Franco Fortini

saggista, critico letterario e poeta italiano (1917-1994)
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Franco Fortini, pseudonimo di Franco Lattes (1917 – 1994), saggista, critico letterario e poeta italiano.

Franco Fortini

Citazioni di Franco Fortini

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  • Come d'autunno si levano le foglie, di coetanei ne hai visti troppi volteggiare prima di posarsi. Era quel loro planare, più del cadere, che ti faceva paura.[1]
  • [Su Le mosche del capitale di Paolo Volponi] Dopo Aracoeli della Morante (1982) non leggevo pagine narrative italiane con tanta partecipazione e ammirazione. Le due opere sono diversissime per modo di vedere il mondo e per uso del linguaggio. Quello è ultimativo e tragico; questo è drammatico, quindi non ultimativo. Hanno però in comune la certezza che il centro della realtà e verità abiti le buie viscere, dov'è il nodo tra fantasmi della mente e materia biologica. Nella Morante per una capitolazione catastrofica ed estatica, in Volponi per una aggressiva rivendicazione della corporeità di oppressi e di entità non umane diretta contro il delirio verbale del potere, inteso come laido ronzio di mosche. L'uno e l'altro raccontano una sconfitta e rovina, prima collettive e storiche che personali: il decennio settanta.[2]
  • Gadda mi è sempre stato antipatico. L'eminente critico e filologo Gianfranco Contini afferma che di quello scrittore il centro è nella "lacerante delusione di un uomo d'ordine smentito dalla storia sua e di tutti". Non per nulla Gadda, nel suo Diario di guerra, si scagliava contro i soldati che non avevano nessuna voglia di affrontare il pericolo e la morte. Certe laceranti delusioni, ecco, non mi commuovono affatto. [...] Plurilinguismo ed espressivismo vogliono presentare il mondo intero come una nave di folli. Spirito, questo, che si destina agli spiritosi poveri di spirito, illusi che il riso renda padroni. Sarà, come ho detto, a causa di una mia tenace antipatia: ma qui io ci sento soltanto quello che Emilio Cecchi chiamava "il partito dei carabinieri a cavallo".[3]
  • Gatto | occhi di mentecatto | passo distratto | baffi di scatto | pelo compatto | orgoglio intatto | chi potrà dire di che cosa è fatto | un gatto?[4]
  • La buona stampa | consiglia ai buoni | anima e zampa | liscia ai padroni | il Geno Pampa | loni. E ne campa.[5]
  • La narrazione si situa sempre dopo, mai prima, di un atto critico; ecco perché la continua presenza del saggista Mann, la sua ironia culturale, possono essere tanto indisponenti, far sospettare la fabbricazione. Paragonatelo a Cechov, a Joyce, a Proust, a Kafka; vi parrà un filisteo.[6]
  • Kafka è stato una lettura di giovinezza, e ancora oggi credo che si rivolga o parli soprattutto ai giovani, vale a dire a quelli che hanno una vitalità talmente forte da accettare e da ricercare la distruzione.[7]
  • [...] «mantenere in una versione certe ruvidezze dei testi è forse l'esito più raro», scriveva [Giaime Pintor] (in «Letteratura», n. 12, ottobre 1939, p. 156) recensendo versioni di poesia italiana contemporanea comparse sulla rivista tedesca «Das Innere Reich». Ma che cosa sono «certe ruvidezze» se non la ricorrente insorgenza di contenuti ancora non domi, gli squilibri di chi allarga il proprio arco lessicale perché non conta più sulla sapienza omogenea della società e affida al verso il compito di fondarne una nuova? Se non il contrario dell'attenuazione, della litote?[8]
  • [Giorgio Bassani] Senti un non so che di penoso e di chiuso.[9]
  • Se si crede in una frase di Brecht che dice: "La tentazione del bene è irresistibile", allora, si crede, anche, che si possano formare degli anticorpi capaci di trasformare lo schifo, la menzogna, le feci coltivate dalla cultura di massa in altro. È possibile, perciò, è doveroso mutare.[10]
  • Si dissolva quanto è composto, il disordine succeda all'ordine.[11]
  • Tutta la ricchezza delle geniali invenzioni verbali di Manganelli presuppone un agio, nel lettore-spettatore, non molto diverso da quello di chi si immerge nei piaceri della pubblicità televisiva. [...] La fatale monotonia di Manganelli, che annulla la novità sostituendola con la perpetua sorpresa, deriva dalla incapacità di farsi mettere in discussione, foss'anche per un attimo, da un diverso sistema di giudizi e scelte (come Beckett e, naturalmente, Kafka, sanno invece accettare). Sembra che Manganelli voglia che l'acquirente non abbia sorprese: gli garantisce sempre un Manganelli di origine controllata. Ha sempre ragione. Dunque non ha ragione mai.[12]
  • [Riferimento a Giovanni Raboni] Tutto quel che mi ha detto è stato oro. Perdìo, e bisognava arrivare alla mia età per trovare un aiuto, un consiglio vero, come quelli che lei mi ha dato. E poi la mia vanità era soddisfatta; colavo sugo da tutte le parti.[13]
  • [Carlo Cassola] Un'aria ferma di tedio stupefatto.[9]
  • [Italo Calvino] [...] una narrazione volontaristica e tutta ammicchi, tutta fregatine di mani.[9]

Da Avanti!, 19 febbraio 1960

Citato in Antonio Costa, Federico Fellini. La dolce vita, Lindau, 2010, pp. 188-193. ISBN 978-88-7180-847-5

  • Mi pare si possa dire – ma non è davvero un piccolo elogio – che il limite del film di Fellini [La dolce vita] sia quello stesso di tante grandi opere del cosiddetto decadentismo, quella che Adorno chiama la «muta contestazione» del reale e che, in genere, è considerata un pregio: cioè l'assenza del «donde» e del «dove», della storia che viene prima della prima parola e dopo l'ultima.
  • Ma, considerando poi il film [La dolce vita] a mente più fredda, mi è parso chiaro che i richiami alla Grazia e alla Santità vi siano tanto tenui e l'adesione al mondo della Dissipazione tanto ben equilibrata con la ripugnanza, che il film – al di là di tutte le intenzioni del suo autore – è ateo, nel senso volgare della parola più di qualsiasi film di Bergman, più d'ogni Posto delle fragole, proprio perché, oggi e probabilmente sempre, un ateismo di tipo razionalista è ben più vicino alla tensione verso i valori assoluti di quanto non sia l'ateismo inconfessato e misticheggiante.
  • La verità particolare dei ceti e dei gruppi rappresentati nel film [La dolce vita], per diventare universale aveva bisogno che lo spettatore qualunque si sentisse con quegli ambienti, in qualche modo, compromesso, corresponsabile, complice come di fatto è. Il film invece tende a fornirgli una buona coscienza, facendogli vedere la «morte» allegorica dei peccatori.
  • Film come La dolce vita, mostrandoci con quanta splendida forza un artista possa servire una causa sbagliata, possono indurci, artisti o no, a servir meglio la nostra.

Foglio di via

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  • E presto ciò che avremo | tanto amato dovremo abbandonare.
  • Mordere l'aria mordere i sassi | la nostra carne non è più d'uomini | mordere l'aria mordere i sassi | il nostro cuore non è più d'uomini. | Ma noi s'è letta negli occhi dei morti | e sulla terra faremo libertà | ma l'hanno stretta i pugni dei morti | la giustizia che si farà.

L'ospite ingrato

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Contr'uno
E vivi, vivinella tua faccia! | (Fino alle rive | del lago dove | neri stanno | fissi nove | cani d'ira | cani che sanno)

Citazioni

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  • Avessi studiato da giovane. | Non sapessi la verità. (p. 29)
  • A Carlo Bo non piacciono i miei versi. | Ai miei versi non piace Carlo Bo. (p. 30)
  • Ali, Alicata! Salinari, sali! (p. 35)
  • C'era a quei tempi, ricordi, | nel Comitato Centrale | Mario Alicata. | Falsa faccia di vera tragedia | odiava molto, | molto ammoniva o con aria severa | minacciava. | La Causa | è stata con lui generosa: | dice di rispettarne la memoria. (p. 41)
  • Tra prìncipi e princìpi incerti e vani | vano passa Bassani. (p. 51)
  • E di vista | ti perdi | come dopo il sorpasso | l'altro nel retrovisore. (p. 71)
  • Ormai se ti dico buongiorno ho paura dell'eco, | tu, disperato teatro, sontuosa rovina. || Eppure t'aveva lasciata, il mio verso, una spina. | Ma va' senza ritorno, perfetto e cieco. (Per Pasolini; p. 92)
  • Più d'ogni tua parola a me maestro, | per disperato orgoglio a falsi òmeni, | vecchio, fingevi d'arrenderti. Io | ero lontano da te, coi tuoi versi. (Per Noventa; p. 103)
  • Ma tu continua a consumarlo, il dorso della mano, | a consumarlo con le dita, | Zanzotto amico, | tu che non chiedi pietà, non è vero? | tu che vuoi verità a costo di non essere. (Su di una foto; p. 111)
  • Non imiterò che me stesso, Pasolini. | Più morta di un inno sacro | la sublime lingua borghese è la mia lingua. | Non conoscerò che me stesso. La mia prigione | vede più della tua libertà. (p. 116)
  • Meglio non esser noto | meglio com'eri ieri | nuovo devoto al vuoto | – Ottieri.[14]

Poesia e errore

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  • Era il tempo che si stava | insieme senza sapere. | Ora che conosciamo | non s'ha tempo di rimanere.
  • Appare | al passo delle nuvole | l'ombra che inquieta i trent'anni. | Oscura le mie cupole | le piazze disabitate. | Come fa sera presto. Hai dormito, | mi dico, hai dormito per tutta l'estate. | Presto verrà il primo freddo.
  • Scrivi che i veri uomini amici | parlano oltre i tuoi giorni che presto | saranno disfatti. E già li attendi. E questo | solo ancora è il tuo onore.
  • Non abbiamo saputo che cosa fare per noi | della verde vita e dei fiori amorosi. | Per questo la scure è alla radice dei cuori || e come stecchi che si divilincolano saremo arsi.
  • È vero che sono stanco: | questo scendere scale e salire | deride, finché uccide, gli stanchi. | Avere negli occhi pomeriggi interi | soli agri, irrazionali realtà! | Se nemmeno l'augurio mi dà gioia | allora sparire diviene necessario.
  • Una volta sperare era sperare | aria d'amore o d'ozio o di campagna | o d'infanzia risorta o un pianto o un mare | dove spunti una vela, una montagna | bruna per la distanza, una città | dove perdersi in pace. Piano, un passo | dopo l'altro, è mutata, spenti i simboli | ridicoli, quei miti blandi limbi. | E la speranza ora è convulso passo | di bestia, entro di noi, che viene e va.
  • Da tanto tempo abbiamo voluto piangere, | ma di pietà e di gioia, per le fronti avvenire. | Ora sappiamo che tutto nostro è il tempo, | ora noi stessi siamo i nostri figli, || dove in te, vento, penetriamo noi ultimi.
  • A Leningrado, vicino alla Nievà, | una sera di pioggia si baciavano una donna e un marinaio. | Mi tornano in mente quei due | quando condanno questa stanza, dove lavoro e invecchio.
  • Tre scrittori francesi domandavano | la via di Auschwitz | a un comunista ucraino morto a colpi | di leninismo nelle costole. Era | difficilissimo, vivere. Noi, | per fortuna, avevamo una villetta | a Cavi di Lavagna; ed i decenni | passano in fretta.

Questo muro

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  • Devi saperlo, è un vivace saluto l'addio. | Il ramo, che morì, lo sa.
  • Una volta mi chiedevi che cosa avevo | e non ti rispondevo. | Ma è divenuto molto difficile | parlare delle ultime cose, madre mia.
  • A Vittorio Sereni
    Come ci siamo allontanati. | Che cosa tetra e bella. | Una volta mi dicesti che ero un destino. | Ma siamo due destini. | Uno condanna l'altro. | Uno giustifica l'altro. | Ma chi sarà a condannare | o a giustificare | noi due?

Una volta per sempre

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  • Non è dolore, non è ira o noia | ma un rancore nel fondo della testa | che ora sembra noia ora dolore.
  • Scherno è lo schernire, | morte il morire, degno d'ira l'ira, | e il solo mutamento è questo verso | che va e viene, ripete, in sé diverso | ed eguale, monotono, cadenze | immotivate, grigie danze, assenze | secolari ma rode di pietà | la pietra della morta realtà.
  • La natura | per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia | non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
  • Era la guerra, la notte tremavano | nelle credenze i cristalli al ronzio | delle ondate da ovest ad oriente | o a sud, verso l'Italia. Chi ero io | e tu chi eri? Cominciò così.
  • Scopro dalla finestra lo spigolo d'una gronda, | in una casa invecchiata, ch'è di legno corroso | e piegato da strati di tegoli. Rondini vi sostano | qualche volta. Qua e là, sul tetto, sui giunti | e lungo i tubi, gore di catrame, calcine | di misere riparazioni. Ma vento e neve, | se stancano il piombo delle docce, la trave marcita | non la spezzano ancora. || Penso con qualche gioia | che un giorno, e non importa | se non ci sarò io, basterà che una rondine | si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti | irreparabilmente, quella volando via.[15]

Citazioni su Franco Fortini

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  • Era una voce vera, sferzante, anche violenta. L'accoglievo come una boccata d'ossigeno. Gli anni del suo furore rimangono memorabili. Contro gli avanguardismi da vertigine, contro la narrativa di tutto riposo. Era un uomo contro. Mi mancherà. (Giulio Einaudi)
  • Il più grande dei reazionari, Joseph de Maistre, era 'anticapitalista' ben prima, e con più fondato argomentare, di Franco Fortini. (Roberto Calasso)
  • La verità è che Fortini era un grande letterato, un letterato che, ogni tanto, come Giuseppe Parini, Alessandro Manzoni o Vincenzo Monti, scriveva delle poesie bellissime e insuperabili. Solo che questo letterato incallito, con tutti i vizi, le qualità, le vanità dei letterati, è stato visitato un giorno dalla politica così come Cristo si è fatto visitare dal demonio. (Cesare Garboli)
  • «Lo sai? – a battezzarmi così è stato | il poeta (allora inventore a contratto | Olivetti) Fortini – uomo d'umore e riscatto | sí acuto ed offeso... Neonato | seriale pianeta: Lettera 32 com'è detto | pure a chiare sillabe sue | sul metallo del cielo mio leso | scrostato in tanti anni di getto | con la mano al verdino che acceso | me battendo te stesso all'inverno | già diventavi anche se ore e ore | riscrivendo forse migliore || dal giorno che ossesso al paterno | tavolo e studio mi hai preso?...» (Gianni D'Elia)
  1. Dall'introduzione a L'ospite ingrato, De Donato editore.
  2. Da L'Indice dei Libri del Mese, n. 6, 1989.
  3. Da Gadda, in Breve secondo Novecento; poi in Saggi ed epigrammi, 2003.
  4. Da Poesie inedite, Einaudi, Torino, 1996; citato in Valerio Pocar, Gli animali non umani, Laterza, Roma-Bari, 1998, epigrafe.
  5. Citato in Armando Massarenti, «Siate cattivi». I vostri epigrammi per l'estate. Da inviare al Sole-24 Ore, Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2007; citato anche in Simonetta Fiori, Amici e nemici, la Repubblica, 29 novembre 1994.
  6. Da Due ritorni, in Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Il Saggiatore, 1969 (Einaudi, 1989); poi in Saggi ed epigrammi, 2003.
  7. Da Franz Kafka; le opinioni di Giorgio Manganelli e Franco Fortini, Letteratura.Rai.it.
  8. Da Il Rilke di Giaime Pintor, in Rainer Maria Rilke, Poesie, tradotte da Giaime Pintor, con due prose dai quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl, Einaudi, Torino, 1984, pp. 8-9. ISBN 8806002678
  9. a b c Citato in Alberto Bevilacqua, Vizio solitario e odiosa rissa: la poesia come malafede, Corriere della Sera, 4 giugno 2003, p. 35.
  10. Parole pronunciate nel 1990 in un'aula occupata della Facoltà di Lettere e Filosofia di Urbino. Dal documentario di Lorenzo Pallini, Franco Fortini – Memorie per dopo domani. Citato in Giorgio Caruso, Poeta, critico letterario e militante politico: in un documentario l'omaggio a Franco Fortini, repubblica.it, 18 dicembre 2020
  11. Da Composita solvantur.
  12. Da Manganelli, in Breve secondo Novecento; poi in Saggi ed epigrammi, 2003.
  13. Citato in Paolo Di Stefano, Raboni, il mondo privato del poeta: tutti gli amici e una Milano perduta, Corriere della Sera, 8 settembre 2009, p. 34.
  14. Da L'ospite ingrato: testi e note per versi ironici, De Donato, Bari 1966, p. 111.
  15. La gronda, citato in Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Piero Manni, Lecce, 1999, p. 7. ISBN 9788881760909

Bibliografia

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  • Franco Fortini, Foglio di via, in Poesie scelte, (1937-1973), Oscar Mondadori, 1974.
  • Franco Fortini, L'ospite ingrato, Marietti, 1985. ISBN 88-211-6578-7
  • Franco Fortini, Poesia e errore, in Poesie scelte, (1937-1973), Oscar Mondadori, 1974.
  • Franco Fortini, Poesie scelte, (1937-1973), Oscar Mondadori, 1974.
  • Franco Fortini, Questo muro, in Poesie scelte, (1937-1973), Oscar Mondadori, 1974.
  • Franco Fortini, Saggi ed epigrammi, a cura e con un saggio introduttivo di Luca Lenzini, Meridiani Mondadori, 2003.
  • Franco Fortini, Una volta e per sempre, in Poesie scelte, (1937-1973), Oscar Mondadori, 1974.

Filmografia

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