Vite parallele

opera di Plutarco

Voce principale: Plutarco.

Le Vite parallele di Plutarco (in greco antico: Βίοι Παράλληλοι) sono una serie di biografie di uomini celebri scritte dalla fine del I secolo al primo quarto del II secolo.

Citazioni modifica

  • Il non errar mai, o compagni, negli affari grandi è atto di natura maggiore che non è la umana: ma il servirsi de' falli passati per ammenda del futuro, è opera di persona virtuosa e prudente. (Fabio Massimo, XIII; 1859-1865, vol. I, 1859, p. 429)
  • Crearono legislatore Agesilao, il quale senza aggiugnere alla legge, o levare o cangiare, entrato in consiglio, disse far di mestieri che in quel giorno dormissero le leggi, e nel seguente ripigliasser l'autorità per l'avvenire. (Agesilao, XXX; 1859-1865, vol. IV, 1863, p. 96)
  • [...] la città caduta in fortune avverse per debolezza è paurosa, ha l'orecchie troppo delicate a sopportare la lingua libera e corrente a dimostrare il vero, qualora più bisogna, e lo stato presente delle cose non comporta che si ricordi il fallo commesso. E però questo punto è assolutamente pericoloso nel governo della repubblica, la quale perde insieme colui che parla a grado del popolo, e l'altro che non adula. (Focione, II; 1859-1865, vol. IV, 1863, pp. 395-96)
  • La dottrina stoica ha un non so che di rischioso e audace per gli animi grandi e impetuosi, ma se si unisce a profondità di sentimento e mitezza di carattere, contribuisce moltissimo allo svolgersi della bontà naturale.[1]

Teseo modifica

Incipit modifica

I geografi, o Sossio Senecione, nei loro atlanti relegano ai margini delle tavole le parti della terra che sfuggono alle loro conoscenze, dandone ragione con note come «le zone qui oltre sono deserti di sabbia, senz'acqua e popolate da bestie feroci» oppure «oscure paludi» o «gelo scitico» o anche «mare ghiacciato». Così per me, dopo aver percorso nella composizione delle «Vite Parallele» tutto il tempo fin dove è possibile che arrivi un discorso verosimile e che sia accessibile a una ricerca fondata sui fatti, per quanto riguarda i tempi più antichi potrei dire: «La storia più remota, piena di eventi prodigiosi e drammatici, è dominio dei poeti e dei narratori di favole: non offre alcuna attendibilità e sicurezza». Ma dopo aver pubblicato la «Vita di Licurgo» il legislatore, e del re Numa, mi parve non irragionevole risalire sino a Romolo, essendo arrivato con la mia storia vicino ai suoi tempi. E pensando dentro di me «Chi a siffatto uomo (secondo quanto si legge in Eschilo) potrà stare a confronto? Chi gli porrò di contro? Chi può con lui competere?», mi parve bene di mettere a confronto e di paragonare col padre dell'invitta e gloriosa Roma l'ecista della bella e famosa Atene. Mi auguro che l'elemento mitologico, da me depurato, sottostia a quello razionale e assuma aspetto storico.

[Plutarco, Vita di Teseo, traduzione di A. Traglia, UTET, 1992.]

Romolo modifica

Citazioni modifica

  • Infatti, quelli che erano chiamati patrizi non partecipavano alle vicende politiche, ma era rimasto loro solo il nome e la carica: si riunivano nel Senato più per abitudine che per esprimere il loro parere. Poi ascoltavano in silenzio gli ordini di colui che deteneva il potere e si differenziavano dal popolo per il vantaggio di ascoltare per primi quello che da lui era comandato. (27, 2)

Solone modifica

Citazioni modifica

  • Dopo aver preso parte a una seduta dell'Ecclesía, Anacarsi disse di meravigliarsi anche di questo, che presso i Greci parlano i sapienti, ma decidono gli ignoranti. (5, 6)
  • Irragionevole e vile, però, è l'uomo che rinuncia all'acquisto di un bene necessario per paura di perderlo. Secondo questo modo di pensare, nessuno potrebbe amare il possesso della ricchezza, della fama, della sapienza, per timore di poterlo perdere. (7, 1)

Temistocle modifica

Citazioni modifica

  • [...] alzando Euribiade il bastone in atto di voler batterlo, disse Temistocle: Batti pure e ascoltami. (XI; 1859-1865, vol. I, 1859, p. 274)
  • Ho scelto l'uomo simpatico a preferenza del ricco; preferisco un uomo senza denaro al denaro senza un uomo.
«Preferisco un uomo senza quattrini, piuttosto che quattrini senza uomo.»
  • Diceva poi che gli Ateniesi non lo onoravano né lo ammiravano, ma nel momento del pericolo correvano da lui come riparandosi sotto un platano allo scoppio di un temporale; ma poi, tornato il bel tempo, sfrondavano l'albero e ne tagliavano i rami. (18, 4)
  • Avendogli detto un tale di Sèrifo che non per se stesso era celebre, ma per la sua città, gli rispose: "È vero quel che tu dici, ma come io non sarei divenuto famoso se fossi stato di Sèrifo, così neanche tu se fossi stato di Atene". (18, 5)
  • [...] la parola dell'uomo si rassomiglia agli arazzi storiati: nell'una e negli altri si veggono le imagini quando si spiegano, e s'ascondono e guastano qualora si ripiegano. (XXIX; 1859-1865, vol. I, 1859, p. 293)

Nicia modifica

Citazioni modifica

  • Dato dunque un rapido ed essenziale accenno a quei fatti narrati da Tucidide e Filisto che non è possibile trascurare del tutto perché con particolare chiarezza rivelano il carattere e il comportamento dell'uomo nascosti sotto le molte e gravi vicende (tutto ciò per non sembrare pigro e trascurato), ho cercato di raccogliere i particolari che sfuggono ai più e che altri hanno esposto in modo non sistematico, o che si trovano su monumenti o decreti antichi, non già raccogliendo in tal modo una documentazione inutile, ma quella che consente di conoscere carattere e modo di comportarsi di Nicia. (1, 5, traduzione di D. Magnino)
  • [...] e presero una nave nemica, la quale portava le tavole dove registrati erano per tribù i siracusani medesimi. Queste tavole riposte teneansi, lungi dalla città, Nel tempio di Giove Olimpio; ma allora trasportate veniano a Siracusa per far il ruolo di quelli che in età erano da trattar l'armi. (3, 27[2])
  • Sia i giovani nelle palestre, sia gli anziani nelle botteghe o seduti nei luoghi di ritrovo disegnavano carte geografiche della Sicilia e del mare che la circonda con i porti e i punti della costa dell'isola che guarda l'Africa. (12, 1-2[3])

Demostene modifica

Incipit modifica

L'autore dell'elogio di Alcibiade per la vittoria da lui conseguita ad Olimpia nella corsa dei carri, sia che si tratti di Euripide, secondo l'opinione prevalente, sia che si tratti di un altro, sostiene, o Sosio Senecione, che la condizione prima per godere della felicità è di appartenere a "una città illustre". Dal canto mio invece penso che per essere veramente felici siano di fondamentale importanza il carattere e la disposizione d'animo e che sia del tutto irrilevante avere avuto i natali in una patria oscura e umile, così come lo è avere una madre non bella e bassa di statura. Sarebbe ridicolo infatti ritenere che Iulide, che costituisce una piccola parte della piccola isola di Ceo, ed Egina (che un Ateniese avrebbe voluto levare dalla vista del Pireo come si leva un bruscolo da un occhio), hanno sì nutrito buoni attori e poeti ma non potrebbero dare i natali a un uomo giusto, padrone di sé, saggio e magnanimo. Di fatto è logico che nelle città oscure e umili le arti e le tecniche alle quali ci si dedica per procurarsi guadagni e fama non possano fiore, mentre le virtù, al pari di una pianta forte e capace di sostentarsi da sé, può mettere radici dovunque, se appena trova una natura buona e un animo capace di affrontare le fatiche. Così anche noi, se non saremo in grado di pensare e vivere come è necessario, non ne attribuiremo la responsabilità al fatto di vivere in una piccola patria ma, come è giusto, a noi stessi.

Citazioni modifica

  • Sembra che il dio, formando da principio Cicerone simile a Demostene, gli abbia dato varie caratteristiche naturali analoghe, come l'ambizione, l'amore di libertà nella attività politica, la mancanza di coraggio di fronte a guerre e pericoli, ma anche molte vicende casuali dello stesso tipo. Credo che non si potrebbero trovare due altri oratori che da oscuri e insignificanti siano diventati influenti e celebrati, che abbiano dato contro a re e tiranni, abbiano perso ciascuno la figlia, siano stati esiliati, siano ritornati con onore, e di nuovo siano fuggiti e siano stati catturati dai loro nemici, e che abbiano poi concluso la vita nel momento in cui tramontò la libertà dei loro concittadini, cosicché, se ci fosse contesa tra la natura e la fortuna come c'è tra gli artisti, sarebbe difficile definire se la natura ha reso i due uomini più simili per carattere di quanto non li abbia uguagliati la fortuna nelle circostanze della vita. (3, 2-5)
  • Quando questi ultimi [Eschine e Filocrate] lodarono Filippo come un uomo abilissimo nel parlare e bellissimo da vedere e, per Zeus, ottimo bevitore, Demostene non poté fare a meno di gettare il discredito e la derisione su questi discorsi dicendo che il primo elogio era adatto a un sofista, il secondo a una donna, il terzo a una spugna, nessuno a un sovrano. (16, 4)


Explicit modifica

Poco prima che io giungessi ad Atene, accadde, si dice, il fatto che segue. Un soldato, chiamato in giudizio dal suo comandante, pose il poco oro che possedeva nelle mani della statua dell'oratore, che tiene le dita intrecciate. Là accanto era nato un piccolo platano; molte foglie, o spinte per caso dal vento o ammucchiate dal soldato stesso che aveva posto l'oro per nasconderlo, cadute e posatesi sopra le mani, fecero sì che l'oro restasse celato per non poco tempo. Quando l'uomo tornò ritrovò l'oro e la voce si diffuse; al che molti spiriti arguti colsero l'occasione per fare a gara nel celebrare in versi l'incorruttibilità di Demostene. Ma Demade non godette a lungo della sua odiosa fama; la giusta vendetta di Demostene lo condusse in Macedonia, dove fu meritatamente ucciso per mano di coloro che egli adulava in modo vergognoso; anche in precedenza era loro odioso ma ora cadde sotto il peso di un'accusa cui non poté sfuggire: saltò fuori infatti una sua lettera nella quale esortava Perdicca a impadronirsi della Macedonia e a salvare i Greci che, diceva, erano tenuti da un filo marcio e vecchio, intendendo con ciò Antipatro. Ad accusarlo fu Dinarco di Corinto; Cassandro, al colmo dell'ira, gli fece sgozzare il figlio tra le braccia, poi ordinò che anche lui venisse ucciso allo stesso modo. Così Demade imparò, in conseguenza di queste gravissime sventure, che i traditori vendono anzitutto se stessi, cosa che Demostene gli aveva spesso detto senza per altro che egli se ne persuadesse. Eccoti dunque, o Sosio, la vita di Demostene, che ho scritto basandomi su quello che ho letto o che la tradizione tramanda.

Timoleonte modifica

Citazioni modifica

  • Apparve allora il Crimiso e si videro i nemici che lo stavano attraversando: in testa le quadrighe con le loro terribili armi e già pronte alla battaglia, dietro diecimila opliti armati di scudi bianchi e che, a giudicare dallo splendido armamento, dalla lentezza e dall'ordine con cui marciavano, si suppose che fossero Cartaginesi. (27)
  • Diogene: O Dionisio, tu vivi in una condizione indegna di te.
    Dionisio si fermò e rispose:
    Dionisio: O Diogene, mi fa piacere che tu abbia compassione delle mie sventure.
    Diogene: Che dici?...
    Riprese Diogene.
    Diogene: ...credi che io mi addolori per le tue sventure? Io sono sdegnato invece di vedere che uno schiavo quale sei, degno di invecchiare e morire da tiranno come tuo padre, viva qui con noi divertendosi e godendo.
  • E quindi si impari, che le menti umane, qualora non acquistaron fermezza e forza dalla ragione e dallo studio della filosofia, sono nel menare le grandi imprese a fine, agevolmente scosse e trasportate da qualunque leggier laude e biasimo, e da' lor proprii discorsi vengono traviate. Perché conviene che l'azione sia non solamente onorata e giusta in sè, ma che parimenti l'intenzione da cui procede sia stabile, e non soggetta a cangiamento, acciò non facciamo opera che non abbiamo prima approvata per buona; e non ci avvenga come a' golosi, i quali bramando con avidissimo appetito alcuna vivanda di quelle che ristuccano, non prima ne sono sazii, che ne sentono la nausea. Così noi, dopo che terminammo alcuna nostr'opera, ci affliggiamo quando vien meno in noi l'imaginazione che fusse onesta, la quale ci mosse a farla: perché il pentimento ogni nostro buon fatto fa riuscir biasimevole: là dove la volontà procedente da certa conoscenza e da saldo discorso non si cangia mai, eziandio qualora non avesse l'opera nostra buon fine. (VI; 1859-1865, vol. II, 1859, p. 115)
  • Raccontano, infatti, che secondo il mito la Sicilia è sacra a Core poiché qui avvenne il suo rapimento e perché l'isola fu offerta alla dea come dono di nozze. (8,8)
  • Un giorno che si erano messi a pescare insieme, discutevano pieni di meraviglia della bellezza del mare e della magnificenza dei luoghi e uno, che militava nelle file dei Corinzi, disse: Voi, che pure siete Greci, vi date da fare per asservire ai barbari una città così grande e adorna di tali bellezze, permettendo che i Cartaginesi, i più malvagi e i più crudeli degli uomini, abitino vicino a noi, quando invece bisognerebbe pregare perché molte Sicilie si estendessero davanti alla Grecia per proteggerla dai Cartaginesi. (20, 2-11)

Lucio Emilio Paolo modifica

Incipit modifica

Il mio approccio al genere biografico è avvenuto per sollecitazione altrui. Se tuttora tale attività continua a procurarmi soddisfazione, ciò è dovuto al mio desiderio di perseguire un determinato scopo: forgiare la mia vita servendomi della biografia come di uno specchio attraverso il quale si riflettono le doti del protagonista. Il risultato è un dialogo ininterrotto, una simbiosi con i nostri eroi, ciascuno dei quali diventa via via nostro ospite: attraverso il racconto entriamo in contatto con il protagonista, lo ospitiamo. Ricordando quanto grande e bello sia stato, dal suo agire cogliamo l'aspetto migliore del suo carattere. Ah, quale maggior piacere si potrebbe ricavare e quale insegnamento più efficace per migliorare il nostro carattere?

[Plutarco, Vita di Emilio, traduzione di D. Magnino, UTET, 1998.]

Citazioni modifica

  • [...] dissolvono i principali fondamenti d'un governo quelli i quali sdegnano la cura d'osservar diligentemente gli ordini d'una città per piccioli che sieno. (III; 1859-1865, vol. II, 1859, pp. 157-58)
  • [...] stimando che il vincere i nimici fusse poco più che un accessorio al pregio di ben instruire i cittadini. (III; 1859-1865, vol. II, 1859, p. 158)

Sertorio modifica

Incipit modifica

Non ci si dovrebbe stupire, se, mutando variamente la Fortuna il suo corso, in uno spazio di tempo infinito i medesimi avvenimenti si ripetono.

Citazioni modifica

  • La perseveranza serve più della violenza: molte cose che non possono essere superate tutte assieme lo sono se prese poco a poco. (16, 4)

Pelopida modifica

Incipit modifica

Catone l'antico rispose un giorno a certi, che lodavano un uomo temerario senza ragione, e di soverchio ne' perigli di guerra ardito, che gran differenza era infra 'l pregiar molto la virtù, e 'l far picciola stima della sua vita; e fu ben detto.[4]

Citazioni modifica

  • E avendo Antigono nell'esercito un soldato coraggioso, ma indisposto, e col corpo guasto, e domandandogli una fiata, perché fusse sì pallido, confessò d'avere infermità da non isvelarsi: ma avendo il re affettuosamente comandato a suoi medici, che non lasciassero diligenza, per estrema che fusse, in ben curarlo, questo generoso, ricovrata la sanità, non fu più amico del rischi, né tanto fiero nel combattere, di maniera che Antigono ne lo riprese, maravigliato di cotal cangiamento. Non tacque costui la cagione, e replicò: O re, voi mi rendeste codardo col liberarmi da que' mali, per cui non tenni conto della vita. (1859-1865, vol. II, 1859; I, p. 205)
  • Callicratida [...] non dette una buona risposta quando, all'indovino che lo pregava di guardarsi dalla morte che le vittime sacrificate presagivano, disse che le sorti di Sparta non dipendevano da un solo uomo. (da Vita di Pelopida, 2, 1, traduzione di Stefano Bocci e Aristoula Georgiadou, 1998)
  • E dicendogli [a Pelopida] per ammonirlo gli amici, che mal faceva a disprezzare strumento sì necessario, come sono i beni, rispondeva loro: È vero che è necessario ma ad un simile a questo Nicodemo; additando un zoppo e cieco. (1859-1865, vol. II, 1859; III, p. 209)

Marcello modifica

Citazioni modifica

  • Ad un tratto entrò nella stanza un soldato romano che gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise. (19, 9[5])

Alessandro Magno modifica

Incipit modifica

Nell'accingermi a scrivere in questo libro la vita di Alessandro il Grande e di Cesare, il vincitore di Pompeo, considerata la massa degli accadimenti, null'altro dirò a modo di prefazione se non questo: i lettori non mi diano addosso se non riferisco tutti gli episodi, né narro in modo completo, ma, per lo più, in forma riassuntiva i più celebrati che prendo in esame. Il fatto è che non scrivo storia, ma biografia; e non è che nei fatti più celebrati ci sia sempre una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un breve episodio, una parola, un motto di spirito mette in luce il carattere molto meglio che non battaglie con migliaia di morti, grandissimi schieramenti di eserciti, assedi di città. Come dunque i pittori colgono la somiglianza dei loro soggetti dal volto e dalle espressioni degli occhi, dai quali si evidenzia il carattere, e pochissimo si curano delle altre parti del corpo, così mi si deve concedere di interessarmi di più di quelli che sono i segni dell'anima, e mediante essi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri la trattazione delle grandi contese.

[Plutarco, Vita di Alessandro Magno, UTET, 1998.]

Citazioni modifica

  • E Alessandro andò da Diogene. Lo trovò sdraiato al sole. Diogene, sentendo tanta gente che veniva verso di lui, si sollevò un po' e guardò Alessandro. Questi lo salutò affettuosamente e gli chiese se avesse bisogno di qualcosa che potesse fare per lui. «Scostati dal sole» rispose il filosofo. (14, 4)

Giulio Cesare modifica

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  • E Cesare, parlando sul serio, disse loro: «Vorrei essere il primo tra costoro piuttosto che il secondo a Roma». (11, 4)
  • Bruto era in atto di far passar l'esercito da Abido alla riva opposta, e posava, secondo il suo costume, di notte, sotto al padiglione, non dormendo, ma all'avvenire pensando: perché se fu mai capitano che poco dormisse, egli fu desso, e per sua natura dimorava vigilante il più del tempo: parveli sentire grande strepito alla porta, e guardando al lume della lucerna vicina a spegnersi, vide terribile imagine d'uomo strano, grande e d'orribile aspetto. Di che spaventato in principio, come vide poi non far male, né parlare, ma tacito starsi appresso al letto, domandò chi fusse. Costui risposte: Sono, o Bruto, il tuo mal genio, e mi rivedrai appresso Filippi. (da Vita di Giulio Cesare, IV, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 740)

Licurgo modifica

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  • Bisogna sapere che a Sparta regnava un'abominevole disparità di condizioni sociali tra i cittadini e vi si aggirava un gran numero di diseredati, che non possedevano un palmo di terra, perché tutta la ricchezza era concentrata nelle mani di poche persone... Licurgo ripartì il territorio della Laconia in 30.000 lotti, dati in assegnazione agli abitanti del contado, i Perieci, e quello dipendente dalla città in 9.000, quanti erano gli Spartani veri e propri. (8[6])

Lisandro modifica

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  • [Dopo la battaglia di Egospotami] Lisandro, poiché decretata fu dal consesso la morte ai tremila Ateniesi prigionieri di guerra, fattosi venir innanzi Filocle, comandante degli Ateniesi medesimi, lo interrogò, a qual gastigo condennasse egli sè stesso per aver già consigliata a' suoi cittadini una tal determinazione contro gli altri Greci che restati fosser prigioni [tagliare a ognuno di loro il pollice della mano destra]: e costui, senza rallentar punto il coraggio suo per la calamità in cui si trovava, gli rispose, che accusar ei non volesse chi non avea giudice alcuno a cui poter ricorrere; ma che essendo vincitore facesse pur eseguire quanto dovuto avria sostenere, se rimanea vinto. (da Vita di Lisandro, 13, 1, traduzione di Girolamo Pompei, 1829)

Dione modifica

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  • [Filisto dice che] Gli Ateniesi [...], grazie a un solo sofista [Platone], volevano abbattere la tirannide di Dionisio, convincendolo a disfarsi delle sue diecimila guardie e ad abbandonare le quattrocento triremi, i diecimila cavalieri e una fanteria di molte volte maggiore, per andare a cercare nell'Accademia quel suo 'bene' misterioso e diventare felici in virtù della geometria. (Dione, 14, 3[7])

Demetrio modifica

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  • [Demetrio I Poliorcete] Grande amatore, grande bevitore, grande capitano, munifico, sprecone, insolente. Era alto di statura: i suoi lineamenti erano di una bellezza tanto singolare, che non ci fu scultore né pittore capace di ritrarla. Essi possedevano dolcezza e severità, terribilità e grazia: vi rifulgevano l'audacia di un giovane, l'aspetto di un eroe e la maestà di un re. Alla stessa maniera era conformato il suo carattere, tale cioè da sbigottire e attrarre chi aveva a che fare con lui. (citato in Nella Provenzal, Demetrio Poliorcete, Historia, n. 245, luglio 1978, Cino del Duca)

Citazioni sulle Vite parallele modifica

  • Dinanzi alle sue creature Plutarco non ha mai un atteggiamento acritico. È longanime come può esserlo solo un drammaturgo che opera sempre con molti personaggi dai caratteri diversi e in particolare con le loro diversità. Per questo ha esercitato due generi di influenza. Alcuni hanno ricavato i loro modelli da lui, come da un libro di oracoli, e hanno modellato la propria vita in conformità. Altri hanno assunto dentro di sé i suoi quasi cinquanta personaggi e sono così divenuti o rimasti drammaturghi. (Elias Canetti)
  • Diventò la mia lettura preferita. Il piacere che prendevo a rileggerlo di continuo mi guarì un po' dai romanzi e, ben presto, preferii Agesilao, Bruto, Aristide a Orondate, Aliamene e Giuba. Da queste letture interessanti, dalle conversazioni cui davano origine tra me e mio padre derivò la formazione di quello spirito libero e repubblicano, di quel carattere indomabile e fiero, insofferente alle costrizioni e alla servitù, che mi ha tormentato per tutta la vita nelle situazioni meno propizie per svilupparlo. (Jean-Jacques Rousseau)
  • Io aveva dodici anni, e seguiva nel collegio convitto di Cuorgné Canavese il corso che allora si chiamava di terza grammatica. Un collega mise in lotteria alcuni volumi per pochi soldi. Presi un numero e vinsi. I volumi, editi dal Pomba di Torino, contenevano le vite parallele di Plutarco tradotte dal Pompei. All'infuori dei libri di scuola, fu quella la prima opera da me letta. Dopo allora lessi molti libri. Posso anzi dire con qualche fondamento, che fra i miei coetanei pochi lessero più di me libri di ogni materia e d'ogni letteratura. Ma il mio modesto Plutarco (dico modesto per il formato) mi fu compagno nella vita, fu da me riletto sovente, e consultato sempre. Il mestiere che esercito è di quelli che non s'imparano sulla carta. Io debbo quel poco che valgo in esso, in primo luogo alla famigliarità usatami da Camillo di Cavour, che mi fu maestro e mi volle suo collaboratore e amico; e poi a quello studio d'uomini e di cose che si fa sulla vera scena degli eventi umani, e non sui libri. Ma se alcuno di questi mi giovò in qualche parte, devo nominare, prima di ogni trattato, e insieme col Corpus juris di Giustiniano, le vite parallele di Plutarco. (Costantino Nigra)
  • Ma il libro dei libri per me, e che in quell'inverno mi fece veramente trascorrere dell'ore di rapimento e beate, fu Plutarco, le vite dei veri grandi. Ed alcune di quelle, come Timoleone, Cesare, Bruto, Pelopida, Catone, ed altre, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti, e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato. All'udire certi gran tratti di quei sommi uomini, spessissimo io balzava in piedi agitatissimo, e fuori di me, e lagrime di dolore e di rabbia mi scaturivano dal vedermi nato in Piemonte ed in tempi e governi ove niuna alta cosa non si poteva né fare né dire, ed inutilmente appena forse ella si poteva sentire e pensare. (Vittorio Alfieri)
  • Ora quelli [tra gli storici] che scrivono le vite, in quanto si intrattengono più nei disegni che nei fatti, più in ciò che viene dal di dentro che in ciò che accade di fuori, quelli me li sento più vicini. Ecco perché, in ogni modo, Plutarco è il mio uomo. (Michel de Montaigne)
  • Plutarco eccelle proprio per quei particolari nei quali non osiamo più entrare. Ha una grazia inimitabile nel dipingere i grandi uomini nelle piccole cose; ed è così felice nella scelta delle sue notazioni, che spesso una parola, un sorriso, un gesto gli basta per caratterizzare il suo eroe. Con una battuta di spirito Annibale rassicura l'esercito spaventato e lo fa marciare ridendo verso la battaglia che lo rese padrone dell'Italia. Agesilao che si diverte a cavalcare un bastone mi fa amare il vincitore del grande re. Cesare, mentre chiacchiera con gli amici attraversando un piccolo villaggio, ci svela senza accorgersene quanta malizia fosse in lui, allorché affermava di voler essere soltanto eguale a Pompeo. Alessandro inghiotte un farmaco sospetto, senza dire una parola: è il più bel gesto della sua vita. Aristide scrive il suo nome sopra una conchiglia e giustifica così il suo soprannome. Filopemene, deposto il mantello, spacca la legna nella cucina del suo ospite. Questa è la vera arte del dipingere. (Jean-Jacques Rousseau)

Note modifica

  1. Vita di Cleomene, 2. Citato in AA. VV., I frammenti degli stoici antichi, 2 voll., a cura di Nicola Festa, Laterza, Bari, 1932-1935, vol. II, p. 179.
  2. Da Vite parallele, traduzione di Girolamo Pompei, Le Monnier, Firenze, 1845, vol. 3, p. 1.
  3. Da Nicia Crasso, introduzione di Luciano Canfora, traduzione e note di Daniela Manetti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1987
  4. Plutarco, Le vite parallele, 6 voll., traduzione di Marcello Adriani il giovane, riscontrate col testo greco e annotate da Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni, Le Monnier, Firenze, 1859-1865, vol. II, 1859.
  5. Traduzione di C. Carena, volume II, Milano, 1974, p. 217.
  6. Traduzione di C. Carena.
  7. Giulio Maria Chiodi, Roberto Gatti, La filosofia politica di Platone, Franco Angeli, 2008, p. 64. ISBN 9788846494634

Bibliografia modifica

  • Plutarco, Le vite parallele, 6 voll., traduzione di Marcello Adriani il giovane, riscontrate col testo greco e annotate da Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni, Le Monnier, Firenze, 1859-1865, voll. I, II, III, IV, V, VI.
  • Plutarco, Vite parallele, a cura di Antonio Traglia, UTET, 1992.
  • Plutarco, Vite parallele, a cura di Domenico Magnino, UTET, 1998.
  • Plutarco, Vita di Demostene, traduzione di Chiara Pecorella Longo, Beatrice Mugelli e Lucia Ghilli, Rizzoli, 1995. ISBN 978-88-17-17052-9
  • Plutarco, Vita di Sertorio, traduzione di Carlo Carena.
  • Plutarco; Vita di Timoleonte, a cura di Carlo Carena, Einaudi, 1958.

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