Battaglia di Adua
battaglia della guerra d'Abissinia
Citazioni sulla battaglia di Adua del 1º marzo 1896, citata anche come battaglia di Abba Garima.
Citazioni
modifica- Adua? – Una follia, cambiata in un disastro militare, per insufficienza di mezzi, mancanza di preparazione, incoscienza di ministri e di capi supremi, impari al loro compito... Un disastro militare, il quale, come prima Dogali, servì però a provare al mondo meravigliato e commosso, come non siano soltanto leggende, dovute ai tempi di Roma e di Sparta, le gesta delle Termopili; e che i nomi del Toselli, del Dabormida, del Galliano, dell'Arimondi[1], e di tanti altri, a noi giunti sull'ali della fama, nulla abbiano a invidiare ai nomi dei Trecento soldati di Leonida... a noi mandati dalla leggenda. (Leopoldo Pullè)
- Adua fu l'episodio che occasionò la rivolta decisiva del popolo italiano contro Crispi[2]. (Arturo Carlo Jemolo)
- Adua non fu la sola sconfitta di una potenza coloniale europea in quegli anni. Gravi rovesci toccarono anche ai britannici in Africa e ai francesi in Indocina. Ma la Gran Bretagna e la Francia ebbero nervi più saldi e reazioni meno emotive. Ad Adua, nel 1896, l'Italia fu sconfitta due volte: da Menelik e da se stessa. (Sergio Romano)
- Alla nuova dello immane disastro [di Adua], fu un sollevamento generale di indignazione in tutta Italia. In alcune città accaddero disordini gravi. L'opinione pubblica si manifestò chiara, unanime e clamorosa per l'assoluto, immediato ritiro dall'Africa, per la destituzione del ministero. Più che cento senatori, tra i quali molti non usi a scomodarsi pei lavori parlamentari, si recarono a Roma, e, radunati privatamente, approvarono una risoluzione, chiedente un nuovo gabinetto. Amici del Crispi gli consigliarono, per risparmiare un tumulto a Montecitorio e la sedizione in piazza, che si ritirasse. (Gaetano Arangio-Ruiz (1857-1936))
- Chi ha vissuto in Abissinia, chi ha conosciuto quel popolo, chi ha visto ed ha percorso il campo di Adua, sa benissimo che noi eravamo sufficienti per vincere. Immenso, immenso quel campo, tale da accogliere non quattro brigate combattenti, ma quattro corpi di armata addirittura. E quella sproporzione tra l'enormità della distesa delle posizioni e l'esiguità del nostro corpo di operazioni è stata la ragione prima dell'insuccesso. Lasciamo le altre. Che vale oramai parlare dell'insipienza dei capi, dell'ingiustizia della fatalità? L'Italia conosce a menadito quella storia. Oramai a che servirebbe, sopratutto quando si pensa che anche la sconfitta non ebbe mai un valore capitale e che nessuno dopo quella giornata ci sbarrava il cammino, ma che noi avevamo innanzi un esercito in piena rotta, decimato oltre che dagli effetti delle nostre armi, da una folla di altre cause di disgregazione? (Arnaldo Cipolla)
- Il 10 marzo 1896, alle luci dell’alba che investivano con il loro chiarore le alture di Chidane Meret, iniziò a consumarsi la disfatta di Adua, «non piú una pugna, ma un macello» secondo il ricordo di un soldato sopravvissuto. Quella decisiva battaglia, nel corso della guerra di Abissinia, e la cocente umiliazione che seguí alla sconfitta, segnarono la fine della politica imperialista di Francesco Crispi in Africa e provocarono la caduta del suo governo, in carica dal 1893. (Miguel Gotor)
- La battaglia che, con grande inesattezza, si dice di Abba Garima fu l'episodio più doloroso e più funesto che abbia afflitto la risorta Italia nel primo quarantennio della sua nuova esistenza; doloroso, per lo spreco di tante migliaia di vite preziose, funesto per le conseguenze indirette che ne derivarono. Ho detto conseguenze indirette, poiché, assai più che per l'effetto immediato che ebbe sulle sorti dei nostri possedimenti africani, quell'avvenimento sciagurato è stato funesto pel contraccolpo portato alle disposizioni ed alla consistenza dello spirito italiano. (Gaetano Negri)
- La battaglia, durata dall'alba alle quattordici, fu un seguito di episodi slegati, nei quali rifulsero l'eroismo individuale e lo spirito di sacrificio, non la sapienza dei capi. Il 53% dei nostri effettivi restò sul terreno: quattromilaseicento morti italiani, duemila indigeni, oltre duemila feriti. [...].
Di fronte a queste perdite, gravissime anche quelle del nemico: settemila morti e diecimila feriti. (Alberto Maria Ghisalberti) - La notizia dello sconfitta arrivò in Italia nella giornata del 2 marzo. A Milano e in altre città dell'Italia settentrionale la gente si riversò nelle strade e occupò le stazioni per impedire la partenza dei rinforzi che dovevano imbarcarsi per l'Africa di lì a pochi giorni. Il bersaglio di quelle dimostrazioni era Crispi, colpevole di avere trascinato il Paese in una guerra difficile e sanguinosa. Molti spinsero la loro gioia sino a gridare "Viva Menelik! ", e il grido parve alla classe dirigente una assurda manifestazione anti-nazionale, una prova dei sentimenti eversivi che serpeggiavano nel Paese. Ma era anche il segno della fragilità della coscienza nazionale e dell'apparizione di una sinistra internazionalista, molto diversa da quella mazziniana e democratica che aveva contribuito alla unificazione dell'Italia. (Sergio Romano)
- La realtà è che brucia terribilmente agli italiani di essere stati battuti da un popolo che hanno sempre considerato barbaro, incapace, inetto, militarmente fiacco, inadatto a sfruttare le moderne tecnologie, e avallano ogni genere di panzane nella speranza di salvare un minimo di prestigio. Invece gli abissini, non soltanto hanno saputo vincere da soli, senza l'apporto «tecnico» di nessuno, ma dopo la vittoria sanno anche agire con prudenza, con moderazione, con lungimiranza per non guastare un successo che è costato tanto sangue. (Angelo Del Boca)
- La verità è che la sconfitta di Adua brucia più ai Savoia che al popolo italiano. (Angelo Del Boca)
- Non c'è un solo villaggio nell'Abissinia settentrionale e centrale che non ricordi vittime perdute ad Adua. È per questo che il sentimento che ha lasciato la sconfitta nello spirito abissino non è affatto di disprezzo verso di noi. Gli abissini hanno compreso di averci vinto perché ci hanno sorpreso in piena manovra. (Arnaldo Cipolla)
- Quella è stata una gran giornata, devo dirle però che gli unici che hanno combattuto abbastanza bene dalla vostra parte sono stati gli ascari abissini, ma è inutile, nessuno supera il valore dei nostri soldati che combattono per il loro capo. Voi altri europei avete tutto, non vi manca che il valore della guerra. (Gugsà Oliè)
- A Adua morirono più italiani che in tutte le guerre del Risorgimento, epopea mirabile ma bonsai. Tuttavia quel numero equivaleva ai caduti di pochi minuti di un'offensiva sulle pendici voraci del Carso durante la Grande guerra. E in tale circostanza, di fronte a cifre così mostruose, il paese rimase saldo. Erano tempi in cui per conquistare una posizione si prodigava la vita propria e degli altri. Eppure le conseguenze di Adua furono apocalittiche. Il paese sfiorò la rivoluzione, uno dei pochi grandi statisti della storia italiana, Crispi, fu spazzato via senza possibilità di ritorno, cadde un ministero, vacillò la monarchia perché il re pensò seriamente di abdicare. Si pose la parola fine a qualsiasi sogno coloniale per almeno vent'anni. L'equilibrio, i sentimenti, verrebbe da dire l'anima del paese, furono scosse dalle fondamenta. Non fu una sconfitta, fu una crisi psicologica collettiva, un crollo morale; una nazione intera si stracciò le vesti ed esibì senza pudore la propria umiliazione.
- A Adua per la prima volta il Terzo Mondo, che non si chiamava ancora così, dimostrò che l'imperialismo europeo non era invincibile. Non solo. La storia del colonialismo trasuda sconfitte più o meno rovinose degli invasori. La grande novità di Adua consiste nel fatto che, per la prima volta, una nazione europea era stata costretta a rinunciare ai suoi piani e ad accettare la pace. Fu per milioni di uomini una rivelazione.
- Davvero uomini barbari senza cannoni vinsero uomini civili senza virtù, come pretende una memoria partigiana che è ormai diventata consolidata verità? Non fu così. L'esercito del negus non era solo immensamente più grande, ma disponeva di un numero di cannoni pari al nostro e di fucili che in buona parte erano di modello più recente e sofisticato. Non fu dunque una guerra impari tra ricchi e poveri. Ma certo fu da parte dei nostri generali (cinque, davvero troppi!) un capolavoro di imprevidenza, ottusità e arroganza.
- La vittoria contro gli italiani imbalsamò l'Etiopia nel suo Medioevo per un altro mezzo secolo.
Note
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