Marcel Niedergang (1922 – 2001), scrittore e giornalista francese.

Le 20 americhe latine

modifica
  • [Sul Brasile] Non è un paese, ma un continente all'interno di un altro continente. (p. 13)
  • Sembra quasi che il Brasile, pur avendo i due terzi del proprio territorio praticamente disabitati, abbia voluto monopolizzare tutti i superlativi che i manuali scolastici di geografia riservavano, alla fine del XIX secolo, all'America del Nord. (p. 13)
  • Il Brasile è il paese dei fallimenti clamorosi a ripetizione, ma ogni volta un nuovo miracolo lo ha risollevato. (p. 15)
  • La mescolanza del sangue negro, bianco e rosso ha segnato l'inizio della società brasiliana moderna che può considerarsi un risultato originale e positivo dal punto di vista umano. [...] La prima conseguenza è positiva, in quanto consente al Brasile del XX secolo d'ignorare quasi totalmente i conflitti razziali. Non si giudica un uomo per la sua razza ma piuttosto per il colore della sua pelle e siccome le tinte sono infinite, non si possono concepire conflitti violenti tra due gruppi razziali ben determinati, come accade negli Stati Uniti o nel Sudafrica. (p. 18)
  • Non vi sono leggi che impediscono formalmente ai negri di accedere a tutti i posti pubblici, ma bisogna pur constatare, ad esempio, che su 4000 studenti ammessi ogni anno alla Facoltà di medicina, solo una trentina sono negri. In proporzione i diplomatici brasiliani negri non sono più numerosi e il corpo degli ufficiali di marina è bianco al cento per cento. Si tratta solo di un caso? Si tratta solo di ragioni economiche? Non sembra sia così. (p. 19)
  • È comunque del tutto inutile chiedersi che cosa sarebbe divenuto il Brasile senza l'immigrazione massiccia e forzata dei negri dell'Africa sino alla metà del XIX secolo. Il fatto è che l'Africa è presente in Brasile più che in qualsiasi altro paese dell'America latina. (p. 19)
  • Don Pedro I si rivelò del resto un capo di Stato di grande saggezza e di buonsenso politico, ma suo figlio, Don Pedro II, fu senza dubbio un uomo assolutamente eccezionale. Così, mentre i loro vicini argentini o paraguayani sopportavano bene o male caudillos sinistri o crudeli, i brasiliani ebbero la fortuna di diventare sudditi di un monarca illuminato come in Europa non ne esistevano più. (p. 24)
  • I tirannelli delle repubbliche liberatesi dalla Spagna ammiravano Napoleone. Don Pedro II poneva Pasteur e Victor Hugo al disopra di tutti gli uomini. (p. 24)
  • Negli Stati Uniti la conquista progressiva del suolo ha formato un paese in cui il nord industrializzato si è urtato col sud agricolo e schiavista. In Brasile accade l'inverso. Il nord, che si è sviluppato grazie alla schiavitù, è rimasto fondamentalmente agricolo, e il sud, conquistato assai più tardi, si è industrializzato per primo. (p. 30)
  • Su quattro alberi che crescono sulla terra uno ha le sue radici nella gigantesca foresta dell'Amazonas che si estende terrificante, esuberante e parzialmente invasa dall'acqua su 300 milioni di ettari che comprendono due Stati e i quattro Territori Federali del nord. Non v'è, sul nostro pianeta, uno scenario che possa evocare con maggiore precisione angosciosa l'onnipotenza scatenata della natura primitiva e le lotte spietate dei grandi rettili dell'era secondaria. (p. 45)
 
Getúlio Vargas
  • [Su Getúlio Vargas] Quel passionale aveva avuto un solo ardente desiderio: il potere. Il sentimentale che non aveva mai ceduto ai suoi affetti scopriva, al crepuscolo della vita, la solitudine e il tradimento. (p. 53)
  • Dopo la morte di Vargas, non vi era stato alcun cambiamento e, in verità, nulla è ancora mutato in Brasile, ma il getulismo, come il peronismo in Argentina, lasciò tracce che difficilmente potranno essere cancellate. L'essenziale sta nel fatto che non è più possibile ignorare del tutto le masse. (p. 55)
  • Il getulismo non è una dottrina realmente originale per cui è abbastanza facile poterlo definire. Anteriore al peronismo argentino, questo movimento brasiliano ha molti lati in comune, la medesima linea direttrice, ed è, come il primo, una dottrina di intenzioni. Perón e Vargas sono stati due dittatori, ma assai diversi sul piano umano. Il primo è stato al potere in Argentina per quasi dieci anni e il secondo ha regnato per circa venticinque anni. Hanno avuto entrambi il tempo e tutti i mezzi del potere. Tuttavia non furono che dei velleitari e questo è il loro unico e vero lato in comune. Ciò non è contrastante con il fatto che i postumi del peronismo e del getulismo siano ancora sensibili sia in Argentina che in Brasile, poiché le masse hanno voluto ricordare soltanto le buone intenzioni e le poche realizzazioni incontestabili a loro favore tralasciando di esaminare il bilancio totale e sfavorevole dei due regimi. (p. 56)
  • Getulio ha senza dubbio promesso molto e mantenuto poco. Inoltre, la sua legislazione sociale era applicabile soprattutto nelle città e per nulla affatto nelle campagne, dove la sorte dei lavoratori agricoli era tale che sarebbe stato necessario migliorarla prima di ogni altra. Ma, per il Brasile del 1930, si trattò di una rivoluzione. (p. 56)
  • Robusto, il viso glabro, un naso arcuato sormontato da occhiali di metallo, lo sguardo penetrante, Getulio parlava poco e sorrideva molto. (p. 57
  • L'unica cosa che interessava Vargas era il potere. (p. 60)
  • [Su Jânio Quadros] L'uomo è certamente sconcertante, a cominciare dall'aspetto fisico. Un giornalista americano ha detto con caustica ironia: «Rassomiglia a Marx, ma non a Karl, a Harpo». In realtà, Janio non si preoccupava affatto di piacere. [...] Aveva un volto magro, ossuto, percorso da tic nervosi, capelli lunghi sempre spettinati e baffi di traverso. Per molto tempo si preoccupò assai poco del proprio abbigliamento. Agli inizi della sua ascesa politica, quello che arringava ascoltatori soggiogati era un Janio che somigliava più a un asceta sfinito che a un candidato sicuro di sè. (p. 72)
  • Getulio adulava i nemici e ignorava gli amici. (p. 73)
  • Janio permane un enigma. Provoca un entusiasmo senza riserve o un odio tenace. Lo si è classificato «a sinistra», «a destra» e «al centro». Si è detto: «È un camaleonte politico». (p. 73)
  • Nulla riflette meglio del seguente aneddoto lo stile nuovo che Quadros volle imporre a Brasilia: una vecchia volpe della politica che aveva sostenuto la campagna di Quadros e aspettava con impazienza sempre maggiore di vedersi affidare un posto importante, chiese al presidente: «Ma insomma, dov'è il mio posto nel vostro gruppo?» E Quadros rispose con un sorriso soave: «Ma qui, nel mio cuore». (p. 79)
  • Lacerda è di destra e non lo nasconde, anzi lo rivendica con forza feroce contro la minaccia comunista. (p. 84)
  • Buenos Aires è orgogliosa. Gli stessi porteños ne convengono e condividono tale fierezza. A eccezione del suo avamporto della Boca, che è un compromesso tra Barcellona e la rada della vecchia Marsiglia, la città è un poema di cemento armato, di pietra, di lunghe prospettive, di diagonali infinite e di grattacieli. Non ha, è vero, la seduzione romantica di Lima o il fascino di Rio, ma avvince per il suo dinamismo. (p. 102)
  • La prima impressione che si ha di Buenos Aires è sconcertante. È una città che non si rivela subito, perché tutto vi è smisurato. Il pittoresco in effetti non esiste e solo il lavoro è evidente. Il porto con le sue installazioni si estende per oltre sette chilometri e i lati estremi della rada misurano quasi una ventina di chilometri ciascuno. Cinque volte più estesa di Parigi, Buenos Aires è collegata al suo aeroporto da un'autostrada diritta e modernissima. Da qualunque parte vi si giunga, la capitale della Repubblica Argentina dà l'impressione di avere sacrificato quasi tutto agli affari, al lavoro e alla potenza. Piuttosto che una città di cui si cercano di scoprire le stratificazioni successive e pazienti dei secoli, è un emporio, una banca, un luogo d'appuntamento per affari. A Buenos Aires, che sembra rifiutare la dolcezza, l'angolo retto è la regola quasi generale. (p. 102)
  • Il paradosso dell'Argentina è che, pur essendo un paese rivolto eminentemente alla terra, ha una popolazione urbana sempre in aumento a spese di quella rurale. È stato detto che l'Argentina è un paese senza villaggi e ciò è sempre più vero. (p. 103)
  • Nonostante le ondate successive dell'immigrazione, gli argentini medi di oggi rassomigliano assai più agli americani del nord che agli europei. Il gusto della semplicità, il culto della virilità, il riserbo, la ricerca delle comodità, ecco i tipici aspetti degli argentini. I porteños hanno, in realtà, orrore del disordine e della trascuratezza dei popoli mediterranei. (p. 104-105)
  • L'Argentina benefica di una situazione eccezionalmente favorevole. Le sue risorse naturali, l'estensione del suo territorio (l'ottavo paese del mondo), un popolo omogeneo e lavoratore, sono qualità che potrebbero consentirli di aspirare alla leadership dell'America del Sud. Il peronismo non poteva mancare di inserire nel suo programma un tale obiettivo. (p. 120)
  • Il cattolicesimo argentino è assai meno profondo di quelli del Brasile, della Colombia e del Perù. In realtà, le tradizioni laiche dell'Argentina sono più antiche e profonde di quelle della maggior parte degli altri paesi dell'America latina. (p. 122)
  • [Sulla Revolución Libertadora] È evidente che il commercio di potere e gli arricchimenti permessi o favoriti dal regime peronista contribuirono per buona parte alla sua caduta. L'argentino ha il senso dell'umorismo e del ridicolo. Non beve perché è degradante essere ubriachi in pubblico. È pieno di deferenza con gli stranieri, ma il suo atteggiamento riservato è agli antipodi dell'eccessiva familiarità o della penosa ossequiosità di altri popoli latino-americani. È disciplinato, eccetto forse quando si trova al volante di un'automobile. (p. 126)
  • La grande maggioranza del proletariato argentino non ha una coscienza politica. Non c'era granché, prima del peronismo, eccetto forse alcuni leader che seguivano l'ideale anarchico della fine del XIX secolo in Europa. (p. 127)
  • Rosas, primo gaucho politico, regnò tirannicamente sull'Argentina dal 1835 al 1852 con una crudeltà feroce e gioiosa, ma cominciò a realizzare l'unità politica del paese. (p. 128)
  • [Su Eduardo Lonardi] Indossava una divisa verde oliva, aveva il volto disfatto e quell'aria assente che hanno sempre gli uomini quando, per la prima volta, appaiono nella luce abbagliante del Campidoglio. (pp. 129-130)
  • [Sulla Revolución Libertadora] La caduta del peronismo fu una vittoria della classe media argentina e rappresentò il dato essenziale della rivoluzione del settembre 1955. (p. 130)
  • A Buenos Aires dicono ancora che la rivoluzione del 1930 puzzava di petrolio... (p. 131)
  • Il radicalismo non è, in Argentina, un partito politico, ma uno stato d'animo. (p. 135)
 
Arturo Frondizi
  • Il dottor Frondizi, avvocato, capo della tendenza di sinistra della frazione intransigente, è stato spesso considerato come influenzato dal marxismo (per quanto cattolico convinto) dai dirigenti del radicalismo unionista. (p. 135)
  • Irigoyen era un uomo integro, modesto e silenzioso. Lo chiamavano el mudo, il muto, ma la sua discrezione e la sua onestà erano ben lontane dall'esser condivise dalla maggior parte dei radicali che lo circondavano. (p. 135)
  • Gli argentini adorano i soprannomi. (p. 136)
  • Fatte le debite proporzioni, il dottor Frondizi trattò i peronisti come aveva fatto Luigi Filippo con i bonapartisti. Fu eletto grazie all'apporto non trascurabile dei loro suffragi, promettendo in cambio di abolire le interdizioni che chiudevano loro ogni partecipazione alla vita politica. (p. 138)
  • Alto, magro, quasi fragile, le spalle strette, un viso ossuto nascosto da grandi occhiali di tartaruga, Frondizi ricorda il tipo del professore universitario modesto, studioso e un po' distratto. Non è un oratore e tanto meno un tribuno. Non è capace di parlare per ore intere come Fidel Castro inebriandosi della musicalità della lingua spagnola. Non ha il prestigio inquietante e magnetico di Janio Quadros. Il contrasto fra Perón, pieno di vitalità, e Frondizi, chiuso e austero, fu, per gli argentini, impressionante e un po' sconcertante. (pp. 138-139)
  • Il piano economico di Frondizi era semplice e si riassumeva in una sola parola: austerità. Non era, questo, uno slogan che potesse piacere al popolo. (p. 140)
  • Cinque volte la Francia e soltanto 21 milioni di abitanti, queste due cifre fanno sì che a Buenos Aires sussista l'ingenua convinzione che il paese «più bianco delle due Americhe a sud del Canada» non abbia nulla da temere. Con superba indifferenza, neppure compensata da un minimo tentativo di seduzione, Frondizi accettò il regno dall'impopolarità per non tradire i suoi obiettivi. (p. 140)

Bibliografia

modifica
  • M. Niedergang, Le 20 americhe latine, traduzione di Roberto Ortolani, Garzanti, 1964.

Altri progetti

modifica