Giovanni Masutto

musicologo, flautista e direttore d'orchestra italiano

Giovanni Masutto (1830 – 1894), musicologo, flautista e direttore d'orchestra italiano.

I maestri di musica italiani del secolo XIX modifica

  • [Antonio Angeleri] Forse di niun altro si potrà ripetere la felice espressione, che di lui si diceva: «Angeleri fa i maestri, e questi a lor volta, fanno gli allievi». (p. 7)
  • Il Bazzini è certamente uno dei più grandi violinisti che vanti l'Italia. (p. 16)
  • [Enrico Bernardi] Ben di rado si troverà un maestro che abbia fatto la scala che egli ha fatto: cominciò col suonare il trombone e terminò col dirigere orchestre; cominciò ad essere copista, e terminò coll'essere direttore di copisteria; cominciò ad essere bandista, e terminò coll'essere Direttore e Proprietario di un Corpo di Musica distinto. (p. 19)
  • Se nella musica sacra di A. Biagi si trova qualche volta mancanza di melodia, si trova anche costantemente un'armonia pura, una fattura abilissima, una stupenda istrumentazione e sopratutto un'ammirabile nobiltà di concetto. (p. 21)
  • Dire de' suoi meriti conosciutissimi nel mondo musicale, sarebbe come voler portar chiacchiere in un parlamento. Il suo nome soltanto vale qualunque elogio, ed è una gloria italiana; dell'artista dunque è inutile dire altre parole. Né manco come maestro è meno conosciuto Giovanni Bottesini. (p. 27)
  • Ecco un uomo [Luigi Ferdinando Casamorata] che onora veramente il nostro paese e l'arte musicale. — Così io pensava nel 1880. L'illustre uomo è morto il 23 settembre 1881 a Firenze. Egli era come venne scritto, bellamente, artista in tutta l'estensione della parola. (p. 38)
  • Musicista di grande valore, [Luigi Ferdinando Casamorata] lascia nel genere ecclesiastico, specialmente, lavori di prezzo inestimabile, oltre a vari trattati di armonia pregievoli e scritti musicali nei quali è trasfuso il profondo e immenso suo sapere. Avvocato di grido, veniva considerato come uno fra i più dotti campioni del foro, e letterato di vaglia lascia scritti che attestano la sua immensa erudizione. (pp. 38-39)
  • Egli [Ernesto Cavallini] superò tutti i suoi antecessori e fu soprannominato il Paganini del clarinetto. (p. 39)
  • Egli [Domenico Cimarosa] fu l'anello che unì la vecchia scuola alla moderna. (p. 43)
  • Ecco la vita di quest'uomo: non un momento di quiete, di pace, di tranquillità, di ozio; or qua, or là, oggi a Vienna, domani a Lisbona. E in tutte le città ove il Coppola mette piede, è onorato, festeggiato, venerato; eppure lui sempre modesto ed umile preferisce la pace al chiasso, e non inorgoglisce pei trionfi meritamente ottenuti, anzi più modesto che mai, rifiuta i gradi cavallereschi che gli venivano offerti. (p. 51)
  • Guglielmo Cottrau si deve considerate come l'inventore delle canzoni popolari napolitane, canzoni ch'egli immaginava nelle sue peregrinazioni per le circostanti campagne di Napoli, dove raccoglieva motivi popolari, frammenti di arie soavi che per opera sua furono conservate, abbellite, ordinate, e poterono essere gustate. (p. 56)
  • La musica di queste canzoni [di Cottrau], ora melanconica, ora giuliva, il più delle volte è in tono minore. Doti principali sono la semplicità, la tenerezza, la grazia, e la squisita eleganza. (p. 56)
  • Donizetti fu detto l'Ovidio della musica, per la sua fecondità e per la sua vena creatrice veramente straordinaria. (p. 66)
  • [Franco Faccio] Egli è incontrastabilmente oggi, il primo Direttore d'orchestra d'Italia, e ne ha in sommo grado tutte le qualità, fra le altre, la sterminata memoria musicale, giacché egli dirige fin dalla prima rappresentazione qualunque opera la più elaborata e complicata, sempre a spartito chiuso. (p. 69)
  • [...] egli è dotato d'uno dei temperamenti più felici: è sempre di lieto umore, e la sua cordialità lo rende simpatico e caro a chiunque. L'ho trovato a Milano, a Trieste, qui a Venezia, in mezzo al lavoro, oppresso dalla fatica, ma Franco Faccio era sempre lui: buono, ilare e gentilissimo. (p. 69)
  • Il Ferrara, come violinista, ebbe meriti preziosissimi: una bella levata di voce, una bell'arcata, una intonazione perfetta, un'intera padronanza dello strumento. E come compositore se non ebbe una fantasia ricchissima, non l'ebbe nemmeno povera, ed ebbe buoni studî ed eletto buon gusto. (p. 71)
  • [Valentino Fioravanti] La sua musica, dice un suo biografo, eclissata dalla nuova scuola, manca forse d'originalità, ma vi si trova una vena comica, una schietta naturale festività, una felice disposizione nel ritorno periodico delle frasi melodiche principali, le quali contribuirono grandemente alla fama di cui goderono le opere di questo maestro, fra le quali emerge sempre quella intitolata: Le cantatrici villane. (pp. 73-74)
  • Trovo scritto che [Venceslao Fumi] aveva orecchio pronto e delicatissimo, memoria tenace, fervore artistico e insieme, come usa dirsi, sangue freddo. E aveva la facoltà, più rara assai di quanto credesi, di legger bene la partitura, d'intenderne mentalmente gli effetti, di sviscerarne le intenzioni dell'autore. (p. 80)
  • [...] quelle partiture[1] [di Venceslao Fumi] sono manifestamente di un compositore che ha un'intera conoscenza cosi del maneggio come del carattere degli strumenti, che sa ottenere gli effetti ideali, che sa riuscire al nudrito, al vigoroso e al forte, senza peso, senza confusione, senza frastuono; sono in una parola, le partiture di un maestro. (p. 80)
  • Appassionato della musica verdiana, mandava a memoria [...] opere intiere di Verdi; ed anche oggi il Frojo suona a memoria tutto quello che interpreta. (p. 87)
  • [...] mentre gli altri traevano il soggetto della fuga dal canto fermo, egli [Lorenzo Gibelli] all'incontro sceglievalo tra quei dolci motivi o cantilene che vedeva godere del favor generale, cosicché le sue fughe riuscivano gratissime all'intelligente non solo, ma ben anco all'orecchio del popolo. Per ciò egli fu chiamato per antonomasia: Gibellone dalle belle fughe. (p. 90)
  • Da molti anni il Mabellini si occupa della formazione di un trattato di composizione musicale che fra breve sarà pubblicato. È inutile dire quanto opportuna riuscirà questa pubblicazione del celebre maestro, e quanta utilità sarà per recare all'arte l'opera dì un uomo così profondamente conoscitore della difficile scienza della composizione musicale, opera della quale è assoluta mancanza in Italia, rispetto alle esigenze del gusto moderno. (p. 101)
  • Il Martucci è quindi assai giovane ancora, ma compì già il giro trionfale delle capitali d'Europa, lasciando tutti i pubblici affascinati, entusiasti dalla potenza del suo ingegno, perocché egli tratta il pianoforte con tanta maestria da cavarne fremiti di voluttà, risa, sospiri, accenti d'ira, scoppi di entusiasmo, che scuotono, elettrizzano, impongono. (p. 108)
  • Gli Inglesi che non sono così facilmente portati all'entusiasmo, nei quattro mesi che l'ebbero in Londra, si deliziarono alle sue Accademie, ed i pubblicisti di quella metropoli non ebbero pel Martucci che lodi, proclamandolo perfino pianist of Continental fame. (p. 108)
  • Fra i critici più illustri dell'arte musicale che al nostro tempo abbia avuto l'Italia è da annoverarsi Alberto Mazzucato [...]. (p. 111)
  • Alberto Mazzucato fu amato molto da Rossini, da Bellini e da Verdi. Rivelò nella sua scuola di Milano, come nota Arrigo Boito, il genio di Benedetto Marcello. (p. 112)
  • [Salvatore Pappalardo] La rivista tedesca Die Tonkust, del febbraio 1877 [...] rese uno splendido omaggio a quest'illustre maestro, esaminando con sottile critica alcune sue opere. Tale articolo non solo onora il maestro, ma altresì la musica italiana; ed è di tanto maggior onore in quanto è noto come oltr'alpi sieno restii alla lode, se non se quando trattisi di un ingegno incontrastato. (p. 132)
  • [Vincenzo Petrali] Le sue composizioni hanno un carattere originale: sono tutte piene di quelle bellezze armoniche e melodiche che derivano da una facile fantasia, sempre giovane e ardente. Suonatore impareggiabile d'organo, com'è, scrisse musica quasi tutta per chiesa, tolte poche cose per piano. (p. 139)
  • Il povero Petrella aveva molti avversari. Ma era buono e perdonava a tutti, e voleva anche bene a tutti. Il suo nome non sfiderà ì secoli, poiché quanti nomi di uomini grandi sono già dimenticati! ma finché gl'Italiani ameranno la loro musica, vorranno ascoltare la Jone, le Precauzioni e la Contessa d'Amalfi. (p. 139)
  • Egli [Alessandro Rolla] ben presto si guadagnò splendida fama fra i ristauratori della musica italiana, fra i violinisti ed in grado eminente superò i suoi predecessori nel trattare la viola. (p. 155)
  • Un insulto, e grave, ebbe a soffrire Rossini nella stessa Bologna da un centinaio di Siciliani, che non conoscendolo ed essendo stanchi da lunghe marcie, all'invito fatto di suonar davanti la casa dell'illustre maestro una delle sue melodie, risposero con urli e con fischi che indignarono cosifattamente Rossini che il giorno addietro, seguito dalla moglie, partì per Firenze. (p. 163)
  • Il Salieri, che fu chiamato il musicista della ragione, aveva delle fissazioni assai bizzarre; talvolta era obbligato per fecondare la sua immaginazione, ad uscire di casa, percorrere le vie più frequentate della città, mangiando dei confetti, avendo sempre alla mano fogli e matita per cogliere al volo le felici idee che gli passavano pel capo. (p. 172)
  • Lungo sarebbe l'enumerare di quali ovazioni fu fatto segno il Sivori; dirò solo che non v'ha città dell'Italia che ascoltando le note angeliche divinamente cavate dal suo strumento, non abbia mandato un entusiastico saluto a quel prediletto figlio d'Euterpe, che il cielo vorrà conservare ancora per anni parecchi ad onore del nostro paese. (p. 182)
  • Io, raccoglitore di queste biografie, non so rassegnarmi a non veder più quel suo sguardo indagatore che luccicava dietro quelle grossissime lenti, non so persuadermi di non vedere più quel sorriso tra il benevolo e l'accorto che illuminava il suo volto rugoso, di non sentire quella sua parola grave ed arguta! Quando stavo in sua compagnia, e ci stavo per tante ore, poiché il maestro Tonassi mi onorava da più di 26 anni della sua confidenza, io mi compiacevo di guardare quella sua testa tremolante, quella sua fronte spaziosa e sgombra da nubi, e dicevo tra me: ecco un uomo grande che passa fra noi quasi ignoto! (p. 187)
  • Quando il grande Rossini si recò a Venezia, gli vennero presentati vari lavori del Tonassi. Esaminatili attentamente, e invitato a darne un giudizio, egli s'espresse con queste parole: godo che a Venezia abbiate un vero maestro. Ed è stato, a vero dire, non piccola cosa! (p. 187)
  • Fu modestissimo, tanto che per molti egli era quasi sconosciuto. In questi ultimi tempi in cui vennero profuse tante decorazioni, Pietro Tonassi non fu nemmeno ricordato. È ben vero ch'egli era superiore a tante meschine ambizioni, e ne rideva.
    Visse povero e contento.
    L'arte gli fruttò tanto da vivere lavorando sempre. (p. 188)
  • Per dare un' idea della prontezza con cui il Gran Maestro [Giuseppe Verdi] mette sulla carta le sue idee musicali, ricorderò che il famoso Miserere del Trovatore fu scritto al tavolo di una locanda, non appena egli era sceso da vettura. (p. 195)
  • Dove Verdi più che in altra cosa si affatica, è nelle prove dei suoi spartiti. Egli è addirittura inesorabile ; vuole che gli artisti ricomincino magari dieci volte un dato brano per dare alla sua musica il colorito e l'intuonazione che, scrivendola, egli intese imprimervi. (p. 195)
  • Il Vianesi è in tutta Europa il Direttore di orchestra più conosciuto [...]. (p. 196)
  • In tutta Italia ed all'estero [Luigi Marchesi] fu proclamato un portento, e godette fama di primo soprano de' suoi tempi. (p. 220)
  • Il Romani è autore dell' aria: Manca un foglio, che generalmente cantasi nel Barbiere di Siviglia, in luogo del pezzo originale di Rossini: A un dottor della mia sorte[2]. (p. 223)
  • [Stefano Ronchetti-Monteviti] La robustezza dell'intelletto e gli studi profondi forniti gli apersero l'armoniosa e delicata anima alle più lusinghiere speranze, onde nel bollore degli anni e della fidanza sulle forze della mente volle tentare il teatro melodrammatico sognando le gioie d'un vero successo; ma le speranze fallirono, dacché la sua opera Pergolesi non pose sul capo del giovine maestro l'ambito alloro. (p. 223)
  • [Stefano Ronchetti-Monteviti] Le tre sue composizioni: il Lamento di Minvana; il Lamento di Malvina; il Canto dell'ombra di Toscarre, argomenti tutti e tre tratti dalle poesie d'Ossian, rivelarono al mondo degli intelligenti com'egli avrebbe dovuto essere fortunato anche in un campo più vasto. Vi ha tanta passione, vi ha tanta finezza d'armonia in questa musica squisita da far arrossire le mille cose, che pure a' giorni nostri ottengono favore e menano vanto. (p. 224)

Note modifica

  1. Si riferisce ai lavori sinfonici La siesta della señorita, All'ombra dei palmizi, Il sogno di Gretchen, pubblicati dall'editore Guidi.
  2. Nel testo: A un dottor della mia tesor.

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