Piero Chiara

scrittore italiano (1913-1986)

Piero Chiara (1913 – 1986), scrittore italiano.

Piero Chiara nel 1971

Citazioni di Piero Chiara modifica

  • Immunità e impunità, sono oggi come sempre, le due palline che gli uomini di potere buttano in aria e fanno passare da una mano all'altra fra lo stupore degli spettatori. Ma la legge è una macchina infernale che può distruggere chi l'ha costruita e anche chi la fa funzionare.[1]
  • In Luino vi è qualcosa di inesprimibile e di spirituale che non può andare vestito di parole. È qualche cosa di più che la tinta locale. È quel mistero di attrazione che fa innamorare di un luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo.[2]
  • [Su Giacomo Casanova] Non è uno stile da letterato sedentario e misantropo, è uno stile da esaltatore della vita, che con la sua irrequietezza sembra prevedere l'europeo futuro. Nella letteratura italiana mancava allora non solo un buon romanzo in prosa, ma ancora l'idea di uno stile così veloce e denso di avvenimenti. L'azione si fonde al dialogo, il quale diventa azione interiore.[3]
  • Sereni è stato sepolto a Luino, suo e mio dolce luogo nativo: una giornata di quelle nelle quali può culminare la vita di un poeta. Il nostro paese gli aveva preparato uno scenario di lago azzurro, di nubi argentate, di nevi bianchissime sui monti, chiuso in un cristallo di gelo.[4]

Il balordo modifica

Incipit modifica

Negli archivi scolastici o in quelli della polizia, si potrebbe trovare un suo fascicolo personale e una cartella atti personale intestata al suo nome, rovistando tra le carte di quegli anni prima del 1930 o a cavallo del decennio, sui quali si è stesa ormai una luna ombra. Anni che avevano, a ben ricordarli, una loro fisionomia della quale facevano parte un improvvisato rigore morale, che nei confronti delle persone incaricate di pubbliche funzioni si traduceva in rapporti, note informative e inchieste, destinate a ingrassare i fascicoli personali custoditi nelle varie amministrazioni, e in taluni casi a prendere posto nei casellari delle questure.
Una ricerca che tirasse alla luce le carte di quegli anni, alle quali bisognerebbe aggiungere una raccolta di verbali e di note sottratti da un segretario comunale andato a riposo e non più potuto rintracciare, servirebbe a stabilire precedenti, date precise e nomi esatti, ma non darebbe maggior fondamento alla presente storia, né potrebbe aggiungere elementi alla figura del protagonista, che qui viene presentato a partire dai tempi dell'ignominia proprio perché a tanti anni dalla sua morte, si sappia su quali equivoci e su quante miserie sia riuscito senza alcuna industria ad erigersi per poi finire in altre miserie e in nuovi equivoci.

Citazioni modifica

  • L'albero, al quale si riferivano antiche leggende, veniva chiamato il Buon Cazzone, e la denominazione era tanto antica e radicata negli altavillesi che nessuno, nemmeno i parroci, poterono mai trovarvi rimedio. Si può dire che erano tali l'imponenza, la fama e la serietà dell'albero, che si era perso il significato del nome, il quale fini con lo scomparire dagli usi comuni ingiuriosi e scherzevoli, per rimanere, senza sospetto di equivoco, come unico appellativo della grande pianta.
    Man mano che la gente del paese usciva quella mattina dalle case e vedeva il Bordigoni seduto sotto il Buon Cazzone, si rendeva conto che finalmente era arrivato l'uomo che poteva stargli a pari. Vicino al suo tronco il corpo del Bordigoni non sfigurava, anzi prendeva proporzione e stabiliva un rapporto intermedio tra gli uomini di taglia normale e quel colosso della natura che aveva lasciato le foreste, dove non gli sarebbe mai riuscito un simile sviluppo, per venire tra la gente a godere di un'ammirazione e di un'autorità che avevano finito col trasformarsi in affetto. Tanto che mai vi era stato infisso un chiodo, neppure per i festoni della processione durante la festa dell'Addolorata; e una volta che un merciaio ambulante stava piantandovi un gancio, scoppiò una mezza sommossa e l'imprudente venne cacciato dal paese. (Oscar Mondadori 1972, pp. 81-82)

Il cappotto di astrakan modifica

Incipit modifica

Verso la fine d'aprile del millenovecentocinquanta, non avendo trovato dalle mie parti e non pensando di trovare neppure in altri luoghi vicini, o per dir meglio in Italia, il terreno favorevole alla nuova vita che durante la guerra mi ero proposta per il caso che fossi scampato, pensai di portarmi a Parigi, senza programmi di alcun genere e solo per viverci qualche mese. Chissà, mi dicevo, che non abbia a cogliervi il bandolo di un avvìo e magari a trovarvi la mia fortuna.
Andare a Parigi era a quell'epoca, ed è stato sempre, come a darsi un mestiere, a una professione o a un corso di studi. in quella gran città voleva dire imparare, capire il mondo, fiutare il vento. L'avevi passato qualche anno e magari soltanto qualche mese, poteva dare gloria per tutta la vita anche a un tipo qualunque, solo che avesse saputo raccontare le sue gesta, immancabili, perché nessuno poteva vivere a Parigi senza capitare dentro casi e vicende degne di venir raccontate.

Citazioni modifica

  • Quando una donna chiede a un uomo che cosa pensa, vuol dire che di quell'uomo le sta a cuore anche il meglio, cioè i sentimenti e magari anche le idee. (p. 83)
  • Su quel lungofiume vennero a tormentarmi, come gamberetti lessi che qualcuno volesse mettermi in bocca, i versi della poesia di Maurice:
    Le soste, i lenti passi, le parole...
    e mentre l'incanto d'altro tempo vola
    sull'ala stanca del giorno...

    L'ala del giorno pareva stanca anche a me e il cadere della domenica sul fiume mi immalinconì improvvisamente. (p. 107)

Il piatto piange modifica

Incipit modifica

Si giocava d'azzardo in quegli anni, come si era sempre giocato, con accanimento e passione; perché non c'era, né c'era mai stato a Luino altro modo per poter sfogare senza pericolo l'avidità di danaro, il dispetto verso gli altri e, per i giovani, l'esuberanza dell'età e la voglia di vivere.

Citazioni modifica

  • Chi governa il piacere, al piacere deve saper rinunciare. (p. 65)
  • Mai giocare [...] con gente che non si conosce o in bische clandestine. Quasi sempre c'è il baro. (p. 80)

Explicit modifica

Si riprese a vivere senza sapere di vivere. Né il gioco né la guerra ci erano serviti a qualche cosa. Tutto era passato su di noi, da una primavera all'altra, senza lasciarci un segno di salvezza o di speranza.
Di tutti quei giocatori, di tutta quella gioventù, non ci fu nessuno, tranne i morti, a cui riuscisse il sogno di evadere dal paese, di andarne fuori in ogni senso eppure di non perderlo, come non si può perdere la memoria dei primi anni di vita. I più lontani, quelli annidati in fondo alle Americhe o nel cuore dell'Etiopia, al pari di quelli che sono vicini, a Milano o in altri luoghi conosciuti, sentono di non essersi liberati da una specie di peso o di intoppo che la vita del paese ha lasciato in loro.
Non si sa se questo sia un bene o un male. Si sa soltanto che è un velo oltre il quale potrebbe aprirsi la vera vita, se si potesse capire com'è la vera vita.
Un poeta o un pittore che nascesse qui inosservato e prima di legarsi all'ambiente volasse via, forse troverebbe la strada della liberazione.
Ci sarà qualcuno che l'ha trovata, come Bernardino che dipingendo in tanti luoghi diversi ha sempre ricomposto questo paesaggio, mescolandolo ad altre cose del mondo. Ci sarà certamente stato fra di noi, senza che ce ne accorgessimo, qualcuno a cui è riuscito di evadere in un modo che a nessun altro è mai stato possibile.
Lo aspettiamo di ritorno, un giorno o l'altro, perché ci racconti la sua storia.

Il pretore di Cuvio modifica

Incipit modifica

Il dottor Augusto Vanghetta, pretore in sottordine con quasi quindici anni di carriera alle spalle, arrivò a Cuvio, dov'era stato destinato in qualità di titolare, nel pomeriggio del 26 ottobre 1930.
Negli uffici della sua nuova sede, ricavati al piano nobile d'un palazzo secentesco, non trovò il predecessore, partito il giorno prima, ma soltanto un vecchio cancelliere, che dopo avergli fatto visitare la sala delle udienze, l'archivio, la stanza dei corpi di reato e i locali dell'ufficiale giudiziario, lo lasciò solo in un ampio salone sulla cui porta era fissata una targa di smalto con scritto: Gabinetto del Pretore.

Citazioni modifica

  • Alto poco più d'un metro e mezzo, curvo e quasi gobbo, già grasso e occhialuto a vent'anni, e simile a un coleottero o a uno scarabeo stercorario per la sua tendenza a cacciarsi nel sudicio, [il Vanghetta] infilava anditi, scale e corridoi, sempre indaffarato a visitar femmine, presso le quali spesso si fermava a mangiare anche se aveva pranzato in altro posto, bevendo, dove ne trovava, Barbera o Barbacarlo, pur senza ripudiare il latte del quale era ghiotto come un vitello. (cap. 2; pp. 25-26)
  • La signora Memeo era, o gli era parsa, senza ossa. Tutta carne, per un prodigio di natura, di diversa consistenza a seconda delle parti e qualche volta con morbidezze che variavano tra fianchi e ventre o tra coscia e polpaccio: una scala così ampia di valori, che solo un esecutore della forza di Vanghetta poteva far vibrare in tutta la sua estensione. (cap. 6; pp. 51-52)

La spartizione modifica

Incipit modifica

Da dove era venuto con quella faccia severa, con quell'aspetto composto e a prima vista distinto? Da qualche importante città, da una famiglia di rango, da una lunga abitudine alla riservatezza?
Solo dopo qualche mese si seppe che veniva, in seguito a trasferimento d'ufficio, dal capoluogo della provincia; ma che era di Cantévria, un paesucolo della Valcuvia, a pochi chilometri da Luino.

Citazioni modifica

  • Tanto il bello quanto il brutto, pensava [Mansueto Tettamanzi], sono frutto di un uguale sforzo creativo e sono qualità raggiunte. E non è che sia facile ottenere una cosa veramente brutta: è difficile come ottenerne una bella. La valutazione dei risultati è una pura questione di gusto. A chi piace una forma, a chi un'altra. (cap. 4; p. 34)
  • "Amore, Amore!" voleva gridare [Tarsilla Tettamanzi]. Invece esclamò: «Gran Dio, come sto bene!» e alzandosi si batté le mani sulla pancia. Si sentiva totalmente addominale, come se il cuore e il cervello le fossero scesi nel ventre. Le due sorelle alzarono gli occhi e la guardarono meravigliate. Poi continuarono a pelare castagne lesse senza più badarle, seguendo ciascuna i suoi pensieri. Anche Teresa nel portar via i piatti guardò Tarsilla con insistenza. Teresa che l'aveva vista nascere, forse aveva capito o stava per capire. Ma possibile che le sorelle non si accorgessero di nulla? Tarsilla se lo chiedeva quasi ad alta voce. Una cosa simile non avrebbe dovuto irradiare un fluido, un alone di calore, se non di luce? (cap. 14; p. 110)
  • La luna era sorta alle spalle del paese e sul lungolago la luce dei lampioni impallidiva e ingialliva sotto la cascata d'argento che scendeva dai colli alla riva e che l'acqua inghiottiva a pochi metri dalla spiaggia. Solo quelli dell'altra sponda potevano vedere la luna di là delle acque e il suo lungo riflesso sulla superficie del lago. La gente del borgo passeggiava sui terrapieni nel fresco alito della montiva che veniva dal retroterra, tra le case e le piante, e assaporava la notte. (cap. 19; p. 142)
  • Al risveglio [Camilla Tettamanzi] trovò che le mani del cognato stavano lasciando il suo petto dove non avevano trovato proprio nulla, come del resto era previsto. Si potrebbe dire, conoscendo Emerenziano, che egli aveva temuto di trovarvi qualche cosa, e che fu contento di quello sterno arido, di quella bruttezza senza rimedio, uguale e pur diversa dalla bruttezza di Fortunata e di Tarsilia. (cap. 19; p. 144)
  • Quando Mansueto Tettamanzi aveva optato per il brutto e si era applicato alla deformazione dei frutti del suo orto, forse sapeva che la mostruosità ha il suo fascino. E fu certo per questa ragione che vide crescere una più laida dell'altra le sue figlie senza il minimo disappunto. Eredi della sensibilità paterna, le tre sorelle custodirono tranquillamente la loro bruttezza quasi sapessero che sarebbe arrivato un giorno o l'altro l'intenditore. (cap. 19; p. 144)
  • Il giorno che a pranzo, quando non si era ancora pronunciato, [Emerenziano Paronzini] mise insieme i tre spicchi sani di tre mele marce, involontariamente pensò di riunire le parti buone delle tre sorelle, cioè i capelli di Fortunata, le gambe di Tarsilla, e le mani di Camilla, ma solo per contrapposizione; perché il buono per lui era nel marcio delle tre mele, nel sapore dolce amaro di quei tre scarti immarroniti che aveva contemplato nel piatto mentre masticava gli spicchi bianchi come un mangime qualsiasi. (cap. 19; p. 145)

Explicit modifica

Il contadino di Cantévria che aveva fatto la guerra, che aveva lottato sanguinante nei gorghi del Piave riuscendo a salvezza per approdare al tavolo di un ufficio del Bollo e Demanio, aveva fatto altra strada. Era diventato, come un santo, oggetto di culto devoto sugli altari privati di tre donne. Di lui parlava un intero paese, e il suo nome sarebbe rimasto come un simbolo dei risultati che si possono ottenere con la costanza e col silenzio, con la buona tempra e con lo stomaco forte, quando non si nasce che a Cantévria e si ha per campo d'azione un piccolo mondo chiuso in un tempo senza storia.

La stanza del Vescovo modifica

Incipit modifica

Nel tardo pomeriggio di un giorno d'estate del 1946 arrivavo, al timone di una grossa barca a vela, nel porto di Oggebbio sul Lago Maggiore. L'inverna, il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura lombarda e risale il lago per tutta la sua lunghezza, mi aveva sospinto, tra le dodici e le diciotto, non più in su di quel piccolo abitato lacustre, dove decisi di pernottare.

Citazioni modifica

  • Il Vescovo era un prozio di mia moglie, monsignor Alemanno Berlusconi, morto nel ventotto, che fino a vent'anni fa passava l'estate in questa villa. Il padre di mia moglie gli aveva fatto addobbare la stanza migliore in modo degno d'un prelato che era Nunzio Apostolico in varie parti del mondo e faceva parte della Congregazione dei Riti. (edizione De Agostini – Mondadori, 1989, p. 37)
  • Il sole non si era ancora alzato, ma un bagliore rossiccio annunciava, dietro Luino, una lucida mattina di vento, di quelle che sembrano chiudere l'estate, dopo il Ferragosto, quando il lago, come una donna che cambi abito, perde i suoi colori tenui e leggeri per vestirsi di azzurro intenso e qualche volta di scuro turchino, se al mattino lo spazza la tramontana e lo ripettina al pomeriggio l'inverna.(edizione De Agostini – Mondadori, 1989, p. 86)
  • Filosofi, antropologhi, sociologhi e non inquisitori debbono essere i magistrati! Pensi che il Lombroso al quale ho sempre guardato come a un maestro, studiando il cranio del brigante Villella aveva scoperto che al posto della cresta occipitale il fuorilegge aveva una fossetta, come il gorilla e lo scimpanzé. Ecco quindi il fatalismo biologico! L'uomo fa il bene o il male a seconda di come è costituito. (edizione De Agostini – Mondadori, 1989, p. 132)

Vedrò Singapore? modifica

Incipit modifica

La data del 23 novembre, più che scritta è scavata dentro la mia mente con segni non meno indelebili di quelli che in seguito e per tutta la vita vi incise, a giusti intervalli, il dolore. Data memorabile, perché segnò l'inizio di un corso di eventi dai quali dovevo emergere a distanza di un anno, ma restandone segnato per sempre.
Quel giorno, partito avanti l'alba per Pontebba, nell'alta Carnia, avevo cambiato treno a Udine e fatto sosta a Gorizia: due città che vedevo per la prima volta e delle quali sapevo soltanto quel poco che era legato alla guerra 1915-1918, combattuta una quindicina d'anni prima in quei luoghi e subito entrata nei libri di scuola.

Citazioni modifica

  • Entrai in quel locale e presto mi rasserenai completamente, perché le donne che volteggiavano davanti alla panca imbottita sulla quale mi ero seduto avevano tutte un volto solo: quello del loro mestiere o della loro sorte.
  • Era una ragazza monumentale, di ventidue anni, che era stata fotografata in costume friulano per una serie di cartoline colorate messe in circolazione al fine di propagandare i tesori e i pregi della regione. Nella cartolina dov'era ritratta la Olga, appariva infatti in evidenza quella che era ritenuta la dote del Friul, la quale secondo un detto popolare consisteva in panse, tette e cul, non avendo altro quella splendida terra, almeno allora, da esportare o da presentare al mondo.

Incipit di alcune opere modifica

I giovedì della signora Giulia modifica

Il dottor Corrado Sciancalepre arrivò nel suo ufficio verso mezzogiorno. Era in Pretura a deporre come testimone in un processo di furto col quale si concludeva una paziente operazione che l'anno prima l'aveva occupato a lungo. Partito da un debole indizio, era riuscito a scoprire gli autori del furto e a recuperare la refurtiva.

Il mio paese modifica

Quando ero in collegio dai preti al De Filippi di Arona e frequentavo la seconda ginnasiale, il professore d'italiano, don Franceschi, dava un tema per settimana: «Come passerai le vacanze», «Scrivi una lettera allo zio augurandogli il buon onomastico», «Racconta quale è stato il primo dispiacere che hai dato alla mamma»...
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

L'abuso del vivere modifica

Pietro alza il capo dal tavolo dove sta leggendo. Fuori piove. Quante volte ha visto piovere da una finestra, sulle piante, sui tetti, sulle campagne, perfino sulle spiagge del mare dalle finestre degli alberghi. E in quanti posti del mondo, a quante diverse età della sua vita: sempre con un velo di malinconia dentro il quale si nascondeva un segreto compiacimento.
[Da 40 storie negli elzeviri del «Corriere», citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

L'uovo al cianuro e altre storie modifica

Verso le undici del mattino, dopo aver vagato per le camerate in cerca degli ultimi compagni da salutare, andai senza fretta nel corridoio della direzione a leggere i risultati degli scrutini.
Il voto più alto che avevo riportato era un cinque. Figuravo rimandato da una fila di tre e di quattro all'anno dopo, come se di classi non ne avessi già ripetute un paio e potessi invecchiare in quel collegio, dove i miei mi mantenevano a fatica.

Le avventure di Pierino modifica

Il desiderio più forte che Pierino allevava nel cuore fin da quando a sei anni aveva cominciato la scuola, era di aver libertà il mercoledì e di poter passare la giornata godendo lo spettacolo del mercato che si teneva in quel giorno al suo paese. La direzione scolastica aveva stabilito la vacanza settimanale al mercoledì, invece che al giovedì come in tutta Italia, forse più per comodo degli insegnanti che degli scolari.

Le corna del diavolo modifica

Nella nostra piccola città, allora ancora più piccola di oggi ma tanto più gradevole e umana, al tempo in cui cominciavo a viverci per un numero imprecisabile ma ormai stragrande di anni, cioè intorno al 1936, viveva già il commendatore Adamo Chiappini, un tenore in ritiro che i competenti di opera lirica ricordavano come una promessa, in parte mantenuta, del bel canto italiano.

Una spina nel cuore modifica

Un mattino di primavera del 1933, dopo essermi fermato alcuni giorni a Venezia e a Milano nel viaggio di ritorno da certe strane località oltre Isonzo dov'ero stato per quasi un anno, rimisi piede al mio paese. A Venezia, dove pensavo di non tornare più per il resto dei miei giorni tanto mi lasciavo volentieri alle spalle quei luoghi, avevo passato quasi una settimana, deciso a vedere tutta la città una volta per sempre. A Milano invece ero rimasto quarantott'ore, il tempo per portare a termine una ricerca alla quale attribuivo una certa importanza nei miei futuri destini. Se avessi rintracciato la contessa Bettina Nazzari di Costapiana, madre del conte Pier Cesare, mio principale quando lavoravo come fotografo a Milano, avrei potuto avere l'indirizzo del di lei figlio, finito in miseria e fallito anche come fotografo, al punto di trovarsi costretto ad andarsene in Brasile o in Argentina per sfuggire ai creditori.

Citazioni su Piero Chiara modifica

  • Fu un bellissimo incontro, era una persona interessante, estremamente gradevole parlare con lui. (Milena Vukotic)
  • La leggibilità è una dote piuttosto rara fra i nostri narratori, intenti più a lanciar messaggi, patrocinare avanguardie, inseguir mode che render digeribile la loro prosa.
    Piero Chiara è un'eccezione. Scrive come parla, e parla come scrive. Il suo stile può anche non piacere, ma non resta sullo stomaco. I suoi libri, una volta aperti, non si chiudono più, cioè si chiudono solo alla fine. Le sue storie, pur se circoscritte al microcosmo luinese e varesino, son piene di plasma, umori, colpi di scena.
    L'autore dice che son tutte vere. Forse mente, forse qualcosa è inventata, ma non importa. Ciò che importa è che divertano chi legge, come certamente hanno divertito chi le ha scritte. Se poi qualche produttore e regista ne fa un film tanto meglio. (Roberto Gervaso)

Note modifica

  1. Da Una storia italiana: il caso Leone, Sperling & Kupfer Editori, 1985.
  2. Citato in Al caffè di Piero Chiara dove sboccia l'orgoglio luinese, Varesenews.it, 16 febbraio 2017.
  3. Citato in Giacomo Casanova, Storia della mia vita, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, Arnoldo Mondadori, I Meridiani, 1999, introduzione.
  4. Citato in Vittorio Sereni: il lago e Luino, il paese natale, Larecherche.it, 19 febbraio 2015.

Bibliografia modifica

  • Piero Chiara, I giovedì della signora Giulia, Oscar Mondadori, 1974.
  • Piero Chiara, Il balordo, Arnoldo Mondadori Editore, 1967.
  • Piero Chiara, Il cappotto di astrakan, Arnoldo Mondadori Editore, 1978.
  • Piero Chiara, Il piatto piange, Arnoldo Mondadori Editore, 1962.
  • Piero Chiara, Il pretore di Cuvio Arnoldo Mondadori Editore, 1973.
  • Piero Chiara, L'uovo al cianuro e altre storie, Arnoldo Mondadori Editore, 1969.
  • Piero Chiara, La spartizione, Gli Oscar, Arnoldo Mondadori Editore, 1973.
  • Piero Chiara, La stanza del Vescovo, Arnoldo Mondadori Editore, 1979.
  • Piero Chiara, Le avventure di Pierino, Arnoldo Mondadori Editore, 1980.
  • Piero Chiara, Le corna del diavolo, Arnoldo Mondadori Editore, 1980.
  • Piero Chiara, Una spina nel cuore, Arnoldo Mondadori Editore, 1979.
  • Piero Chiara, Vedrò Singapore?, Oscar Mondadori, 1983.

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