Anne Applebaum

giornalista e saggista statunitense

Anne Elizabeth Applebaum (1954 – vivente), giornalista e saggista statunitense naturalizzata polacca.

Anne Elizabeth Applebaum nel 2013

Citazioni di Anne Elizabeth Applebaum modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • Per tutta la mia vita adulta mi sono state mostrate delle fotografie scattate in Polonia nella meravigliosa estate del 1939: bimbi che giocano al sole, donne eleganti che passeggiano per Cracovia. Ho persino visto la foto di un matrimonio avvenuto nel giugno del 1939, nel giardino di una casetta di campagna di cui adesso sono proprietaria. Tutte queste foto sono avvolte da un certo alone tragico: sappiamo cos'è accaduto dopo. Il settembre del 1939 si portò dietro due invasioni, una da est e una da ovest, e occupazioni, caos, distruzione, genocidio. La maggior parte delle persone che partecipò a quel matrimonio morì di lì a breve oppure scappò all'estero. Nessuno di loro tornò mai più alle proprie case. Col senno di poi, tutti loro ci sembrano incredibilmente ingenui. Al posto di celebrare matrimoni non potevano semplicemente mollare tutto e prepararsi per la guerra quando ancora era possibile farlo? E adesso, nell'estate del 2014, mi tocca chiedermi: non dovrebbero fare altrettanto gli ucraini? E le popolazioni dell'Europa centrale?[1]
  • I difensori di Trump – online ce ne sono molti – dicono di ammirarlo perché lui si dichiara "anti-establishment", fuori dal sistema. Sbagliano: non lo è per niente. Da uomo ricchissimo quale è, Trump vive al centro di un certo tipo di establishment. È però vero che lui è diverso dagli altri politici, almeno in un aspetto: è l'unico che usa in televisione il linguaggio che si trova nei commenti online, sui siti di gossip o nelle più aggressive discussioni di Reddit. Insulti volgari, offese razziste, rabbia esagerata e fatti inventati: tutte cose che sono all'ordine del giorno su una certa parte di Internet. Grazie a Trump tutte queste cose fanno ora parte della politica degli Stati Uniti.[2]
  • Trump ha però la particolarità di non essere né di estrema destra né di estrema sinistra: si propone come il portavoce di quelli che scrivono tweet sarcastici e pieni d'odio, dei nichilisti anti-tutto, dei complottisti che scrivono contorti commenti anonimi sui siti d'informazione. Trump ha semplicemente preso l'indignazione di queste persone, portandola da internet alla vita vera.[2]
  • [Sull'Holodomor] Ciò che accadde in Ucraina tra il 1932 e il 1933 coincide perfettamente con la definizione di genocidio di Raphael Lemkin, ma non può rientrare nella formulazione redatta nel 1948 con la Convenzione sul genocidio. L'Unione Sovietica contribuì alla stesura di quel documento in modo decisivo proprio al fine di escludere l'Olocausto ucraino[3]

Da Le voglie sovietiche dei soliti «Putin boys»

La Stampa, 23 dicembre 2003.

  • I membri più influenti dell'entourage di Putin vengono sempre più spesso reclutati all'interno dei servizi di sicurezza o dell'esercito e le loro opinioni riflettono la loro provenienza. Mettono ancora in dubbio la legittimità dell'iniziativa privata e credono che i grandi progetti statali debbano essere il motore trainante dell'economia russa.
  • Diventeranno più comuni i riferimenti al glorioso passato sovietico e l'utilizzo dei simboli sovietici in pubblico. I mass media, che del resto hanno una libertà d'azione ristretta, si faranno sempre più docili. Organizzazioni indipendenti di vario genere saranno vessate da ispettori fiscali o direttamente dall'FSB, l'erede istituzionale del KGB. Gli stranieri non riceveranno minacce, ma nemmeno saranno i benvenuti: ad esempio è improbabile che il complicato processo di ottenimento del visto sia semplificato.
  • Nonostante i segni di revival sovietico, i sondaggi dicono che, diversamente dai loro padri e nonni, i giovani russi preferiscono la democrazia all'autocrazia. La nuova generazione cambierà la cultura economica e politica non appena inizierà a entrare nel mercato del lavoro e a votare. L'uso di Internet continuerà ad aumentare. Sempre più russi viaggeranno all'estero. Un confronto tra i giovani e i reticenti leader del Cremlino appare inevitabile.

Da Gulag. Che cosa resta di quella tragedia

Repubblica.it, 10 novembre 2006.

  • Anche se Lenin e Trotsky iniziarono a costruire campi di concentramento per prigionieri politici già a partire dal 1918, fu a Solovetsky che si procedette a meccanizzare e riprogettare il campo e fu lì che la polizia segreta sovietica iniziò a sfruttare il lavoro dei prigionieri a servizio dello Stato. E lo Stato ne andava fiero.
  • Sappiamo che Frenkel tentò di trasformare il campo in una fonte di profitto istituendo il famigerato sistema che destinava ai prigionieri razioni di cibo differenziate in accordo alla quantità di lavoro portato a termine, realizzando in pratica una selezione dei prigionieri in base alla capacità di sopravvivenza. Relativamente ben nutriti i prigionieri forti si rinvigorivano. Privati del cibo i prigionieri deboli si ammalavano o morivano.
  • Tra il 1926 e il 1953, anno della morte di Stalin, circa 18 milioni di prigionieri passarono attraverso il sistema del Gulag. Altri sei o sette milioni furono inviati al confino in località dell'estremo Nord. A milioni si ammalarono, a milioni morirono. I campi contribuirono a creare la paura e la paranoia che caratterizzarono la vita dell'Urss e distorsero l'economia sovietica, concentrando persone e industrie nel nord gelido e inabitabile. Considerando l'orribile ruolo giocato dai campi nella storia dell'Unione Sovietica, ci si domanda come mai in Russia il retaggio del Gulag sia un tema così scarsamente dibattuto. Perché una data come l'ottantesimo anniversario della fondazione dei campi di Solovetsky non viene ricordata? Sorgono disseminati per la Russia vari monumenti a ricordo delle vittime del Gulag, ma non esiste un monumento nazionale o un luogo di lutto. Peggio, a quindici anni dal crollo dell' Unione Sovietica è assente qualunque dibattito pubblico sul gulag.
  • In Russia, la memoria dei campi convive confusa con quella di un gran numero di altre atrocità: la guerra, la carestia e la collettivizzazione. La gente spesso mi chiede: «Perché i sopravvissuti dei campi dovrebbero godere di un trattamento privilegiato?». C' è chi poi associa il dibattito sul gulag alle riforme economiche e politiche degli anni '90, giudicate un pasticcio, e si chiede dove tutto questo abbia portato. Assai più significativo è il fatto che la Russia è attualmente governata da ex funzionari del Kgb, eredi diretti degli amministratori del Gulag. In realtà il presidente Vladimir Putin spesso si definisce un Chekista, il termine infame usato per indicare gli appartenenti alla polizia politica di Lenin, precursori del Kgb. Non è nel suo interesse sottolineare il fatto che era membro di un' organizzazione criminale. Tragicamente il mancato confronto con il passato sta ostacolando la formazione della società civile russa e dello stato di diritto. Dopo tutto i capi del Gulag hanno mantenuto le loro dacie e le loro cospicue pensioni. Le vittime del Gulag sono rimaste povere ed emarginate. Agli occhi della maggioranza dei russi oggi è stata una scelta saggia collaborare in passato con il regime. Per analogia, quanto più si imbroglia e si mente, tanto più si è saggi.
  • Il fatto che la Fsb possa intercettare conversazioni telefoniche ed entrare in abitazioni private senza mandato non turba più di tanto i russi. Né li turba l' inquietante orrore del loro sistema penale. Nel 1998 mi recai a visitare la prigione centrale della città di Arkhangelsk, un tempo una delle capitali del Gulag. Il carcere, risalente a epoca pre-stalinista, sembrava rimasto pressoché immutato. Le celle erano affollate e mal areate, i servizi igienici primitivi. Il responsabile del carcere si strinse nelle spalle. Era tutta questione di soldi, mi disse. I corridoi erano bui perché l' elettricità costava cara, i prigionieri restavano settimane in attesa di processo perché i giudici erano mal pagati. Non mi convinse. Se le prigioni russe hanno ancora l' aspetto che avevano all'epoca di Stalin, se i tribunali e le indagini penali sono una messinscena è in parte perché il passato non tormenta i giudici, i politici o le élite imprenditoriali russe. Ma pochissimi nella Russia di oggi sentono il passato come un fardello o un dovere. Il passato è un brutto sogno da dimenticare. Come un grande vaso di Pandora chiuso in attesa della generazione successiva.

Da Donald Trump non accetterà mai la sconfitta

Traduzione di Andrea Sparacino, Internazionale.it, 7 novembre 2020.

  • Per quattro anni queste persone hanno continuato ad applaudirlo a prescindere dal suo comportamento, non tanto perché credessero in tutto ciò che diceva ma perché non credevano in niente. Se tutto è un imbroglio, allora non importa che il presidente sia un bugiardo. Se tutti i politici sono corrotti, perché storcere il naso se anche il presidente è corrotto? Se tutti, da sempre, hanno infranto ogni regola, perché mai non dovrebbe farlo anche il presidente?
  • Molti statunitensi avevano perso la fiducia nelle istituzioni ben prima che lui entrasse in politica. Un recente sondaggio indica che metà dell’opinione pubblica non è soddisfatta del sistema politico, mentre un quinto vorrebbe vivere in uno stato governato dai militari. Trump ha sfruttato questo deficit democratico per vincere le elezioni, poi lo ha ampliato costantemente nel corso del suo mandato.
  • Trump non è capace di governare, ma da tempo, con l’istinto tipico dei truffatori, ha capito come far crescere la sfiducia e come usare questa sfiducia a proprio vantaggio.

Da Il mondo non guarderà più gli Stati Uniti nello stesso modo

Sull'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 2021, traduzione di Andrea Sparacino, Internazionale.it, 9 gennaio 2021.

  • È impossibile ignorare il significato di questo momento e la forza del messaggio inviato ai quattro angoli del pianeta, sia agli amici sia ai nemici della democrazia. Per la reputazione degli Stati Uniti come democrazia stabile, le immagini che stanno facendo il giro del mondo sono molto più dannose di quanto non lo fossero, quarant'anni fa, quelle delle persone che manifestavano contro la guerra in Vietnam, e di sicuro inquietano gli osservatori esterni molto più delle proteste e dei saccheggi che ci sono stati nell'estate del 2020. Diversamente da altri momenti turbolenti della nostra storia, gli eventi del 6 gennaio 2021 non nascono da una disputa politica, da un disaccordo su una guerra all'estero o dagli abusi della polizia, ma fanno parte di un conflitto che ruota intorno alla validità stessa della democrazia. Una folla di persone violente ha sostanzialmente rivendicato il diritto di decidere chi sarà il prossimo presidente. Queste persone sono state incoraggiate non solo da Trump ma anche dai suoi alleati al congresso e dagli estremisti di destra che lo sostengono. Questa folla, almeno per qualche ora, ha avuto la meglio.
  • La schadenfreude sarà l'emozione dominante in capitali come Mosca, Pechino, Teheran, Caracas, Riyadh e Minsk. I leader di quei paesi, seduti in palazzi lussuosi e circondati da guardie del corpo, si godranno le scene che arrivano da Washington, entusiasti nel vedere quanto gli Stati Uniti siano caduti in basso.
  • Le vere vittime saranno i cittadini russi, cinesi, iraniani, venezuelani, sauditi e bielorussi. A pagare saranno i dissidenti, gli oppositori e i sostenitori della democrazia che organizzano manifestazioni, protestano e soffrono, sacrificando il loro tempo e in alcuni casi anche la loro vita solo per chiedere il diritto di votare, il diritto di vivere in un paese governato democraticamente e il diritto di godersi tutto ciò che gli statunitensi danno per scontato e a cui Trump non attribuisce nessun valore. Dopo quello che è successo il 6 gennaio, queste persone avranno una speranza in meno, un alleato in meno. La forza dell'esempio degli Stati Uniti sarà meno solida che in passato. Le parole degli statunitensi saranno più difficili da ascoltare.
  • Trump ha distrutto, sprecato e compromesso tutto ciò che ha potuto. Trump e i suoi alleati – in senato, nel governo e nei mezzi d'informazione di estrema destra – hanno rotto alleanze costruite con pazienza. Queste persone non comprendono il vero valore della democrazia, e non lo comprenderanno mai.

Da Anne Applebaum: "Polonia e Ungheria, non vi riconosco più"

Intervista di Raffaele Oriani, Repubblica.it, 14 aprile 2021.

  • [Sull'incidente del Tupolev Tu-154 dell'Aeronautica Militare Polacca del 2010] Oltre alla scomparsa di gran parte dell'élite politica e militare, quella tragedia provocò un'incredibile fioritura di teorie del complotto che coinvolsero il governo di allora, di cui mio marito era ministro degli Esteri. Alcuni dei nostri amici sposarono quelle menzogne e contribuirono a trasformarle nel carburante politico del partito Diritto e Giustizia che governa oggi in Polonia
  • Alla base del successo dei populisti, più che un'ideologia c'è una bugia fondativa: in Polonia il presunto attentato di Smolensk, in Ungheria il complotto di George Soros per un'Europa musulmana, in America i natali africani di Barack Obama. Gli intellettuali servono soprattutto a dare una veste comunicativa a leggende del genere: se si riesce a farle passare per vere, allora il gioco è fatto e l'opinione pubblica potrà credere a tutto o niente a seconda della bisogna.
  • Con chi pensa che Obama sia africano, Soros punti a sradicare la nazione ungherese e Joe Biden abbia rubato le elezioni è impossibile, non dico arrivare a un accordo, ma cominciare a parlare. Con chi ha posizioni meno estreme dovremmo invece provare a interloquire, magari ispirandoci ai forum di mediazione post-conflitto.
  • [Su Joe Biden] Da quando è in carica non ha mai attaccato Trump e non parla più di elezioni. Tiene la barra dritta su posti di lavoro e vaccini: esattamente i temi in grado di unire tutti gli americani, populisti, sovranisti o liberali che siano

Da "Senza una destra liberale muore la democrazia"

Huffingtonpost.it, 27 aprile 2021.

  • Quello che è preoccupante è che molte persone di estrema destra e di estrema sinistra apertamente operino per attaccare i principi della democrazia stessa: sia la libertà di espressione che la libertà di stampa, soprattutto l'indipendenza del sistema giudiziario. La cosa ancor più preoccupante è che sono lo stesso tipo di persone ovunque, anche in contesti differenti linguisticamente e culturalmente, che potremmo definire "nostalgici", "arrabbiati", e con l'idea sbagliata di ricreare una realtà immaginaria.
  • C'è bisogno di una forte destra liberale, moderata. Una destra "centrale" che rispetti la democrazia e le sue regole. Nei Paesi in cui questa destra "centrale" scompare, come avvenne nella Germania prima dell'ascesa di Adolf Hitler, viene a crearsi un vuoto, uno spazio politico, che presto verrà occupato dalla destra radicale. Certamente si può considerare la cosa anche dal punto di vista opposto, da sinistra, ma l'esistenza di questa destra "centrale" è realmente cruciale per essere sicuri che le persone si sentano a loro agio nella democrazia, che non la guardino con sospetto o con rabbia, creando un dibattito politico carico di rabbia.
  • In quanto alle relazioni con la Russia, Joe Biden è il primo presidente dalla fine della Guerra Fredda che mostra di non nutrire illusioni. Tutti gli altri, Clinton, Bush, Obama - Trump è in una categoria speciale - credevano nella possibilità di instaurare relazioni migliori dei loro predecessori. Biden, no. La sua esperienza diretta con l'Ucraina è stata fondamentale.
  • [Su Joe Biden] Io penso che stia operando bene, ma il suo principale compito sarà di portare i cittadini americani a discutere delle cose reali. Come migliorare il sistema sanitario, per esempio. O come migliorare le infrastrutture: i ponti, le strade. Ecco, Biden deve fondamentalmente portare gli americani a concentrarsi sulle politiche concrete e non su immaginarie guerre culturali. Se riuscirà a fare questo avrà successo. D'altra parte uno uno dei segni evidenti che questa sia la strada giusta lo dimostra il fatto che il Partito repubblicano non lo stia attaccando sui temi economici, che sono molto popolari, mentre continua ad alimentare campagne politiche di rabbia, anche su argomenti futili come i libri per i bambini, o sul processo per la morte di George Floyd. Temi "emozionali" che i repubblicani perseguono procedendo sulla via tracciata con successo da Trump, mentre si arrestano davanti alle politiche concrete. Sanno bene che l'opinione pubblica non apprezzerebbe gli attacchi sui temi che toccano la loro vita quotidiana.

Da Anne Applebaum: «L’America sottovaluta Putin. Confusione e disinformazione fanno parte della sua strategia»

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, Corriere.it, 9 gennaio 2022.

  • Rendere difficile la lettura della situazione è parte della strategia di Putin: è una tattica dei leader autoritari.
  • Penso che ci sia una vera possibilità di violenza e che sottovalutiamo i russi. Certo la Russia non è potente quanto la Cina, ha una piccola economia, ma la sua intera politica estera è basata sull’idea di indebolirci, di minare l’Europa, l’America, l’Ue, la Nato, Paese per Paese, attraverso la disinformazione e la ricerca di alleati economici e politici per mantenere influenza. Niente di tutto ciò è costoso ma siamo ingenui a ignorarlo e pensare che non conti.
  • L’Europa è economicamente potentissima e strategicamente debolissima. I russi e altri hanno potuto approfittarne.

Da Anne Applebaum sulla guerra in Ucraina: «Putin? Non so se ha paura della morte oppure di perdere il potere»

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Corriere.it, 25 febbraio 2022.

  • Non dimentichiamo [...] che stiamo parlando di una persona che potrebbe aver ucciso un milione di persone in Cecenia e decine di migliaia in Siria, dove le forze russe bombardavano gli ospedali. Il timore è che Putin usi così tanta brutalità da cancellare ogni resistenza, come ha fatto Stalin negli anni '30. Ma lui non conosce quasi l'Ucraina, non frequenta ucraini, forse pensa che non combatteranno. Potrebbe scoprire di aver torto
  • L'Ucraina è una democrazia, e questo per lui è un pericolo. Putin è spaventato all'idea che a Mosca possa ripetersi quello che è accaduto a Kiev nel 2014. Lo considera una minaccia personale.
  • Ho sempre pensato che Putin fosse razionale, a suo modo. Non ha mai preso grossi rischi, in fondo. Era brutale, magari, ma non si è mai buttato in sfide che non potesse vincere. Oggi è diverso. L’invasione sembra un azzardo. [...] Sembra ossessionato e pieno di odio. Sembra entrato in una fase nuova. Non so di cosa abbia paura, se della morte o di perdere il potere. Di certo è vissuto isolato per due anni, a causa della pandemia. [...] Oggi sembra un uomo malato, disturbato
  • Abbiamo creduto di esserci lasciati alle spalle il XX secolo. Abbiamo pensato che non esistessero più, almeno in Europa, leader capaci di ricorrere alla brutalità di massa per raggiungere i loro scopi. Abbiamo pensato che il nostro mondo basato sulle regole fosse reale, rispettato, compreso da tutti. Ci siamo illusi che Putin pensasse come noi.

Da Anne Applebaum spiega cosa significa "vittoria" per Putin: trasformare l'Ucraina in un campo di concentramento

Intervista di Giancarlo Loquenzi sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Ilfoglio.it, 22 aprile 2022.

  • Bisogna avere presenti gli scenari della Seconda guerra mondiale per farsi un’idea di come siano ridotte molte cittadine a nord della capitale. Ogni casa è distrutta, ogni palazzo bruciato, fosse comuni ovunque, e parliamo comunque di piccole normali cittadine alla periferia di Kyiv. Perciò la gente sa che la guerra non è finita. Inoltre gli ucraini sanno che i russi si stanno riorganizzando e preparando per una seconda ondata di attacchi che potrebbe essere peggiore della prima.
  • [«I russi dicono in questa fase che si stanno riorganizzando per la conquista del Donbas e che questo è sempre stato il loro obiettivo principale.»] Questa è ovviamente una bugia, il loro obiettivo è sempre stato quello di conquistare l’intero paese, e lo sappiamo perché abbiamo visto i loro piani pubblicati persino tre giorni prima dell’inizio della guerra da un sito di notizie russo in cui si spiegavano benissimo le loro intenzioni.
  • Ogni volta che i russi si fermano in una città ucraina rapiscono o uccidono il sindaco, uccidono chiunque capiti a tiro nelle strade, fanno arresti indiscriminati, gettano i morti nelle fosse comuni, distruggono tutto, casa dopo casa. Decidere di lasciare ai russi il Donbas significa condannare decine, forse migliaia di persone all’orrore, alla fame e alla morte.
  • Per la Russia, la vittoria sfortunatamente è definita da Putin ed è la distruzione dell’Ucraina. Questo vuol dire trasformare l’intero paese in un campo di concentramento.
  • Questa è una guerra ideologica, scatenata perché Putin è convinto che l’Ucraina vada distrutta perché è una democrazia, perché aspira a essere parte dell’Europa. Lui odia la democrazia e odia l’Europa e non può sopportare che un’ex colonia russa, prima dentro l’Impero russo, poi dentro l’Unione sovietica, abbia questo tipo di aspirazioni. Non capisco quest’idea per cui i russi siano stati in qualche modo costretti a invadere. L’hanno fatto perché noi non abbiamo fatto nulla per impedirlo.
  • Chi vuole l’escalation è Putin. Noi siamo stati molto chiari nel dire che quello che stiamo facendo è aiutare gli ucraini a difendersi, che la loro è una guerra di difesa e non di offesa. Nessuno sta invadendo la Russia e nessuno dice di volerlo fare.
  • È assolutamente falso e scorretto dire che la diplomazia non sia in azione e che non ci sia dialogo. Ma perché la diplomazia funzioni, bisogna che i russi vogliano che funzioni. Prima che si arrivi a una soluzione, bisogna che smettano di combattere questa guerra. Sono stati loro a invadere. Oggi è solo difendendo l’Ucraina e respingendo Putin, facendogli capire che le sue scelte avranno delle conseguenze, che possiamo fargli accettare qualche forma di dialogo e di diplomazia. Lui crede di poter ancora ignorare i negoziati, non gli interessano. Pensa di essere forte, che alla fine la Russia non pagherà un gran pezzo e che lui resterà al potere. Perché cambi idea deve sentire l’impatto dell’isolamento.
  • Mentre noi non prestavamo attenzione, la Russia ha portato avanti per dieci anni una feroce propaganda per indurre i russi in primo luogo a odiare gli europei, a credere che l’Europa sia degenerata, divisa, impoverita, che la democrazia sia una farsa e che i politici democratici siano ridicoli. In secondo luogo che gli ucraini non sono persone reali, non meritano di esistere e di avere un loro stato, dei nemici che non meritano nemmeno di vivere. Sfortunatamente questa cosa è scaturita dalla mente di Putin e ora i russi ci credono, sia i soldati al fronte sia la gente a casa si sono convinti. Non è la prima volta che accade una cosa del genere. Stalin convinse tutti che i contadini ucraini, i kulaki, erano contro la rivoluzione e meritavano di morire di fame, perché ostacolavano la strada verso il progresso. Lo abbiamo visto anche in Europa occidentale, nel modo in cui i tedeschi parlavano degli ebrei. Conosciamo il potere di questo genere di propaganda, lo abbiamo visto molte volte in Europa. Dovremmo essere scioccati e arrabbiati nel vederlo succedere ancora.

Da Guerra in Ucraina, Applebaum: «Violenza contro i civili: quello della Russia è terrorismo di Stato»

Intervista di Viviana Mazza sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Corriere.it, 22 luglio 2022.

  • Io penso che siamo arrivati al punto in cui sono necessarie misure più decisive e radicali. E che sì, sia l’ora di riconoscere che la Russia è diventato uno Stato terrorista.
  • Chiunque voglia i negoziati adesso si basa su un’idea irrealistica. Putin non negozierà. Invece bisogna continuare ad assicurarsi che gli ucraini abbiano armi e munizioni, come è avvenuto negli ultimi giorni, e dopo i risultati sul campo allora sarà possibile parlare di negoziati...
  • Il 90% delle armi e del supporto logistico a Kiev vengono dagli Stati Uniti. Quel che conta davvero è il loro appoggio e non credo verrà meno. L’appoggio europeo è importante anche psicologicamente, ma l’Europa purtroppo ha scelto di non diventare una potenza militare, di difesa e di sicurezza.

Da Un duro colpo per il regime russo

Sulla controffensiva Ucraina in Charkiv del 2022, Internazionale.it, 15 settembre 2022.

  • Negli ultimi giorni le forze armate ucraine hanno sfondato le linee russe nel nordest del paese, liberando una città dopo l'altra nei territori occupati. Prima Balaklija, poi Kupjansk, quindi Izjum. Questi nomi non diranno molto a un pubblico straniero, ma erano posti irraggiungibili da mesi. Sono caduti in poche ore.
  • Lo shock principale non è la tattica adottata dall'Ucraina, ma la risposta della Russia. [...] Le truppe del Cremlino non solo non rispondono agli attacchi: se possono scegliere tra combattere e fuggire, molti soldati scappano il più velocemente possibile.
  • Si è creata una nuova realtà: gli ucraini potrebbero vincere questa guerra.
  • Non si è mai trattato di una semplice guerra per il territorio, ma di una campagna combattuta con intenzioni genocide. Nei territori occupati i russi hanno torturato e ucciso civili, arrestato e deportato centinaia di migliaia di persone, distrutto teatri, musei, scuole, ospedali. I bombardamenti sulle città ucraine lontane dalla linea del fronte hanno fatto stragi di civili e provocato miliardi di danni materiali. La sola restituzione dei territori non compenserà gli ucraini per questa catastrofica invasione.
  • Per dirlo senza tanti giri di parole, è difficile immaginare come la Russia possa soddisfare una qualsiasi di queste richieste finché il suo attuale presidente resterà al potere. Ricordiamo che Vladimir Putin ha messo la distruzione dell'Ucraina al centro della sua politica estera e interna, e al cuore di quella che vuole sia la sua eredità.
  • Non ci sarà una "nuova era". L'Unione Sovietica non rivivrà. E quando le élite russe si renderanno conto che il progetto imperiale di Putin non è stato solo un fallimento personale del presidente, ma anche un disastro morale, politico ed economico per l'intero paese, quindi anche per loro, allora la pretesa di Putin di essere il legittimo sovrano della Russia si scioglierà come neve al sole.
  • Molte cose dell'attuale sistema politico russo sono strane, e una delle più strane è la totale assenza di un meccanismo di successione. Non solo non abbiamo idea di chi potrebbe sostituire Putin, ma non abbiamo neanche idea di chi potrebbe scegliere questa persona. Nell'Unione Sovietica esisteva un politburo, un gruppo di persone che teoricamente poteva prendere una decisione del genere, e molto di rado lo faceva. In Russia, invece, non esiste un meccanismo di transizione. Non c'è un delfino. Putin si è perfino rifiutato di permettere ai russi di contemplare un'alternativa al suo squallido e corrotto sistema di potere cleptocratico. Tuttavia, lo ripeto: è inconcepibile che lui possa continuare a governare se il fulcro della sua pretesa di legittimità – la promessa di ricostruire l'Unione Sovietica – si rivela non solo impossibile, ma anche ridicolo.
  • La prospettiva di un'instabilità in Russia, una potenza nucleare, terrorizza molti. Ma potrebbe essere ormai inevitabile. E se è questo che sta per succedere, dovremmo prepararci alla cosa, pianificando e pensando a possibilità e pericoli.

Da Qualche idea per smontare le autocrazie

Ilfoglio.it, 6 dicembre 2022.

  • Una giovane iraniana è stata uccisa per aver cantato una canzone della resistenza. Anche i russi hanno vietato agli ucraini di cantare canzoni ucraine. Diversi regimi, stesse tattiche.
  • Il Partito comunista cinese ha tenuto un Congresso che ha consolidato il dominio di Xi Jinping, che ora è il dittatore de facto del più grande paese del mondo. Ha raggiunto questa posizione inscenando una “guerra alla corruzione” che si è trasformata in un’epurazione di massa, inventando nuove tattiche di sorveglianza che controllano e monitorano i movimenti, l’attività su internet e gli acquisti della gente comune, distruggendo un potente movimento democratico a Hong Kong e schiacciando la società civile in Cina.
  • Oggi le autocrazie non sono gestite da un solo cattivo, ma da reti sofisticate composte da strutture finanziarie cleptocratiche, servizi di sicurezza (militari, polizia, gruppi paramilitari, sorveglianza) e propagandisti professionisti. I membri di queste reti sono collegati all’interno di un determinato paese e tra molti paesi. Le aziende corrotte e controllate dallo stato in una dittatura fanno affari con le aziende corrotte e controllate dallo stato in un’altra dittatura. La polizia di un paese può armare, equipaggiare e addestrare la polizia di un altro.
  • Tra gli autocrati moderni ci sono persone che si definiscono comunisti, nazionalisti e teocrati. Il putinismo, il chavismo, il Juche nordcoreano, la Repubblica islamica e il comunismo cinese hanno tutti radici storiche diverse, estetiche diverse. Non c’è nemmeno un unico paese a guidare questo gruppo: a differenza delle alleanze militari o politiche di altri tempi e luoghi, i membri di questo gruppo non operano come un blocco, ma piuttosto come un agglomerato di aziende – chiamiamolo Autocracy Incorporated, o Autocracy Inc. I loro legami non sono cementati da ideali, ma da accordi – accordi pensati per attenuare i boicottaggi economici occidentali o per arricchirsi personalmente. Ecco perché possono operare così facilmente al di là delle linee ideologiche, geografiche e storiche.
  • Una volta i leader dell’Unione sovietica, la più potente autocrazia della seconda metà del Ventesimo secolo, si preoccupavano profondamente di come venivano percepiti nel mondo. Promuovevano vigorosamente la superiorità del loro sistema politico e si opponevano quando veniva criticato, arrivando a battere le scarpe sul tavolo delle Nazioni Unite. Oggi, i membri più brutali dell’Autocracy Inc. non si preoccupano se i loro paesi vengono criticati, o da chi. I leader della Birmania o dello Zimbabwe non si battono per nulla che vada oltre l’arricchimento personale e il desiderio di rimanere al potere, per cui non possono sentirsi in imbarazzo. I leader dell’Iran ignorano fieri le opinioni degli infedeli occidentali. I leader di Cuba e Venezuela respingono le dichiarazioni degli stranieri con la motivazione che sono “imperialisti”. I leader di Cina e Russia hanno trascorso un decennio a contestare il linguaggio dei diritti umani usato a lungo dalle istituzioni internazionali, convincendo con successo molte persone in tutto il mondo che questi concetti “occidentali” non si applichino a loro, o che rappresentino un’altra forma di “democrazia”, diversamente definita.
  • Impermeabili alle critiche internazionali, gli autocrati moderni non provano alcuna vergogna a essere violenti. Le truppe russe non si preoccupano di nascondere le camere di tortura che hanno costruito o le fosse comuni che hanno riempito. La giunta birmana non si vergogna di uccidere centinaia di manifestanti, compresi giovani adolescenti, nelle strade di Rangoon. Il governo cinese si vanta di aver distrutto il movimento democratico popolare di Hong Kong. Questo tipo di disprezzo può degenerare in quello che l’attivista internazionale Srdja Popovic ha definito il “modello Maduro” di governo, dal nome del leader del Venezuela. Gli autocrati che lo adottano sono “disposti a vedere il loro paese entrare nella categoria degli stati canaglia”, accettando il collasso economico, l’isolamento e la povertà di massa, proprio come ha fatto il Venezuela, se questo è ciò che serve per rimanere al potere. Assad ha applicato il modello Maduro in Siria. E’ quello che fa Lukashenka in Bielorussia. Sembra essere ciò che la leadership talebana aveva in mente quando ha occupato Kabul, ciò che Putin vuole per la Russia. Il loro obiettivo non è creare prosperità o benessere. Il loro obiettivo è arricchire sé stessi e le loro famiglie, e mantenere il controllo.
  • A meno che le democrazie non si difendano insieme, le forze dell’autocrazia cercheranno sempre, sempre di minarle. Uso deliberatamente la parola forze, al plurale. Capisco che molti politici americani preferiscano comprensibilmente concentrarsi sulla competizione a lungo termine con la Cina. Ma finché la Russia è governata da Putin, anche la Russia è in guerra con noi. Così come la Bielorussia, la Corea del nord, il Venezuela, l’Iran, il Nicaragua, lo Zimbabwe e potenzialmente molti altri. Anche l’Ungheria e la Turchia, membri della Nato, a volte sostengono i despoti. Potremmo non voler competere con nessuno di loro, e nemmeno preoccuparci molto di loro. Ma a loro importa di noi, e faranno tutto il possibile per indebolirci.
  • Se non disponiamo di mezzi per trasmettere i nostri messaggi al mondo autocratico, nessuno li ascolterà. Così come dopo l’11 settembre abbiamo riunito nel dipartimento di Sicurezza nazionale agenzie diverse, ora dobbiamo riunire le diverse parti del governo statunitense che pensano alla comunicazione: non per fare propaganda, ma per raggiungere più persone nel mondo con informazioni migliori e impedire alle autocrazie di distorcerle. I media indipendenti stanno fallendo in tutto il mondo. I social media che li hanno sostituiti sono facilmente attaccabili. Abbiamo bisogno di modi più coraggiosi per competere.
  • È ora di riconoscere che il commercio con gli autocrati promuove l’autocrazia, non la democrazia. Questo non significa che le reti commerciali globali debbano essere chiuse, ma solo che non dovremmo farci illusioni su come funzionano realmente e su chi arricchiscono – e monitorare di conseguenza. Le uniche persone che hanno bisogno di tenere segrete le loro case, le loro attività e i loro redditi sono i truffatori e gli evasori fiscali.
  • Forse non esiste un ordine mondiale liberale naturale, ma esistono società liberali, paesi aperti e liberi che offrono alle persone maggiori possibilità rispetto alle dittature chiuse. Se il Ventesimo secolo è stato la storia di una lotta lenta e irregolare, conclusasi con la vittoria della democrazia liberale su altre ideologie – comunismo, fascismo, nazionalismo virulento – è vero che il Ventunesimo secolo è, per ora, una storia inversa. Ma c’è anche un altro modo di vedere la cosa. Forse le autocrazie stanno collaborando perché non hanno più fiducia nella loro capacità di combattere da sole i propri movimenti democratici. Forse le autocrazie stanno diventando meno tolleranti perché si rendono conto che i loro avversari hanno argomenti migliori, che la gente li ascolta e che il desiderio di libertà politica non scomparirà mai. Forse i confronti tra gli autocrati e le loro popolazioni stanno diventando più duri proprio perché i movimenti democratici stanno diventando più articolati e meglio organizzati.
  • Da decenni stiamo combattendo una guerra culturale tra valori liberali da un lato e forme di nazionalismo muscolare dall’altro. Gli ucraini ci stanno mostrando un modo per avere entrambi. Hanno dimostrato che è possibile essere patrioti e credere in una società aperta, che una democrazia può essere più forte e più feroce dei suoi avversari.

Da Anne Applebaum: «Dobbiamo immaginarci una vittoria ucraina, sarà la fine di Putin»

Intervista di Viviana Mazza, Corriere.it, 7 gennaio 2023.

  • Io credo che l’unico modo in cui la guerra possa finire — e intendo finire davvero e non riprendere dopo sei mesi o un anno — è se i russi perdono e capiscono di aver perso.
  • Onestamente, [gli ucraini] resisterebbero fino a che non esistono più, perché per loro non c’è alcuna forma di resa che non implichi anche la morte.
  • Putin non ha fatto la conferenza annuale di fine anno, ha subìto forti critiche della destra nazionalista e i sondaggi dell’opposizione mostrano cambiamenti nell’opinione pubblica contro la guerra, ma non sappiamo se ciò avrà dei risultati nelle politiche del Paese.

Da «Putin sembra Nicola II, vive in una realtà immaginaria»

Intervista di Viviana Mazza sulla ribellione del Gruppo Wagner, Corriere.it, 25 giugno 2023.

  • In Russia c’è solo la propaganda dello Stato, più alcuni media in esilio, perciò non abbiamo buone fonti di informazione.
  • La rivolta è stata pianificata ed eseguita molto meglio di quella battaglia: per Bakhmut ci sono voluti 11 mesi, mentre Prigozhin è arrivato a Rostov e Voronezh in meno di 11 ore, aiutato da comandanti e soldati che sembravano aspettare il suo arrivo.
  • Prigozhin e i suoi uomini sono motivati dal denaro e dall’interesse personale. Sono furiosi per la corruzione dei pezzi grossi del sistema russo, per gli scarsi equipaggiamenti ricevuti, per l’incredibile numero di vite sacrificate. Non sono cristiani, a loro non importa nulla di Pietro il Grande. Prigozhin sta offrendo loro una spiegazione comoda per la situazione in cui si trovano: non sono riusciti a sconfiggere l’Ucraina perché sono stati traditi dai loro leader.
  • Putin ha costruito intorno a sé e all’interno di questo Paese un complicato palazzo di specchi. Ora però gli scontri inevitabili — lo scontro di Putin con la realtà oltre che il suo scontro con Prigozhin — sono giunti al loro culmine.

Da «Putin voleva il finale show e l’ha avuto. Ma resta in difficoltà»

Intervista di Lorenzo Cremonesi sulla morte di Evgenij Prigožin, Corriere.it, 26 agosto 2023.

  • Tutti adesso sono ben consapevoli che gli apparati dello Stato li puniranno se dovessero in alcun modo ribellarsi. Ciò vale per i militanti nella Wagner, per chiunque fosse legato a Prigozhin o comunque sia parte del sistema di potere in Russia.
  • Prigozhin non è stato avvelenato, non c’è alcunché di segreto o ambiguo nella sua fine. L’aereo del capo della Wagner è volutamente esploso in cielo, hanno ripreso il suo precipitare al suolo in modo spettacolare e molto pubblico. Il messaggio di Putin è diretto per tutti; un minaccioso memento: io sono l’unico al comando, nessuna pietà per gli oppositori. Ma in verità le cose sono diverse: se tu guidi una guerra e sei costretto a licenziare il tuo generale più importante, poi elimini il capo della milizia che ha avuto un ruolo fondamentale nelle tue campagne militari e ha ottenuto successi rilevanti, allora significa che la situazione non è poi così rosea. Traspare che i suoi responsabili militari e della sicurezza interna non sono per nulla soddisfatti. Putin cerca di reagire, ma è evidente che per lui la situazione resta tutt’altro che tranquilla.
  • A Mosca devono finalmente accettare che l’Ucraina è uno Stato indipendente e separato dalla Russia. Devono compiere lo stesso percorso che condusse la Francia di de Gaulle a comprendere nel 1962 che l’Algeria era uno Stato sovrano e andava lasciato libero di autogovernarsi. Anche allora non fu una scelta facile, ci furono tanti morti, violenze, provarono persino ad assassinare il presidente francese, ma alla fine gli algerini furono liberi.

Il tramonto della democrazia modifica

Citazioni modifica

  • Se il collegio elettorale finì per diventare un organo puramente formale, senza alcun potere, e, più recentemente, un meccanismo che in alcuni Stati conferisce a piccoli gruppi di elettori un'influenza sproporzionata, esso fu concepito in origine come qualcosa di ben diverso: avrebbe dovuto essere una sorta di comitato di revisione, un gruppo d'élite di legislatori e possidenti incaricato di scegliere il presidente rifiutando se necessario, per evitare gli «eccessi della democrazia», la scelta del popolo. (p. 13)
  • L'autoritarismo fa presa, semplicemente, su chi non tollera la complessità, e in questo istinto non c'è assolutamente nulla di intrinsicamente «di sinistra» o «di destra». È un istinto antipluralista, che induce a diffidare di coloro che la pensano diversamente e crea un'allergia per i dibattiti accesi. (p. 14)
  • I conservatori britannici, i repubblicani americani, gli anticomunisti dell'Europa orientale, i cristiano-democratici tedeschi e i gollisti francesi provengono da tradizioni diverse, ma in quanto gruppo erano tutti fedeli, almeno fino a epoca recente, non solo alla democrazia rappresentativa, ma alla tolleranza religiosa, all'indipendenza della magistratura, alla libertà di stampa e di parola, all'integrazione economica, alle istituzioni internazionali, all'alleanza transatlantica e a un'idea politica di «Occidente».
    La nuova destra, invece, non vuole affatto conservare o preservare ciò che esiste. Nell'Europa continentale disprezza i democratici cristiani, che dopo l'incubo della seconda guerra mondiale usarono la loro base politica nella Chiesa per fondare l'Unione europea. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito ha rotto con il vecchio conservatorismo burkeano con la c minuscola, che diffida dei rapidi cambiamenti in tutte le loro forme. Sebbene odi il termine, la nuova destra è più bolscevica che burkeana: è composta da uomini e donne decisi a rovesciare, aggirare o minare le istituzioni esistenti, distruggere ciò che esiste. (p. 17)
  • A differenza del marxismo, lo Stato illiberale monopartitico non è una filosofia. È un meccanismo per il potere e funziona benissimo con numerose ideologie. Funziona perché definisce con chiarezza chi può divenire l'élite: l'élite politica, l'élite culturale, l'élite finanziaria. (p. 19)
  • Lo Stato monopartitico di Lenin [...] rovesciò l'ordine aristocratico, ma non lo sostituì con un modello competitivo. Lo Stato monopartitico bolscevico non era solo antidemocratico; era anche anticompetitivo e antimeritocratico. I posti nelle università e nella pubblica amministrazione e i ruoli nel governo e nell'industria non andavano ai più volenterosi o capaci: andavano ai più fedeli. Non si faceva carriera grazie al talento o all'industriosità, ma alla disponibilità a conformarsi alle regole del partito. Se queste regole cambiarono da un periodo all'altro, avevano tuttavia una certa coerenza. Escludevano generalmente i membri dell'ex élite al potere e i loro figli, nonché gruppi etnici sospetti. Favorivano chi proveniva dalla classe operaia. Soprattutto, favorivano chi professava ad alta voce la propria fede nel parito, frequentava le sue riunioni e partecipava a manifestazioni pubbliche di entusiasmo. (p. 20)
  • I movimenti politici polarizzanti dell'Europa del XXI secolo [...] non si basano su un'ideologia vera e propria, per cui non hanno bisogno di usare la violenza o il terrore poliziesco. Vogliono che i loro «chierici» li difendano, ma non li obbligano a dichiarare che il nero è bianco, che la guerra è pace e che le fattorie statali hanno raggiunto il 1000 per cento della produzione stabilita dal piano. Per la maggior parte non ricorrono a una propaganda in conflitto con la realtà di tutti i giorni. Eppure hanno tutti a fondamento, se non una Grande Bugia, quella che, come mi ha detto una volta lo storico Timothy Snyder, dovrebbe essere chiamata una Bugia di Media Grandezza. In altre parole, tutti sollecitano i loro seguaci a aderire, almeno per parte del tempo, a una realtà alternativa. A volte tale realtà alternativa si sviluppa organicamente; più spesso viene costruita con cura, con l'aiuto delle moderne tecniche di marketing, della segmentazione del pubblico e di campagne sui social media. (pp. 31-32)
  • La presa emotiva di una teoria del complotto è dovuta alla sua semplicità. Essa spiega fenomeni complessi, rende conto del caso e di accidenti, offre al credente la gratificante sensazione di avere un accesso speciale e privilegiato alla verità. Per coloro che divengono i guardiani dello Stato a partito unico, la ripetizione di tali teorie del complotto offre anche un'altra ricompensa: il potere. (p. 37)
  • Il metodo di Orbán funziona. Se sollevi questioni che suscitano emozioni e ti atteggi a difensore della civiltà occidentale, specialmente all'estero, nessuno si accorgerà del nepotismo e della corruzione in patria. (p. 43)
  • Ex Iugoslavia a parte, dopo il 1989 in Europa centrale non si assistette a nessuna ondata autoritario-nazionalista e antidemocratica. Il fenomeno è più recente, dell'ultimo decennio. E non è dovuto a mistici «fantasmi del passato», bensì a specifiche azioni di persone cui le loro democrazie non piacevano. Non piacevano perché erano troppo deboli o troppo imitative, troppo indecise o troppo individualiste, o perché al loro interno esse non stavano facendo personalmente carriera abbastanza in fretta. (p. 45)
  • Il linguaggio usato dall'estrema destra europea, con il suo appello alla «rivoluzione» contro le «élite» e i suoi sogni di violenza «purificatrice» e scontri culturali apocalittici, è talmente simile al linguaggio utilizzato un tempo dall'estrema sinistra europea da destare inquietudine. (p. 47)
  • [Su Boris Johnson] La sua specialità erano storie divertenti, semivere, costruite a partire da un granello (e a volte meno) di verità, che mettevano in ridicolo la UE dipingendola invariabilmente come una fabbrica di follie normative. I suoi articoli avevano titoli quali Minaccia per le salsicce rosa britanniche, e riferivano (false) voci secondo cui i burocratici di Bruxelles, per esempio, si apprestavano a mettere al bando gli autobus a due piani o le patatine di cocktail di gamberi. Benché chi sapeva come stavano le cose ne ridesse, quelle frottole avevano un impatto. Altri direttori chiesero ai propri corrispondenti da Bruxelles di scoprire storie dello stesso genere; e i tabloid si affrettarono a mettersi al passo. Anno dopo anno, quel tipo di narrazione contribuì a diffondere un sentimento di sfiducia per la UE che avrebbe aperto la strada, molto tempo dopo, alla Brexit. (pp. 49-50)
  • Nessuno nella UE imponeva regole alla Gran Bretagna: le direttive europee erano concordate e ognuna di esse era stata accettata da un rappresentante o diplomatico britannico. Per quanto il Regno Unito non l'avesse avuta vinta in tutte le discussioni – nessun paese vi è mai riuscito –, non c'era nessuna «mafia di Bruxelles» che lo avesse costretto a fare cose che non voleva fare. (p. 53)
  • Non sono mancati i commenti sul narcisismo fuori misura di Johnson, in effetti divorante, come sulla sua altrettanto notevole pigrizia. Il debole che nutre per le montature è ben noto. All'inizio della sua carriera fu licenziato dal «Times» di Londra per essersi inventato delle citazioni e nel 2004 fu espulso dal gabinetto ombra per avere mentito. L'aura di impotenza che lo circonda, attentamente studiata, nasconde una vena di crudeltà: con una serie di relazioni, intrattenute con incredibile sfacciataggine in pubblico, ha distrutto sia il suo primo sia il suo secondo matrimonio, quest'ultimo durato un quarto di secolo, nonché la vita di tante altre donne. (p. 55)
  • Nel «normale» procedere degli eventi, in un mondo senza Brexit, Boris Johnson non sarebbe forse mai divenuto primo ministro. Il partito che aveva eletto David Cameron, un centrista moderato, dedito alla «disintossicazione» del Partito conservatore dopo una serie di leader dai toni rabbiosi, avrebbe avuto difficoltà a scegliere una figura rischiosa come Johnson, con la sua storia di gaffe, licenziamenti e scandali sessuali. Egli divenne il leader dei tory perché i tory non sapevano cos'altro fare. La partita di rugby e la mischia c'erano state, e qualcuno s'era effettivamente lasciato scappare la palla. (p. 57)
  • Sia nella campagna dell'establishment conservatore «Vote Leave», guidata da Johnson e dal suo collega tory Michael Gove, sia in quella dell'UKIP guidata da Nigel Farage si dissero bugie. Se lasciassimo la UE, dichiarò Johnson, ci troveremmo con 350 milioni di sterline in più alla settimana – una cifra immaginaria – per il servizio sanitario nazionale. Se rimanessimo nella UE saremmo costretti ad accettare che la Turchia ne divenga un membro: affermazione anche questa falsa. Farage apparve di fronte a un manifesto che mostrava enormi folle di siriani in cammino verso l'Europa, anche se non c'era alcun motivo per cui qualcuno di essi dovesse finire nel Regno Unito, che non faceva parte dell'area Schengen, la zona d'Europa senza frontiere. Più tardi, in un'intervista, Cummings avrebbe paragonato quella campagna alla «propaganda sovietica». (p. 70)
  • Nella campagna «Vote Leave» si ricorse all'imbroglio: si infransero le leggi elettorali per spendere più soldi in pubblicità mirate su Facebook. Agli amanti degli animali vennero mostrate fotografie di toreri spagnoli; agli amanti del tè fu fatta vedere una mano, contrassegnata da una bandiera della UE, in procinto di afferrare una tazza da tè britannica accanto a un furioso slogan: «L'Unione europea vuole uccidere la nostra tazza da tè». A questi fini, oltretutto, la campagna Vote Leave utilizzò i dati rubati dalla Cambridge Analytica. Tutte le campagne per la Brexit trassero beneficio dalle operazioni di trolling russe, anche se queste ultime si limitarono perlopiù a echeggiare quello che «Vote Leave» stava già facendo comunque. Il clima in cui si svolse la campagna fu il peggiore della storia moderna della Gran Bretagna. (p. 71)
  • Per quanto in teoria sostenessero la democrazia, parecchi brexiteers, specie quelli che lavoravano per la stampa sensazionalistica, erano in pratica disgustati dalle istituzioni democratiche del Regno Unito. Quando tre giudici britannici sentenziarono, nel novembre 2016, che il Parlamento avrebbe dovuto dare il suo consenso prima che il governo potesse ritirarsi ufficialmente dalla UE, il «Daily Mail», quotidiano diretto da brexiteers, pubblicò una prima pagina straordinaria: le foto dei tre giudici in toga e parrucca sotto il titolo Nemici del popolo. (p. 72)
  • Com'era inevitabile, il processo di tirare fuori la Gran Bretagna da quarant'anni di trattati si rivelò molto più complicato di quanto semplicistici slogan elettorali avessero promesso. Apparve evidente che pochissimi conservatori nostalgici capivano realmente l'Europa e la politica europea, e le loro previsioni su quello che sarebbe successo con la vittoria referendaria si rivelarono tutte sbagliate. Heffer scrisse un editoriale in cui sosteneva che la Brexit avrebbe portato a un'ondata di analoghi referendum in altri paesi europei; in realtà essa non fece che accrescere il sostegno alla UE. Subito dopo il voto un conservatore membro della Camera dei Lord mi disse di aver parlato personalmente con i maggiori industriali tedeschi, i quali gli avevano assicurato che qualunque accordo raggiunto sarebbe stato favorevole alla Gran Bretagna. In realtà, i maggiori industriali tedeschi iniziarono a parlare di disinvestire dal Regno Unito. Durante la campagna referendaria nessuno aveva minimamente pensato all'Irlanda del Nord, né alla necessità, se la Gran Bretagna fosse uscita dal mercato unico, di ripristinare una frontiera doganale britannico-irlandese. Non appena le trattative cominciarono, tali problemi si rivelarono immediatamente i più centrali. (p. 73)
  • Se la gente è spesso attratta da idee autoritarie è perché la complessità la infastidisce. Le divisioni non le piacciono. Preferisce l'unità. Un improvviso emergere di diversità, diversità di opinione, diversità di esperienze, la manda in collera. E cerca soluzioni in un nuovo linguaggio politico che la faccia sentire più sicura e protetta. (p. 85)
  • Lo strepito delle discussioni, i costanti mormorii di disaccordo possono irritare chi preferisce vivere in una società legata insieme da un'unica narrazione. La decisa preferenza per l'unità, almeno in una parte della popolazione, contribuisce a spiegare perché tante rivoluzioni liberali o democratiche, a partire dal 1789, siano sfociate in dittature che godevano di ampio sostegno. (p. 87)
  • Trump non sa niente della storia americana e quindi non può avere alcuna fede in essa. Non capisce né apprezza il linguaggio dei padri fondatori del suo paese, e quindi non può esserne ispirato. Non credendo che la democrazia americana sia un bene, non ha alcun interesse per un'America che aspiri a essere un modello fra le nazioni. (p. 123)

Explicit modifica

Abbiamo sempre saputo, o avremmo dovuto sapere, che la storia può ancora una volta penetrare nelle nostre vite private e trasformarle. Abbiamo sempre saputo, o avremmo dovuto sapere, che visioni alternative delle nostre nazioni cerchaeranno sempre di sedurci. Ma forse, scegliendo la nostra strada nella notte, scopriremo che a esse, insieme, possiamo opporre resistenza.

Note modifica

  1. Da (EN) War in Europe is not a hysterical idea, washingtonpost.com, 29 agosto 2014; tradotto in Bisogna prepararsi a una guerra in Europa?, Il Post.it, 31 agosto 2014.
  2. a b Da (EN) Donald Trump: Spokesman for birthers, truthers, and Internet trolls, washingtonpost.com, 21 agosto 2015; tradotto in Donald Trump, l'idolo dei troll, ilpost.it, 22 agosto 2015.
  3. Citato in Holodomor, la strage degli innocenti uccisi dalla fame in Ucraina, Focus.it, 20 novembre 2021.

Bibliografia modifica

  • Anne Applebaum, Il tramonto della democrazia. Il fallimento della politica e il fascismo dell'autoritarismo, traduzione di Massimo Parizzi, Mondadori, Milano, ISBN 978-88-04-73788-9

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