Antonio Muñoz

storico dell'arte e architetto italiano (1884-1960)

Antonio Muñoz (1884 – 1960), storico dell'arte e architetto italiano.

Antonio Muñoz nel 1935

Citazioni modifica

  • Padrone com'era dell'effetto e della luce, Fragonard aveva le qualità più necessarie a un decoratore, ed era ricercatissimo dai ricchi signori che facevano ornare sontuosamente le sale dei loro palazzi; era divenuto il pittore alla moda la fortuna gli sorrideva. Ma egli non si curò mai dei guadagni e della gloria, felice di fare dell'arte per suo godimento, lasciando alla moglie la cura degli affari, vivendo tra i suoi sogni dorati.[1]
  • Tutti questi effetti di luce, questi contrasti tra il candore della biancheria e la nudità rosea delle carni, Fragonard li ottiene con una leggerezza di tocco che non sembra uscita da un pennello ma da una mano di fata. Tutto è ondeggiante come nuvola, velato come un sogno; certe pose troppo veristiche, certi nudi troppo intimi, perdono tutto ciò che potrebbero avere di indecente per quella maniera vaga con cui il pittore li rende; le sue donne anche nelle pose più voluttuosamente umane hanno qualche cosa che le avvicina al cielo. Pare che le figure nelle tele di Frago temano di mostrarsi quali sono, nette e precise; c'è in loro un fremito, un palpito, un tremolìo, un'ondulazione che leggermente le attenuano; anche nelle opere più finite sembra di stare innanzi a un abbozzo; tutto è indeciso e misterioso; le belle Veneri si celano dietro un velo di incenso; gli amanti si scambiano un bacio furtivo silenziosamente, o passano abbracciati pei campi, camminando in punta di piedi.[2]

Roma barocca modifica

Incipit modifica

Due figure, fra le tante della sua grande storia, son rimaste vive nella memoria del popolo romano: Nerone e Papa Sisto. Non le gesta e i trionfi di Cesare e di Germanico, non le lotte vittoriose di Gregorio VII, e l'ardore di Cola di Rienzo, non la magnificenza di Leone X, o la viva carità di San Filippo Neri, ma la crudeltà dell'incendiatore di Roma e la implacabile severità del papa francescano, hanno lasciato nell'anima popolare la traccia più profonda.

Citazioni modifica

  • [Sisto V] Si racconta che durante il conclave egli si era finto debole e infermo, strascicandosi poggiato a un bastone, per far credere che avrebbe avuto brevissima vita; ma appena ebbe messo in capo la tiara apparve d'un tratto agile ed eretto, così che il cardinal Rusticucci ebbe a dirgli: "Santissimo Padre, vedo che il pontificato è una gran medicina!" (cap. 1, p. 2)
  • [Commentando l'affresco Vergine che abbraccia l'unicorno nel Palazzo Farnese di Roma] [...] Domenichino si rivela qui per un mediocre artista, inferiore assai al suo maestro, perché ha tutto il convenzionalismo raffaellesco di Annibale [Carracci], senza raggiungere la robustezza statuaria michelangiolesca, e il vigore del colorito tizianesco; è biaccoso, cretaceo, molle; disegna anche scorrettamente, drappeggia scolasticamente, e non ha un proprio valore personale: è nulla di più che un aiuto. (cap. 2, p. 46)
  • [Annibale Carracci] Povero Annibale! Dopo otto anni di industriose fatiche [affrescando la volta della galleria di Palazzo Farnese] si vide offerta per tutto compenso la somma di cinquecento scudi d'oro, avendo avuto in più l'alloggio presso il cardinale e la provvisione del pane e del vino. E pensare che appena settant'anni dopo un solo quadretto, anzi "poche pennellate o per meglio dire scherzi del pennello di Annibale" si pagavano, secondo il Bellori[3], altrettanto e maggior prezzo della Galleria intera! (cap. 2, p. 50)
  • Annibale [Carracci] non aveva perduto a Roma il suo temperamento di gaudente bolognese, amico dei piaceri, grande inventore di burle e di arguzie che non solo spiegava con parole ma con le facezie dei disegni; famosi erano i suoi "dilettevoli ritratti burleschi ovvero caricati", nei quali usava "trasportare agli animali la rassomiglianza umana; ma più strana imitazione era quella delle cose inanimate, perché avrebbe trasformato un uomo o una donna ancorché bella in una pentola o in orciuolo, o in altro ordigno". (cap. 2, pp. 51-52)
  • [...] ancora più avanti nell'evoluzione [della ricerca dell'effetto pittorico] andò Carlo Maderno, che nella facciata di S. Susanna (1605) ripeté lo schema del Gesù vignolesco[4], ma sostituì in tutto l'ordine inferiore, tranne che alle estremità, ai pilastri le colonne, non distaccandole però interamente dalla parete, ma alveolandole in essa. L'innovazione segna una data importante per l'architettura barocca, e il Maderno appare perciò veramente come l'iniziatore di uno stile nuovo: pur conservando ancora lo schema cinquecentesco egli lo avviva, lo anima, lo colorisce; apre la via alle ardite ideazioni del Seicento. (cap. 4, pp. 110-111)
  • Mentre gli storici dell'arte continuano ad affannarsi intorno a certi maestri del Quattrocento che l'Oblio giustamente aveva fatto cadere nell'ombra, mentre vengono riesumate le opere dei più poveri untorelli del così detto secolo d'oro[5], ci sono figure di purissimi genii, vissuti in altre età, che ci restano quasi ignote. Così Francesco Borromini, il grande rinnovatore dell'architettura del Seicento, il cui influsso da Roma si propagò dapprima rapidamente in tutta Italia, e poi in ogni parte dell'Europa cattolica, è ancora un dimenticato: i più ne parlano con disprezzo, perpetuando il giudizio parziale del Milizia e della scuola neoclassica, ma mostrano evidentemente di non conoscerlo; altri invece lo esaltano, ma non lo conoscono in realtà neppur essi. (cap. 7, p. 201)
  • [...] senza conoscere, e bene, la storia dell'architettura del Seicento in Italia, è impossibile valutare con esattezza l'arte di Francesco Borromini, intendere la vasta rivoluzione che essa ha esercitato, misurare i confini di spazio e di tempo del suo influsso. Quando si approfondiscano le ricerche e si eserciti l'indagine sull'arte barocca, si riconosce che quest'influsso è stato immenso, quale forse nessun altro maestro esercitò mai, perché se Giotto e Michelangelo hanno dominato un intiero secolo, questo fu il loro, mentre Borromini ci appare come un precursore: egli muore nel 1667, ma le derivazioni dell'arte sua sono quasi tutte del secolo successivo; il Settecento in Italia e fuori si può quasi definire come scuola borrominiana, e ci sono opere del maestro che a prima vista si direbbero settecentesche [...]. (cap. 7, pp. 202-203)
  • [Francesco Borromini] Il grande rivoluzionario dell'architettura, l'artista ricco di pensiero, che in ogni sua opera accumulò con inesauribile vena motivi nuovi e originali, che si inseguono e si accavallano, come le immagini nella poesia del cavalier Marino[6], ebbe umilissimi principii: fino a trent'anni fu semplice scalpellino. (cap. 7, p. 212)
  • Sant'Agnese è il tipo rappresentativo di chiesa barocca a pianta centrale, modello di numerose derivazioni e contraffazioni: il Bernini, secondo la tradizione popolare, l'avrebbe criticata, anzi satireggiata, atteggiando una delle statue di fiumi della fontana di piazza Navona in gesto di terrore, con le braccia protese come per ripararsi dalla cupola, troppo avanzata sul prospetto. Ma non è vero niente di tutto ciò: la Fonte Pamfilia fu inaugurata nel giugno del '51[7] e la chiesa cominciata nel '53. Invece il Bernini si ispirò da S. Agnese quando nel '58 costruiva S. Andrea al Quirinale, che però è assai meno bella, e che tuttavia il maestro considerava come il suo capolavoro architettonico. (cap. 7, pp. 234-235)
  • Su tutti [gli artisti rimasti a Roma dopo la morte di Gian Lorenzo Bernini] si eleva un maestro di genio, creatore di una nuova fase dell'architettura seicentesca, che per analogia col gotico potrebbe chiamarsi del barocco fiammeggiante, Andrea Pozzo, conosciuto sotto il nome di Padre Pozzo, mentre dovrebbe chiamarsi soltanto fratello, essendo semplice coadiutore della Compagnia di Gesù. (cap. 11, p. 382)
  • [...] come pittore [Andrea Pozzo] è un veneto puro, che precorre Tiepolo, il quale certamente conobbe le sue opere, e ne risentì l'influsso; come architetto si ispira a Borromini, aggiungendo però alle forme del lombardo, uno smagliante colorito veneziano. (cap. 11, p. 382)

Note modifica

  1. Da Arte retrospettiva: Chardin e Fragonard, in Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, volume XXVI, lug-dic 1907, p. 274.
  2. Da Arte retrospettiva: Chardin e Fragonard, in Emporium Rivista mensile illustrata d'arte letteratura scienze e varietà, Istituto italiano d'arti grafiche Bergamo - Editore, volume XXVI, lug-dic 1907, pp. 273-274.
  3. Giovan Pietro Bellori (1613 – 1696), scrittore e storico dell'arte italiano.
  4. Lo schema della chiesa romana del Gesù (1568-1580), opera di Jacopo Barozzi da Vignola, terminata da Giacomo Della Porta.
  5. Il Cinquecento.
  6. Giovan Battista Marino (1569 – 1625), massimo esponente della poesia barocca in Italia.
  7. Leggi 1651.

Bibliografia modifica

  • Antonio Muñoz, Roma barocca, Casa editrice d'arte Bestetti & Tumminelli, Milano-Roma, 1919.

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