamo e nel quale i più fragili soccombono. Non era facile, una volta che si era messa in moto, fermare la valanga di fango che tempo addietro si abbatté su alcuni paesi della Campania, distruggendoli. Bisognava evitare il disboscamento e altri guasti ambientali che hanno reso inevitabile lo smottamento. Lo stesso vale per certe tragedie a sfondo sessuale. Distrutte le difese naturali, esse divengono inevitabili. Io resto sempre sconcertato nel vedere certi mezzi di comunicazione sociale stracciarsi le vesti quando avvengono questi fatti, senza rendersi conto della parte di responsabilità che hanno anche loro per quello che dicono o mostrano in altre parti dello stesso giornale, o telegiornale. (II, pp. 171-172)
  • Quanto ai fidanzati, lo sforzo comune nella purezza permette di crescere in quell'amore, fatto di rispetto reciproco e di capacità di attendere, che un giorno sarà il solo a poter garantire la riuscita del loro matrimonio. Permette di apprezzare gesti semplici come una stretta di mano, uno sguardo, un bacio, gesti che agli altri possono sembrare banali, ma che acquistano invece, in questo caso, un valore grandissimo.
    Agli sposati la purezza, che si chiama ora fedeltà, permette di guardarsi negli occhi ogni sera, senza dover mentire, di guardare senza rimorsi i propri figli; permette di avere il cuore in famiglia e non altrove. Evita di finire in quella doppia vita di falsità a cui quasi sempre condannano l'adulterio e il tradimento.
    Alle persone consacrate, sacerdoti e suore, la purezza permette di essere fratelli e sorelle di tutti senza voler possedere nessuno in esclusiva per noi stessi. Permette di essere messi a parte di ogni segreto e di accostarci a ogni miseria, senza rimanere personalmente invischiati; permette, come diceva il grande Lacordaire, di avere «un cuore di acciaio per la castità e un cuore di carne per la carità».
    A tutti infine, giovani, sposati e consacrati, la purezza assicura la cosa più preziosa che c'è al mondo: la possibilità di accostarsi a Dio. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Non lo vedranno solo un giorno, dopo la morte, ma già ora. Lo vedranno nella bellezza del creato, di un volto, di un'opera d'arte; lo vedranno nel loro stesso cuore. (II, pp. 173-174)
  • Veramente, amare Dio, più che un comandamento, è un privilegio, una concessione. Se un giorno lo scoprissimo, non cesseremmo di ringraziare Dio per il fatto che ci comanda di amarlo e non vorremmo far altro che coltivare questo amore. Esso è l'unico amore che non delude mai, che è in grado di soddisfare appieno il bisogno infinito d'amore che c'è nel cuore umano. L'esperienza mi ha convinto che la causa più universale di sofferenza nel mondo non è la malattia, o altre cose del genere, ma la mancanza di amore [...] Imparare ad amare Dio — e, con lui, il prossimo — significa aver trovato finalmente il luogo del proprio riposo, la fonte stessa della felicità. (II, pp. 322-323)
  • [...] il matrimonio non finisce del tutto con la morte, ma viene trasfigurato, spiritualizzato, sottratto a tutti quei limiti che segnano la vita sulla terra, come, del resto, non sono dimenticati i vincoli esistenti tra genitori e figli o tra amici. In un prefazio dei morti la liturgia proclama: «Vita mutatur non tollitur», la vita è trasformata, non tolta. Anche il matrimonio che è parte della vita viene trasfigurato, non annullato. (II, p. 327)
  • La formula rituale pronunciata dagli sposi al momento del matrimonio dice: «Io... prendo te... come mio sposo (mia sposa) e prometto di esserti fedele in ogni circostanza, felice o avversa, nella buona o nella cattiva sorte, e di amarti e rispettarti finché morte non ci separi» (così, in molti paesi, anziché «per tutta la vita»). Bisognerebbe insegnare agli sposi a modificare (almeno nella loro mente) la formula e dire «finché morte non ci unisca». Sì, perché la vera, perfetta unità tra gli sposi si raggiungerà solo in cielo.
    Ma cosa dire a quelli che hanno avuto un'esperienza negativa, di incomprensione e di sofferenza, nel matrimonio terreno? [...] Non è per essi motivo di spavento, anziché di consolazione, l'idea che il legame non si rompe neppure con la morte? No, perché nel passaggio dal tempo all'eternità il bene resta, il male cade. L'amore che li ha uniti, fosse pure per breve tempo, rimane; i difetti, le incomprensioni, le sofferenze che si sono inflitte reciprocamente cadono. Anzi questa stessa sofferenza, accettata con fede, si convertirà in gloria. Moltissimi coniugi sperimenteranno solo quando saranno riuniti «in Dio» l'amore vero tra di loro e, con esso, la gioia e la pienezza dell'unione che non hanno goduto sulla terra. In Dio tutto si capirà, tutto si scuserà, tutto si perdonerà. (II, pp. 327-328)
  • L'Apocalisse ci dice che, al momento della morte, Dio va incontro a coloro che vengono dalla «grande tribolazione» del mondo, per «asciugare ogni lacrima dai loro occhi» e assicurarli che non ci sarà più né lutto, né dolore, né affanno. Io amo pensare che quando Dio va incontro, sulla soglia dell'eternità, ai vedovi e alle vedove, si fa accompagnare dal coniuge che è arrivato per primo in paradiso. (II, p. 328)
  • Nessuno oggi dice che per il semplice fatto di non essere battezzato uno sarà condannato e andrà all'inferno. I bambini morti senza battesimo, come pure le persone vissute, senza loro colpa, fuori della Chiesa, possono salvarsi (queste ultime solo se vivono secondo i dettami della coscienza). [...] Dimentichiamo l'idea del limbo, come il mondo dell'irrealizzato per sempre, senza gioia e senza pena, dove finirebbero i bambini non battezzati, insieme con i giusti morti prima di Cristo. Questa dottrina, che pure è stata comune per secoli, e che Dante ha accolto nella Divina Commedia, non è stata mai ufficializzata e definita dalla Chiesa. Era una ipotesi teologica provvisoria, in attesa di una soluzione più soddisfacente e, come tale, superabile grazie a una migliore comprensione della parola di Dio.
    Il bambino non nato e non battezzato si salva e va a unirsi subito alla schiera dei beati in paradiso. La sua sorte non è diversa da quella dei Santi Innocenti che festeggiamo subito dopo Natale. Il motivo di ciò è che Dio è amore e «vuole che tutti siano salvi», e Cristo è morto anche per loro! [...] Non dobbiamo dunque preoccuparci per quelli che, senza loro colpa, muoiono senza battesimo, pur facendo quanto sta in noi perché ciò non avvenga. (III, pp. 67-69)
  • Riflettere sul mistero della Trinità è come andare alla scoperta delle nostre radici più profonde, perché noi veniamo dalla Trinità e siamo in cammino verso di essa [...] Se Dio è amore (e questo è ciò che afferma il cristianesimo) allora non può essere un Dio solitario, perché l'amore non esiste se non tra due o più persone. Se Dio è amore, ci deve essere, in lui, uno che ama, uno che è amato e l'amore che li unisce. I cristiani sono anch'essi monoteisti; credono in un Dio unico, anche se non solitario. L'unità di Dio, secondo la nostra fede, somiglia più all'unità della famiglia che a quella dell'individuo. (III, pp. 157-158)
  • La risurrezione di Cristo contiene la risposta alla più universale delle aspirazioni umane: quella che il male e l'ingiustizia non abbiano la meglio per sempre. (III, p. 110)
  • La cosa principale da mettere in luce, a proposito della parabola del ricco epulone, è la sua attualità; mostrare come la vicenda si ripete oggi, in mezzo a noi, a due livelli: a livello mondiale e a livello nazionale. [...] Due personaggi, due mondi: il primo mondo e il «terzo mondo». [...] Ma lo stesso contrasto tra il ricco epulone e il povero Lazzaro si ripete, su scala diversa, all'interno di ognuno dei due raggruppamenti. Ci sono ricchi epuloni che vivono gomito a gomito con poveri Lazzari, nei paesi del terzo mondo (qui, anzi, il loro lusso solitario risulta ancora più stridente, in mezzo alla generale miseria delle masse) e ci sono poveri Lazzari che vivono gomito a gomito con i ricchi epuloni, nei paesi del primo mondo. (III, p. 299)
  • La preghiera è quello che può dare un'anima alla nostra civiltà tecnologica e impedire che le nostre città si trasformino in deserti umani. (III, p. 316)
  • Nella parabola odierna [della vedova importuna] Gesù dice che Dio non farà aspettare a lungo, ma risponderà «prontamente» a coloro che lo pregano. Ma allora perché, ci chiediamo subito, tante nostre preghiere restano inascoltate? Questo è un problema serio e lancinante per il credente e bisogna guardarsi dalle risposte facili e semplicistiche. Gesù sapeva bene che a volte il compimento della preghiera può ritardare, o anche non esserci affatto, almeno ai nostri occhi. Proprio per questo raccontò la parabola di quella vedova, esortandoci a «pregare sempre, senza stancarci mai».
    Se non possiamo capire perché Dio non ascolta certe nostre preghiere, possiamo però capire che disastro sarebbe... se le ascoltasse tutte e sempre. Quante persone, in seguito, hanno benedetto Dio di non averle ascoltate quando gli chiedevano una certa cosa, vedendo di che cosa questo li avrebbe privati. (III, p. 319)
  • Dio soffre con noi, non si limita a guardare da lontano noi che soffriamo.
  • La morte dell'anima è quando si vive nel peccato; la morte del cuore è quando si vive nell'angoscia, nello scoraggiamento o in una tristezza cronica.
  • Molta parte dell'ateismo non era negazione del Dio vivente della Bibbia, ma dell'idolo che si era introdotto al suo posto in molti settori del pensiero e della vita.
  • Ricordo che una volta, meditando sulla Passione, mi si formò nella mente con grande chiarezza, quasi a mia insaputa, un pensiero: «I crocifissori di Cristo si sono salvati!». Mi misi a riflettere cosa potesse significare un pensiero così strano e giunsi alla conclusione che era vero. I crocifissori di Cristo si sono salvati perché Gesù ha pregato per loro. Proprio mentre lo inchiodavano alla croce, egli disse: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23, 34). Possiamo pensare che il Padre, che in vita aveva ascoltato «sempre» le preghiere di Gesù, abbia lasciato cadere nel vuoto proprio questa suprema preghiera, fatta con tanta determinazione? Certo, rimane, anche in questo caso, la libertà dell'uomo di accogliere o meno la misericordia. Di nessuno, tuttavia, possiamo essere certi che è andato perduto, neppure di Giuda. Sì, i crocifissori di Cristo sono in paradiso; lì proclamano in eterno fin dove si è spinta la misericordia di Dio per gli uomini.

La vita nella Signoria di Cristo

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  • Il silenzio di Dio si misura dall'intensità con cui si crede in lui e lo si invoca.
  • I mistici sono per il popolo cristiano come gli esploratori che entrarono per primi, di nascosto, nella Terra promessa e poi tornarono indietro a riferire ciò che avevano visto per incitarli ad attraversare il Giordano.
  • Si scrivono oggigiorno libri interminabili per rispondere alla domanda esiste Dio? e talvolta si giunge alla fine di tali libri senza che sia stato tolto ancora il punto interrogativo. Ma poi uno apre un libro di questi uomini o di queste donne [i mistici] e dopo poche pagine scopre che non solo Dio esiste, ma che è davvero un fuoco divorante.
  1. Da Quinta Predica di Quaresima in Vaticano, cercoiltuovolto.it, 8 aprile 2022.
  2. Da Avvenire del 18 novembre 2006.
  3. a b c d Citato in Maria, madre e modello del sacerdote, in Sito ufficiale di Raniero Cantalamessa
  4. Da Il potere della Croce II. Meditazioni 1999-2008, Àncora, Milano, 2014, p. 71. ISBN 978-88-514-1441-2
  5. Dall'intervista a Novecento controluce, 25 dicembre 2009.
  6. Citato in La luce di Cristo illumina la ragione, L'Osservatore Romano, 1° marzo 2024
  7. Dall'Osservatore Romano del 30 marzo 2008.
  8. Dall'omelia del venerdì santo, 21 marzo 2008.

Bibliografia

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  • Raniero Cantalamessa, Gettate le reti. Riflessioni sui vangeli, Piemme, Casale Monferrato, 2001. ISBN 88-384-9498-3
  • Raniero Cantalamessa, La vita nella Signoria di Cristo, Àncora, Milano, 1986. ISBN 88-7610-184-5

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