Sven-Göran Eriksson

allenatore di calcio e dirigente sportivo svedese (1948-2024)
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Sven-Göran Eriksson (1948 – 2024), calciatore e allenatore di calcio svedese.

Sven-Göran Eriksson

Citazioni di Sven-Göran Eriksson

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Su Roma – Lecce 2-3 del campionato di Serie A 1985-1986] Non dimenticherò mai quella beffa. Considero ancora quella stagione il mio capolavoro. Forse neanche il Goteborg o il Benfica o la Samp, giocò bene come la Roma che rimontò undici punti alla Juve di Platini. Ma tutto si spense sul più bello, come nei sogni. E il sogno diventò un incubo. Per diversi giorni non mi riuscì a dormire. E, quando crollavo, mi svegliavo di soprassalto, gli occhi gonfi di lacrime. Una sofferenza che in qualche modo mi ha cambiato e che ha cambiato la storia della Roma.[1]
  • [Sul campionato di Serie A 1999-2000] Ricorderò sempre lo scudetto con la Lazio. Vincere il campionato in Italia se non sei Juventus, Milan o Inter non è facile.[2]
  • Vorrei che la gente pensi al calcio quando sente parlare di me, alle belle cose che ho fatto. Ma credo che alcuni pensino soltanto alle donne quando sentono il mio nome. Purtroppo...[3]
  • Perché non si possono avere più donne contemporaneamente?[3]

Schiavo senza catenaccio

Intervista di Vladimiro Caminiti, Guerin Sportivo nº 5 (679), 3-9 febbraio 1988, pp. 20-22.

  • Io non sono d'accordo con questa tradizione di catenaccio [...] alimentata dagli usi e costumi e da forte giornalismo. Il calcio deve essere anche e soprattutto spettacolo.
  • Io non ho mai fatto polemiche con un giocatore, perché per me la squadra conta di più di qualsiasi giocatore.
  • Il calcio moderno è spettacolo. Fa parte dello spettacolo avere i grandi giocatori, ma non tutti possono averceli. Allora si deve [...] seguire la strada dei giovani talenti, ma è difficile trovarli.
  • Baggio parla col pallone [...]

E io Svengo dalla gioia!

Intervista di Matteo Dalla Vite, Guerin Sportivo nº 31 (1157), 31 luglio – 6 agosto 1997, pp. 24-25.

  • Disciplina, atteggiamento vincente e pensare positivo: ecco i miei tre dogmi [...]. Senza disciplina, tattica e non, l'organizzazione te la sogni; l'atteggiamento vincente significa tentare sempre di vincere, anche quando sei sotto di tre gol; pensare positivo significa svegliarsi la mattina e pensare che la vita è bella e il lavoro che si fa lo è ancora di più.
  • [«Si prenda un merito [...]»] Spero di prendermene uno, al quale tengo molto: quello di far capire che il derby è una partita come le altre. È importante comprendere questo aspetto, fondamentale direi. Il derby non vale una stagione come molti pensano. È la stagione, ovvero la classifica finale, che conta più di ogni altra cosa.
  • [...] l'ambiente attorno a una squadra si conosce solo ad un certo punto, ovvero dopo una sconfitta.
  • [...] mi ricordo il primo anno quando ero ridotto a stare in tribuna. Era l'84, i tecnici stranieri non potevano scendere in panchina e allora dovevo guardarmi le partite in mezzo alla gente, sugli spalti. Da lassù si vede meglio la partita? Sì, ma si sentono meglio gli insulti: se la squadra andava male, bum, tutti addosso a me che non potevo guidare concretamente la squadra durante il match. Una domenica ad Avellino fu terribile: mi insultarono tanto, ma tanto che quel pomeriggio non me lo dimenticherò più. [«Voglia di scappare?»] Molta. Fu la prima e unica volta che mi dissi: ma che ci sto a fare in Italia?

Ghiaccio bollente

Intervista di Paola Gottardi, Calcio 2000 nº 14, dicembre 1998, pp. 122-125.

  • Non mi dà fastidio sentirmi definire "perdente di successo". Nel calcio tutto è possibile. Il mio è anche un lavoro pubblico, non bisogna prendersela più di tanto. Io so cosa ho vinto. Mi basta questo.
  • [«Sostiene da sempre che per giocare a zona ci vogliono elementi intelligenti. Ma era agevole far digerire raddoppi, pressing, aggressività?»] Quella è stata la cosa più semplice, i calciatori sanno usare la testa, eccome. Direi di più: agli inizi della mia esperienza italiana, una delle poche cose che non mi crearono problemi fu proprio far capire il mio calcio agli uomini che avevo a disposizione.
  • [Sul campionato italiano di calcio] Qui ogni partita è un esame, ha una importanza enorme. [...] Il vostro campionato è il massimo per un allenatore, un banco di prova e di crescita ineguagliabile.
  • Agli inizi ero molto rigido, giocavo solo con il 4-4-2, se stavo vincendo per 1 a 0 e toglievo una punta non la sostituivo che con un altro attaccante, soprattutto se mancava poco alla fine. [...] [«Sinceramente, si è mai sentito "violentato", costretto a tornare indietro sui suoi passi, in nome del risultato?»] No, semplicemente ho maturato l'idea che la cosa più importante è vedere, capire il tipo di giocatori che si hanno e adattare il proprio modo di intendere il calcio. Per il resto non ho abbandonato il mio "credo" calcistico, anche se oggi gli schemi rigidi non sono più così importanti...
  • [«È possibile [...] un recupero della fantasia magari a scapito dell'aspetto più prettamente "muscolare"...?»] Non penso. Tutto è importante, anche la preparazione fisica. Si corre sempre di più, le squadre sono sempre più aggressive. Però, di sicuro, bisogna salvaguardare i talenti, i piedi buoni, quelli che fanno del dribbling e del tocco di classe le loro prerogative. Senza elementi del genere il calcio diventerebbe più povero.
  • Mancini è certamente uno che si fa sentire. Tecnicamente sappiamo chi è, non lo devo dire io. Tatticamente è uno che sa ragionare in velocità, sa dare profondità in un attimo perché pensa in movimento e pensa "al" movimento. E mette il suo talento al servizio dei compagni.
  • Le polemiche [...] non mi sono mai piaciute. Sovente sono del tutto prive di costrutto, servono solo a fare i titoli dei giornali. [...] In Italia il calcio parlato è micidiale.

«Via l'etichetta»

Intervista di Ivan Zazzaroni, Guerin Sportivo nº 21 (1297), 24-30 maggio 2000, pp. 22-26.

  • Voi italiani siete abituati a basare ogni giudizio sui risultati, non sulla qualità del lavoro. E siete molto bravi, i migliori del mondo, il lunedì.
  • [Sulla Società Sportiva Lazio 1999-2000, «hai vinto anche attraverso il turnover?»] Credo proprio di sì. [«E il tanto discusso 4-5-1»] Noi non avevamo Batistuta, ovvero un attaccante da 20 gol a campionato. Erano tanti, invece, i centrocampisti offensivi, tanti e tutti bravi a inserirsi e concludere. I nostri soli incontristi erano Almeyda e Sensini. Ho trovato giusto tentare di sfruttare al meglio le caratteristiche dei giocatori.
  • [«Come si fa ad andare d'accordo con Mancini?»] Non è difficile, lui è un bravo ragazzo, uno che sa stare al mondo. Ogni tanto bisogna lasciarlo parlare. Quando si è sfogato ritrova la tranquillità, la testa si libera dei cattivi pensieri e lui torna a giocare alla grande.
  • [«La pazienza è il tratto più significativo del tuo carattere?»] Preferisco pensare che lo sia un'altra cosa: la fiducia nelle mie idee. La pazienza è una conseguenza.

Citazioni non datate

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Citato in Marco Gaetani, ultimouomo.com, 7 giugno 2024.

  • Mia madre ha fatto qualsiasi cosa per me. Io dovevo essere la sua rivincita per questa vita.
  • [Sul campionato mondiale di calcio 1958] Hamrin era il nostro giocatore preferito, ma dopo quel Mondiale volevamo tutti essere Pelé.
  • [Sulla finale della Coppa UEFA 1981-1982] Penso non esista una mia foto con la Coppa UEFA in campo dopo la partita. Non volevo essere fotografato insieme a Gunnar Larsson, il nuovo presidente, in carica da poco prima della finale. Era un uomo forte della scena politica locale ma a malapena mi salutava e lo stesso faceva con i giocatori. E me lo sono ritrovato sul campo a fare le foto con la coppa, in posa. Bertil Westblad e gli altri membri del board avevano reso possibile tutto quello, alcuni di loro avevano messo l’ipoteca sulle loro case per farci comprare dei giocatori. Meritavano di festeggiare con noi.
  • [Su Zbigniew Boniek] Veloce, tecnicamente brillante, vincente, con una personalità in campo che io non avevo mai visto.
  • [Su Roma – Lecce 2-3 del campionato di Serie A 1985-1986] Entrai nello spogliatoio all'intervallo e chiesi alla squadra cosa stesse succedendo. Uno dei giocatori più importanti mi guardò e mi disse: «Relax, mister. La vinciamo nel secondo tempo». Non capivo. Relax? Stavamo per perdere il campionato. [...] Quella notte Riccardo Viola, il figlio del presidente, venne a casa mia. Mi disse che c'erano stati sospetti su cinque nostri giocatori: avrebbero scommesso sulla vittoria del Lecce al 45'. Gli dissi che non era possibile. [...] L'idea che i miei giocatori avessero scommesso sulla partita mi risultava totalmente impensabile. [...] Il giorno dopo, Dino Viola venne a parlarmi. Era convinto che ci fossero state scommesse illegali sulla partita al punto che le quote sul Lecce vincente al 45' erano crollate poco prima del calcio d'inizio. Viola voleva le prove della colpevolezza di questi cinque giocatori, ebbi incontri per giorni con gli avvocati del club, ma io non sapevo nulla. Non emersero prove di tutto questo.
  • [Su Roberto Baggio] [...] era un giocatore complesso da inserire in un sistema, ma ad alcuni calciatori devi lasciare libertà per consentirgli di dare il meglio: solo così riusciranno a farti vincere. Fino a quel momento avevo allenato grandi calciatori: Nilsson, Chalana, Falcão, Boniek, Pruzzo. Talenti speciali. Ma non avevo mai avuto a che fare con uno del calibro di Roberto.
  • Rompipalle è una delle parole italiane che preferisco. Un rompipalle è una persona estremamente esigente, ma viene detta in modo affettuoso. Alla Sampdoria, avevamo il più grande rompipalle che io abbia mai conosciuto. Roberto Mancini era un grandissimo rompipalle. E lo dico con tutto l'affetto del mondo.
  • [Su Roberto Mancini] Era un giocatore di intelligenza impareggiabile, che vedeva cose sul campo che nessun altro vedeva. In allenamento era un leader aperto anche ad ascoltare nuove idee. Voleva essere coinvolto in tutto. Prima delle partite era capace di chiamare il magazziniere per appurare che i calzini di tutti fossero messi in maniera corretta sulle panchine. A volte mi faceva perdere la testa: appena mi vedeva arrabbiato, veniva a chiedermi scusa. Tutti lo amavano [...]
  • [Su Siniša Mihajlović] Era un duro che aveva un'opinione su ogni aspetto del mondo, ma mi è piaciuto fin dal primo impatto. E aveva il miglior piede sinistro che io avessi mai visto.
  • Lo spirito di squadra per me è sempre stato al di sopra di tutto, ma so anche che devi fare spazio agli individualisti con un talento speciale: Alen [Bokšić] era speciale. Aveva tutto: velocità, visione di gioco, qualità tecniche divine. Ma aveva anche una sorta di blocco mentale: in allenamento segnava senza fatica, in partita gli succedeva qualcosa.

Citazioni su Sven-Göran Eriksson

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  • Fra Zeman e Eriksson, scelgo quest'ultimo: umanamente vince dieci a zero. (Diego Armando Maradona)
  • Non è il tecnico tradizionale. Non si atteggia, non gonfia il petto. Ha questo visino diremmo mite, non brillasse il suo occhio, a guardar bene, di una certa luce e non spuntasse sul suo labbro, quando meno te l'aspetti, un risino diabolico. (Vladimiro Caminiti)
  • Quando un presidente prende Eriksson per allenare è sicuro di non avere problemi, litigi, ma solo titoli. (Glenn Strömberg)
  • Sven-Göran Eriksson? Sembra il famoso "Titti" dei cartoons di Walter Disney. (Orlando Portento)
  1. Citato in Stefano Petrucci, Roma Lecce, Eriksson ricorda, Corriere della Sera, 19 settembre 1997, p. 51.
  2. Da un'intervista al Corriere dello Sport - Stadio, 14 maggio 2010; citato in Fabrizio Patania, Lazio, clamoroso Eriksson: «Tornare? Perché no!», corrieredellosport.it.
  3. a b Da un'intervista a Expressen; citato in Jennifer Wegerup, Eriksson: "A Roma gli anni più belli. Le mie tante donne? Mi innamoro facilmente...", gazzetta.it, 18 settembre 2017.

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