Pietro Giordani

scrittore italiano

Pietro Giordani (1774 – 1848), scrittore italiano.

Pietro Giordani

Citazioni di Pietro GiordaniModifica

  • A quel massimo degli umani intelletti, Paolo Sarpi, ragionevolmente parve lo straordinario ingegno una prontissima passività a ricevere e riprodurre in sé anco le minime impressioni degli oggetti o sensibili o intelligibili, e però non altro che una straordinaria e male invidiata malattia, la quale i moderni fisiologi nel moderno linguaggio chiamerebbero lenta encefalite.[1]
  • Pari o somigliante a quel terribile e stupendo Bartoli non abbiamo nessuno. Il quale nelle Istorie volò come aquila sopra tutti i nostri scrittori. [2]
  • Assai è noto con quanto di magnifica eleganza il Marchese Giancarlo di Negro abbia dato molte solenni feste nella sua Villetta di Genova all'onore or di Eroi Italiani, or di suoi amici illustri. Innumerevoli persone, in tutta Italia e fuori conoscono la rara amenità del luogo, e quel meraviglioso prospetto di città e di mare, che il possessore cortesissimo concede liberamente di godere ogni giorno a tutti: ed è famoso lo spettacolo ch'essa rende illuminata copiosamente in quelle notti festose; al quale concorre plaudente un popolo numeroso nel sottoposto passeggio dell'Acquasola.[3]
  • E qui vi repetiamo che una successione ordinata di buoni pensieri; che è proprietà d'ingegno non volgare, ed acquisto di molte fatiche; non potrà mai (checché ne dicano i ciurmatori) ottenersi per un subitaneo furore, per una repentina ispirazione. Non v'è altro furore che l'ingegno; non altra ispirazione che dallo studio.[4]
  • [Vincenzo Monti] La bontà del mio Amico fu nota e provata a quanti lo conobbero, degni di amarla; e non meno la conobbero gli indegni, che troppi, e troppo l'abusarono. Ma quelli che non lo videro, e molte generazioni future che ne' suoi scritti leggeranno parole superbe e sdegnose, potrebbero leggermente crederlo assai diverso da quello che fu.[5]
  • [Vincenzo Monti] Nella severa maestà del suo volto (sì vivamente rappresentata dalla scultura di Giambatista Comolli), la grazia (non rara) di un sorriso dolce e delicato rivelava pienamente un animo sincerissimo e affettuoso. E la sincerità fu perfetta; che né voleva né poteva dissimulare non che fingere verun pensiero: e perciò detestava forte ogni falsità e simulazione: così avesse saputo da falsi e simulati difendersi![6]
  • Non è una meraviglia di scrittore Dino Compagni: contemporaneo a Dante; e autore di una tal prosa, che per brevità, precisione, vigore, non avrebbe da vergognarsene Sallustio?[7]
  • Presto ritornerò a questa lieta Firenze, dove solamente posso vivere.[8]
  • [Su Cristoforo Colombo] Quanto scopristi, quanto soffristi! / Quanto in cuor tuo / Maledicesti il genere umano!.[9]
  • Sinché non fu udita in Italia la poesia di Leopardi (la quale fu da ben pochi attentamente udita) non era dopo Dante, per utilità morale, chi mettere né innanzi né appresso al Parini; lirico nelle odi singolare; nel poema trovatore di nuova materia, e fabro di stile a tal novità egregiamente appropriato.[10]
dalle lettere a Prospero Viani
  • Io nei primi anni della conoscenza di Leopardi ebbi molte lettere di lui, tutte stupendissime; le quali (secondo il mio immutabil costume per tutte) distrussi. Erano le più belle lettere possibili. Non saprei dove cercarne. Ho per fermo che in Parma nessuno ne abbia avuto fuorché la Tommasini, e sua figlia la Maestri. Ma ora quella povera famiglia è nella massima desolazione, perché va morendo tra mille patimenti l'unica figlia. Oh caro Viani, è pur pieno di guai questo mondo! Ella si conservi la sanità, e l'animo forte; e mi abbia sempre per suo vero amico. (14 maggio 1838)
  • Io per me rido di tutti....; ma quel povero Giacomo, che vivo non toccò mai nessuno, e morto non si può difendere! (4 dicembre 1840)
  • Oh quanto piacere mi fa comunicandomi la nobilissima risposta del Cardinale (Mai); degna veramente di quell'alto animo: come questa risponde e confonde tutti i vilissimi sforzi degi'invidiosi che vorrebbono con pretesti ipocriti soffocare la fama di Giacomo nostro! (6 ottobre 1845)
  • Quando ella pubblicherà l'epistotario, ciascuna lettera deve avere il suo posto nell'anno, mese, e giorno della data; senza riguardo alla persona cui è diretta. Cosi si viene ad avere dì per dì la vita dello scrivente. (5 dicembre 1845)

[Prospero Viani, Introduzione a Giacomo Leopardi, Epistolario, Vol. I]

Citazioni su Pietro GiordaniModifica

  • Pietro Giordani, prosatore elegantissimo, anzi quegli, a nostro parere, che ha saputo unire nel suo stile tutte le native grazie del Trecento colla magniloquenza e coll'arte ma temperata del Cinquecento e del Seicento. Le varie sue prose, sieno esse orazioni od elogi, o memorie, o dissertazioni, od articoli di giornali, ne posson essere un solenne testimonio. (Ambrogio Levati)
  • Signore mio carissimo, L'erudizione che ella ha trovato nelle note all'inno a Nettuno, in verità è molto volgare, e a me è paruto di scrivere quelle note in Italia; ma in Germania o in Inghilterra me ne sarei vergognato. (Giacomo Leopardi)

NoteModifica

  1. Citato in Federico De Roberto, Il genio e l'ingegno, in "Il colore del tempo", R. Sandron, Milano-Palermo, 1900.
  2. Da Sopra il Cardinal Pallavicino in Liceo di letteratura italiana, volume 4, 1836, p. 207.
  3. Dalla prefazione a Per la solenne dedicazione del busto di Luigi Biondi nella villetta Di Negro in Genova il dì 28 luglio 1840, in Scritti editi e postumi di Pietro Giordani pubblicati da Antonio Gussalli vol. IV, Borroni e Scotti, 1857, p. 277
  4. Da Dello Sgricci e degl'improvvisatori in Italia, in Opere X, p. 106.
  5. Da Ritratto di Vincenzo Monti, 1830.
  6. Da Ritratto di Vincenzo Monti, 1830.
  7. Da una lettera a Gino Capponi, 1º gennaio 1825; in Degli scritti di Pietro Giordani, vol. II, Giovanni Silvestri, Milano, 1841, pp. 51-52.
  8. Dalla lettera XVIII, citato in Gesualdo Vannini, Introduzione a La Vita e le Opere di Raffaello Lambruschini, Tipografia Guainai, Eboli 1907.
  9. Citato da Giovanni Bovio nella Tornata del 12 giugno 1886 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  10. Dalla prefazione, IV, in Le operette morali di Giacomo Leopardi, Francesco Vigo, Livorno, 1870, p. 33.

BibliografiaModifica

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