Buddhismo Zen

scuola buddhista giapponese divisa in sottoscuole appartenente alla tradizione Mahāyāna

Citazioni sul Buddhismo Zen, o più semplicemente Zen (禅).

L'Enso, uno dei simboli sacri del Buddhismo Zen

Citazioni

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  • C'è sempre qualcosa che ti ricopre di merda. La merda c'è! […] E nelle diverse culture hanno trovato molte diverse risposte a questo, per esempio [...] in Giappone, i buddhisti zen dicono: "Concentrati sul suono della merda che cade." (Viaggio in India)
  • Cerimonie e rituali sono pratiche eseguite dal corpo, per cui è impossibile praticarle quando si sta facendo qualcos'altro. Recitazioni e invocazioni sono pratiche eseguite vocalmente, per cui questi esercizi devono essere messi da parte quando si sta parlando di qualcos'altro. La contemplazione dei principi è una pratica eseguita dall'intelletto, per cui non si può fare quando si sta pensando a qualcos'altro. Ma l'operare Zen non viene eseguito dal corpo, dalla parola o dall'intelletto; allora che cosa può essere definito importante? (Musō Soseki)
  • È un errore pensare che starsene seduto in calma contemplazione sia cosa essenziale per la liberazione. La verità dello Zen si dischiude da sé dall'interno e non ha nulla a che fare con la pratica del dhyāna. Infatti si legge nel Vajracchedikā che coloro che cercano di vedere il Tathāgata riferendosi a lui come uomo in un qualche atteggiamento, quando sta seduto o quando è disteso, non capiscono ciò che fa di lui un Tathāgata, un Tathāgata essendo così designato perché non viene da nessun posto e non va in nessun posto, per questo è un Tathāgata. Non appare da un «donde» e non scompare passando altrove e questo è lo Zen. Quindi nello Zen non vi è nulla da raggiungere, nulla da capire; che cosa è, dunque, quello starsene a gambe incrociate a praticare il dhyāna? Alcuni possono pensare che per rischiarare le tenebre dell'ignoranza sia necessario un uso speciale dell'intelletto; ma la verità dello Zen è un assoluto, nel quale il dualismo non esiste e che non ammette una qualche condizionalità. (Huìnéng)
  • Il beneficio principale dello Zen, nel contesto dei normali alti e bassi della vita, non sta nell'impedire gli svantaggi e nel favorire i vantaggi ma nell'indirizzare le persone verso la realtà fondamentale che non sottostà all'influenza degli alti e bassi. (Musō Soseki)
  • L'intera tecnica Zen è basata sulla quarta tecnica di Shiva. (Osho Rajneesh)
  • Le opere di Daisetz Teitaro Suzuki sullo Zen sono da annoverare tra i più alti contributi del secolo allo studio del Buddhismo attuale, così come lo stesso Zen rappresenta il frutto migliore germogliato dall'albero le cui radici sono raccolte nel Canone Pali. Non possiamo essere abbastanza grati all'autore sia perché egli ha reso lo Zen più accessibile alla cultura occidentale sia per il modo con cui egli ha raggiunto lo scopo. (Carl Gustav Jung)
  • Lo Zen, che ebbe origine in seno al Buddhismo fu fortemente influenzato dal Taoismo, si vanta di essere «senza parole, senza spiegazioni, senza istruzioni, senza conoscenza». Esso si concentra quasi interamente sull'esperienza di illuminazione e si interessa solo marginalmente di interpretare questa esperienza. Un pensiero Zen molto noto dice: «Nell'istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge». (Fritjof Capra)
  • Lo Zen, come ogni mistica, può esser compreso solo da chi è egli stesso un mistico e perciò non cade nella tentazione di carpire per altre vie ciò che l'esperienza mistica gli nega. (Eugen Herrigel)
  • Nei monasteri Zen i monaci siedono per anni, tutto il giorno. Penserai che stiano meditando. No! Stanno semplicemente seduti, in silenzio. (Osho Rajneesh)
  • Per lo Zen, gli atti più comuni possono essere compiuti con spirito religioso e debbono elevare la nostra vita. (Jorge Luis Borges)
  • Prima che una persona studi lo Zen, i monti sono monti e le acque sono acque; dopo una prima occhiata alla verità dello Zen, i monti non sono più monti e le acque non sono più acque. Dopo l'illuminazione, i monti tornano a essere monti e le acque a essere acque. (Detto Zen[1])
  • Quando nello Zen viene chiesto "Che cos'è il Buddha?", si dovrebbe alzare la mano chiusa a pugno come unica risposta. Quando viene chiesto: "Qual è il significato supremo della Legge Buddhista?", prima che scompaia l'eco dell'ultima parola si dovrebbe rispondere: "Un ramo di pruno in fiore", oppure: "Il cipresso nel Giardino". (Takuan Sōhō)
  • Un quarto di secolo dopo il martirio del Giappone, l'Occidente democratico putrefatto dal contagio di Marx, di Freud, della rinata Sinagoga e della Chiesa di Giuda, viene preso da un'infatuazione ignorante e sordida meno per il Buddhismo di "esportazione" che per uno dei suoi aspetti più sublimi, cioè lo Zen. È impossibile dire quali aberrazioni siano derivate da questa parola. [...] È stato giustamente detto che il Buddhismo era destinato a morire in India, se fosse stato abbandonato alle proprie risorse e non fosse penetrato in Cina, dove rifiorì in modo tanto sorprendente quanto ammirevole. Il Buddhismo mâhâyana a contatto col pensiero cinese si divise: da una parte, secondo le dottrine dello Zen (ed anche del Kegon e del Tendai), che fecero appello ai lati pratici e intellettuali della forma mentis cinese, e dall'altra, secondo i nuovi principi del Jôdo, o dottrina della "Pura Terra", che favorirono i bisogni spirituali della mentalità cinese. Queste dottrine e principi, fin dall'XI secolo, trovarono la sostanza ad essi più adatta nell'animo giapponese. Questa forma di Buddhismo è incontestabilmente uno dei più alti metodi dello spirito umano ed una delle più perfette discipline che l'uomo abbia creato per uscire da sé stesso, dimenticando il labirinto delle sue contraddizioni. È stato scritto, non a torto, che tutti gli altri "sentieri" – religiosi o filosofici – girarono intorno alla "montagna", ma lo Zen, simile ad una strada romana, ride di vani ostacoli e va in linea retta dai piedi alla cima della montagna. (Pierre Pascal)
  • Non pensare a nulla è zen. Una volta riconosciuto questo, camminare, stare in piedi, sedere o coricarsi, qualunque cosa fai è zen.
  • Usare la mente per cercare la realtà è illusione. Non usare la mente per cercare la realtà è consapevolezza. Liberarsi dalle parole è liberazione. Conservarsi incontaminato dalla polvere della sensazione è custodire il Dharma. [...] Non creare illusioni è illuminazione. Non lasciarsi catturare dall'ignoranza è saggezza. L'assenza di afflizione è nirvana. E l'assenza di fenomeni mentali è l'altra riva. Questa riva esiste quando sei illuso. Non esiste quando ti risvegli. I mortali stanno su questa riva. Ma coloro che scoprono il più grande di tutti i veicoli non sono né su questa né sull'altra riva. [...] Coloro che vedono l'altra riva come differente da questa non comprendono lo zen.
  • Vedere la forma senza essere contaminato dalla forma, o udire il suono senza essere contaminato dal suono, è liberazione. Gli occhi che non sono attaccati alla forma sono la porta dello zen.
  • Col discorrere, lo scopo non lo si raggiunge, eppure noi tendiamo incessantemente a questo irraggiungibile. Ciò vuol forse dire che si è condannati a vivere e a morire con questo continuo tormento? Se così è, questa è la situazione più misera in cui ci si possa trovare sulla terra. I buddhisti si sono applicati seriamente a risolvere il problema trovando alla fine che possediamo in noi stessi quel che occorre. È una facoltà di intuizione posseduta dallo spirito, atta ad afferrare la verità che ci mostrerà tutti i segreti della vita costituenti il contenuto dell'illuminazione buddhica. Non si tratta, qui, di un processo intellettuale normale bensì di un potere che in un istante e in modo diretto coglie qualcosa di assolutamente fondamentale. Come ho detto, il nome dato dai buddhisti a tale facoltà è prajñā, e ciò che il buddhismo Zen in relazione alla dottrina dell'illuminazione si propone, è destare prajñā mediante la pratica della meditazione.
  • Come la natura ha orrore per il vuoto, così lo Zen aborre tutto ciò che può inserirsi fra noi e i dati immediati dell'esperienza. [...] Se volete scrutare la vita, fatelo mentre fluisce e lasciandola fluire. In nessun caso se ne deve arrestare il flusso o immischiarsi in esso, perché nel punto in cui vi immergerete le mani la sua trasparenza sarà alterata, esso cesserà di riflettere il volto che aveste fin dalle origini e che continuerete a portare sino alla fine dei tempi.
  • Comunque sia, lo Zen è sempre vicino alla nostra quotidiana esperienza ed è questo il significato della frase di Nansen (Nan-ch'uan) e di Baso (Ma-tsu): «La vostra mente (il vostro pensiero) di ogni giorno è il Tao». «Quando abbiamo fame mangiamo e quando siamo stanchi dormiamo». In questa immediatezza di azione, senza alcun intervento mediatore, quale il riconoscimento di oggetti, la considerazione del tempo, il giudizio sui valori, ecc., l'Inconscio si afferma negandosi.
  • I cosiddetti maestri dello Zen non sanno presentare le loro idee alla luce del pensiero moderno. I loro anni più produttivi dal punto di vista intellettuale essi li passano nelle Sale della Meditazione, e quando le lasciano per avere felicemente portato a termine la loro formazione interiore, essi ci si presentano come degli adepti profondamente versati nell'arte dei cosiddetti ko-an (temi o problemi proposti ai discepoli), e non mostrano nessun particolare interesse per la psicologia e la filosofia dello Zen. Così lo Zen resta chiuso e come suggellato nei «Detti» dei maestri e nello studio tecnico dei ko-an, e quasi incapace di uscire dalla clausura dei conventi.
  • La via della rintegrazione è sparsa di lagrime e di sangue. Ma non vi è altro modo di raggiungere le altezze conquistate dai grandi maestri; non si perviene alla verità dello Zen che impegnando tutte le energie della personalità. Il passaggio è pieno di cardi e di rovi e la parete da scalare è quanto mai infida. Non è un giuoco ma la cosa più seria di tutta una vita, un compito che uno spirito vano non deve mai osare di affrontare. Bisogna disporre di una incudine interna sulla quale il proprio carattere andrà sempre di nuovo martellato. Alla domanda: «Che cosa è lo Zen?» un maestro dette questa risposta: «Far bollire olio sulle fiamme». Dobbiamo passare attraverso questa esperienza del fuoco prima che lo Zen ci sorrida e ci dica: «Ecco la vostra casa».
  • Lo Zen evita l'errore dell'unilateralità insita sia nel realismo che nell'idealismo.
  • Nella sua essenza, lo Zen è l'arte di vedere nella propria natura.
  • Se alzo così la mano, c'è lo Zen. Ma se affermo di aver alzato la mano, non c'è più lo Zen.
  • Sul piano psicologico si può anche dire che lo Zen libera energie in noi accumulate, di cui nelle circostanze normali non siamo consci.
  • In effetti noi non siamo affatto la scuola Soto. Siamo buddhisti e basta. Non siamo nemmeno buddhisti zen. Se comprendiamo ciò, siamo veramente buddhisti.
  • Lo zen non è una forma di eccitazione o agitazione, bensì concentrazione sulla nostra solita "routine" di tutti i giorni.
  • Per gli studenti zen l'erbaccia è un tesoro.
  • Quando voi diventate voi, lo Zen diventa Zen. Quando voi siete voi, vedete le cose così come sono e diventate tutt'uno con ciò che vi circonda.
  1. Citato in Piccolo breviario zen, a cura di David Schiller, traduzione di Francesco Saba Sardi, Sonzogno. ISBN 8845407187, p. 14.

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