A. J. P. Taylor

storico britannico
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Alan John Percivale Taylor (1906 – 1990), storico britannico.

Targa commemorativa per A.J.P. Taylor

Citazioni di A. J. P. Taylor

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  • La conferenza di Jalta, svoltasi dal 4 all'11 febbraio 1945, si rivelò di gran lunga più importante di quella di Teheran[1]. Il precedente incontro non era stato altro che una conversazione fra i tre statisti[2] alla presenza di pochi consiglieri militari. Alla conferenza di Jalta parteciparono delegazioni politiche e militari al completo e i tre statisti ebbero meno tempo per discutere in privato. (da La conferenza di Jalta, in Storia della seconda guerra mondiale, diretta da sir Basil Liddell Hart e Barrie Pitt, edizione italiana Rizzoli-Purnell, diretta da Angelo Solmi, Rizzoli editore, Milano, 1967, vol. VI, pp. 64)
  • [...] la conferenza di Jalta fu molto di più che un reciproco «inganno». Nonostante tutto ciò che è stato detto in seguito, quest'incontro fu il risultato della ferma intenzione sia di Roosevelt sia di Stalin di arrivare ad un accordo basato su compromessi proposti ed accettati con convinzione e sincerità. In fondo i sovietici incontrarono meno diffidenza in questa conferenza che in qualsiasi altro incontro dopo la Rivoluzione bolscevica. Roosevelt era sulla buona strada per realizzare il suo ideale: aveva aperto la porta ad un mondo unito, anziché diviso in due blocchi. Churchill e la Gran Bretagna in genere erano stati mesi in disparte ma questo rispondeva esattamente alla realtà dei fatti. In pratica si stava verificando il declino della Gran Bretagna come grande potenza. A Jalta l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti avevano trovato le basi per un'intesa ed una collaborazione; questo fu il periodo di maggiore ottimismo nella seconda guerra mondiale. (da La conferenza di Jalta, in Storia della seconda guerra mondiale, diretta da sir Basil Liddell Hart e Barrie Pitt, edizione italiana Rizzoli-Purnell, diretta da Angelo Solmi, Rizzoli editore, Milano, 1967, vol. VI, pp. 64)
  • Sedan segnò la fine di un'epoca nella storia d'Europa; il mito della grande nation, dominante l'Europa, cadde per sempre. (da L'Europa delle grandi potenze, Laterza, Bari, 1977, p. 299)

Dall'intervista di Enzo Biagi

in Enzo Biagi, Quante storie, Rizzoli, Milano, 1989. ISBN 88-17-85322-4

  • Fra gli italiani la figura che mi ha appassionato di più è senz'altro Garibaldi. Credo che sia proprio lui, tutto sommato, il personaggio più degno di ammirazione nella vita pubblica del XIX secolo. (p. 232)
  • Credo che le generazioni future non avranno difficoltà nel riconoscere in Mao la figura più importante di questo secolo. (p. 233)
  • Il maggiore contributo alla storia dell'umanità è venuto dalla base, dal lavoro di una massa enorme di persone sconosciute, non dai pochi che stanno al vertice del potere. (p. 233)

Storia della Germania

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La storia tedesca è una storia di estremi. Contiene tutto fuorché moderazione e nel corso di un migliaio di anni i tedeschi hanno sperimentato tutto fuorché la normalità. Hanno dominato l'Europa e sono stati le vittime impotenti della dominazione altrui; hanno goduto di libertà senza confronti in Europa e sono caduti vittime di dispotismi ugualmente senza confronti; hanno prodotto i filosofi più profondi, i musicisti di più alta spiritualità e gli uomini politici più brutali e privi di scrupoli. «Tedesco» ha significato ora un essere così sentimentale, così pio, così leale, da risultare fin troppo buono per questo mondo; e ora un essere così violento, così privo di qualsiasi principio, così corrotto da non meritare di vivere. Entrambe le descrizioni sono vere: sia l'uno che l'altro tipo di tedeschi è esistito non solo nella stessa epoca, ma nelle medesime persone. È solo la persona normale, né particolarmente buona né particolarmente cattiva, sana, equilibrata, moderata, che non ha mai impresso il suo marchio sulla storia tedesca.

Citazioni

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  • La spinta tedesca verso oriente contro i popoli slavi, che operò in maniera costante fin dall'XI secolo, aveva due aspetti distinti. L'uno era il metodo della conquista militare, che portò alla creazione della Prussia-Brandeburgo: gli slavi vennero assoggettati, e al loro posto veniva non già il popolo tedesco, ma l'oppressore Junker[3] privo di sentimento nazionale, che nutriva invero altrettanto disprezzo per i borghesi tedeschi che per i suoi stessi contadini slavi. L'altro metodo, ch'era di gran lungo il più diffuso, consisteva nella penetrazione economica per mezzo della classe mercantile tedesca. (cap. I. La Germania divisa: il retaggio del Sacro Romano Impero, p. 29)
  • La Rivoluzione francese trasformò la Germania quasi altrettanto profondamente della Francia: l'antico ordine politico, ed in talune zone del paese l'antico ordine sociale, subirono un mutamento tale da divenire quasi irriconoscibili. Ma queste grandi trasformazioni ebbero luogo in maniera fondamentalmente diversa. In Francia la Rivoluzione fu l'opera del popolo francese: le sue sofferenze ed i suoi sforzi insegnarono a questo ultimo la lezione essenziale della politica, la lezione del potere. [...] In Germania, quanti desideravano le riforme liberali non fecero nulla per promuovere la loro causa; aspettarono passivamente, sia pure piagnucolando, di essere liberati dai francesi, e la forza che in Germania spalancò la porta al talento non fu la forza dei contadini tedeschi, ma quella dei contadini francesi nella sua forma organizzata dell'esercito francese. (cap. II. La preponderanza francese (1792-1814), p. 32)
  • L'educazione prussiana delle classi medie prima, delle masse poi, era la meraviglia dell'Europa del XIX secolo: ma pochi al di fuori della Germania ne comprendevano le finalità. Il maestro elementare, l'insegnante di scuola secondaria, il professore universitario, erano tutti servitori dello Stato prussiano, che assolvevano con entusiasmo un compito secondo in importanza solo a quello dei comandanti militari. [...] L'educazione prussiana, e più tardi quella tedesca, era una gigantesca macchina di conquista, tanto più efficace in quanto era manovrata da volontari. (cap. II. La preponderanza francese (1792-1814), p. 45)
  • Il 1848 fu l'anno decisivo della storia tedesca, e quindi europea: ricapitolò il passato della Germania e ne anticipò il futuro. Echi del Sacro Romano Impero si fusero in un preludio del «Nuovo Ordine» nazista; le dottrine di Rousseau e le dottrine di Marx, l'ombra di Lutero e l'ombra di Hitler, si scontrarono in frenetica successione. Mai vi è stata una rivoluzione ispirantesi in ugual misura alla fede illimitata nella potenza delle idee; mai una rivoluzione ha in ugual misura screditato, con i suoi risultati, la potenza delle idee. Il successo della rivoluzione screditò le idee conservatrici; il suo fallimento le idee liberali. Dopo di essa, non rimase nulla all'infuori della idea di «forza», e questa idea rimase da allora in poi al timone della storia tedesca. (cap. IV. 1848: l'anno del liberalismo tedesco, p. 79)
  • [Theobald von Bethmann-Hollweg] A differenza dei suoi predecessori, egli non aveva esperienza alcuna di politica o di relazioni internazionali. Non possedeva neppure quel senso di stare coi piedi sulla terra che deriva dall'essere un grande proprietario terriero: era un funzionario civile di Francoforte, appartenente ad una famiglia che per generazioni aveva fornito agli Hohenzollern dei burocrati, e si sarebbe trovato molto più a suo agio nella insipida, coscienziosa amministrazione di Federico Guglielmo II, che non nell'atmosfera febbrile della «politica mondiale». (cap. IX. La crisi della Germania degli Hohenzollern, p. 201)
  • [Theobald von Bethmann-Hollweg] Colto, simpatico, onesto, trasudava buone intenzioni: desiderava una riconciliazione con la Russia, buoni rapporti con l'Inghilterra, giustizia persino con gli slavi meridionali, collaborazione persino con i socialdemocratici. Tutto quel che gli mancava era un qualsiasi senso del potere; e avvenne così che questo «grande gentiluomo» (un termine tratto dalle eleganti pagine di Gooch[4]) divenne, grazie alla sua stessa irresponsabilità, il responsabile della crisi di Agadir, della violenza militare a Saverne, della violazione della neutralità belga, della deportazione di popolazioni vinte, e della guerra sottomarina illimitata: crimini che andavano molto al di là di quelli di Bismarck, tutti estremamente ripugnanti a Bethmann, ma sorretti tutti dalla sua inesauribile coscienza di funzionario di Stato. (cap. IX. La crisi della Germania degli Hohenzollern, pp. 201-202)
  • Il piano di guerra tedesco [il piano Schlieffen, usato nella prima guerra mondiale], formulato meditatamente dallo stato maggiore e dato inconsciamente per scontato dal popolo tedesco, era un piano per una guerra breve, una ripetizione dei successi del 1866[5] e del 1870[6]. La Francia doveva essere sconfitta in sei settimane, la Russia in sei mesi; l'Inghilterra, divisa all'interno e priva di un esercito continentale, sarebbe stata esclusa dall'Europa. Di qui l'assenza di ben definiti obiettivi di guerra; di qui la resa di tutti i partiti al potere militare; di qui il fatale metodo di finanziamento della guerra per mezzo di prestiti e di carta moneta: un'indennità avrebbe rimesso tutto a posto entro pochi mesi. Nel settembre 1914 questo piano andò incontro al disastro nella battaglia della Marna, gloria imperitura delle armi francesi. L'occasione di una vittoria rapida si affievolì, scomparve. (cap. IX. La crisi della Germania degli Hohenzollern (1906-1916), pp. 210-211)
  • La repubblica creata dall'assemblea costituente di Weimar durò in teoria quattordici anni, dal 1919 al 1933. La sua vita effettiva fu più breve. I suoi primi quattro anni si consumarono nella confusione politica ed economica che seguì la prima guerra mondiale, e durante i suoi ultimi tre anni vi fu una dittatura temporanea, a metà rivestita di legalità, che ridusse la repubblica a una farsa molto prima che venisse apertamente rovesciata. (cap. XI. Interregno repubblicano (1919-1930), p. 242)

Storia della prima guerra mondiale

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Il 28 giugno 1900 l'arciduca Francesco Ferdinando sposava la contessa Sofia Chotek: fu una cerimonia triste e dimessa. L'arciduca era l'erede al trono degli Asburgo e a tempo debito sarebbe divenuto imperatore d'Austria e re d'Ungheria e di qualche altra cosa ancora. Invece Sofia Chotek era solo una contessa, cioè non aveva titoli sufficienti per sposare un principe imperiale della casa d'Asburgo. I figli nati da quel matrimonio non potevano entrare nell'ordine di successione. Francesco Ferdinando firmò la rinunzia. La contessa pertanto non poté diventare arciduchessa né tanto meno altezza imperiale. Molti devoti sostenitori della monarchia ne trassero cattivi auspici per la dinastia degli Asburgo. Ma nessuno poteva intuire che Francesco Ferdinando aveva fissato la data della sua morte il giorno stesso delle nozze, e tanto meno che queste avrebbero portato alla morte milioni di persone. Fu infatti questo matrimonio che dette fuoco alle polveri della prima guerra mondiale.

Citazioni

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  • Gli uomini sono riluttanti a credere che grandi eventi possono avere piccole cause, e pertanto, scoppiata la guerra, ci si convinse che essa doveva essere stata il prodotto di forze sotterranee e inarrestabili. Ma, anche studiando i fatti con la massima attenzione, queste forze per la verità sono ben difficili da scoprire. Nessuno aveva realmente l'intenzione di provocare una guerra. Fu soprattutto una questione di errore di calcolo [...] I colossali eserciti, messi insieme per garantire la sicurezza e difendere la pace, trascinarono alla guerra le nazioni con la forza del loro stesso peso. (1914, pp. 11-12)
  • Il giorno di Natale [del 1914] il fuoco venne sospeso lungo tutto il fronte[7], e soldati inglesi e tedeschi si incontrarono nella terra di nessuno, scambiandosi chiacchiere e sigarette; in certe zone furono perfino improvvisate partite di calcio. Scene del genere si ripeterono il giorno dopo; poi, dopo qualche rabbuffo da parte dei Quartieri generali, il fuoco riprese. Nel frattempo, nelle chiese la gente pregava per la vittoria e la strage di quegli uomini che si stavano scambiando chiacchiere e sigarette. (1914, p. 41)
  • La battaglia della Somme si iniziò con un bombardamento di cinque giorni lungo un fronte di oltre 28 chilometri che doveva distruggere gli sbarramenti di filo spinato e la prima linea nemica; si riuscì invece soltanto a crivellare il terreno di crateri che resero più difficile l'avanzata. I crateri, inoltre, fornirono ai tedeschi delle eccellenti postazioni per le mitragliatrici, specie dopo la distruzione delle trincee. (1916, p. 96)
  • Il 1º luglio [1916, inizio della battaglia della Somme] gli inglesi ebbero 60.000 uomini fuori combattimento, di cui 20.000 morti, e fu il giorno più sanguinoso della prima guerra mondiale. (1916, p. 97)
  • Fu nel 1917 che, lo si può ben dire, finì la storia d'Europa e cominciò la storia mondiale: il 1917 fu l'anno di Lenin e di Wilson, due uomini che, ciascuno a suo modo, ripudiarono i tradizionali schemi di comportamento politico. Entrambi miravano al Regno di Utopia, al paradiso in terra. Nacque allora il nostro mondo, il nostro modo di essere uomini moderni. (1917, p. 119)
  • Il 24 ottobre [1917] nove divisioni austriache e sei divisioni tedesche attaccarono a Caporetto, sfondando le linee italiane per una quindicina di chilometri di ampiezza. L'intero fronte italiano cedette e l'esercito fu costretto ad una ritirata disastrosa; i casi di ammutinamento furono relativamente pochi, ma molti soldati italiani rifiutarono di combattere. Gli austriaci presero 250.000 prigionieri e corse voce che altri 400.000 italiani avessero disertato. Cadorna tentò di organizzare una linea di difesa sul Tagliamento, ma non vi riuscì e l'esercito italiano indietreggiò fino al Piave. (1917, pp. 140-141)
  • Nel 1924 Mussolini introdusse il grado di Maresciallo nell'esercito italiano, e il primo ad esserne insignito fu proprio Cadorna. Sebbene infatti il suo nome sia spesso associato alla disfatta di Caporetto, bisognerebbe più giustamente riconoscere al generale il merito di aver salvato l'Italia. (1917, p. 141)
  • L'impero asburgico si dissolse quasi contemporaneamente [a quello ottomano]: i due antichi nemici, divenuti alleati solo per mezzo della Germania e spinti dalla necessità di far fronte ad un comune avversario, scomparvero assieme nel limbo delle cose dimenticate. L'economia austriaca era in stato comatoso: i treni non viaggiavano più, le città erano prive di cibo e di carbone, bande di disertori vagavano per la campagna vivendo di saccheggi. (1918, p. 176)
  • [...] Wilson, che si aspettava di dover costringere gli Alleati a inghiottire la sua Società [delle Nazioni], fu costretto a resistere ai loro tentativi di trasformarla in una realtà concreta. (Dopo: 1919, p. 187)
  • Dopo mesi e mesi di lavoro, la conferenza [Conferenza di pace di Parigi (1919-1920)] riuscì finalmente a mettere insieme alla meglio la sicurezza collettiva, le indennità di guerra, la rapacità degli Alleati e la giustizia. La Germania fu disarmata: non avrebbe mai potuto avere aerei militari, né flotta, né carri armati, né cannoni di grosso calibro; un'apposita commissione alleata avrebbe controllato che quelle disposizioni venissero osservate. (Dopo: 1919, p. 190)
  • Alla fine della guerra alcuni grandi economisti, come J. M. Keynes, avevano predetto che il massimo problema del futuro sarebbe stato un impoverimento generale, poiché, a parer loro, la produttività mondiale era diminuita per sempre. Sbagliavano: di lì a dieci anni il problema numero uno dell'umanità divenne la sovrapproduzione. La guerra, invece di indebolire le risorse economiche, le aveva stimolate in modo eccessivo. (Dopo: 1919, p. 200)
  • La prima guerra mondiale aveva avuto le sue radici più profonde nel problema della Germania. I tedeschi infatti si erano messi in quell'avventura per conquistare un dominio politico pari alla loro potenza economica, gli Alleati per impedirlo. La guerra non risolse la questione; anzi col suo esito la rese più grave che mai: la Germania rimase unita, orgogliosa, potente. Con tutti i contrassegni di una Grande Potenza. (Dopo: 1919, p. 201)

Tutti i popoli lottarono per un mondo migliore pur senza perdere di vista possibili vantaggi per il loro paese. Ludendorff definì i soldati inglesi «leoni guidati da un branco di somari», ma la definizione vale non solo per gli inglesi o per i soldati: tutti i popoli si trovarono nella stessa barca. La guerra così come si andò evolvendo era troppo oltre le capacità dei generali e degli uomini politici del tempo. Clemenceau aveva detto: «La guerra è una cosa troppo seria perché si possa lasciarla ai generali». L'esperienza dimostrò che era una cosa troppo seria anche per lasciarla agli uomini politici.

  1. Primo incontro, dal 28 novembre al 1º dicembre 1943, dei tre grandi alleati della seconda guerra mondiale.
  2. Churchill, Roosevelt e Stalin.
  3. Membro dell'aristocrazia terriera prussiana, Cfr. voce su Wikipedia.
  4. George Peabody Gooch (1873–1968), giornalista e storico britannico.
  5. La guerra austro-prussiana, Cfr. voce su Wikipedia.
  6. La guerra franco-prussiana, Cfr. voce su Wikipedia.
  7. La cosiddetta tregua di Natale.

Bibliografia

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  • A. J. P. Taylor, Storia della Germania (The course of german history), traduzione dall'originale inglese di Alberto Aquarone, Longanesi, Milano, 1971.
  • A. J. P. Taylor, Storia della prima guerra mondiale (The First World War - An Illustrated History), traduzione di Piero Pieroni, Vallecchi, Firenze, 1967.

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