Beppe Fenoglio

scrittore italiano (1922-1963)

Giuseppe Fenoglio detto Beppe (1922 – 1963), scrittore italiano.

Beppe Fenoglio

Citazioni di Beppe Fenoglio modifica

  • Indugiarono un po' a considerare le orme che i partiti avevano lasciato e poi mossero gli occhi intorno e in alto. C'era da restare accecati a voler fissare là dove il cielo d'un azzurro di maggio si saldava alla cresta delle colline, di tutto nude fuorché di neve cristallizzata. Una irresistibile attrazione veniva, col barbaglio, da quella linea: sembrava essere la frontiera del mondo, da lassù potersi fare un tuffo senza fine.[1]
  • – Non ti senti bene? diceva Leo con la sua querula pazienza. – Ti sto chiedendo se giocavi a tennis nella vita.
    – No no. – rispose a precipizio. – Troppo caro. Sentivo che quello era il mio gioco, ma troppo caro. Il solo prezzo della racchetta mi faceva rimordere la coscienza. Così mi diedi alla pallacanestro.
    – Magnifico sport – disse Leo. – Tutto anglosassone. Milton, non ti è mai passato per la testa, allora, che chi praticava la pallacanestro non poteva esser fascista?
    – Già. Ora che mi ci fai pensare.
    – E tu, eri un buon cestista?.
    – Ero... discreto.[2]
  • Ricordatevi, o giovani, che le donne sono bestie. Non le potete acchiappare perché non hanno la coda, ma se le picchiate in testa sentono.[3]
  • Tu non devi sapere niente, solo che io ti amo. Io invece debbo sapere, solo se io ho la tua anima. Ti sto pensando, anche ora, anche in queste condizioni sto pensando a te. Lo sai che se cesso di pensarti, tu muori, istantaneamente? Ma non temere, io non cesserò mai di pensarti.[4]

I ventitré giorni della città di Alba modifica

Incipit modifica

Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell'anno 1944.
Ai primi d'ottobre, il presidio repubblicano, sentendosi mancare il fiato per la stretta che gli davano i partigiani dalle colline (non dormivano da settimane, tutte le notti quelli scendevano a far bordello con le armi, erano esauriti gli stessi borghesi che pure non lasciavano più il letto), il presidio fece dire dai preti ai partigiani che sgomberava, solo che i partigiani gli garantissero l'incolumità dell'esodo. I partigiani garantirono e la mattina del 10 ottobre il presidio sgomberò.

Citazioni modifica

  • Scesero la collina, molti piangendo e molti bestemmiando, scuotendo la testa guardavano la città che laggiù tremava come una creatura. (I ventitré giorni della città di Alba)
  • Essere una ragazza è la cosa più cretina di questo mondo.
  • Se si sfrega a lungo e fortemente le dita di una mano sul dorso dell'altra e poi si annusa la pelle, l'odore che si sente, quello è l'odore della morte. Carlo lo aveva imparato fin da piccolo, forse dai discorsi di sua madre con le altre donne del cortile, o più probabilmente in quelle adunate di ragazzini nelle notti estive, nel tempo che sta tra l'ultimo gioco e il primo lavoro.
  • Sempre sulle lapidi, a me basterà il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano.
  • Sentì il rumore della fine del mondo e tutti i capelli gli si rizzarono in testa. Qualcosa al suo fianco si torse e andò giù morbidamente. Lui era in piedi, e la sua schiena era certamente intatta, l'orina gli irrorava le cosce, calda tanto da farlo quasi uscir di sentimento. Ma non svenne e sospirò: – Avanti!

La paga del sabato modifica

Incipit modifica

Sulla tavola della cucina c’era una bottiglietta di linimento che suo padre si dava ogni sera tornando su dalla bottega, un piatto sporco d’olio, la scodella del sale... Ettore passò a guardare sua madre. Stava a cucinare al gas, lui le guardò i fianchi sformati, i piedi piatti, quando si chinava la sottana le si sollevava dietro mostrando i grossi elastici subito sopra il ginocchio.

Citazioni modifica

  • Io non mi trovo in questa vita, e tu [la madre] lo capisci ma non ci stai. Io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra. Ricordatene sempre che io ho fatto la guerra, e la guerra mi ha cambiato, mi ha rotto l’abitudine a questa vita qui. Io lo capivo fin d’allora che non mi sarei poi ritrovato in questa vita qui. (cap. I)
  • Mi facevano portare il calcestruzzo dalla betoniera a dove faceva di bisogno, così tutto il giorno, tutto il giorno avanti e indietro col carrello. Io da partigiano comandavo venti uomini, e quello non era un lavoro da me. Il padre l’ha capito quando gliel’ho spiegato e non mi ha detto niente perché lui è un uomo e... (cap. I)
  • Capisci, padre, io voglio fare la figura dell’uomo, tu non mi hai messo al mondo perché io facessi l’uomo? Loro mi vedono entrare da solo, vedono che non ho avuto paura e pensano che in fondo io non devo averla fatta tanto sporca. Capisci? Sei d’accordo? Allora vai ad aspettarmi al caffè di Giors. (cap. VII)

Explicit modifica

– Dimmi tutto quello che ha ancora detto, ma stai attento che se mi dici una parola di più o una di meno Dio ti fulmina lì dove sei. – Ha ancora detto «Sei un cretino, Palmo, mi tocca morire per un cretino come te». E Palmo fuggì lontano da lei, per non rimanere a vederle fare tutto quello che doveva fare adesso che il suo uomo era completamente morto.

Il partigiano Johnny modifica

Incipit modifica

Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s'era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana, tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell'8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato; nella più felice delle ipotesi stava viaggiando per la Germania in uno di quei medesimi vagoni piombati, partito da una qualsiasi stazione dell'Italia centrale.

Citazioni modifica

  • Aleggiava da sempre intorno a Johnny una vaga, gratuita, ma pleased and pleasing reputazione d’impraticità, di testa fra le nubi, di letteratura in vita... (p. 1)
  • Si sentì investito – nor death itself would have been divestiture – in nome dell'autentico popolo d'Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell'uso legittimo che ne avrebbe fatto". (da Il partigiano Johnny, Torino 1968, p. 40; citato in Ginsborg 1989, p. 14)
  • Tu sei comunista, Tito? - Io no, - sbottò lui. - Io sono niente e sono tutto. Io sono soltanto contro i fascisti. Sono nella Stella Rossa perché la formazione che ho incocciata era rossa, il merito è loro d’averla organizzata e d’avermela presentata a me che tanto la cercavo, come finora non ho cercato niente altrettanto intensamente. Ma a cose finite, se sarò vivo, vengano a dirmi che sono comunista! (cap. V, p. 62)
  • Ora camminavano verso la suprema specola, sul ciglione assolutamente nudo ed un poco riverberante. E Johnny seguì con l’occhio tutta la giogaia dell’immensa collina, gli parve l’accosciata posante moglie di Polifemo... L’occhio si perdeva abissalmente ne lo sbalzante digradare, ai fondovalle, alle pinete ed alle macchie intorno ai raggelati corsi d’acqua; anche a chilometri di distanza eventuali fascisti dovevano apparire come nudi. (cap. V, p. 66)
  • Il cuore di Johnny s’apriva e scioglieva, girò tutto apposta per farsi partecipe e sciente d’ogni uomo. Erano gli uomini che avevano combattuto con lui, che stavano dalla sua parte ché all’opposta. E lui era uno di loro, gli si era completamente liquefatto dentro il senso umiliante dello stacco di classe, è come loro, bello come loro se erano belli, brutto come loro, se brutti. Avevano combattuto con lui, erano nati e vissuti, ognuno con la sua origine, giochi, lavori, vizi, solitudine e sviamenti, per trovarsi insieme a quella battaglia. (cap. VII, p. 91)
  • Poi nella sua spina dorsale si spiralò, lunga e lenta, l’onda della paura della battaglia ripensata. Anche agli altri doveva succedere lo stesso, perché tutti erano un po’ chini, e assorti, come a seguire quella stessa onda nella loro spina dorsale. Una battaglia è una cosa terribile, dopo ti fa dire, come a certe puerpere primipare: mai più, no mai più. Un’esperienza terribile, bastante, da non potersi ripetere, e ti dà insieme l’umiliante persuasione di aver già fatto troppo, tutta la tua parte con una battaglia. (cap. VII, p. 92)
  • Verso mezzanotte, le ultime due squadre erano pronte per la partenza. - Abbiamo probabilità, Biondo? - domandò un uomo. - Fattore campo, disse il Biondo semplicemente, ma con una serietà sinistra. Allora Johnny pensò che fra un paio d’ore, su questa particolare terra, sotto quella universale luna, sarebbe stato, novanta su cento, morto o prigioniero, e pensò «how sorry he ought to be». {cap. X, p. 123)
  • Quanto all’etichetta politica, i capi badogliani erano vagamente liberali e decisamente conservatori, ma la loro professione politica bisogna riconoscere, era nulla, sfiorava pericolosamente il limbo agnostico, in taluni di essi si risolveva nel puro e semplice esprit de bataille. L’antifascismo però, più che mai considerato, oltre tutto, come una armata, potente rivendicazione del gusto e della misura contro il tragico carnevale fascista, era integrale, assoluto, indubitabile. (cap. XII, p. 146)
  • Pierre sospirò: - Io e quelli dovremmo essere fratelli per vocazione. Eppure io non do un soldo per loro. Essi hanno calcolato tutto e noi niente. Essi cominciano dalla città e noi abbiamo cominciato dalle colline. Se perderemo la città [Alba] noi torneremo sulle colline senza batter ciglio, nella vena del nostro destino, ma essi non lasceranno la città. Svestiranno precipitosamente la divisa, pregheranno che chi li ha visti non li tradisca, malediranno la loro ingenuità, il loro sentimentalismo, il loro patriottismo, malediranno noi che li abbiamo costretti a rimetter la divisa e che non siamo veri soldati. Credimi Johnny, io non mi sento di scambiare con loro una sola parola. (cap. XIX, p. 243)
  • Johnny sedeva e fumava al limite della pioggia. Fare il partigiano era tutto qui: sedere, per lo più su terra o pietra, fumare (ad averne), poi vedere uno o più fascisti, alzarsi senza spazzolarsi il dietro, e muovere a uccidere o essere uccisi, a infliggere o ricevere una tomba mezzostimata, mezzoamata. (cap. XX, p. 261)
  • Tutta la gente stava cambiando, gradualmente, dappertutto. La disfatta partigiana in città aveva influito anche su loro, sulla loro speranza di una fine della guerra ragionevolmente vicina. Per mesi e mesi avevano dato ed aiutato e rischiato, unicamente in cambio di assicurazioni di un progresso verso la vittoria, per i loro raccolti e i loro greggi e il loro tranquillo andare a fiere e mercati, questa brutta faccenda di tedeschi e fascisti seppellita una volta per tutte. Ora dopo la secca lezione della città, dovevano continuare a dare, aiutare e rischiare testa e tetto, nella brumosa lontananza della vittoria e della liberazione. Per mesi avevano dato e aiutato sorridendo, ridendo e facendo un mondo di fiduciose domande, ora dovevano cominciare a dare in silenzio, poi quasi sullenly, infine in muta e poi non più muta protesta. (cap. XXII, p. 296)
  • [I fascisti] Mi hanno portato via tutti i polli e conigli, il vitello e il porcellino. E col fucile mi hanno ucciso il cane che di loro non voleva saperne. Mi dissero che portavano via tutto solo per non lasciarne ai tedeschi che dovevano, debbono passare dopo di loro. Così son qui fuori ad aspettare i tedeschi. E voi per piacere uscite subito dalla mia aia e lontanatevi. (cap. XXVI, p. 348)
  • Così entrando in un altro grande bosco, fecero alt nel più protetto e central suo, accadesse quel che volesse. Si sedettero sulla terra rappresa, appoggiandosi a tronchi crepitanti, senza fiato per il freddo condensantesi, sentendo appieno su e dentro di sé l’integrità dell’umana loro miseria fino ad allora mascherata e narcotizzata dall’eccitazione per la vita. Le teste penzolavano, ma gli occhi non si chiudevano, per tener le mani calde, avevano rilasciato le armi a terra, vi aderivano come metallici pesci in secco. La fame li torturava con dita cinesi. Domani, domani al più tardi, per mangiare avrebbero dovuto sfondare porte sprangate, e puntar le armi contro donne solitarie e mortalmente atterrite. Non era per negar loro cibo, ma non volevano che gli entrassero nemmeno per un attimo sotto il tetto, vi lasciassero il loro odore puro e semplice. Domani. (cap. XXV, p. 335)
  • E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull'ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l'importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l'afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I'll go on to the end. I'll never give up. (cao. XXVIII, p. 373)
  • - Non sei morto, Johnny? - Ettore e Pierre sono morti. Scattò la testa come in una sorta di civetteria. - Sono morti - Loro sono morti. - Pazienza, - disse lei. - Sarai certo distrutto dal gran correre e camminare. Entra, sali nella mia stessa camera e coricati subito nel mio letto. Rullando coi piedi sul piancito affogato dalle patate Johnny arrivò alla scala e salendola sentì un gorgoglio della cagna, subito zittita ed ammansita. Come entrò, qualcuno tenne il respiro, un altro sfregò un fiammifero ed a quella fiamma Johnny vide Pierre ed Ettore seduti sul letto, ridenti in silenzio di lui, con la cagna stesa sulle loro gambe, felice. (cap. XXVIII, p. 378)
  • Riuscì sull’aja, si diresse al forno abbandonato, cacciò una mano nella bocca e tastò le pietre fredde e polverose, finché le sue dita toccarono e gripparono qualcosa di metallico. Era la pistola di Ettore; ecco perché non l’avevano fucilato sul posto. Ma l’avrebbero fatto stanotte o una delle prossime? Ettore non poteva dimostrare che non era partigiano. E non l’avrebbe nemmeno tentato, nemmeno voluto: era orgoglioso e inflessibile, così pronto a pagare il grande prezzo, ma nella sua dimessa, sempre minimizzante maniera. (cap. XXX, p. 395)
  • E li amò come bambini, accettò quel loro esser tanto giovani e così fuori della guerra e sperò che essi dimenticassero poi rapidamente e totalmente quella guerra in cui avevano marginalmente scalpicciato coi loro piedi innocenti, augurò loro bene e fortuna in quel mondo di dopo che egli aveva tanto poche probabilità di dividere con loro. (cap. XXXII, p. 413)
  • Johnny guardò circolarmente i bambini in gioco e disse: - Qualunque cosa accada, badate a loro. Capito? Pensate prima a loro. E noi lasciateci al nostro destino. Pensate soltanto a loro. Non sentirete rimorso col tempo, sarete tranquilli. (cap. XXXII, p. 418)
  • Due soldati mi scortarono fino al posto di blocco: uno, dopo avermi insultata a più non posso, passò avanti ad accelerare le bestie, e l’altro rimasto alla predella trovò il tempo di bisbigliarmi: «Scolpitevi in mente la mia faccia, signora, e salvatemi dai partigiani e spendete per me una buona parola, e datemi rifugio. Non importa che i partigiani mi pestino da sfigurarmi, se capito dalle vostre parti, purché non mi tolgano la vita. Ne ho abbastanza, specie ora che il colonnello se ne va, e a giorni diserterò». Io gli accennai appena di sì con la testa e subito dopo passai il posto di blocco, con tutti loro che mi insultavano dietro, compreso quello che mi si era appena raccomandato. (cap. XXXIII, p. 428)
  • - Io sono ignorante, d’accordo, - cominciò il mugnaio, - e perché abbiamo un po’ di tempo cercherò di spiegarti perché e quanto sono ignorante. Io nacqui nell’ignoranza e ci restai allevato fino a bambino. Ma da ragazzo non ci volli rimanere, come ci restano invece tutti quelli nati e vissuti su queste alte colline, ma ci lottai contro, mi rivoltai e ci lottai contro e ancora ci lotto. Mi basti dirti che pur occupato in questo mestieraccio e vivendo in questi posti selvaggi, io non ho mai mancato di leggermi tutti i giorni il giornale, naturalmente fin quando la corriera ha funzionato e il servìzio postale. Ogni volta rileggevo tre volte lo stesso foglio, per incavare idee sugli uomini e sui fatti e sul mondo -. (cap. XXXIV, p. 439)
  • Lassù si schioccò indietro il berretto e: - Che ve n’è sembrato dell’inverno, ragazzi? - disse. - Non è stata una grande, tremenda cosa? Lo è stata, ve lo dico io, ed è la cosa della quale ci vanteremo maggiormente. Non è così? Vi vedo legnosi e intirizziti. Animo, dunque! L’inverno venturo saremo in pace, forse in una bella camera, calda a ventidue gradi, forse in vestaglia, forse in pantofole e forse, pensateci! sposati. Pensate che tragedia, che comica! - e tutti gli uomini risero altamente e strainedly. - Scommetto la testa, proseguì Nord, - che ci assalirà allora una barbara nostalgia di questo terribile inverno e piangeremo, sì piangeremo sulla sua memoria. Quindi, un evviva a questo inverno! (cap. XXXVI, p. 449)

Explicit modifica

Pierre bestemmiò per la prima ed ultima volta in vita sua. Si alzò intero e diede il segno della ritirata. Altri camion apparivano in serie dalla curva, ancora qualche colpo sperso di mortaio, i partigiani evacuavano la montagnola lenti e come intontiti, sordi agli urli di Pierre. Dalle case non sparavano più, tanto erano contenti e soddisfatti della liberazione. Johnny si alzò col fucile di Tarzan ed il semiautomatico... Due mesi dopo la guerra era finita.

Il libro di Johnny modifica

Incipit modifica

Dall'alto della torre medievale la sirena ululò nella notte di giugno. Subito la madre lo chiamò con la sua voce imperterrita: – Johnny? l'unpa –. Johnny rotolò da un ciglio all'altro del letto, sospirando vestì una parte dei suoi leggeri indumenti estivi. Poi passò nella camera dei genitori, torrida. Suo padre giaceva in un sonno inviolabile, con un fendente di luce lunare attraverso il viso. – Posso frugare nelle tasche di papà per una sigaretta? – bisbigliò, rivolto all'angolo di buio assoluto in cui era coricata sua madre. Non poteva affrontare senza tabacco ore e ore di vagabondo servizio unpa. Trovò nelle tasche del padre una sigaretta, deformata della pressione di un mazzo di chiavi.

Citazioni modifica

  • Johnny remava malissimo, la palata sinistra incorreggibilmente più superficiale e debole della destra, col risultato che l'imbarcazione avanzava tarda e obliqua. Elda però non ci faceva caso, persa a contemplare la sponda, il parco, i viali. Disse: – Ecco Torino: il punto di partenza di noi tutti per ciò che chiamiamo vita. Per che cosa parti da Torino, tu Johnny? Ti rendi conto che sei fatto in un certo modo per cui dovrò giudicarti fallimento ogni cosa in cui riuscirai? Anche se a trent'anni sarai ordinario di cattedra di Lingua e letteratura inglese? Dovrò considerarti sempre e comunque un fallito, perché sei fatto a quel certo modo. – Dunque – aveva risposto Johnny, – dovrei morire molto giovane. – Perché sei fatto a quel certo modo, – ripeté. Allora egli fermò i remi. – E se diventassi uno scrittore? – Elda giunse le mani, poi per l'entusiasmo tanto si scosse che la barca si sbilanciò, cozzò nei macigni emergenti attorno a un pilone di Ponte Isabella, a un niente dal naufragio. (p. 21)
  • Sull'acqua correvano brividi di felicità, il cielo era d'un turchino granuloso, fregiato di un'unica nube, affusolata e forte come l'ala di un arcangelo, i milioni di pietre del greto antistante l'isola cona barbagliavano come un selciato di diamanti. (p. 28)
  • «A Palazzo Venezia non so, Lui non c'era, questo si sapeva. Il Re? Booh, il Re. Chi sa mai niente del Re? Il Papa invece, il Papa è sceso in mezzo al popolo, io l'ho visto di persona, Petrangeli confermalo tu, è sbarcato da una grande macchina nera, da capo a piedi vestito di bianco, le sue interminabili braccia aperte in croce. Tutti si sono inginocchiati, lo chiamavano Padre e Pastore, guardasse le rovine, gli hanno invocato pace, pace, la pace. Io e Petrangeli stavamo in divisa, ma ci siamo inginocchiati pure noi, anche una ronda coi mitra ho visto inginocchiarsi al Papa, una ronda della paoi. Che dimostrazione hanno fatta al Papa!» (p. 134)
  • Disse D'Addio: – Che razza d'eunuchi. Che dovrebbero dire e fare i napoletani che si beccano bombardamenti dalla prima notte di guerra? Lascio giudicare a voi.
    – Appunto. Che dovrebbero dire Genova e Torino? Ma che si credono questi romani?
    – Questa è bella. Le altre città vengono bombardate per quello che hanno, la fiat o il porto. Roma no, non dev'essere bombardata proprio per quello che ha: le pietracce sue.
    – E questo Papa? Ti risulta che nelle altre città abbiano mai invocato il Papa? Che c'entra il Papa? Ma qui il Papa è come Papà, Papalino. Papalino, tu che lo puoi, fai cessare la guerra, mandaci la pace. Qui Re e Duce sono scartine, l'asso è il Papa. Il Papa come Papà.
    – Papalino, vedi che ce buttano 'e bombe in testa.
    – Bagascioni di romani.
    – Romani cacaioli.
    – Che schifo, i discendenti di Giulio Cesare.
    – Discendenti di chi?
    – Abbasso il Duce!
    – A morte!
    – È ora di finirla! – intimò il ridestato Dian. senza precisare se con la guerra o il regime o il bordello. (pp. 134-135)

Una questione privata modifica

Incipit modifica

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava sulla città di Alba.
Il cuore non gli batteva, anzi sembrava latitante dentro il suo corpo.
Ecco i quattro ciliegi che fiancheggiavano il vialetto oltre il cancello appena accostato, ecco i due faggi che svettavano di molto oltre il tetto scuro e lucido. I muri erano sempre candidi, senza macchie né fumosità, non stinti dalle violente piogge degli ultimi giorni. Tutte le finestre erano chiuse, a catenella, visibilmente da lungo tempo.

Citazioni modifica

  • [Milton rivolgendosi mentalmente a Fulvia] «Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto... Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi son visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso». (p. 6)
  • C’era di mezzo la più lunga notte della sua vita. Ma domani avrebbe saputo. Non poteva più vivere senza sapere e, soprattutto, non poteva morire senza sapere, in un’epoca in cui i ragazzi come lui erano chiamati più a morire che a vivere. Avrebbe rinunciato a tutto per quella verità, tra quella verità e l’intelligenza del creato avrebbe optato per la prima. (p. 24)
  • Facevano cerchio serrato intorno a Cobra il quale si era accuratamente rimboccato le maniche fin sui potenti bicipiti e ora si curvava verso un immaginario catino. – Guardate, – diceva, – guardate tutti quel che farò se ammazzano Giorgio. Il mio amico, il mio compagno, il mio fratello Giorgio. Guardate. Il primo che beccherò... mi voglio lavar le mani nel suo sangue. Così –. E si curvava sull’immaginario catino e immergeva le mani e poi se le strofinava con una cura e una morbidità spaventevoli. – Così. E non solo le mani. Ma anche le braccia voglio lavarmi nel suo sangue –. E ripeteva l’operazione di prima sull’avambraccio e sul lacerto. – Così. Guardate. Se ammazzano il mio fratello Giorgio –. Parlava con la stessa morbidità e nettezza con cui si lavava, ma in ultimo scoppiò in un urlo altissimo: – Voglio il loro sangue! Voglio entrare nel loro sangue fino alle ascelleeeee! (pp. 49-50)
  • [Il partigiano Paco racconta del dialogo con un fascista prima della sua esecuzione capitale] Ed io: «Io non voglio discutere con te al punto che sei. Però il tuo duce è un grandissimo vigliacco, un vigliacco mai visto. Io gliel’ho letto in faccia. Senti qua. Tempo fa mi è venuto tra le mani un giornale di allora, dei tempi belli per voi, con una fotografia di lui che pigliava mezza pagina, e me la sono studiata per un’ora. Ebbene, io gliel’ho letto in faccia. E se insisto tanto è perché non voglio che tu ti sprechi a gridare Viva Lui in punto di morte. Io me lo vedo, chiaro come il sole. Quando toccherà a lui come ora tocca a te, lui non saprà morire da uomo. E nemmeno da donna. Morirà come un maiale, io me lo vedo. Perché è un vigliacco fenomenale». «Viva il Duce!» mi fa quello, ma piano, sempre tenendosi la testa fra i pugni. E io non perdo la pazienza e gli dico: «È un vigliacco enorme. Quello di voi che morirà più da schifoso morirà sempre come un dio in confronto a lui. Perché lui è un vigliacco colossale. È il più vigliacco italiano che sia esistito da quando esiste l’Italia, e per vigliaccheria non ne nascerà più l’uguale anche se l’Italia durasse un milione di anni». (p. 63)
  • – E invece? Invece quando sarà finita? Quando potremo dire fi-ni-ta? – Maggio. – Maggio!? – Ecco perché ho detto che l’inverno durerà sei mesi. – Maggio, – ripeté la donna a se stessa. – Certo che è terribilmente lontano, ma almeno, detto da un ragazzo serio e istruito come te, è un termine. È solo di un termine che ha bisogno la povera gente. Da stasera voglio convincermi che a partire da maggio i nostri uomini potranno andare alle fiere e ai mercati come una volta, senza morire per la strada. La gioventù potrà ballare all’aperto, le donne giovani resteranno incinte volentieri, e noi vecchie potremo uscire sulla nostra aia senza la paura di trovarci un forestiero armato. E a maggio, le sere belle, potremo uscire fuori e per tutto divertimento guardarci e goderci l’illuminazione dei paesi. (p. 66)
  • – E allora, – disse il vecchio, – non ne perdonerete nemmeno uno, voglio sperare. – Nemmeno uno, – disse Milton. – Siamo già intesi. – Tutti, tutti li dovete ammazzare, perché non uno di essi merita di meno. La morte, dico io, è la pena più mite per il meno cattivo di loro. – Li ammazzeremo tutti, – disse Milton. – Siamo d’accordo. Ma il vecchio non aveva finito. – Con tutti voglio dire proprio tutti. Anche gli infermieri, i cucinieri, anche i cappellani. Ascoltami bene, ragazzo. Io ti posso chiamare ragazzo. Io sono uno che mette le lacrime quando il macellaio viene a comprarmi gli agnelli. Eppure, io sono quel medesimo che ti dice: tutti, fino all’ultimo, li dovete ammazzare. E segna quel che ti dico ancora. Quando verrà quel giorno glorioso, se ne ammazzerete solo una parte, se vi lascerete prendere dalla pietà o dalla stessa nausea del sangue, farete peccato mortale, sarà un vero tradimento. Chi quel gran giorno non sarà sporco di sangue fino alle ascelle, non venitemi a dire che è un buon patriota. (p. 84)
  • [Il partigiano Matè rivolgendosi a Milton] Io dico che dovremmo pensare un po’ di più a quelli di noi che son finiti in Germania. Ne hai mai sentito parlare una volta che è una? Mai uno che si ricordi di loro. Invece dovremmo, dico io, tenerli un po’ più presenti. Dovremmo schiacciare un po’ di più l’acceleratore anche per loro. Ti pare? Si deve stare tremendamente male dietro un reticolato, si deve fare una fame caìna, e c'è da perdere la ragione. Anche un solo giorno può essere importante per loro, può essere decisivo. Se la facciamo durare un giorno di meno, qualcuno può non morire, qualcun altro può non finir pazzo. Bisogna farli tornare al più presto. E poi ci racconteremo tutto, noi e loro, e sarà già triste per loro poter raccontare solo di passività e dover stare a sentir noi con la bocca piena di attività. (p. 109)

Explicit modifica

Correva, con gli occhi sgranati, vedendo pochissimo della terra e nulla del cielo. Era perfettamente conscio della solitudine, del silenzio, della pace, ma ancora correva, facilmente, irresistibilmente. Poi gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò.

Citazioni su Una questione privata modifica

  • Cosa rende Una questione privata un libro così vicino e inafferrabile, così "misterioso e assurdo", come lo definì Italo Calvino nella prefazione alla riedizione del proprio Il sentiero dei nidi di ragno, dove addirittura scrisse che «è al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione, non al mio»? (Francesca Melandri)
  • Non sapremo mai se Milton lo trovi o no, questo senso. Al lettore il compito di accompagnarlo nella sua corsa attraverso fango, nebbia, fucilazioni di ragazzini e le note di Over the Rainbow. Ma non importa. La commozione che questo libro suscita ancora oggi in tanti lettori non è data da cosa Milton trovi, ma dalla sua ricerca. In essa siamo tutti suoi fratelli e sorelle. Anche noi, che pure non siamo stati partigiani e viviamo tanti anni dopo, arranchiamo proprio come lui alla cieca nel fango e nella nebbia della vita, commettendo errori, alcuni stupidi e altri fatali, ma pur sempre cercando. È li che quel "brocco brado" di Fenoglio ci indica il senso: nel nostro reciproco riconoscerci di poveri umani accomunati dall'ostinato ricercare. (Francesca Melandri)

Primavera di bellezza modifica

Incipit modifica

Insensibile al freddo mordace, Johnny fissava vacuamente lo scarico della latrina. Si riscosse all'arrivo di un compagno, ciabattante, malsano, terrone. Lo scansò a testa bassa e filò via rasentò il muro sgocciolante, orientandosi sull'alone funereo della lampada della sua camerata. Rivide il distretto, quel lercio maresciallo nel primo ufficio, che portava l'uniforme come una camicia da notte, i cassetti della scrivania pieni di omaggi e pedaggi in viveri e tabacco. Quindi il colonnello comandante, nella sala visite: in perfetta divisa, calzava sotto i gambali fruste pianelle di marocchino. Batté il piede per richiamare l'attenzione dello scritturale e decretò: «...esimo fanteria. Battaglione d'istruzione. Moana.»

Citazioni modifica

  • « Del resto, ragazzi, » concluse il tenente Cangemi, « come giudichereste una donna che vi si arrendesse al primo assalto? Quale godimento ne trarreste, sostanzialmente? Gusterete infinitamente di più, vi renderà incommensurabilmente più felici la donna alla quale avrete dovuto fare una corte lunga e serrata. » (cap. IV)
  • Sebbene di politica nel plotone armi d'accompagnamento non se ne fosse mai fatta specificamente, tuttavia le posizioni erano grosso modo delineate: a parte il fascistello mitragliere di Domodossola, la stragrande maggioranza era afascista, i pochi restanti antifascisti, distribuiti fra settentrionali e meridionali; con questa sostanziale differenza: che per gli anti del Sud i fascisti erano buffoni, per gli ami del Nord criminali. (Cap. IV)
  • [Il mitragliere Zummo] «Il giorno dell'armistizio comprerò mille copie di giornale e ne tappezzerò tutta la camera. Voglio leggermi e rileggermi quei titoli uno dopo l'altro, steso nel mio letto, con le gambe accavallate e le mani sotto la testa. Armistizio, armistizio!» (cap. IV)
  • Jacoboni si era come dissanguato, poi lo aveva caricato colpendolo in pieno viso. «Io ho sette domande per il fronte! E non sono andato a cercare gli inglesi, ho chiesto i russi io! Tutt'e sette respinte, mi sono masticato il fegato, ma sono rimasto a quel posto d'istruttore che i miei superiori hanno creduto di assegnarmi, da quel soldato che sono e che nessuno di voi sarà mai, nessuno!». (cap. V)
  • «Non ce l'hanno insegnato, inculcato loro il menefrego? Quindi menefreghismo integrale, se vogliamo essere seri.» «Giustissimo,» approvò Teresio Oprandi. «Non possono esserci due pesi e due misure nel menefrego.» «Del resto,» aggiunse Lippolis, «vivessimo in un paese serio, Benito Mussolini sarebbe freddo cadavere da un pezzo. Eh: se indietreggio uccidetemi,» e rovesciò le mani con un gesto avvocatesco. (cap. VI)
  • Disse D'Addio: «Io m'immagino come finisce se non ci spicciamo a far pace. Qui finisce che gli americani s'incazzano, introducono nel Mediterraneo una portaerei enorme enorme, agganciano le Alpi con un cavo robusto quanto basta, poi danno un grandissimo strattone e fanno galleggiare l'Italia al guinzaglio della portaerei, con sopra tutti noi, il re, il duce e pure il papa.» (cap. VI)
  • Proprio al Verano sono accorsi gli studenti universitari del servizio UNPA, per aiutare, rimediare, far qualcosa, ma il popolo li ha fischiati, ingiuriati e maledetti, li ha costretti alla fuga. Milizia non se n'è vista, i capi debbono aver fiutato l'aria antigienica e l'hanno confinata nelle caserme. «A Palazzo Venezia non so, lui non c'era, questo si sapeva. Il re? Booh, il re. Chi sa mai niente del re? Il papa invece, il papa è sceso in mezzo al popolo, io [Il mitragliere Lulli] l'ho visto in persona, Petrangeli confermalo tu, è sbarcato da una grande macchina nera, da capo a piedi vestito di bianco, le sue interminabili braccia aperte in croce. Tutti si sono inginocchiati, lo chiamavano Padre e Pastore, guardasse le rovine, gli hanno invocato pace, pace, la pace. Io e Petrangeli stavamo in divisa, ma ci siamo inginocchiati pure noi, anche una ronda coi mitra ho visto inginocchiarsi al papa, una ronda della PAOI. Che dimostrazione hanno fatto al papa!» (cap. VIII)
  • [Johnny rivolgendosi al compagno di liceo Magliano] «Noi difettiamo proprio di pazienza. Le democrazie invece abbondano ed eccellono in pazienza, e invariabilmente trionfano con la pazienza. Abbi pazienza anche tu.» (cap. IX)
  • Una settimana dopo si era in guerra. « Italy at her falsest against Britain at her truest. (L'Italia nel suo momento più falso contro l'Inghilterra nel suo momento più vero.» (cap. IX)
  • [Sfogo di un soldato in fuga dopo l’8 settembre 1943] «Farsi ammazzare per chi? Per il re, o per il principe o per Badoglio? Dovunque stiano, meglio di noi poveri cristi stanno. E poi, nemmeno l'ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall'altro, o contrario. Resistere ai tedeschi - non sparate sui tedeschi - non lasciarsi disarmare dai tedeschi - uccidete i tedeschi - autodisarmarsi - non cedere le armi. Tutti ci serravamo la testa tra i pugni, perché non ci scoppiasse. La truppa non ha tardato ad annusare il quarantotto completo, ha pensato alla pelle e a casa sua e ha mandato l'esercito a fare in c... Voltavi gli occhi e di cento ne ritrovavi settanta, poi cinquanta, gli ufficiali rimasti allargavano le braccia o piangevano come bambini, i soldati saltavano il muro come tanti ranocchi. Io l'ho vista sì la bellezza di resistere ai tedeschi, ma mi son detto: debbo crepare proprio io per le migliaia che già corrono verso casa? A casa, a casa! Se la sbrighino gli altri, finisca come vuole, e mi sono lanciato dalla finestra giusto mentre il carro armato tedesco svoltava nel viale della caserma. Io sto a Capua e non sogno altro che casa mia.» (cap.XII)
  • Lui di dov'era? rispose Piemonte, sentendo nella parola la vertigine della lontananza, come se ci fossero tre Germanie prima del Piemonte. Infatti le donne dondolarono la testa, luttuosamente. (cap. XIII)
  • L'assalì la nostalgia della tromba, avrebbe dato metà del suo sangue per risentirla emettere un qualunque segnale, ma tutte le trombe dell'esercito giacevano nella polvere. (cap. XIII)
  • Soldati stavano respingendo i borghesi, cosicché gli apparve in tutta la sua squamosa, unicingolata nudità la divisione corazzata... diritta e solida come una spada, puntata al cuore di Roma, al Quirinale, al Ministero della Guerra, all'EIAR centrale. […] I carristi sedevano rigidi a bordo, magnifici nella calettatura dei caschi, fumavano con mosse lente, un braccio pendulo lungo le fiancate dei mezzi. La gente fiottava dalle case, urgeva per vedere, toccare con dito quella miracolosa forza italiana, e balbettava di felicità, finché un uomo scandì «Viva l'Italia!» I carristi continuarono a fumare e guardare avanti verso Roma, impassibili e tecnici, l'esatta controparte dei tedeschi. Se la sarebbero vista coi Tigre e Johnny, contemplando quegli uomini, non dubitava minimamente dell'esito della battaglia. Ammirava persino quel loro stile di fumare, ingollavano il caldo fumo come fosse una bevanda glaciale, indurente. (cap. XIII)
  • «E che ci fate ancora in divisa e in armi?» «La guerra, no? la guerra ai tedeschi. Noi siamo ribelli, noi abbiamo sputato la pillola dell'otto settembre. Noi non andiamo a casa, restiamo a combattere i tedeschi fin che ce ne sarà uno in Italia.» (cap. XV)

Explicit modifica

Il tedesco veniva - una faccia giovane e una vecchia divisa - e ora abbassava la machinepistol già puntata. Pensava di poterla fare un po' più lunga e soddisfacente. Era arrivato a tre passi e ancora non rispianava l'arma. Johnny percepì un clic infinitesimale. Girò gli occhi dal tedesco al vallone. Vide spiovere la bomba a mano del sergente Modica e le sorrise.

Incipit di La Malora modifica

Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sotto terra.
[citato in Fruttero & Lucentini, Incipit, Mondadori, 1993]

Citazioni su Beppe Fenoglio modifica

  • Si vedeva come l'uomo più brutto del mondo. La sua balbuzie era insieme causa e conseguenza del disagio che lo scrittore provava nei riguardi degli altri. Il fatto che egli avesse trasformato l'inglese nella sua lingua di elezione era anche un modo per compensare certi deficit verbali. (Elio Gioanola)
  • Una questione privata [...] è costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'Orlando furioso, e nello stesso tempo c'è la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest'altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché. (Italo Calvino)

Alessandro Baricco modifica

  • Fenoglio è stato un cantore pazzesco del dolore degli umani. C'era nei suoi libri durezza e al tempo stesso pietas.
  • Fenoglio veniva da una terra dura, nascosta, infame per certi versi. Così è il Piemonte. E' morto troppo presto, aveva quasi 41 anni per  tumore ai bronchi. Era un fumatore pazzesco. Non so se avesse capito che era un grande. Morì con una percezione falsata della sua fama.
  • Fenoglio voleva impollinare la grammatica letteraria con la grammatica del cinema. Fare come Hemingway, accoppiare lo stile letterario e cinematografico. E lo ha fatto negli anni Cinquanta, prima di tutti, prima della mia generazione e di Sandro Veronesi e Susanna Tamaro.

Francesco Pecoraro modifica

  • Con Fenoglio la Resistenza divenne anche per me una guerra civile, si spogliò di ogni retorica e mostrò tutta la sua stranita contro-intuitiva crudezza fattuale. Con Fenoglio salii anch’io sulle colline delle Langhe e mi unii alle formazioni che facevano capo al comandante Nord.
  • Mentre mio padre, tornato a casa, prendeva parte attiva alla ricostruzione e vi si buttava a corpo morto da homo faber quale era, Fenoglio compiva un’altra volta una scelta opposta, quella di scrivere e fumare: come di uno ormai sazio di vita e di esperienze che vuole solo riposare, raccontare, stare da solo, come di uno che dica Ok, ho fatto tutto questo, sì l’ho fatto, ho preso posizione, ho avuto dei compagni, li ho amati, alcuni li ho visti morire, adesso lasciatemi in pace, voglio solo scrivere e scrivere e soprattutto voglio fumare milioni di sigarette, fino a morirne.
  • Vita che come il suo Johnny, Fenoglio scelse volontariamente di mettere a rischio per quella che ai miei occhi si è palesata, in lui monarchico e uomo di destra, principalmente come una questione di stile: Johnny è un dandy che agisce essenzialmente per una questione di stile personale, cioè per posizionare degnamente sé stesso all’interno di un dramma storico che non ha scelto lui di vivere, ma che l’è andato a cercare, l’ha stanato e l’ha messo alla prova.

Note modifica

  1. Da Un giorno di fuoco, Einaudi.
  2. Da Una questione privata, pp. 24-25.
  3. Da La malora, Einaudi.
  4. Da Una questione privata.

Bibliografia modifica

  • Beppe Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba, Einaudi.
  • Beppe Fenoglio, Il libro di Johnny, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 978-88-06-22543-8
  • Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi, Torino, 1978
  • Beppe Fenoglio, Primavera di bellezza, Garzanti, 1959
  • Beppe Fenoglio, La paga del sabato, Einaudi, Torino, 1969
  • Beppe Fenoglio, Una questione privata, Einaudi, Torino, 2006. ISBN 978-88-06-18075-1
  • Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, traduzione di Marcello Flores e Sandro Perini, Einaudi, 1989. ISBN 88-06-16054-8

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