Ivan Capelli
telecronista sportivo ed ex pilota automobilistico italiano
Ivan Franco Capelli (1963 – vivente), telecronista sportivo ed ex pilota automobilistico italiano.
Citazioni di Ivan Capelli
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- [...] per quanto mi riguarda, Adrian Newey è un genialoide. Perchè solo lui può pensare a determinate soluzioni e le vetture che ha progettato lo stanno a dimostrare. [...] In più è maniacale: ad ogni parco chiuso è sempre lì a guardare le proprie monoposto per cercare di studiarne dettagli ed il comportamento in pista. È anche in queste cose che si può comprendere quanto sia davvero un grande.[1]
- Adrian [Newey] è il migliore. Cosa lo rende il migliore? La sua continuità. Lui è il migliore di tutti perchè è il più continuo. È la caratteristica che distingue i migliori, ovvero restare in alto per più tempo possibile e Newey lo sta facendo. Se pensiamo che con Williams ha vinto, è andato alla McLaren ed ha vinto, è passato alla Red Bull... Ed ha vinto! I risultati parlano per lui e stiamo parlando di più di una decade di vittorie.[1]
- Newey era votato all'aerodinamica e qualsiasi elemento della vettura, pilota compreso, doveva essere votato e perfino sacrificato ad essa. Faccio un esempio su tutti: per quanto riguarda i volanti, nei Gp lo stato dell'arte era rappresentato dalla McLaren, che ne usava una padella da 28 centimetri di diametro. Roba bella comoda da manovrare. Ebbene, noi con Newey, visto l'abitacolo angusto e al limite dell’abitabilità, eravamo costretti a usare un volante da 25 centimetri, che, senza servosterzo, doveva essere azionato in tutto e per tutto con la forza delle sole braccia ed era una vera tortura.[2]
- [Su Adrian Newey] [...] ricordo nel 1988, ai primi giri con la sua monoposto, capii d'essere di fronte a una filosofia costruttiva nuova e ben diversa dalle altre. Ebbi la sensazione da lì in poi di guidare vetture pensate da uno che aveva qualcosa in più degli altri. La sua grande fortuna, chiusa la parentesi con la Leyton House [...], fu l'ingaggio da parte della Williams, dove incontrò Patrick Head, che seppe razionalizzare e ricondurre sul piano della sostenibilità pratica gli orientamenti estremi dello stesso Newey.[2]
- Particolare che certo ricorderete, l'abitudine di Ferrari di indossare gli occhiali scuri per difendersi dalla luce. Una necessità. Un vezzo. Una furbizia. Tutti si sentivano scrutati, osservati, esaminati. Era difficile capire dove stesse guardando, ed era come fissasse indistintamente ognuno di noi.[3]
- A Ricciardo riconosco una grande determinazione, spiccate capacità di guida, controllo e gestione dell'auto e una giusta dose di spavalderia, che in Formula 1 non guasta mai e serve sempre. Infine, c'è il lato umano: ha un sorriso magnifico e pulito, è estremamente coinvolgente. Penso che sia proprio il suo sorriso la cosa più bella che questo sport ha in questo momento.[4]
- Max [Verstappen] ha alzato l'asticella da un punto di vista del pilotaggio e della preparazione fisica e mentale [...] c'è stato una volta Senna, durante i test, che ha alzato quest'asticella. Poi è arrivato Schumacher che ha portato questa preparazione per essere ulteriormente nel dettaglio all'interno della squadra. Max [...] è il prototipo del pilota futuro, che riesce a coinvolgere tutto nella sua preparazione e ha dato un'ulteriore step a questa preparazione mentale [...].[5]
automobilismodepoca.it, 31 gennaio 2014.
- [«Perché la Ferrari apre le porte ai piloti stranieri e le tiene chiuse agli italiani?»] Perché gli italiani sono tendenzialmente esterofili e non hanno una grande considerazione dei loro meriti, delle loro risorse. Io ho vissuto in prima persona questo modo di pensare e di agire, nel 1992, quando alla Ferrari il mio compagno era Jean Alesi, con il quale, ci tengo a dirlo, sono rimasto in ottimi rapporti. Jean non era un personaggio facile. Eppure la squadra preferiva confrontarsi con lui e non con chi parlava la stessa lingua. Se c'era qualcosa da decidere, una modifica da adottare, decideva lui.
- [«Tu come hai iniziato? Qual è stato il tuo primo sponsor?»] Mio padre. Nel 1978, quando avevo quattordici anni, ho rotto il salvadanaio e non avevo nemmeno i soldi per comperare il casco. [«E allora?»] Per acquistare il primo kart è intervenuto lui. E per andare avanti, e permettermi di arrivare dove sono arrivato, di soldi ne ha spesi parecchi e si è ipotecato due volte la casa, all'insaputa di mia madre. Chi pratica l'automobilismo a livello professionale si trova due o tre volte davanti a un bivio molto importante, direi decisivo. E in quei momenti, se davvero vuole andare avanti, deve giocarsi molto più di quello che ha.
- [«All'estero che fama hanno i driver italiani?»] Pochi una buona reputazione, per gli altri la considerazione è più modesta. Del resto, se la stessa Ferrari non crede nei piloti italiani come è possibile che i team-manager delle squadre straniere possano crederci?
- [«Com'è cambiata la F1 rispetto ai tuoi tempi?»] Ho fatto recentemente un confronto: oggi le F1, a parità di tracciati, impiegano 12 secondi al giro in meno rispetto a quelle che guidavo io vent'anni fa. Ma non c'è la percezione di questa maggior velocità perché oggi le macchine viaggiano sui binari e non danno spettacolo. Quando, quasi trent'anni fa, al GP del Belgio, circuito di Spa-Francorchamps, mi buttavo giù dalla discesa che porta alla esse dell'Eau Rouge e poi al Radillon, mi chiedevo starà dentro la macchina, ce la farò a venirne fuori? Oggi non è più così.
- [...] se alla Ferrari approdi nel momento sbagliato e sei italiano hai ottime probabilità di bruciarti la carriera. Il fatto è che a me, all'epoca, avevano messo davanti una scelta: o corri con la Scuderia Italia o con la Ferrari. Io avevo già un contratto con la Scuderia Italia. E mi dissero: "Ivan, vuoi restare lì o venire a Maranello?". Vorrei proprio vedere cos'avrebbe fatto un altro pilota di 29 anni, l'età che avevo io, quando si presentò quella possibilità. E invece in alcune gare Martini e Lehto, che avevano il motore Ferrari sulla Dallara-Scuderia Italia, a volte viaggiavano più forte di noi...
- [Sulle vetture di Formula 1] Le monoposto moderne si guidano con i bottoni e le differenze non sono più in decimi, ma in centesimi di secondo. Bisogna credere, essere convinti che la macchina farà quello che tu vuoi. Il pilota sa soltanto che in quella curva deve passare in quinta e lo fa perché ci crede, perché non può materialmente avere il controllo del mezzo che avevamo noi. E questo per venti gare all'anno, tutte molto serrate.
Intervista di Andrea Ettori, p300.it, 17 luglio 2018.
[Sulla Ferrari F92A]
- [...] questa macchina progettata da Migeot, rispetto a tutte le altre, aveva un disegno, un'idea, un qualcosa che andava oltre a qualsiasi altro progetto di quel periodo. Il problema è che dovevamo combattere contro le Williams, che adottavano le sospensioni attive che noi non avevamo e hanno fatto la differenza.
- [«Quale era il problema principale della macchina?»] L'intera efficienza aerodinamica non funzionava e di fatto la vettura risultava essere poco veloce. Il monoammortizzatore anteriore lavorava male, eravamo costretti ad adottare assetti molto rigidi e a "tenerla" molto ferma. Anche su circuiti piatti, come quello di Magny-Cours, che potevano darci qualche vantaggio, in realtà la macchina non funzionava.
- L'idea, ovviamente, era quella di trovare tanto carico aerodinamico grazie al doppio fondo. Il problema era che tutti i pesi erano rialzati, con serbatoio e radiatori che erano più in alto di 15 centimetri rispetto al fondo della macchina. Quando la differenza la fanno anche pochi millimetri, alzare così tanto tutto questo ha dato diversi problemi. [«Eppure in galleria del vento i risultati erano più che buoni»] Vero, i risultati in galleria del vento erano positivi. Solo che la macchina era ferma, mentre in pista cambiava radicalmente tutto.
- [«Le velocità di punta della F92A erano piuttosto basse, ci spieghi il motivo?»] La vettura aveva una resistenza all’avanzamento molto importante, perché non aveva sfoghi dietro. Questa entrata così particolare, a caccia, dei radiatori fungeva quasi da paracadute e quindi non permetteva all'aria di sfogarsi. Purtroppo, tutto quello che doveva dare in efficienza non è mai riuscita a darlo.
- Tra gli appassionati questa macchina, per la sua forma e storia, è diventata quasi iconica, e io nonostante i risultati sono stato orgoglioso di averla guidata [...]
Dall'intervista di Simone Sacco, Club Milano nº 57, luglio-agosto 2020; ripubblicato in clubmilano.net.
- [«Capelli, ma è vero che lei è nato a Milano in viale Monza? Quando si dice la predestinazione...»] Sì, sono nato proprio lì: al 117, per la precisione. E le prime esperienze connesse al mondo dei motori le ho vissute al campeggio dell'autodromo di Monza dove mio padre era solito parcheggiare la nostra roulotte delle vacanze. Andavamo lì e, quand'era giorno di prove, vedevo queste macchie di colore che sfrecciavano a pochi metri da noi. Io me ne stavo appeso alla rete di recinzione e un "qualcosa" inevitabilmente si è impossessato di me.
- [«Lei comunque comincia l'attività sportiva facendo il calciatore, giusto?»] Confermo. Il mio primo team fu il mitico Santo Domingo, una squadretta dell'oratorio, e poi feci due anni nelle giovanili della Pro Sesto. Senta questa: io giocavo ala sinistra e un giorno ci tocca affrontare i pari età dell'Inter. Quella volta fui completamente annullato dal loro terzino destro e lì capii che nel calcio non avevo un futuro. Il nome di quel difensore? Un certo Beppe Bergomi... [sorride, ndr].
- [Su Ken Tyrrell] Una figura imperiosa. Ho fatto appena due gare in quel team, ma i famosi silenzi di Ken sono stati importantissimi per me. Mi hanno fatto riflettere sui miei primi errori in pista.
- Quando Ferrari discorreva sembrava stesse leggendo un libro dato che in ogni sua parola non c'era la benché minima ombra d'esitazione. Lo vuole sentire un aneddoto? [«Prego»] A un certo punto Ferrari mi chiese quali fossero le mie ambizioni. "Beh, Commendatore, sicuramente correre in Formula Uno". "Allora, Capelli, segua il mio consiglio: resti in Europa. Non vada a perdersi nei circuiti americani che quelli i grandi manager non li considerano. Anzi, faccia così: mi richiami quando avrà preso la sua decisione". Passano sei mesi, io resto a correre nel Vecchio Continente e mi decido a fare quella famosa telefonata. La sua segretaria me lo passò subito e lui, alla sua età, si ricordava perfettamente di quelle poche battute scambiate nell'aprile '84. "Bravo Capelli, ha fatto bene! Ora la terrò d'occhio...".
- Jean [Alesi] era veloce in pista e scaltro nelle pubbliche relazioni.
Note
modifica- ↑ a b Dall'intervista Capelli: "Newey è il migliore. Ha genialità e continuità", blogf1.it, 4 dicembre 2012.
- ↑ a b Dall'intervista di Mario Donnini, Belle e impossibili, Autosprint nº 1-2, 15 gennaio 2013; citato in Memorie di Adrian, autosprint.corrieredellosport.it.
- ↑ Da Il Commendatore attendeva una telefonata, f1passion.it, 13 agosto 2013.
- ↑ Dall'intervista di Cristiano Marcacci, Ivan Capelli, La Tribuna di Treviso, 5 settembre 2014.
- ↑ Dalla presentazione dei palinsesti 2024 di Sky Motori; citato in Alessandro Prada, Capelli: "Newey è forse riuscito a spiazzare tutte le altre squadre", formulapassion.it, 28 febbraio 2024.
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