Antonio Manzini

attore, sceneggiatore e regista italiano

Antonio Manzini (1964 – vivente), attore, sceneggiatore, regista e scrittore italiano.

Antonio Manzini

Citazioni di Antonio ManziniModifica

  • «Alle due di un martedì mattina di maggio al vicequestore Rocco Schiavone di stanza ad Aosta da ben nove lunghissimi mesi piomba l'ennesima rottura di coglioni di decimo grado!» disse ad alta voce. Pietro e Giovanna lo guardavano senza capire. Non potevano sapere, come quelli che lavoravano o avevano a che fare con Rocco Schiavone da settembre, che il vicequestore aveva una graduatoria tutta personale di quelle che lui definiva rotture di coglioni. Cioè le incombenze e i casi quotidiani che lo indispettivano e gli rendevano la vita un inferno. Italo Pierron addirittura ne stava facendo una raccolta per esporli nella bacheca della questura, in modo che fosse chiaro a tutti cosa dire e cosa non dire al «capo». Le noie o rotture di coglioni partivano dal sesto grado a salire. Fra quelle più leggere, appunto il sesto grado, c'erano gli idraulici o i muratori che tendevano a non rispettare mai un orario promesso, gli zero dell'Iban, le moto smarmittate, le penne vecchie quando aveva bisogno di scrivere un appunto velocemente. Al settimo grado si trovavano le cacche dei cani sul marciapiede, perdere il segno del libro, il finger food. All'ottavo c'erano le letterine di Equitalia, ma dopo aver querelato uno degli impiegati quelle s'erano fatte più rare dei granchi blu reali, andare a messa, cosa che non faceva dal 1980, la sabbia nelle vongole, il vino che sa di tappo e pranzare dopo le due. Al nono grado le sfuriate meteorologiche, freddo neve vento tempesta e grandine, i cretini, andare a votare e le carie. Al decimo grado, sovrano e imperiale, c'era il massimo delle rotture di coglioni che la vita poteva riservargli: il caso sul groppone. E quel martedì di maggio Rocco aveva capito che davanti a lui si ergeva immensa e improcrastinabile una rottura di decimo grado.[1]
  • L'ospedale Sant'Eugenio si erge squallido e spettrale in una bella via residenziale del quartiere EUR, abitata dai pini e costeggiata da ville, non distante da quello che la generazione di Rocco chiamava il Palasport o Palaeur e che era stato ribattezzato con Palalottomatica nell'epoca delle corporazioni e degli sponsor. Era un declino del quale non si vedeva la fine. Qualche giorno prima la cupola della basilica dei santi Pietro e Paolo era stata coperta da un'enorme pubblicità di una marca di borse che, forse, finanziava un restauro della chiesa. C'era da aspettarsi, dunque, che il Circo Massimo sarebbe stato ribattezzato Fiat 500, dal momento che a giorni se ne attendeva il lancio, la fontana di Trevi Acqua Ferrarelle e i portici di San Pietro gli Abbracci del Mulino Bianco. Da quella sponsorizzazione selvaggia non si sarebbe salvato niente, forse neanche l'abito corale del papa.[2]

Cinque indagini romane per Rocco SchiavoneModifica

  • Capodanno nella lista di Rocco Schiavone veniva al terzo posto delle peggiori date del calendario. Al primo posto c'era il suo compleanno, che lui odiava in maniera totale, violenta, omicida. Gli auguri li considerava degli insulti. E non era un atteggiamento preso dopo i quaranta, non era una cosa da scambiare con la senilità incipiente e col tempo che passa sempre più veloce. Lui già a sei anni, quando giocava per le strade di Trastevere, poteva spaccare teste e setti nasali se un amichetto o un parente gli avesse fatto i fatidici auguri il 7 di marzo.
    Al secondo posto c'era la Pasqua. Rocco la odiava per tre motivi. Il primo era che non arrivava mai lo stesso giorno. Cambiava ogni anno, e questo la rendeva imprevedibile e micidiale come un killer professionista. Il secondo che, proprio per la sua imprevedibilità, faceva arrivare le colombe e le uova mentre ancora stavi digerendo il panettone di Natale. Il terzo era di natura squisitamente teologica. Sapete quando è nato il figlio di Dio. Possibile che non siete mai riusciti a capire quand'è che è risorto? Al terzo posto c'era il Capodanno. Dovere per forza andare da qualche parte a fare il conto alla rovescia, stappare la bottiglia, urlare auguri a squarciagola e fingere di divertirsi e essere sereno. E poi c'erano i botti. Nel suo personalissimo codice la pena per i costruttori e i fruitori dei fuochi di Capodanno andava da un anno di reclusione ai lavori forzati in una miniera in Cile, in base ai botti che utilizzavano, al rumore che provocavano e ai soldi che riuscivano a sprecare in sei minuti. Gente che lesina sulla frutta e la verdura tutto l'anno per poi scoppiare centinaia di euro in pochi minuti ferendosi, facendosi danni, spaccando oggetti e coglioni, lui la detestava. Il primo gennaio invece era uno dei giorni più belli dell'anno. Nessuno per le strade, nessuno nei negozi, tutti a dormire gonfi di cibo e vino da supermercato, con le bocche secche e le orecchie che ancora fischiano per la musica a palla e i tricchetracche sul balcone. E lui solo, a Ostia a passeggiare sulla spiaggia. (da L'accattone)
  • «Una cosa strana...[...] Sono stata ieri in un ospedale, e come oggi stavo dietro ad un vetro, ma per vedere il figlio di mia sorella appena nato.»
    «E oggi hai visto uno che se ne sta andando. Capito, Elena? L'ospedale è tipo un aeroporto. Aerei che decollano e altri che atterrano.» (da La ruzzica de li porci)

La costola di AdamoModifica

  • Italo annuì condividendo in pieno l'opinione del suo capo. Sapeva infatti che le seccature o rotture di coglioni della vita, il vicequestore le aveva catalogate per gradi. Dal sesto in su.
    Nella sua personalissima scala di valori al sesto grado c'erano i bambini che urlano nei ristoranti, i bambini che urlano nelle piscine, i bambini che urlano nei negozi, in generale i bambini che urlano. Poi le telefonate che offrono impossibili contratti convenienza per luce-acqua-gas-cellulare, la coperta che scappa dal materasso e scopre i piedi in una fredda notte d'inverno e gli apericena. Al settimo grado c'erano i ristoranti lenti nel servizio, gli intenditori di vino e il collega che aveva mangiato aglio la sera prima. All'ottavo gli spettacoli che andassero oltre l'ora e un quarto, fare o ricevere regali, le macchinette dei videopoker e Radio Maria. Al nono grado c'era l'invito a un matrimonio, a un battesimo, a una comunione o anche semplicemente a una festa. I mariti che si lamentano delle mogli, le mogli che si lamentano dei mariti. E al decimo grado, sul podio più alto delle rotture di coglioni, il massimo che la vita bastarda gli poteva propinare per rovinargli le giornate, regnava sovrano il caso di omicidio sul groppone.
  • Non esistono delitti perfetti. E sa perché? perché sono stati commessi. E tanto basta. Semmai esistono colpevoli molto fortunati.
  • Cornacchie magre volavano in circolo sopra le sterpaglie in cerca di cibo. Qualcuna si avventurava anche al centro della carreggiata deserta se c'era da piluccare la carcassa di qualche animaletto sfortunato appena maciullato da un'auto. Rocco odiava quegli uccelli. anche a Roma avevano preso il sopravvento sugli altri volatili. Sbranavano le uova di passeri, pettirossi, cinciallegre ed erano sempre più numerosi. Stavano diventando i padroni dei cieli italiani, a Roma ormai gli unici a tenergli testa erano i gabbiani e i pappagalli verdi che avevano colonizzato i grandi parchi cittadini. Quelli erano rapaci veri, venivano dal Brasile e in quanto a fame non avevano certo da imparare da una cornacchia italiana. Ogni volta che a Villa Borghese o a Villa Ada li vedeva volare in formazione come degli stuka, verdi e rossi coi loro richiami sgraziati, pensava al primo scemo che aveva aperto la gabbia e s'era fatto scappare il Pappagallo Alfa, il pioniere di quella che ora era un'enorme colonia aggressiva e micidiale che stava finendo di massacrare i passeri e gli altri uccellini romani. Comunque, in quanto a bellezza, i pappagalli erano assolutamente superiori a quelle cornacchie spelacchiate e sgraziate. Rocco aspettava trepidante il momento in cui a Roma il cretino di turno si sarebbe lasciato scappare un anaconda. L'Anaconda Alfa. Lì sì che le cose si sarebbero fatte interessanti. Se non altro sarebbe diminuita in maniera esponenziale la popolazione dei ratti romani, ormai grossi come alani e davanti ai quali qualsiasi gatto scappava a zampe levate. Ecco, gli sarebbe piaciuto vederli di fronte ad un anaconda del delta delle Amazzoni, lungo una decina di metri, che ingoia in pochi minuti una bufala campana. Anche questo sarebbe stato un effetto collaterale della globalizzazione, un effetto benefico secondo Rocco Schiavone. Certo poi sarebbe stato un po' complesso affrontare serpenti abbarbicati sui rami dei platani del lungotevere ma almeno il nemico era visibile, meno subdolo, elegante e bello da guardare. In più non era portatore di malattie infettive come i sorci. Magari avrebbe anche incrementato la produzione di borse e scarpe. Chissà.

Pista neraModifica

  • Rocco Schiavone aveva una sua personalissima scala di valutazione delle rotture di coglioni che la vita insensibilmente gli consegnava ogni giorno. La scala partiva dal sesto grado, ovvero tutto ciò che riguarda i doveri casalinghi. Giri per negozi, idraulici, affitti. Al settimo c'erano invece i centri commerciali, la banca, le poste, i laboratori di analisi, i dottori in generale con un'attenzione particolare ai dentisti, per finire con le cene di lavoro o con i parenti, che almeno grazie a Dio se ne stavano a Roma. L'ottavo grado vedeva in primis il parlare in pubblico, poi le pratiche burocratiche di lavoro, il teatro, riferire a questori o magistrati. Al nono i tabaccai chiusi, i bar senza l'Algida, incontrare qualcuno che gli attaccasse delle chiacchiere infinite, e soprattutto gli appostamenti con agenti che non si lavavano. Poi per ultimo c'era il decimo grado della scala. Il non plus ultra, la madre di tutte le rotture di coglioni: il caso sul groppone.
  • «Stavo pensando alle squadre di calcio
    «E?»
    «E allora, ci pensi. Guardi, per esempio, cosa fa una squadra di calcio per raggiungere migliori risultati?»
    «Si allena?» azzardò Rocco.
    «Non solo. Compra i giocatori. Stranieri. Ne conviene?»
    «Sì. Vero, basta dare un'occhiata all'Inter».
    «Appunto. Si forma la squadra con le eccellenze internazionali e si vincono coppe e scudetti. Mi dica se sbaglio.»
    «Non sbaglia.»
    «Bene, Schiavone. Ora trasferisca questo concetto al nostro paese».
    Rocco incrociò le gambe. «Non la seguo».
    «Faccia conto che per raggiungere risultati noi, l'Italia, ce ne andiamo in giro a comprare i giocatori migliori.»
    «E no mi scusi, ma la Nazionale di calcio italiana deve essere formata tutta da giocatori italiani» obiettò Rocco.
    «Non mi riferisco più al calcio. Il calcio è solo una metafora. Mi riferisco alla politica. Allora che farei? Si compra un bel primo ministro svedese, un Reinfeldt, poi all'economia ci mettiamo un tedesco, un Bruederle, poi alla cultura un francese, la Albanel, alla giustizia un danese, insomma! Pensi che squadra della Madonna! E finalmente 'sto paese la smetterà di essere il paese di pulcinella. Ha capito?»
    La probabilità che il magistrato fosse affetto da una forma di patologia ciclotomatica si affacciò prepotente nella mente di Rocco Schiavone. «Chiaro e tondo. Una bella campagna acquisti» rispose, perché dargli ragione era la strada migliore.
    «Esatto!» e il magistrato mollò un pugno sul tavolo. «Esatto, Schiavone. Sarebbe bello, non trova?»
    «Sì»
    «Scherzo, è ovvio. Lei mica mi avrà preso sul serio, no?»
    «Un po' sì».
    «No. anche perché non basta cambiare le teste di serie. qui c'è mezza classe politica da mandare al confino. Ma non si stia a preoccupare, sono solo un po' schifato da quello che vedo e leggo sui giornali ogni giorno. Mi stia bene e mi tenga informato.»
  • Le poste sono come le unghie e i capelli. Quando uno muore quelli continuano a crescere. E così fanno lettere e bollette. Continuano ad arrivare al destinatario anche se è già sottoterra.

Fate il vostro giocoModifica

  • Il Poker è dieci per cento fortuna, cinquanta tattica e quaranta osservazione.
  • Ci sono delle regole, imbecille, e te non le conosci, questo è chiaro. E adesso ti dico il decalogo Schiavone, apri bene le orecchie e metti a memoria. Non si ruba sul luogo di lavoro, non si ruba negli spogliatoi di una palestra, non si ruba ai ragazzini, alle mamme, ai vecchi e si ruba ai ladri, ai corrotti, ai figli di puttana e ai mercenari. Non si ruba alle mignotte, si ruba ai papponi, non si rubano le pensioni, si svaligiano le banche, ammesso che hai i coglioni e sai fare un lavoro pulito. Non si ruba al tossico, si ruba al fornitore. Non si ruba il portafogli del cadavere, ma quello dell’omicida. E soprattutto, quando si ruba, se si vuole rubare, non ci si fa beccare. Come vedi è piuttosto semplice.
  • Brizio alzò il bicchiere pieno di vino. «A che brindiamo?» Chiese Rocco.
    «A che voi brinda'? A noi, all’amicizia, alla vita, alla Roma
    «Lascia perde l’ultima. Basta a noi, all’amicizia e alla vita.»
  • «[...] La giustizia sarà lenta ma ha i suoi tempi, di ricerca, di riflessione. Non si può sparare a zero e decidere il colpevole.»
    «È così» Prese la parola Baldi. «La giustizia non si fa con la rabbia o con la fretta. Si fa con calma e onestà. Se spariamo a zero e non approfondiamo non pagano i colpevoli, o quantomeno non pagano tutti i colpevoli.»
  • «Sono stato a Udine. Trovato in gran forma Enzo Baiocchi».
    «Sempre detto che a certa gente il carcere dona»
    «E mi sono fatto due chiacchiere con il nostro amico.» Si fermò e guardò il vicequestore. «Mi ha detto un sacco di cose interessanti. Per esempio che io non ero andato troppo lontano dalla verità.»
    «Quale verità?».
    «Quante ce ne sono secondo lei?».
    «Lei è un uomo di legge, dottor Baldi, quindi saprà meglio di me che le verità sono tante. Dipende da che prospettiva le inquadriamo.»

ExplicitModifica

Si voltò e risalì le scale.
«Porca troia…» mormorò e il sudore ghiacciato cominciò a scendergli lungo la schiena. Si concentrò sui gradini che lo portavano all’ufficio, il cuore aveva raggiunto le orecchie. A metà tragitto si bloccò e si voltò verso le montagne soffocate dalle nuvole. Si sentì toccare il polpaccio. Guardò in basso. Lupa gli annusava i pantaloni. Si chinò a guardarla negli occhi evitando la lingua saettante. «Lo sai, amore? Una volta qualcuno ha scritto che il passato è un morto senza cadavere. Non per me, no. Nel mio ci sono più cadaveri di un obitorio…»
Entrò in questura. Incrociò Casella e Deruta che scendevano le scale sorridenti.
«Dove andate?»
«Pensavamo di andarci a prendere…»
«Un cazzo. Nel mio ufficio. Ricominciamo daccapo»
«Daccapo?» disse Deruta.
«Daccapo. Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro, il caffè ce lo facciamo su da me.»
I due agenti seguirono il vicequestore.

Explicit di Sull'orlo del precipizioModifica

Uscì dal Salone del Libro. Fuori pioveva.
Aprì l'ombrello. Si voltà verso Sergej e Aldo: «Posso tornare in albergo?».
Quelli annuirono. Giorgio Volpe si incamminò. Ora che il libro era uscito, che il suo codice prodotto si avviava a mantenere le promesse commerciali, poteva tirare un respiro di sollievo. Bianca lo attendeva in camera. Aveva voluto risparmiare alla moglie la presentazione. La sua umiliazione. L'avrebbe stretta fra le braccia e insieme avrebbero fatto programmi per il futuro. Per esempio c'era da cercare il ristorante a Londra per Filippo, il primogenito, che ormai s'era trasferito lì a fare lo chef stellato, e bisognava capire se Flavia, al suo terzo divorzio, avrebbe voluto mantenere l'attico a San Babila oppure prendere quel negozio a Sappada. Una cosa però era certa, la dottoressa Celletti, dall'alto della sua benevolenza, gli aveva promesso una settimana di riposo prima di attaccare il suo prossimo romanzo che, con i calcoli trimestrali, avrebbe dovuto consegnare entro e non oltre il 12 agosto. Aveva già in mente il titolo: Il fondo del barile.
La vita non era poi tanto male.

Incipit di alcune opereModifica

La giostra dei cricetiModifica

René guardò l'orologio.
Cinque minuti era il tempo prestabilito, e ne mancavano tre.[3]

Orfani bianchiModifica

Da: mirta.mitea@gmail.com

A: ilie-mitea@list.ru

Perché non mi scrivi, Ilie? Nonna mi ha detto che hai tre voti insufficienti. Dice che stai sempre in giro con Andrea Monteanu e lo sai che a me quello non piace. Tu devi andare a scuola e studiare ogni giorno, non solo quando fanno le interrogazioni o ci sono i compiti in classe. Sempre. E se spendi tutti i soldi per andare in giro con Monteanu, come mi ha detto nonna, non mi piace, anzi, mi fai piangere il cuore. Sai quanto costano quei soldi? Promettimi che non succede più, che obbedisci a nonna Tatiana e che non fai stare in pensiero tua madre. E scrivimi. Tua madre.

NoteModifica

  1. Da Non è stagione.
  2. Da 7-7-2007.
  3. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

BibliografiaModifica

  • Antonio Manzini, 7-7-2007, Sellerio, Palermo, 2016. EAN 9788838935404
  • Antonio Manzini, Cinque indagini romane per Rocco Schiavone, Sellerio, Palermo, 2016. EAN 9788838934452
  • Antonio Manzini, La costola di Adamo, Sellerio, Palermo, 2014. EAN 9788838931383
  • Antonio Manzini, Non è stagione, Sellerio, Palermo, 2015. ISBN 9788838933271
  • Antonio Manzini, Orfani Bianchi, Chiarelettere, Milano, 2016. ISBN 9788861908857
  • Antonio Manzini, Pista nera, Sellerio, Palermo, 2013. EAN 9788838929090
  • Antonio Marzini, Sull'orlo del precipizio, Sellerio, Palermo, 2015. EAN 9788838934827
  • Antonio Manzini, Fate il vostro gioco, Sellerio, Palermo, 2018. EAN 9788838938283

Voci correlateModifica

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