Porci con le ali

romanzo di Rocco e Antonia (Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera) del 1976

Porci con le ali, romanzo scritto nel 1976 da Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, sotto gli pseudonimi di Rocco e Antonia.

Incipit modifica

Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Figa. Fregna ciorgna. Figapelosa, bella calda, tutta puzzarella. Figa di puttanella.
Niente. Una volta con le filastrocche ci venivo, o almeno mi veniva voglia. Dicevo le parolacce e poi ridevo, se ero con i miei amichetti. Se ero sola le pensavo, le dicevo a mezza voce e poi mi infilavo le mani nelle mutandine, rapida rapida, con un occhio alla porta e le orecchie così tese che sentivo fischiare le scale. Era un grande spavento. E la mano poi me la sarei tagliata, ma era bello, una grande felicità bagnata, strappata, un urletto soffocato. Adesso, anche se sono sola è come se fossi in mezzo alla gente: mi viene da ridere. Cioè non è che mi viene da ridere, rido perché non sono mai sola, c'è sempre qualcuno, anche se non c'è nessuno, qualche maledetto coglione che mi giudica.

Citazioni modifica

  • È sempre così, fa la tenera per farmi parlare, tutta sorrisi con quel suo eterno odore di deodorante: «La mia bambina non ha più confidenza nella sua mamma» (impersonale, ma di effetto sicuro, tipo vecchio saggio indiano intento a lustrarsi il calumet); e poi: «ma io ti capisco sai?» (sospiro) «capisco anche quello che non mi dici» (logica ermetica, assolutamente uterina). Poi tutto finisce sempre, uguale, in un piantarello mio, in un consiglio suo (una cosettina geniale tipo «alla tua età non bisogna prendersela»), o se il piantarello rischia di andare per le lunghe, scivolando sulla china dell'isteria, l'offerta di un Mogadon (varianti: Librium, Valium, camomilla, bicchiere di latte caldo), dispensatore onnipotente di «un buon sonno, ecco quello che ti ci vuole». (p. 23)
  • Ma come cazzo faccio a dormire se il panzone continua a rimbambire quella povera donna di là. Non si stanca mai quello? Se almeno non usasse le virgolette. Ogni volta decido di star calmo, che tanto litigare non serve a niente, però cristo quando cita le ultime genialità di Napolitano e usa le virgolette, allora scoppio. Si capisce lontano un miglio che usa le virgolette – fa una pausa, prende fiato, sorriso idiota e poi vai con le masse popolari e l'importanza dello studio. E le chiude anche – largo sorriso formato nove milioni di voti e grande partito delle masse. Dio, come si fa a mettere Cossutta tra virgolette! (p. 24)
  • «To', chi si vede. Vendi un po' 'sti giornali.»
    Non conoscono né il "buongiorno" né il "buonasera", direbbe mia madre. Ma anche a parte le formalità, mi vuoi chiedere se son vivo o morto, se durante le vacanze mi è cascato il pisello, se mi è morto il gatto, non so. Va be' che è Gianni, uno di quelli di cui tutti dicono "un bravo compagno, a parte questo un deficiente". Ma se fossi diventato fascio? Se mi si fossero paralizzate le braccia? Lasciamo stare, va, e vendiamo 'sti giornali. In fondo c'è il sole. (p. 27)
  • Dio, ci saranno trecento ragazze ma è come se non ce ne fosse nessuna. Togli le brutte. Togli il tipo aggressivo, modello "vieni qua piccolo che te lo stacco con un mozzico" che mi dà il senso di castrazione. Togli il tipo antiquato, "dio me l'ha data e guai chi me la tocca". Togli il tipo droga sesso e rock 'n' roll, che mi dà la diarrea. Togli il tipo lotta di classe, il sesso è per le masse, che gli menerei. Togli quelle da cui ho già preso buca, che son parecchie. Togli quelle già fidanzate, che pare brutto. Togli quelle con cui ci ho già fatto qualcosa, che son proprio poche ma insomma. (p. 28)
  • Secondo me si è fatto bocciare apposta per continuare a fare il leaderino. Altro che la repressione ha colpito ancora, l'ha fatto apposta. E che cazzo faceva se no? Niente, le pippe, era finito. Del leaderone non c'ha la stoffa, finiva in sede a ciclostilare. (p. 28)
  • Mi mette le braccia attorno al collo e mi dà un bacio sulla bocca. Di quelli con la bocca straperta, che c'entra anche il naso e il mento. Poi mi carezza la faccia e dice come sei bello liscio. Io mi congelo, perché va bene che son donne ma potrebbero studiarsi un po' di psicanalisi e allora lo saprebbero che se uno a sedici anni ci ha solo un po' di baffetti morbidi morbidi e basta - dico basta - gli vengono dei complessi orribili. (p. 29)
  • Quello che c'è di bello sugli autobus è che l'idea di scendere ti sembra la conquista della felicità. (p. 30)
  • C'è un solo vero cittadino adulto con un sorriso idiota, tipo revival, la giacca cascante e due dita strette attorno al biglietto come se fosse una farfalla. Credo che stia pensando cose tipo "beati loro" (noi), tutto intenerito dall'inquinamento sonoro da primo giorno di scuola. Questi schiamazzi disorganizzati gli sembrano garruli e lieti, tutto questo putiferio di dita nel naso, mani sudanti su quaderni chiusi, dita unte su pizze bianche, ricordi estivi carichi di bugie confidenziali e inconsistenti timori per l'inverno gli sembrano, a questo becero in brache di tela, la poesia dell'adolescenza o qualche stronzata del genere. È evidente che ci guarda senza vederci. Ci considera una specie di stagione. Un sostantivo collettivo, con la maiuscola. [...] Adesso gli metto addosso due occhi d'odio profondo e vediamo se scende da cavallo. Non sono un topino bianco. Non mi si può fissare impunemente. Io quando mi sento sull'orlo di una crisi di identità, in genere faccio qualcosa. (pp. 30-31)
  • Mi spacco la faccia in un sorriso ammiccante (sì, guardo proprio te, cretino. Tu guardi me come il particolare di un affresco dal titolo provvisorio Primo giorno di scuola. Io guardo te come un individuo caduto da un albero). (p. 31)
  • Ebbene sì, caro, hai davanti a te un simbolo del sesso. Soda come un uovo sodo. Bionda come nei libri. Avrò ancora capelli quando tu sarai già ridotto a trapiantarti i peli del cazzo sopra le orecchie. Stan più ritti i miei seni delle tue erezioni. (p. 31)
  • Non mi spavento solo perché l'ho voluto io: è come levarsi i denti da soli, con il cordino e il portone. Sanguina e non sai come andrà a finire, ma sempre meglio che andare dal dentista. (p. 32)
  • Ti trovi di fronte a un'adolescente sessualmente aggressiva, alta un metro e sessantacinque, con un culetto che sembra burro e le migliori intenzioni di perdere il primo giorno di scuola: approfittane. Piangerei dalla rabbia: ma ce l'hanno ancora il cazzo gli uomini, o il fall-out gliel'ha fatto evaporare? (p. 32)
  • Gli uomini sono così: ci mettono il tempo di slacciarsi i calzoni a slacciarsi i calzoni. (p. 33)
  • Come faccio a spiegargli che mi ha offesa quell'essere guardata come la settima faccia a sinistra della porta del 47 barrato? (p. 33)
  • Al momento di sederci sull'erba sa tutto di me, meno la verità. Io di lui so soltanto che è di quelli che prima di fare lingua in bocca a una ragazzina dissertano sulle vene varicose della moglie. (p. 33)
  • Quando un incontro casuale finisce su un prato, la cerniera dei blue jeans, in genere, si incanta, ti ricordi di colpo di avere da due giorni le stesse mutande addosso e in più non sai cosa dire. (p. 33)
  • Non so dove l'ho letto, ma anche il sesso o è un'attività o è una condanna. (p. 34)
  • Peggio di una riunione c'è solo tornare a casa dopo la riunione. (p. 36)
  • Quando discute di politica dice sempre «voi», e per solito si riferisce 1) a qualche articolo del «Manifesto» che ha letto sette anni fa; 2) agli estremisti al limite della provocazione così ben descritti nell'ultimo trafiletto dell'«Unità»; 3) a qualche suo cugino in seconda con barca sette metri che gioca a fare l'extraparlamentare. Comunque non si riferisce mai a me. Non discute mai con me, in realtà. Discute da solo, una specie di teatrino schizofrenico, in cui lui dice una cosa, poi si immagina la risposta, poi risponde alla risposta che si è immaginato, e così via. Quello che io eventualmente dico, gli si trasforma nella mente in quello che lui immagina che io possa dire. (p. 37)
  • La sega digestiva è quasi più importante di quella soporifera, scaccia il malumore del pranzo familiare, prepara ad affrontare le sofferenze pomeridiane, spesso stimola le attività intestinali. Inoltre la sega a letto e quella al cesso hanno pregi e gioie diverse. Più tranquilla e dolce la prima, più sessuosa e perversa la seconda, con possibilità di seguire in diretta le portentose attività della mia colonna di marmo (in realtà continuo a pensare di avercelo piccolo). (p. 38).
  • Laura si dà da fare dietro a Rocco che si dà da fare dietro a Paolo, il quale, per parte sua, si dà da fare per darsi da fare, per farsi notare, per mantenersi prestante ed efficiente e quindi dirigente. Non che non mi sia consueta fino alla nausea questa scenetta di scuola liberata (Gruppo di studenti in un interno), dove tutti hanno l'aria di fare quello che vogliono, mentre in realtà si limitano a non volere quello che fanno; ma oggi c'è qualcosa di nuovo. (p. 40)
  • Le signore sfoggiano gonne lunghe a fiorami sui toni del violetto suadente, sottili, stracciate, puri pretesti per l'apertura di arcani eccitanti spacchi in coscia lunga tipo «guardami quanto son liberata pur nella mia pensosa femminilità». Rossella O'Hara si è tolta i blue jeans. (p. 41)
  • Ha un modo un po' metafisico di usare gli occhi, come se pensasse invece di guardare. (p. 41)
  • Cinzia ha l'aria di aver capito, ma mi sente troppo grassa per parlare (conosco quella sensazione). (p. 43)
  • Vorrei stare con qualcuno, parlare, scherzare e ridere, far l'amore e fumare, suonare, e mi viene una rabbia triste di non riuscire a fare quel che ho voglia di fare, di costruire e di credere, voglia di cambiare aria. (p. 44)
  • Grandi novità non ce ne sono, anzi dirò di più è tutto esattamente lo stesso, con la differenza che mi sta passando l'entusiasmo e la voglia di cambiare qualcosa. Amori niente. Col gruppo ci troviamo di fronte ai soliti casini di sempre, con sempre meno fiducia di riuscire a risolverli. Strippiamo a turno, oggi uno domani un altro, discutiamo su gli strippi, scopriamo che dobbiamo imparare a parlarci, a comunicare, magari far l'amore tutti con tutti, e poi siamo sempre al punto di prima. Forse non arriviamo mai al punto, o forse siamo troppo vigliacchi per affrontare i problemi veri, i casini di fondo. Forse non c'è niente da fare, finché non facciamo la rivoluzione. (p. 50)
  • Quando ammazzano un compagno è sempre una cosa molto strana, quello che senti. Questa volta qui ancora di più, forse perché era uno della mia età, uno studente, non so. La prima cosa che penso è, regolarmente, "potevo essere io" anche se magari non è affatto vero perché io il coraggio di andare a tirare le bocce a un'ambasciata non ce l'ho proprio. Però "potevo essere io" lo penso anche quando leggo su un giornale tre righe tipo "tragico incidente a Via della Iella, giovane in motorino travolto da auto pirata". Ma è diverso. Perché a Via della Iella ci muore uno che come te di sicuro ha solo l'età e il motorino, mentre a una manifestazione ammazzano uno che la pensava come te, voleva le stesse cose e di sicuro aveva gli stessi casini. E quello che è terribile è che non gli abbiano dato il tempo di viverseli quei casini, di star bene e di star male, di sentire cosa aveva da dirgli quella ragazza che l'aspettava la sera, bah, non so. Queste cose mi fanno dare i numeri. Forse è perché penso sempre a me, alla mia morte, e proprio non l'accetto neanche un po'. (p. 53).
  • Io non lo so se sono ateo, però son sicuro che se dio esiste è un grandissimo figlio di puttana o un pazzo paranoico tipo film americano. Però a me la morte non è mai arrivata vicina, nel senso che non è mai morto qualcuno a cui voglio bene veramente, e se capitasse non so come reagirei. Magari finirei col pensare che è la volontà di Dio e che va bene così. Certo diventerei una persona diversa, non sarei più quello di adesso. Secondo me dopo che hai conosciuto quella cosa lì sei proprio un altro. Forse è così che si diventa grandi. (p. 54)
  • Insomma una rabbia enorme e una gran voglia di dividerla con altra gente, di stare insieme ai compagni, di farglielo capire che un morto nostro resta nostro ed è nostro, e lo commemoriamo a modo nostro. E quando quegli stronzi se ne sono andati per conto loro, mi è venuta ancora più rabbia. Non hanno capito un cazzo, perché gli scontri non ci sono stati e invece è stato bellissimo stare lì faccia a faccia con gli scudi di plastica e i lacrimogeni e i mitra, e gridare tutto. Io poi di solito non grido e non canto e non faccio queste cose qui, perché in un certo senso mi imbarazza e mi fa sentire scemo, oggi invece sì. (p. 55)
  • Era un pezzo che non piangevo. Intendo dire senza cipolle, lacrimogeni, strippi da fumo o mal di denti. La sensazione è come soffiarsi l'anima nel fazzoletto. Bella. Ti scarichi. Non so se ho pianto perché uno è morto o perché c'è la morte, perché io sono viva o perché io morirò, perché lui non sarà più vivo o perché dopo la morte non c'è un'altra vita. Un po' è stata anche la rabbia: avrei voluto urlare ai poliziotti di levarsi il cappello (l'elmo o come cazzo si chiama) perché erano di fronte a una cosa di eroismo. Che forse in vita loro non gli sarebbe capitato mai più di vedere una cosa così bella: bella come uno che si fa ammazzare anche se non ne aveva bisogno, anche se non glielo aveva ordinato nessuno, anche se era giovane e magari innamorato. (p. 57)
  • Non hanno caricato, questa volta. Ma quando mi sono accorta che non avrebbero caricato mi sono incazzata ancora di più. Il silenzio si è rotto e ci siamo messi a urlare tutti. Avevo la sensazione che non ci pigliassero nemmeno sul serio. Mi è sembrato perfino che ridessero (tipo «lasciamoli sfogare» o roba del genere). È stato allora che mi è venuto l'attacco di solitudine. Di colpo. Di colpo io ero sola al mondo. In piazza non c'era più nessuno e di tutto quello che avevo fatto io niente era serio, niente era importante, niente contava, anzi non esistevano neanche né le mie idee né le mie azioni. E io tutta la vita non avevo fatto nient'altro che dare zuccate nei vetri come un moscone impazzito. (p. 57)
  • Non mi sarei mai aspettata che potesse fare un gesto inconsueto, qualcosa che non facesse parte della sperimentata tradizione della milizia interumana. Insomma, non mi aspettavo che mi prendesse una mano. L'ha fatto e io sono rimasta per un secondo come scema, con un pugno alzato e una mano sudata dentro la mano di un ragazzetto quasi sconosciuto. Credo che la neve si senta così quando il sole comincia a essere caldo: con la crosta di ghiaccio che si spezza, un gran lacrimare e poi la voglia di sciogliersi. (p. 58)
  • Mi è sembrato che qualsiasi regola, compresa quella di non camminare a quattro zampe, era inutile e stronza, insopportabile. Che quando muore qualcuno muore un pezzetto di te, ed è idiota far finta che tu continui a essere intero come prima. (p. 58)
  • La gente è convinta che uno è quello che fa ed è per questo che si vedono sempre, magari tutte le mattine e finiscono anche a letto o si sposano o si odiano o bisticciano o si fanno le scarpe, ma tutto sempre al buio, cioè, mi spiego, senza volersi neanche un po' di bene. (p. 63)
  • Guarda che aver fatto l'amore, o farlo senza eccessive paranoie non è poi questa meraviglia. Anzi le angosce ti vengono ancora di più, anche se ti sembra strano. A me viene in mente che gli uomini mi usano per fare tra le mie gambe le loro cose. Mi viene sempre, dopo, questo pensiero. E allora mi sento più sola ancora, talmente sola che mi sembra quasi di non esistere. [...] credo di essere ragazzina quanto te, anche se fa ridere dirlo, solo che sono femmina ed essere femmine è diverso: l'angoscia non è tanto aver fatto o non aver fatto, ma piacere o non piacere. Cioè esistere o non esistere. Non so se mi spiego, capisci? A me ogni tanto mi sembra di vivere solo per piacere agli uomini, perché se non mi scelgono, se non mi scelgono sempre, mi viene una specie di paura di morire... (pp. 63-64)
  • La tua vita dipende da tante cose. Adesso la politica o il gruppo, per gente più stronza la scuola o lo sport o i soldi o che ne so...il successo eccetera. Se io giro la faccia dall'altra parte tu magari stai cani per un po' poi, per dire, vai a farti una partitina con gli amici o decidi di diventare un giovane manager multinazionale o il presidente dell'Associazione amici dell'Angola. Esisti umiliato, un po' depresso, un po' solo, ma esisti, sei pur sempre la parte attiva, della nazione. Per me è diverso. Oggi io ci sono perché tu mi hai telefonato, perché a me mi si chiede di essere il complemento di un altro essere umano e se quest'altro essere umano non c'è io sono un trabiccolo, una sedia con tre gambe soltanto, una cosa che non sta in piedi... se nessuno mi vuole come faccio a essere moglie e poi madre, o fidanzata o corteggiata o ammirata o uno di quei tremendi participi passati che usano per definirci? Come faccio a essere quella che devo essere? Così ho bisogno di te e di tutti gli altri, ne ho un bisogno da morire. (pp. 64-65)
  • È che una dichiarazione d'amore non riesco neppure a immaginarmela, una bella dico, non il solito commento pesante sulle mie rotondità. D'amore ne parla la gente, ma sempre raccontando a qualcuno l'amore che lo lega a qualcun altro. [...] L'amore, evidentemente, è un argomento tipico da interposta persona. Così non me lo so immaginare. «Ti amo» è una frase senza sonorità. Come «sono morto». Una specie di frase impossibile. (pp. 67-68)
  • Stasera decisamente sono sullo speculativo. Ancora un po' e mi racconto la storia della mia vita, caso mai non la sapessi, corta com'è. Ecco: vorrei avere più vita. Una vita più spessa. Una di quelle vite in cui succedono le cose. Che ne so? Due divorzi, un incidente stradale, un viaggio, una sommossa, un elettroshock. Un figlio, un aborto. Qualcosa da raccontare. Poter parlare un po' del passato, con questo presente sciapo come la minestra di pane e un futuro ancora da inventare... (pp. 68-69)
  • Senti, sarà anche vero | che la coppia è una fabbrica | di sadismo e nevrosi | e l'amore solo il nome | che diamo a un bisogno malato | che si fa distruzione | e via dicendo; | però mi vuoi spiegare | che c'è di male nel stringerle la faccia | tra le mani e nel pensare | che se durasse sempre | non sarebbe poi in fondo | tanto male? (pp. 76-77)
  • però, sai che ti dico | spero che quando sarò tutto diverso, | un uomo nuovo fra compagni nuovi, | mi resti questa voglia da cretino | di mozzicarle la pancetta tonda | o di leccarle il naso o non so cosa, | se no, meglio restare come adesso. (p. 77)
  • Io sono di quelle che quando escono da un film di cow-boy camminano dal cinema all'autobus con le gambe un po' storte e le mani altezza-pistola, fissando i pali gialli dei semafori per vedere dove ho messo il cavallo. Credo che tutti lo facciano. Se no, per lo meno, non si capisce perché diavolo vadano a chiudersi due ore in un dannato cinema. Intendo dire, se poi esci di lì e la tua vita ti sembra soltanto più banale che mai. (p. 78)
  • È come quando c'è una canzone, anche brutta, ma romantica e dolce: se ci sono altre persone la ascolto o non la ascolto, ma è una canzone e basta, se c'è lui ogni parola, anche la più banale, mi passa dentro e mi fa vivere la mia vita come una trama, con le sue parole e tutto. (p. 78)
  • Insomma, io avevo una paura dannata che Rocco venisse a espormi, per esorcizzare quel tramonto gentile, qualcuna delle correnti teorie in materia di convivenza alternativa. Non l'ha fatto. Anzi, mi ha chiesto con la voce di uno che ha regalato le sue corde vocali a un istituto di beneficenza, se per favore non avrei insistito per chiamare il nostro primo bambino con un nome strano. E siccome l'ho guardato sbalordita, ha aggiunto a mo' di spiegazione: «È perché detesto quegli esibizionismi da giardinetto, tipo "metti subito la maglietta Vladimir Ilič"». (p. 81)
  • Ho smesso per pura buona educazione mentale di sperare che tutti se ne andassero, ma mi è rimasta un'attitudine poco socievole, ed è per questo forse che il fumo non mi piglia, stasera. Non è mica un elisir comunitario: se ti stanno sul cazzo i nove decimi dei tuoi amici perché uno di loro ti ha fatta innamorare come una cucuzza, puoi fumare anche il fabbisogno annuo di una tribù hippy, ti resta la voglia di vederli scomparire. (pp. 83-84)
  • Rocco è praticamente il ragazzo più dolce del mondo, ma ha questo maledetto difetto: è una specie di santo. [...] Lui vuole voler bene alla gente. L'ha deciso, ed è chiaro che se vuoi bene a uno perché l'hai deciso non ti importa più molto se è stronzo o no; se finge, se non capisce un accidente o se è intelligente e simpatico. (p. 84)
  • Ma perché, poi, vi vantate tanto di aver vissuto? A me pare che essere ancora così scemi e già così vecchi non sia per niente un titolo di merito. Io almeno ho ancora una trentina d'anni per schiarirmi le idee. (p. 95)
  • E se non devo alzare la voce allora non parlo neanche. Non parlo se non posso alzare la voce. Perché voi volete che noi parliamo, però è sempre un parlare diverso. Con delle regole. Io quel parlare lì, non lo chiamo parlare. (p. 97)
  • Io invece la felicità la voglio conquistare subito, e tutta diversa da quella che ci hanno proposto. (p. 102)
  • Io voglio stare con gli altri, ma in un modo diverso, che non sia solo starsi addosso, per la paura di stare soli. (p. 102)
  • Non funziona, non può funzionare. Io posso volerti tutto il bene della terra, ma è la coppia capisci, la coppia come istituzione che mi fa vedere gigantesche tutte le cose di te che non mi corrispondono, che mi fa venire una specie di ribellione, comunque, come succede a quindici anni contro la famiglia, ecco succede a sedici contro il fidanzatino, a venti contro il fidanzato e a venticinque contro il marito. Insomma è inevitabile. (p. 104)
  • Io forse faccio così perché mi sento anche un po' soffocata dal mio voler sempre stare con te, dal tuo voler stare con me, ho paura che il mondo ci lasci cadere fuori dal suo carro, ho paura di perdere qualcosa, magari non è vero ma questa paura mi fa diventare esigente, come se al mondo esistessi soltanto tu e su di te io dovessi cercare tutti i miei piaceri e i miei incontri e le mie cose. (p. 104)
  • L'avessimo detto o io o lui che era per quella scopata tragica, invece niente. Duri e coglioni a ripeterci che la coppia è una forma istituzionalizzata dell'amore tale e quale al matrimonio e che allora bisogna rompere, perché sai io ti voglio bene ma tu mi radicalizzi, sai ti voglio bene ma mi annoi, sai ti voglio bene ma la mia libertà, sai ti voglio bene ma vaffanculo. (p. 106)
  • I concetti quando vuoi far colpo su un uomo sono come la messa in piega: si devono vedere i risultati, ma non intuire i bigodini. Casualità nell'intelligenza, bellezza selvaggia: guarda caro, sono così anche appena sveglia. Guai a lasciare intravedere i complessi meccanismi della seduzione, quella corsa bestiale a essere amata (il massimo della passività richiede il massimo dell'attività): noi non possiamo, loro sì. I maschi possono essere attivamente attivi, far vedere tutti i loro bigodini, non sono costretti ad avere i riccioli naturali, a essere paralizzati dal decoro. (p. 108)
  • Sai cos'è pazzesco, che prima di Antonia ero solo, OK?, ma in fondo non mi importava, perché non sapevo nemmeno com'è non esser soli. Ma adesso lo so, capisci? Adesso lo so, e non riesco più a star solo, perché so com'è stare con lei, sentirti tutto pieno e felice e scemo. Prima la sera andavo a letto, non avevo nessuno a cui pensare, nessuno mi stava pensando, mi facevo una sega, dormivo e tutto bene. Cioè di merda, ma bene. E adesso vado a letto e so com'è pensare a lei che ti sta pensando e che domani mattina passa qui col motorino tutta sonnacchiosa, s'incazza perché io di mattina sono scorbutico, poi si scazza, poi facciamo colazione insieme e poi stiamo sempre insieme e se sono giù mi consola e se lei è giù la consolo. E invece niente, devi ricominciare a non pensare a nessuno, a farti una sega e dormire, perché sei di nuovo solo. (p. 114)
  • Ma quando stai bene allora sei capace di stare in un certo modo anche con gli amici, di dare delle cose. Però quando stai male sembra che non servano a niente, non diventano felicità, gli amici. Forse perché in realtà non sai mai quanto veramente sono amici, quanto ti accettano per quello che sei, tutto quanto e veramente, non solo i discorsi o la maschera che ti porti addosso, ma anche le tue paranoie o il tuo essere bambino. (p. 115)
  • Rocco che cos'ha di diverso da me? Il cazzo, e basta. Per il resto siamo uguali. Studenti. Di sinistra, che non è più una cosa tanto eroica. Siamo due di cui parlano tutti, perché tutti parlano dei giovani, ma non parliamo mai. Non abbiamo diritto di parola. Ci spostano di qui e di lì, chiacchierando pomposamente dei nostri bisogni. (pp. 117-118)
  • Se si potesse uccidere una voce, se si potesse uccidere qualcosa che mi sta dentro senza uccidere me, ti metterei a tacere per sempre e telefonerei a Marco. Perché sì, perché mi va e perché è primavera. (p. 118)
  • Aveva la furbizia tipica del maschio: intelligenza del generale e coglioneria del particolare. Uso del generale per eludere il particolare. Uso del particolare per dimostrare il generale (per lo più teorizzato in anticipo). (p. 121)
  • Riesco a essere spiritosa solo con quelli di cui non mi importa niente, e quindi non mi importa neanche di essere spiritosa. Se mi fisso che devo essere spiritosa, intelligente, disinibita esco fuori con certi capolavori surgelati, roba che si sente lontano un miglio che è presa da qualche libro e ci faccio la figura della scema. (p. 122)
  • Bella Villa Borghese questa mattina, marzo frescolino soleggiato con questo meraviglioso odore di mattino. Senso di libertà non andare a scuola senza per questo trovarsi nel letto a impigrire, senso di responsabilità e di amore questo raccontarsi la vita, ascoltarsela, decidere che è buona o cattiva, che bisogna cambiarla o fermarla un momento e giudicare se va bene. (p. 124)
  • Non riesco adesso a ricordare se stavo bene o stavo male, perché queste sensazioni sono impossibili da isolare, da ricordare, da riportare alla mente. Io nei ricordi riesco a salvare solamente la sensazione dominante e quella era come quando si sta per piangere, un misto di tenerezza, paura e rilassamento, quando si piange senza essere molto tristi. (p. 138)
  • Certe volte sono così triste che per tristezza vorrei fare la rivoluzione, perché le cose giuste fossero quelle che fanno stare bene, e non ideologia per consolarsi. (p. 149)
  • Potrei scrivere a me, scrivere un diario, oppure un romanzo, qualcosa che racconti la mia storia d'amore facendola sembrare eccezionale, trapianto di letteratura sulla vita, forse tra il sentirsi una merda ed essere tragici o disperati o suicidi o pazzi ci passa proprio un'operazione del genere. (p. 150)
  • Un pensiero, se non riesci ad amputarlo, ti conviene trovare il modo di viverlo un po'. Con i pensieri se no, soprattutto con quelli d'amore o di morte, si può anche diventarci pazzi. (p. 151)
  • È stato dopo che ho incominciato ad amarti, perché la mia vita è diventata più bella con te. Ho incominciato ad amarti quando ho scoperto che mi dava meno fastidio svegliarmi al mattino, perché magari a scuola ti sbirciavo un momento, che mi annoiavo meno alle riunioni perché tu mi tenevi d'occhio con la coda dell'occhio e poi si andava via insieme per mano e la gente ci invidiava per strada perché la gente è sola e noi eravamo in due. (p. 151)
  • Mi piaceva accarezzarti davanti a tutti, per far vedere che fra me e te c'era una cosa da cui tutti erano esclusi. Mi piaceva quando stavi male e io ti potevo consolare, allora parlare era diverso da quello che è in genere parlare, io smettevo di essere soltanto io e tu smettevi di essere soltanto tu e anche il tempo smetteva di essere quella cosa che deve passare in fretta perché arrivino le vacanze o la domenica o l'essere grandi. Il tempo diventava con te una cosa da fermare in tanti attimi perfetti. In tanti momenti da ricordare e raccontare e tenere fra me e te come una specie di garanzia. (p. 152)
  • E purtroppo l'unica cosa in cui avevi torto, era quando dicevi che per cancellare e scacciare queste cose bastano il femminismo, o i rapporti omosessuali, o la buona volontà, o la critica e l'autocritica, o la rivoluzione. E invece Antonia la mia grande angoscia di questi tempi è cominciare a vedere che tutte queste cose sono importanti, molto importanti, ma non sono ancora tutto, anzi sono forse solo una piccolissima parte di un viaggio molto molto lungo, che non so quanto duri né dove porti, e se porti da qualche parte. Alla fine del quale ci dovrebbero essere due nuovi Rocco e Antonia, diversi, pieni solo di amore e di cose belle, capaci di far l'amore che sia quello e niente altro, capaci di dirsi cose che significano quello e non altro. Ma per arrivarci bisogna strippare come disperati, stare molto soli e guardarsi dentro con molta cattiveria, accettare senza prendersi per il culo le cose molto dure che ci possono dire o far capire i compagni di viaggio, essere capaci di dirne altre altrettanto dure. (p. 153)
  • So benissimo che c'entra molto con la rivoluzione, che se non facciamo la rivoluzione non arriviamo proprio da nessuna parte. Ma potremmo anche fare la rivoluzione e non arrivare da nessuna parte lo stesso. E io non voglio che sia così; sarebbe troppo un'inculata. (p. 154)
  • Ma poi ho pensato che strippi, casini, lotte e sconfitte sono la mia vita, l'unica che ho, e ho troppa voglia di sapere come va a finire, se la piccola squaw riuscirà a fuggire dal villaggio in fiamme, se Aquila tonante sgamerà il perfido trucco dell'uomo bianco, se alla fine arrivano gli indiani. (p. 154)
  • Però chi sa, magari ci buttiamo uno nelle braccia dell'altro e ricomincia tutto. (p. 154)

Bibliografia modifica

  • Rocco e Antonia (Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera), Porci con le ali, RCS Quotidiani, Milano, 2003.

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