Felice Daneo

storico italiano, professore

Felice Daneo (1825 – 1890), storico italiano.

Piccolo panteon subalpino ossia Vite scelte di piemontesi illustri narrate alla gioventù modifica

  • Vivevano da tempi antichissimi, non molto lungi da Pinerolo nelle valli del Piemonte che diconsi di Pragelato, Luserna e San Martino i Valdesi, sia che così si chiamino dall'abitar nelle valli, sia che Valdo, celebre eresiarca di Lione del secolo XIII loro ne désse il nome o ne lo ricevesse oppur ne professasse le credenze. Essi si credono seguaci della vera chiesa de' tempi apostolici, e nelle loro disputazioni del dogma sogliono farsi ragione di non interrotte tradizioni e dell'autorità di Claudio vescovo di Torino, che fiorì nel secolo IX dell'êra volgare. (vol. primo, cap. IV, p. 39)
  • [...], le imprese civili e militari, il valore la virtù e la fama di Emanuele Filiberto sono una delle glorie più stupende d'Italia, e il suo nome dura immortale nella storia. Ardito, vigile, operoso, instancabile fu veramente, come il chiamavano i contemporanei, uomo dalla Testa di ferro. (vol. primo, cap. IV, p. 41)
  • Carlo Felice era certamente uomo di retti intendimenti, di facili costumi e assai del popolo amante; ma per nulla egli avea alle vecchie magagne riparato; né pensava che gli Stati e le repubbliche debbono secondo i tempi, gli ordini e le leggi variare affinché abbiano stabilità, e che dovere è del principe operar con prudenza, giustizia e integrità, e promuovere e secondare quelle riforme in cui è la pace, il bene e la salute pubblica. Pertanto le cause che funestarono il regno di Vittorio Emanuele I durarono in gran parte, se non si accrebbero sotto Carlo Felice, e men belli riuscirono i primi anni del regnar di Carlo Alberto, a cui fu giuocoforza obbedire a una ferrea necessità, ineluttabile, come del fato favoleggiarono gli antichi. (vol. primo, cap. VII, p. 90)
  • [Carlo Alberto di Savoia] Religioso forse più che a militare si addicesse (se nella religion vera ecceder si possa), deferenza somma mostrò a' ministri del culto sacro; inflessibile osservatore della giustizia per sé fu altrui prono a clemenza e generoso; perspicace, forte, temperante, severa educazione con soavità d'affetti domestici ne' suoi temperò; sobrio e frugale fino a privarsi del necessario; corpo paziente del sonno e dei disagi non in campo solo ma pur nella Regia, involandosi ai sollazzi ma in umil cella riducendosi[1]. Mollezze e ozio ebbe a disdegno, sto per dire, la cura di se stesso, come in guerra si vide, nelle epidemie[2] e ne' travagli. Limosiniero e pio non sugli averi ma sull'amor del popolo fece tesoro. Ma queste virtù sono antiche nella sua Casa e durano nei figli. (vol. primo, cap. VII, p. 104)
  • Benché il Denina fosse in età di settanta cinque anni circa, non cessò mai di scrivere, di rivedere e correggere le sue opere; ed ottuagenario attendeva ancora alla stampa or dell'una or dell'altra, e manteneva verdi tutti i suoi spiriti, tanto che appar prodigio di vita operosa e instancabile.(vol. primo, cap. XIII, p. 163)
  • Il Denina fu di mezzana statura, sottile di persona, non isproporzionato però di membra: il volto avea aperto, l'occhio vivace e mobile, così come ardente ne era l'indole e quasi irrequieta: sciolta la lingua e facile il parlare tanto nell'italiana come nella francese favella. Mente fecondissima e piena di alto sapere, a scrivere portavalo il proprio genio e stimolavanlo i vari casi della vita che gli furono di grande occasione a fare, ma pur cagion di poca castigatezza nella dizione ed efficacia dello stile; ma questi difetti non toccano l'opera sua principale delle Rivoluzioni d'Italia; onde per comune consenso fra i classici scrittori Italiani è annoverato. (vol. primo, cap. XIII, pp. 163-164)
  • [Gian Francesco Galeani Napione] [...], fu egli d'indole eccellente e mansueta, generoso e benefico senza ostentazione, grave senza alterigia, religioso e specchiatissimo di costumi. Fu poi esemplare di virtù domestiche e sociali, non mai dimenticando che il primo dovere del vivere morale è la rettitudine dei propositi e la costanza nel bene operare. (vol. primo, cap. XIV, p. 169)
  • Ma il libro del Napione che vorremmo ogni giorno veder per le mani della gioventù studiosa, quello si è che è Dell'uso e dei pregi della lingua italiana di sopra indicato, di cui tu non sai se maggiore sia la copia della dottrina o l'amore della patria nel culto dell'italiana favella, «ché non solo, dice egli, è la più bella che sia sorta dalle ruine dell'antichità, ma è lingua conosciuta ed apprezzata da tutte le côlte nazioni.» (vol. primo, cap. XIV, p. 171)
  • Sebbene il Tenivelli mostri non mediocre acume e discernimento critico nel giudicare degli storici che lo precedettero e singolare diligenza metta nella ricerca dei fatti e nell'esame dei fonti e documenti; non si può dire tuttavia che un rigoroso pregio istorico abbiano le sue narrazioni in cui talvolta s'incontrano delle incoerenze e anco delle amplificazioni retoriche, come si suol dire, e per amore di municipio si pregiudica talvolta alla realtà storica. (vol. primo, cap. XV, p. 177)
  • Ma le opere che maggiormente attestano il raro senno e l'operosità del Bogino, è la riunione del governo della Sardegna a quello degli Stati di terraferma, operatasi nell'anno 1759, onde in men di quindici anni fu condotta a civiltà colla miglioria delle leggi, degli ordini amministrativi, coll'istituzione di Magistrati civili e di commercio, delle Università di Cagliari e di Sassari, col promuovere l'industria e l'agricoltura, incominciare i lavori pubblici ed estendervi insomma le riforme dello Stato; di maniera che l'Isola si vide crescere così di ricchezza come di popolazione ed egli è dei Sardi benemerito non meno che dei Piemontesi. (vol. primo, cap. XIX, p. 221)
  • Alfieri esuberantemente stufo prese la immutabile risoluzione di rompere ogni non degno legame, e per togliersi occasione ai ma' passi si tagliò le ricche e lunghe chiome, affinché, siccome il decoro non permetteva allora a nobil uomo di mostrarsi in sì umile assetto quasi di servo tosato, più non potesse uscir di casa e giunse a tale di farsi legare sulla sedia per obbligarsi alla applicazione della mente. (vol. secondo, cap. XXII, p. 14)
  • Carlo Marenco fu uomo di retta e generosa indole; giusto, leale e sincero, padre di famiglia così affettuoso e pio che l'amor della gloria, benché sia il maggior bene di un poeta, non antipose a quello della prole; cittadino integerrimo, savio, operoso, fu de' suoi provvido amministratore; pieno di affetto per gli amici, semplice di modi e cortese, in lui avresti facilmente veduto l'animo altamente virtuoso. Gran concetto egli ebbe della poesia e del culto delle lettere, e fu uno de' più nobili e virtuosi intelletti de' tempi nostri in Italia. (vol. secondo, cap. XXIV, p. 61)
  • [Carlo Marenco] Era di giusta e proporzionata statura, la fronte avea quasi sfuggente, inarcate le ciglia e l'occhio parlante; capelli quasi scomposti, sime le nari[3] e le labbra sporgenti, ma tale un complesso cha a sé traeva e a stima e venerazione invitava. Tale di lui fecero testimonianza quanti lo conobbero. (vol. secondo, cap. XXIV, p. 61)
  • Era il Nota operoso, avveduto e solerte e veramente nel nome e nel fatto intendente della carica che cuopriva; imperciocché quanti ebbero affare a lui o della sua amministrazione discorrono, si convengono a farne gli elogi, particolarmente a San Remo[4], dove essendosi fatto sentire una terribile scossa di tremuoto[5] che molto danneggiò la spiaggia dei Liguri, diede egli esempio di rara prontezza d'ingegno, di fermezza nel porvi riparo e di carità di patria, tal che benedetto era il suo nome. (vol. secondo, cap. XXV, p. 66)
  • Così visse e così morì Amedeo Ravina, di carità patria e di libertà appassionatissimo, poeta ed oratore egregio, e scrittor castigato e puro che i modi più pellegrini dei classici latini e italiani avea quasi assorbiti nelle vene. Fece lunghissimi studi della storia antica e moderna, ed erano suoi autori prediletti C. Tacito, Tito Livio, Plutarco, Dante, Petrarca e Macchiavelli, i quali quasi sapea per la memoria e quasi tutti postillò e corredò di note in sì gran copia da renderli a stento leggibili, usandone perciò più copie. (vol. secondo, cap. XXVIII, p. 101)
  • Quando un uomo d'ingegno eccellente e di animo generoso si è della filosofia fatto famigliare, non si piega né per l'avversa né per la prospera fortuna, ma in sé stesso volgendosi, sempre vi trova natura da bastare a sé e da recare non mediocre utilità e benefizio agli altri. (vol. secondo, cap. XXXI, p. 142)
  • [...] Ornato era uno di que' rari ed eletti ingegni che, appena hanno imparato a stampare le prime orme nella via del sapere, più non hanno uopo dell'opera altrui; e quindi da per sé solo continuò gli studi quasi senz'altro presidio che i libri, i quali, dicono che la sua buona madre gli togliesse talvolta di mano, entrando a notte inoltrata a spegnergli il lume, affinché ei non prolungasse di troppo la veglia, ma concedesse qualche riposo così al corpo come alla mente. (vol. secondo, cap. XXXI, pp. 144-145)
  • Fu adunque la vita dell'Ornato, sì in patria e sì quando pellegrino era in terra straniera, quella di un savio che la filosofia professò non già ad ostentazione d'ingegno ma perché, per sé praticandola, potesse riferirla a vantaggio dei seguaci, costoro ritraendo da quella vana specie che è la sofistica e scorgendoli all'investigazione del vero e alla pratica del bene. E quantunque di non molti monumenti scritti egli ci abbia lasciato, pur tanti e così efficaci furono gl'insegnamenti orali ch'ei trasfuse negli intelletti, e l'influenza negli animi, che il suo nome a buon diritto va unito col risorgimento degli studi filosofici in Italia. (vol. secondo, cap. XXXI, pp. 149-150)
  • Pio Aldo Manuzio il vecchio (così detto per distinguerlo da' figli e nipoti che esercitarono la stessa arte), lodato non meno per cultura e dottrina letteraria che per la prodigiosa operosità, venne a buon diritto chiamato il padre e l'onore della Tipografia Italiana. Egli fu il primo che prendendosi a cuore la causa dele lettere e dell'antica sapienza, prendesse a pubblicare in corrette edizioni le opere dei classici greci e latini; e così ci diede tutto Aristotele, Euripide, Teocrito, Virgilio, la prima volta stampato, e la prima Bibbia in ebraico; ed oggi ancora ha un tesoro che possiede una compiuta edizione delle stampe Aldine. (vol. secondo, cap. XXXVIII, p. 227)
  • [...] più che dal Perugino, il Gaudenzio imparò poi dall'Urbinate[6] a perfezionare colla grazia e coll'espressione il suo stile; e sì che se tu ben miri i di lui dipinti, ti par di vedere un non so che di raffaellesco spirare dalle pose, dall'atteggiamento e dalla soavità dei volti, specialmente nelle donne e negli angeli dei quali una meravigliosa corona si ammira a Varallo. (vol. secondo, cap. XXXIX, p. 237)
  • Gaudenzio Ferrari, se tu desideri sapere qual fosse il suo carattere fisico e morale, era di proporzionata statura, di bello e franco aspetto, occhio vivace, composta la persona, ben fatto il cuore, retta e generosa l'indole; ben costumato, religioso e liberale, talvolta faceto, sempre urbano. Era nel lavorare spedito, diligente, industre; la sua vita fu uno studio continuo dell'arte e della natura. (vol. secondo, cap. XXXIX, p. 239)

Note modifica

  1. Io stesso ho visitata la cella del Re a Racconigi e a Pollenzo nei reali castelli e non potei trattenere la mia meraviglia, in vedendo come tanta semplicità si nascondesse accanto alle magnificenze della Corte; cosicché penetrandovi dalle sale sontuose, par di passare d'improvviso nell'umil ritiro di un monaco. [N.d.A. n. 1, p. 104]
  2. Niuno ignora di quanta carità ed abnegazione desse prova Carlo Alberto nell'imperversar del Cholèra Asiatico a Genova, l'anno 1835, che vi accorse sollecito, e di sé dimentico, visitando i lazzaretti e provvedendo con molta cura alla salute pubblica. (V. Diari e scritti vari di que' tempi). [N.d.A. n. 2, p. 104]
  3. narici camuse, ossia piatte e schiacciate; dal latino simus.
  4. Sanremo.
  5. terremoto.
  6. Raffaello Sanzio di Urbino.

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