Indro Montanelli e Marco Nozza
Garibaldi
modifica- Questa non è una biografia romanzata. È una biografia, e basta. Se qua e là somiglia a un romanzo, il merito è solo di Garibaldi, non dei suoi ritrattisti. (quarta di copertina)
- La morte del padre è sempre, per qualunque figlio, un dolore mescolato di rimorsi. (cap. VII, p. 122)
- Essa [Anita] non era il guerriero personaggio che l'agiografia risorgimentale ha dipinto. Era soltanto una donna coraggiosissima accanto al suo uomo, e capace di seguirlo in tutti i rischi e repentagli, ma sempre impaurita di perderlo. Nelle battaglie, salutava alzando la mano le granate che la sfioravano, ma se non vedeva più il suo José perdeva la testa. (cap. VII, p. 123)
- [Anita] Non capì mai gl'ideali del suo José, ma li condivise sempre sino in fondo, fino a morirne, ritenendoli sacrosanti solo perché lui li considerava tali. Era gelosa, e il suo carattere ridiventava protervo quando José si distraeva dai doveri coniugali. Ma subito dopo tornava ad addolcirsi. Non ebbe mai ambizioni né intellettuali né mondane. Accettò la propria ignoranza come una condizione irreversibile, e anche quando José diventò un personaggio importante e famoso, rimase una donna modesta, senza pretese, neanche materiali, contenta di vivere nell'ombra di lui. (cap. VII, pp. 123-124)
- Nella storia sudamericana, Rosas è forse destinato a restare come il tipo più compiuto del caudillo. Sebbene fosse di una famiglia di origine asturiana, sembrava un nordico [...]. Suo padre lo aveva cacciato di casa e lui se ne andò a vivere nella pampa coi gauchos. Da loro allievo diventò loro maestro, li arruolò in una delle tante rivoluzioni che misero a soqquadro il paese, e si fece proclamare generale. Per disfarsi di lui, i suoi alleati lo mandarono a domare una ribellione di indi. Rosas venne, vide, vinse e si proclamò dittatore promulgando un manifesto che, per il suo enfatico linguaggio, fece ridere tutta Buenos Aires. Rosas prese i primi dieci che ridevano e li fece fucilare. Buenos Aires smise di ridere.
Molto prima di Stalin fu lui a inventare il "culto della personalità". (cap. VII, pp. 126-127) - Questo padrone assoluto aveva tuttavia a sua volta un padrone: sua moglie Encarnación Ezcurra. Era stata lei a organizzargli la revolución de los restauradores che lo aveva condotto al potere. Era stata lei che aveva rovesciato il governo Balcarce. Era lei che assumeva le redini del comando durante le assenze del marito e reprimeva i complotti con la Mashorca. Amava il dittatore d'un amore frenetico e dispotico e spesso ne faceva sopprimere i nemici senza neanche dirglielo. Fu insomma il modello a cui un secolo più tardi si sarebbe ispirata Eva Perón. (cap. VII, p. 127)
- L'Anzani era un bel tipo di cavaliere della rivoluzione, ma serio, positivo e autorevole. (cap. VII, p. 129)
- Era un tipo autorevole, l'Anzani, che metteva soggezione con quel suo viso aggrondato che pochi avevano visto ridere. (cap. VII, p. 130)
- [Garibaldi] Era un uomo d'azione all'eterna ricerca di un ideale che giustificasse l'azione. (cap. VII, p. 131)
- La Farina era linguacciuto e vanaglorioso, non godeva nessun credito presso i suoi compaesani, e Garibaldi e Crispi lo detestavano. (cap. XV, p. 381)
- Per un momento ci fu il pericolo – o la speranza – che Garibaldi rinnegasse in maniera clamorosa e definitiva la causa del Piemonte e dei Savoia e prendesse la testa dei suoi vecchi compagni radicali accorsi in massa a Napoli. C'erano i due santoni del federalismo, Cattaneo e Ferrari; [...] c'era soprattutto il dinamico e autorevole Bertani, l'unico a cui Garibaldi aveva dato un posto nel governo, nominandolo segretario. Il generale sapeva che Bertani era uomo di Mazzini, e per questo ne diffidava. Però ne subiva anche l'ascendente, specie in quel momento di furore verso Cavour e di delusione nei confronti del re [...]. (cap. XV, p. 408)
- [Garibaldi] Aveva per esempio un debole per Bixio, il suo figliolo discolo, ma raramente ne sollecitava il parere. In qualche occasione politica in cui Bixio si prese la libertà di esprimerne uno, il generale gli rispose:
"Tacete, Bixio, queste non sono cose per voi..."
E Bixio tacque, perché questo guerrigliero irruente, d'un coraggio a tutta prova, implacabile col nemico e talvolta perfino sanguinario, davanti al suo generale diventava un pulcino bagnato. (cap. XV, pp. 418-419) - [Sirtori] Era un ex prete che aveva perso la fede, o meglio l'aveva trasferita da Dio alla patria; ma aveva conservato l'ascetismo. Sempre in lotta con l'esaurimento nervoso, si preparava alle battaglie come un tempo si era preparato alle messe, digiunando e meditando. Era un uomo malinconico, taciturno, turbato ed esangue, chiuso nel suo sacerdozio di soldato, e col goliardico ambiente legionario non si appastò mai, rimanendone sempre un po' remoto e in disparte. Dovunque apparisse, le risate si spegnevano e le bocche si chiudevano. Però le orecchie si tendevano perché le sue parole, le rare volte che ne pronunziava, facevano testo. (cap. XV, p. 419)
- Cosenz era il tecnico delle battaglie e lo rimase, con pieno merito, anche nell'esercito regolare. Questo meridionale flemmatico, silenzioso e un po' irsuto, considerava la guerra una scienza esatta, e i suoi legionari dicevano ridendo che avrebbe preferito una sconfitta ragionata a una vittoria casuale. Come un uomo simile fosse nato in una provincia borbonica e poi si fosse imbrancato con un improvvisatore come Garibaldi, Dio solo lo sa. (cap. XV, p. 419)
- Il più completo [tra i luogotenenti di Garibaldi] era Medici, ch'era l'unico che desse del tu al generale e ne godesse la più assoluta fiducia. Comandava la più bella divisione, quella dei volontari lombardi, il suo coraggio non era inferiore a quello di Bixio, ma imbrigliato dalla volontà e completato da qualcosa che a Bixio mancava: l'autorità. Ne esercitava anche su Garibaldi. (cap. XV, p. 420)
- Chi ha detto che l'Italia si è sciupata nel crescere? È sempre stata come noi la conosciamo. (cap. XVII, p. 466)
- Solo a Villa Glori ci fu il solito "eroico episodio" che fa regolarmente da contrappunto alle disfatte italiane e le rende patetiche: alla testa di settantacinque garibaldini, penetrati di notte fin lì, cadde, insieme ad Antonio Mantovani, Enrico Cairoli. Si accasciò fra le braccia del fratello Giovanni, che due anni dopo doveva morire anche lui per le ferite riportate in quello scontro. E così di cinque fratelli, tutti garibaldini, sarebbe rimasto il solo Benedetto, futuro presidente del Consiglio. Perché in Italia ci sono anche di queste famiglie. (cap. XIX, pp. 534-535)
- Francesca gli faceva [a Garibaldi] spietatamente il vuoto intorno, per riempirlo con quelli della sua tribù. [...] E la casa di Caprera, una volta così liberalmente aperta a qualunque ospite di passaggio, ora non aveva più disponibili né letti né posti a tavola perché tutti erano occupati dai parenti della ex balia astigiana. [...] Egli dipendeva da Francesca, e Francesca lo serviva con devozione. Ma poi si faceva ripagare col monopolio sulla vita intima e affettiva di lui. (cap. XX, pp. 541-542)
Bibliografia
modifica- Indro Montanelli e Marco Nozza, Garibaldi, Rizzoli, Milano, 1966 (1962).