Antonio Scurati

scrittore italiano

Antonio Scurati (1969 – vivente), scrittore italiano.

Antonio Scurati

Citazioni di Antonio Scurati

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  Citazioni in ordine temporale.

  • Vorrei che Milano tornasse la città insorta del 1848 [cinque giornate di Milano], piena di virgulti e voglia di cambiamento, una Milano dove l'interesse privato e particolare venisse messo da parte per fare spazio al bene comune.[1]
  • Non ti puoi sottrarre al presente quando il passato e il futuro sono stati cancellati, quando il presente è l'unica cosa che rimane.[2]
  • Dobbiamo prepararci a pensare e a combattere l'intera adolescenza come un gruppo criminale, l'intera giovinezza come un'associazione a delinquere.[3]
  • C'è il mito e c'è lo stereotipo. In mezzo, un confine quasi invisibile. Ahimè. Sì, perché stavolta nell'ultimo film di Brian De Palma [Black Dahlia] c'è poco Brian De Palma.[4]
  • Molti altri sfiorarono Jacopo e Aspasia mentre si baciavano, ma quel bacio non ebbe testimoni perché non ce ne sono mai del bacio degli amanti. Come ogni altro atto d'amore, anche quell'istante bruciò sugli altari della dissipazione, sacrificato agli dei lussureggianti della vita. Nessuno avrebbe potuto dire di quel bacio: "Io c'ero, lo vidi, lo ricordo". Perché lo scandalo, l'insurrezione dell'amore, è vivere per ciò che non rimane, in ciò che non ritorna.[5]
  • Dobbiamo riprenderci l'avvenire. E l'unico modo per farlo [...] è "dire di no ai giorni del presente".[6]
  • [Il Risorgimento è] L'unica stagione epica del nostro immaginario poetico-nazionale a essere la più dimenticata.[7]
  • Una scuola senza fondi non conta niente. E mi pare che la politica non abbia intenzioni in questo senso. Sono d'accordo con il 5 in condotta, è giusto che siano sanzionati atteggiamenti violenti, irrispettosi. Ma mi sembra un'operazione demagogica: non si può chiedere alla scuola di andare in una direzione opposta rispetto alla società. In più, oggi i genitori percepiscono la scuola come un negozio, dove il figlio è il cliente da soddisfare. Sempre.[8]
  • Dobbiamo ricordare che esattamente cento anni fa in Piazza San Sepolcro a Milano, di fronte a una platea di pochi, deliranti partecipanti, un politico sbandato alla ricerca di una strada fondò i Fasci di combattimento. Dobbiamo conoscere la storia di quella piccola accozzaglia di reduci, facinorosi, delinquenti, sindacalisti incendiari e gazzettieri disperati, professionisti della violenza e artisti, i quali – guidati da un leader pronto a ogni tradimento, a ogni nefandezza, pronto a scommettere sul peggio e a vincere la scommessa, pur partendo da un numero infimo e da una devastante sconfitta elettorale – nell’arco di soli tre anni conquistarono il potere.[9]
  • Fermo restando le dovute differenze storiche Putin è più simile a Hitler che a Mussolini. Sul piano della propaganda è ricorso al pretesto della difesa delle minoranze germanofone nei Sudeti e a Danzica per giustificare l'aggressione a Cecoslovacchia e Polonia. Lo stesso schema che Putin ha applicato invadendo l'Ucraina. Inoltre, Putin come Hitler, se incontra resistenza rade al suolo le città.[10]
  • Ora Salvini tace, perché troppo compromesso con la Russia. Sarà condannato senza appello dalla storia. Ma già adesso, secondo me, ha perso ogni titolarità a fare politica.[10]
  • Meloni è esattamente nel solco di Mussolini, più che sul fronte del fascismo su quello del populismo. L’opportunismo funambolico, la prontezza a rinnegare, ad abiurare, fu una delle caratteristiche più efficaci del Duce nella sua scalata al potere.[11]
  • [In riferimento al crollo del muro di Berlino] Un brivido di futuro attraversò tutta l'Europa.[12]
  • A che punto è la notte? A che punto è la rimozione del fascismo? Il suo accesso è ancora negato alla coscienza collettiva? [...] è la più bruciante attualità politica a imporre questi interrogativi. Le questioni da esse sollevate sono più che mai urgenti nell’anno in cui cade il centesimo anniversario del barbaro assassinio di Giacomo Matteotti e l’ottantesimo delle stragi nazifasciste del 1944. Queste due ricorrenze luttuose concomitanti proclamano, infatti, che il fascismo è stato lungo tutto l’arco della sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?[13]

L'ultimo artista in prima linea

Corriere della Sera, 5 ottobre 2005

  • È quell'idea di libertà politica ad averci dimenticati lungo un binario morto della storia, non siamo noi ad aver dimenticato il Risorgimento. L'eredità del Romanticismo è invece malignamente viva.
  • Non c'è epoca della nostra storia più dimenticata del Risorgimento. In rapporto alla sua importanza, l'oblio è tanto insistente da far sospettare una rimozione.
  • Se il Risorgimento è dimenticato lo è perché la sua idea guida – la libertà attiva, intesa come libertà di fare e rifare politicamente il mondo in modo tale che si adatti meglio all'esistenza umana – è oggi un'idea morta.

Scurati: educare è anche sedurre, quella donna è un capro espiatorio

Corriere della Sera, 15 novembre 2006

  • In Italia c'è stato un crollo dell'istituzione scolastica, che ha perso tutta la sua autorità. E allora, l'unica arma rimasta al docente è la seduzione. Che poi è il grande tema di questa società dello spettacolo: i politici sono seduttivi prima di ogni altra cosa. Agli insegnanti, questo non è concesso.
  • I nostri insegnanti sono reclutati con un sistema perverso, con migliaia di precari catapultati tra i banchi senza selezione né controlli. La scuola italiana va alla deriva. E questo caso ne è il sintomo lampante.
  • Le nuove generazioni non sono più educate dalla scuola o dalla famiglia; esistono altre "agenzie educative" – tv, pubblicità – profondamente e perversamente seduttive. Il ragazzo, andando a scuola, vede decine di tette e culi ovunque, sembra che sesso e seduzione siano la chiave per capire il mondo; e varcata la porta dell'aula, dovrebbe dimenticare tutto e dedicare ogni attenzione a qualcuno che è asessuato? Noi ipocritamente diamo per scontato che qualora ci sia sesso tra docente e discente, si tratti di plagio; mentre invece è tutta la società che incita a una sessualità disinibita, strumentale, che i preadolescenti replicano in forme eccessive.

La nuova scommessa è sfidare il pop

Corriere della Sera, 9 dicembre 2007

  • La vera sperimentazione oggi passa secondo me da un rapporto agonistico, non antagonistico, con la cultura pop: la cultura di massa egemone è un nemico da battere sul suo stesso terreno, facendo in maniera più potente ciò che fa lei stessa. È accaduto in America con l'Avant-pop: il tentativo di fare un romanzo colto capace però di rivolgersi a un pubblico ampio.
  • [L'Ottocento] Nella dimensione artistica e mitica, è un secolo più contemporaneo del Novecento e di molte sue esperienze: penso alla vocazione popolare e all'istinto comunicativo del romanzo e del melodramma. Comunque questa idea del passato non asseconda certo il mainstream.
  • Viviamo nel tempo del revisionismo, caratterizzato da un pervicace spirito di risentimento rispetto al passato, con intenti demistificatori se non denigratori: la tendenza a disseppellire i morti per ucciderli una seconda volta, a svilire la dignità etica e politica della storia. È una sorta di nichilismo. Ecco, secondo me bisogna abbandonare il risentimento del revisionismo ossessivo e petulante e cercare una forma di sentimento della storia. Cercare nella storia la sua capacità di offrire una visione etica ed epica.

Intervista di Francesco Olivo, lastampa.it, 16 marzo 2022

  • Sono refrattario ai paragoni storici, ma ci sono dei tratti di agghiacciante simmetria tra la condotta pratica e verbale di Putin nel momento in cui invade l'Ucraina e quella di Hitler quando aggredisce prima la Cecoslovacchia e poi la Polonia. [...] Hitler dal '38 non ragiona in termini politici, ma escatologici, apocalittici e religiosi. Crede di andare incontro a un Armageddon con un nemico mortale che prevede. Temo che Putin stia ormai dentro questa dimensione e che ogni tentativo di comprendere le sue mosse in termini politici manchi il bersaglio.
  • [Vladimir Putin] ha cominciato in Cecenia, poi ha bombardato la popolazione civile della Georgia, poi ha preso la Crimea, ha usato le armi chimiche in Siria e adesso l'Ucraina. È la stessa metodica determinazione di Hitler che annette l'Austria, poi la Cecoslovacchia, poi la Polonia. E ogni volta chi lo sta a guardare ha la tentazione di dire che non si spingerà oltre.
  • Gli ucraini aspirano a condividere i nostri valori e gli stili di vita democratici e liberali. È in quel momento che la Russia di Putin ha deciso la guerra. È tutto leggibile nella logica neozarista: qualunque cosa l'Ucraina avesse fatto che non fosse stata abdicare completamente a se stessa avrebbe avuto la guerra.
  • C'è la caratteristica fondamentale del populismo: non avere idee proprie, ma solo tattiche. Riempirsi dei rancori momentanei della gente e da quelle esalazioni lasciare che venga guidata la propria linea politica.
  • Da una parte c'è un riflesso pavloviano di antiche affiliazioni con la Russia e di avversità alla Nato, tipico della cultura comunista. Ma soprattutto c'è un autocriticismo ossessivo da parte dell'intellettuale d'Occidente, che sfocia in forme nevrotiche.
  • Un altro punto è interessante: il disinteresse di Putin verso gli effetti mediatici della guerra, per cui se per vincere si deve bombardare un ospedale pediatrico, si bombarda senza problemi, potendo contare sul totale controllo dell'opinione pubblica interna. Gli Stati Uniti dal Vietnam in poi hanno fatto il contrario. Queste cose sembrano indicare un ritorno a un passato che credevamo sepolto.

Corriere della Sera, 7 maggio 2022

  • L'indagine comparativa sulle narrazioni dei conflitti armati dall'Iliade alle guerre del Golfo, da me condotta in questo libro, mi ha portato, infatti, a confrontarmi con una terribile verità, risaputa per millenni e poi dimenticata, o rimossa, soltanto alla metà del secolo scorso a seguito delle due guerre mondiali: la nostra civiltà trova nel mito della guerra eroica addirittura il proprio fondamento perché essa pensa il combattimento armato quale esperienza plenaria, accadimento fatidico, momento della verità. Non solo: la guerra è da sempre la materia narrativa per eccellenza perché in essa la nostra tradizione scorge un evento rivelatore della condizione umana. Detto in altre parole: per più di due millenni — germogliando dalla sua profonda radice greca e pagana ma non senza contrasto con la radice giudaico cristiana — la civiltà occidentale ha desiderato e cantato la «bellezza» della guerra eroica. Nel fenomeno estetico dello «splendore della gloria» l'Occidente ha visto balenare un valore interamente immanente alla sfera terrena, ha cercato la genesi di un senso pienamente umano della vita poiché in esso risiedeva l'unica possibilità di senso di un mondo perennemente in guerra e completamente ignoto a ogni promessa o speranza di redenzione ultraterrena. Dal caos sanguinoso della mischia letale gli uomini d'Occidente hanno sperato il senso di una esistenza altrimenti insensata.
  • [Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022] Invadendo uno Stato sovrano sul suolo europeo senza alcuna giustificazione, ammassando truppe ai suoi confini, pianificando un brutale attacco territoriale per mezzo di divisioni corazzate e meccanizzate, bombardando crudelmente e vigliaccamente obbiettivi civili, calpestando sfacciatamente ogni diritto internazionale (e anche ogni diritto di guerra), Putin avrebbe — si sente dire spesso — «riportato indietro le lancette della storia». In più, il dittatore russo, a parte la totale censura interna, sembra non manifestare nessuna preoccupazione per la narrazione della sua guerra d'aggressione. Nessuna forma politica o giuridica, nessuna risoluzione dei conflitti, nessun valore, nessun racconto memorabile, nessun senso sembrerebbe manifestarsi all'orizzonte della guerra di Putin contro gli ucraini. Nessuna luce, soltanto tenebra.
  • La guerra di Putin agli ucraini non rientra nelle narrazioni occidentali della guerra, nella loro evoluzione storica, ma nemmeno le contraddice per il semplice fatto che non appartiene a esse. La guerra di Putin — non quelle dei russi nella loro intera storia, sia chiaro, non la guerra di Tolstoj e nemmeno quella di Vasilij Grossman — ripropone l'inimicizia archetipica tra Oriente e Occidente, la loro contrapposizione anche nelle stesse forme della guerra. Putin e la sua guerra non sono l'Occidente, ne sono il nemico.

Corriere della Sera, 10 maggio 2022

  • Gli ucraini combattono. Il popolo ucraino è in piedi e combatte. Lungo le coste del Mar Nero, nelle sterminate steppe del Nipro, nelle periferie di Kiev, strada per strada, combatte. Va ripetuto, ribadito, compreso, proprio nel giorno luttuoso della strage dei bambini all’ospedale di Mariupol, perché va affermandosi l’idea degli ucraini come vittime, prone al massacro, con il rischio di dimenticare che il loro coraggio non è solo quello della sofferenza ma è anche il coraggio della lotta.
  • Se gli ucraini avessero subito passivamente l’invasione russa sarebbero divenuti un popolo asservito, sfruttato, oppresso. Se cessassero di difendersi ora, la loro sarebbe una resa incondizionata, non una pace negoziata, e ripiomberebbero nel destino di servaggio contro il quale si sono ribellati. La loro tenace, coraggiosa resistenza, inoltre, non è affatto priva di orizzonte strategico. L’obiettivo è quello, ora e in futuro, di rendere troppo salato il prezzo della violenza dominatrice praticata sistematicamente dal dispotico regime russo e, possibilmente, di giungere alla deposizione del suo leader.
  • [...] gli Ucraini stanno combattendo anche per noi, forse non per ciò che siamo diventati ma per ciò che fummo e che ancora potremmo essere. Nelle periferie di Kiev, nelle steppe sconfinate del Nipro, lungo le rive del Mar Nero, combattono idealmente i nostri nonni, quelle donne e quegli uomini estinti che, nella loro giovinezza, pur consapevoli della forza preponderante del nemico, presero le armi contro la violenza nazi-fascista.

Corriere della Sera, 20 aprile 2024

  • Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose - primavera del '24, primavera del '44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così.
  • Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023).
  • La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.

repubblica.it , 5 agosto 2024


  • In una democrazia la storia la scrivono i popoli quando la vivono, gli storici, i magistrati che conducono le inchieste sui fatti più importanti della vita di un Paese, gli intellettuali con la forza delle parole. Quando, invece, un ceto politico di governo pretende di riscrivere i fatti a suo vantaggio, quel metodo non potrà mai dirsi democratico.
  • Mi pare che il gruppo dirigente che governa in questo momento abbia il neofascismo nella sua biografia politica. E non credo che faccia nulla per nasconderlo, anzi.
  • Stanno sistematicamente cercando di cancellare la violenza dalla storia del fascismo e dell’eversione neofascista. Violenza omicida e stragista che è parte integrante, connaturata proprio all’essenza di quei movimenti. In questo modo portano avanti un’operazione menzognera, offensiva per la memoria delle vittime di quella violenza. E ogni volta che questo succede, e purtroppo succede spesso, dichiarano implicitamente la loro complicità con quella storia che proprio non riescono a rinnegare.
  • La violenza non si può togliere dalla narrazione del fascismo e dei movimenti politici nati dalle sue ceneri. Fin dalle origini, dall’assalto alla sede dell’Avanti nell’aprile del 1919 con diversi morti, alle azioni squadristiche durante il regime e alla sistematica ricerca di nemici, anche al di fuori dall’Italia, durante la Seconda guerra mondiale. Per non parlare della repressione nei confronti degli ebrei italiani. Ma come si fa a trovare giustificazioni a tutto questo?
  • Gli ambienti neofascisti da anni portano avanti attraverso i loro canali una campagna di negazione della verità storica e giudiziaria riassunta nello slogan: “Nessuno di noi era a Bologna”. Sconcerta che ci siano esponenti del governo che si fanno portavoce di questa destra eversiva. […] Ma nella nostra storia, la storia d’Italia, gli attentati stragisti alla democrazia sono sempre arrivati dall’estrema destra. È un fatto tragico accertato. Chiunque si ostini a negarlo se ne rende complice.

Il padre infedele

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Ieri mattina, all'improvviso, mia moglie è scoppiata a piangere in cucina. Erano le dieci in punto. Lo so perché l'orologio canoro da parete, che teniamo affisso giusto di fianco alla cappa ad aspirazione forzata, aveva appena segnato il tempo riproducendo il canto masterizzato del picchio rosso maggiore. Un verso inconfondibile, pressoché identico a una risata prolungata.

Citazioni

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  • Mi ero invaghito subito, fin da quando ero una matricola, di quel docente di estetica [Stefano Zecchi] che, nel grigiore universale, teneva corsi impavidi e sognanti sui massimi sistemi. [...] Il professore era stato una promessa della filosofia occidentale, il più giovane cattedratico della sua generazione. [...] Il professore finalmente arrivò. [...] Il suo assistente, indietro di un passo, seguiva la scena di sottecchi. Era ancora giovane ma già curvo, pavido, viscido, intrigante, ligio al dovere e a un'orgogliosa, perentoria mediocrità. Nel giro di pochi anni sarebbe diventato preside della facoltà. [...] Finalmente capii, fui costretto a capire. Il mio idolo non aveva letto una sola riga delle diciannovemiladuecento che avevo scritto. No, nessuna bellezza ci avrebbe salvato. (pp. 13-14)

M. Il figlio del secolo

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Affacciamo sulla piazza del Santo Sepolcro. Cento persone scarse, tutti uomini che non contano niente. Siamo pochi e siamo morti. Aspettano che io parli ma io non ho nulla da dire.
La scena è vuota, alluvionata da undici milioni di cadaveri, una marea di corpi – ridotti a poltiglia, liquefatti – montata dalle trincee del Carso, dell’Ortigara, dell’Isonzo. I nostri eroi sono già stati uccisi o lo saranno. Li amiamo fino all’ultimo, senza distinzioni. Sediamo sul mucchio sacro dei morti.

Citazioni

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  • Giù in strada le grida dei garzoni invocano la rivoluzione. Noi ridiamo. La rivoluzione l’abbiamo già fatta. Spingendo a calci questo Paese in guerra, il 24 maggio del millenovecentoquindici. Ora tutti ci dicono che la guerra è finita. Ma noi ridiamo ancora. La guerra siamo noi. Il futuro ci appartiene. È inutile, non c’è niente da fare, io sono come le bestie: sento il tempo che viene. (p. 12)

Incipit di Il bambino che sognava la fine del mondo

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"Correte. Mio padre sta uccidendo mia madre".
Il bambino biondo ha lo sguardo allucinato. Due grandi occhi blu che pare fissino il vuoto ma guardano di lato.
La mamma gli toglie la cornetta del telefono dalle mani e rassicura la polizia all'altro capo del filo: non è vero, non accade nulla di terribile nel cuore della notte, suo figlio è sonnambulo. Il bambino ha sognato.
I poliziotti vengono comunque a controllare. "Si metta nei nostri panni, signora, la chiamata c'è stata."
Quando arrivano, tutto appare tranquillo. Nessuna traccia di violenza. La mamma sta bene. Il papà è in India, in viaggio d'affari.
Il bambino è già di nuovo nel suo letto. Ha urlato ancora un paio di volte di terrore, nel sonno, poi si è chetato.

  1. Citato in Corriere della Sera, 31 dicembre 2005.
  2. Da Berlino capitale del ventesimo secolo, Internazionale, n. 631, 3 marzo 2006, p. 74.
  3. Citato in Corriere della Sera, 20 agosto 2006.
  4. Citato in Corriere della Sera, 9 ottobre 2006.
  5. Da Una storia romantica, 2007.
  6. Da Riprendiamoci il futuro, Internazionale, n. 716, 26 ottobre 2007, p. 17.
  7. Citato in Corriere della Sera, 3 marzo 2008.
  8. Citato in Corriere della Sera, 2 febbraio 2009.
  9. Da Il fascismo è ancora vivo dentro di noi, la Repubblica, 23 marzo 2019, p. 36-37.
  10. a b Citato in Concetto Vecchio, Intervista a Antonio Scurati: "All'Europa manca un esercito tutto suo", Repubblica.it, 11 aprile 2022.
  11. Da intervista di Sara Scarafia, Scurati “Meloni nel solco del populismo di Mussolini l’abiura un patetico trucco”, la Repubblica, 13 agosto 2022, p. 5.
  12. Da intervista di Andrea Purgatori, in Atlantide - Storie di uomini e di mondi, La7, 9 novembre 2022 (22:34)
  13. Da Antonio Scurati: “Il fantasma del fascismo minaccia la democrazia”, repubblica.it, 19 aprile 2024.

Bibliografia

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