Georges Roux

scrittore francese

Georges Roux (1914 – 1999), scrittore francese.

Nerone modifica

Incipit modifica

Dopo Cesare, Augusto e Tiberio, ora regna Caligola.
Un disgraziato, nato male, fatto male, non equilibrato. L'onnipotenza finisce per alterare le qualità intellettuali del suo debole spirito. Appena dopo pochi mesi di potere assoluto si ridestano in lui istinti perversi. Ben presto è manifesto che il quarto Cesare, il padrone di Roma e del mondo, è un folle sadico.
Le sue atrocità scandalizzeranno i suoi stessi compatrioti, sebbene difficili a stupirsi in proposito. Gli antichi romani, appaiono inumani fino all'incredibile per gente come noi, formata dalla civiltà cristiana. Le loro grandi distrazioni sono le carneficine dei gladiatori, il loro piacere i massacri del circo. Le «belle domeniche» romane sono bagni di sangue.

Citazioni modifica

  • [Claudio] Tacito lo tratta di iners che può tradursi inetto. Tartaglia, ha sempre l'aria inebetita, un riso un po' sciocco. Seneca dice che «la sua voce somigliava a quella di un vitello marino». Gaudente, molto incline al sesso, gran mangiatore, bevitore, passa molto tempo a tavola, s'ingozza abbondantemente e si ubriaca largamente. (parte prima, cap. 2, p. 21)
  • [Valeria Messalina] [...] più che la sua bellezza ella ha lasciato nella storia il ricordo della sua immoralità. Questa è talmente celebre che il suo solo nome, se oso dirlo, è divenuto tutto un programma. È vero che la sua impudicizia è spaventosa. I medici di oggi assicurerebbero che essa è colpita dal male che chiamano «ninfomania» cioè a dire da una «esacerbazione degli istinti sessuali». (parte prima, cap. 2, p. 23)
  • Quando cade la notte, la sovrana [Valeria Messalina], mascherata, si reca nei sobborghi malfamati della Suburra. Ivi, nei lupanari più sordidi, si offre ai facchini. Se il suo augusto sposo [l'imperatore Claudio], nello stesso momento, avrà avuto il ghiribizzo di assistere ad una seduta di tortura, il palazzo imperiale dei Cesari sarà vuoto: l'imperatore è alla prigione, l'imperatrice al bordello. (parte prima, cap. 2, p. 23)
  • [...], Messalina si dimostra di una cupidigia che non la cede né la suo erotismo né alla sua cattiveria. Ottiene la condanna a morte di diversi grandi proprietari adducendo pretesti diversi, in realtà per il solo scopo d'impadronirsi delle loro proprietà. (parte prima, cap. 2, p. 24)
  • [Nerone] È di statura alquanto modesta. Il corpo, piuttosto tarchiato, è coperto da macchie rossastre che Svetonio chiama «infette», il che non è molto gentile per coloro i quali ne sono provvisti. Più che biondi, i capelli sono color fuoco. Luciano di Samosata scriverà che «ha la carnagione naturalmente rossa». Insomma, un autentico «rosso malpelo», se ci è consentito adoperare questo termine. (parte prima, cap. 7, p. 75)
  • Contrariamente a quanto si crede, Nerone non è affatto crudele. Certamente, all'occasione, come tutti i Romani del suo tempo, non mostra di risparmiare troppe vite umane; tuttavia non soltanto non è più feroce dei suoi contemporanei, ma anzi lo è sensibilmente di meno di loro. Se lo si raffronta ai suoi predecessori, in fatto di atrocità è molto al di sotto di Tiberio, di Caligola, addirittura di Claudio. (parte prima, cap. 7, p. 78)
  • [Pallante] Questo antico schiavo greco, è intelligente, capace, privo di scrupoli. Arricchitosi immensamente, il potere e il denaro l'hanno reso pieno di alterigia e di superbia. Certo dell'appoggio di Agrippina[1], della quale ha fatto il matrimonio e la fortuna, crede che tutto gli sia permesso, e, disgraziatamente, se ne fa vanto. «La sua insopportabile arroganza», scrive Tacito, «finisce per irritare Nerone». L'imperatore lo licenzia, tuttavia, in relazione ai servigi che gli ha resi, usa dei riguardi verso il ministro in disgrazia, Nel comunicargli la sua decisione, ha cura di aggiungere che «non gli chiederà di rendere i conti». (parte seconda, cap. 8, p. 92)
  • [Agrippina minore] Questa orribile donna ha sempre utilizzato l'atto sessuale come mezzo politico. Per assassinare Caligola, si è data a Lepido. Per garantire la propria autorità presso Claudio, ha preso per amante il suo ministro favorito, Pallante. Ora, per meglio tenere suo figlio [Nerone], pensa di diventarne l'amante. (parte seconda, cap. 9, p. 107)
  • È certo che Poppea è molto bella. Possiede una carnagione mirabile, una pelle di un candore splendente. Questa pelle la mantiene accuratamente. Si assicura che nel corso dei suoi spostamenti si faccia seguire da un gregge di quattrocento asine il cui latte deve alimentare i suoi bagni. Amando evidentemente gli ornamenti ed i gioielli, è una delle donne più eleganti di Roma. (parte seconda, cap. 11, p. 132)
  • [Lucio Anneo Seneca] Il personaggio, come si è visto, è piuttosto diverso dalla sua leggenda. Questo «filosofo», professore di morale, di virtù, di disinteresse, non pratica né la morale, né la virtù, né il disinteresse. Si è arricchito con prestiti di danaro «a tassi usurari». Le sue operazioni finanziarie in Britannia sono di una rapacità tale che sono state una delle cause della ribellione dell'isola. (parte seconda, cap. 12, p. 141)
  • [Gaio Ofonio Tigellino] A contatto con Nerone, ha capito uno dei principali elementi del suo carattere: la pusillanimità. Il capolavoro di Tigellino sarà lo sfruttamento sistematico di questa codardia, sfruttamento che gli consente di edificare una carriera fulminea e fruttuosa. (parte seconda, cap. 12, p. 145)
  • [Gaio Ofonio Tigellino] La sua tattica consiste nell'eccitare nel suo padrone [Nerone] la paura in lui congenita ed endemica. «Egli spia», dice Tacito, «i sospetti dell'imperatore». Non appena ne rileva delle tracce, vi piomba sopra, le sottolinea, le rafforza, le accresce. Di un sospetto fa un'accusa, di un'accusa una condanna. E giacché, secondo la legge romana, alla condanna si associa una confisca, una parte della quale spetta a lui, accresce nel medesimo tempo il proprio credito e la propria ricchezza.
    Fa regnare il terrore perché per lui il terrore è una industria. (parte seconda, cap. 12, p. 145)
  • [...]: i Cristiani non sono stati abbandonati vivi alle belve nelle arene, come si crede generalmente. L'immagine popolare di Nerone, troneggiante al Circo nel suo palco imperiale, compiaciuto al cospetto dei disgraziati sbranati da leoni ruggenti, questa iconografia comune è completamente erronea. Simili atrocità incominciarono soltanto assai più tardi, non prima del II secolo. (parte seconda, cap. 13, p. 161)
  • Forse molto sangue, molte disgrazie avrebbero potuto essere risparmiate all'umanità se, la sera del 18 luglio 64[2], un siriano imprudente, facendo cuocere la propria minestra, non avesse scatenato un sinistro le cui fiamme arroventeranno il mondo per secoli. (parte seconda, cap. 14, p. 177)
  • La Roma incendiata nel luglio 64 somiglia alle città tedesche bombardate nella primavera del 1945. L'ammasso di rovine è tale che il loro sgombero pone un problema ad un tempo essenziale e scoraggiante.
    Per risolverlo, riferisce Tacito, Nerone prende due decisioni. Da una parte, destina le paludi vicine ad Ostia allo scarico delle macerie. Dall'altra, promulga l'obbligo per le navi che risalgono il Tevere con un carico di vettovaglie, di ridiscendere il fiume «cariche di macerie». (parte seconda, cap. 15, p. 179)
  • Nerone, se fosse morto nel 65 o nel 66, avrebbe lasciato nella storia un nome prestigioso. Come Mussolini, se si fosse ritirato nel 1936 o nel 1938. Ci sono vite in cui gli ultimi anni sciupano i precedenti e, disgraziatamente, vi è la tendenza a giudicare un uomo sulla di lui fine. Bisogna saper invecchiare bene. (parte terza, cap. 19, p. 219)
  • Fine, scettico, gaudente, Petronio a quanto sembra, dà il giorno al sonno, la notte ai piaceri, a tutti i piaceri. (parte terza, cap. 19, p. 224)
  • [Petronio Arbitro] I suoi vizi non rappresentano che alcune facce di una individualità complessa. Oltre ad essere stato buon scrittore è stato grande magistrato, ed anzi fra i più notevoli. Proconsole in Bitinia, quindi Console a Roma, in queste alte funzioni, dice Tacito, «diede prova di energia e di capacità». (parte terza, cap. 19, p. 224)
  • Si sa che Nerone, il quale non credeva ad alcun dio ed in nessuna religione, per converso è profondamente superstizioso, molto attirato da ciò che, ai nostri giorni, chiameremmo «le scienze occulte». (parte terza, cap. 20, p. 234)
  • Poco tempo dopo [la morte di Poppea] Nerone si sposa per la terza volta.
    In nuove nozze egli sposa Statilia Messalina. È una giovane vedova di venticinque anni, appartenente all'alta aristocrazia.
    Deve essere una donna piuttosto schiva, giacché su di lei conosciamo ben poco, tranne che non dà figli all'imperatore. Comunque l'unione dura poco, giacché gli eventi si incaricano di porle fine abbastanza rapidamente[3].
    Ciò che sappiamo è che dopo la morte di suo marito, Statilia Messalina sopravviverà a lungo. Fin sotto i tempi di Nerva e finanche sotto Traiano, visse una rispettabilissima vecchia signora, la «vedova Nerone». (parte terza, cap. 20, p. 235)
  • Giovanissimo, è amante di Tiberio, poi di Caligola, quindi di Nerone. «Il favore di questi tre principi», scrive Svetonio. «lo innalza all'apice degli onori e finanche alle prime dignità del sacerdozio». Per giungere a questi alti e religiosi impieghi, Vitellio, ha fatto uso di mezzi piuttosto sorprendenti. (parte quarta, cap. 27, p. 307)
  • Vitellio ha il difetto certo di trovarsi afflitto da una golosità mostruosa. È lui che un giorno offre quel festino di cui ancora si parla, e per il quale flotte intere hanno corso tutti i mari dell'impero allo scopo di riportarne i frutti più esotici, i pesci più rari la selvaggina più ricercata. Questo grande mangiatore è evidentemente diventato di una spaventosa corpulenza. A fianco a lui Nerone non era che una silfide. (parte quarta, cap. 27, p. 307)

Note modifica

  1. Giulia Agrippina Augusta, meglio conosciuta come Agrippina minore (15 – 59), nobildonna e imperatrice romana.
  2. Inizio del grande incendio di Roma.
  3. Nel 68, due anni dopo il matrimonio, Nerone muore.

Bibliografia modifica

  • Georges Roux, Nerone (Néron), traduzione di Alessandro Lessona e Riccardo M. degli Uberti, Edizioni Lessona, Roma, 1962.

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