Igino Ugo Tarchetti

scrittore, poeta e giornalista italiano
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Iginio Ugo Tarchetti (1839 – 1869), scrittore italiano.

Iginio Ugo Tarchetti

Citazioni di Igino Ugo Tarchetti

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  • Fuggimi, o cara, un aspide | sotto il mio vel si cela: | strappa la larva d'angelo | e un demone si svela. (da Amore nascente)
  • Il carattere degli inglesi è freddo e pacato, ma nel fondo del loro cuore vi è sempre qualche cosa di palpitante e di vivo; essi lo sentono e subiscono spesso, loro malgrado, il predominio della loro natura lenta e inflessibile: le maggiori eccentricità inglesi non segnano sovente che il limite estremo dei maggiori sforzi che essi hanno fatto per dominarla e per vincerla.[1]
  • Io non vi farò una descrizione di questa orribile operazione chirurgica, né potrò parlarvi come vorrei delle sensazioni che vi ho provato. Certo è però che quando l'ultima fibra fu recisa e la gamba completamente distaccata, io sentii che non apparteneva più alla vita che per metà, che tutto in me si era mutilato, sconvolto, immiserito; che io sarei rimasto nel mondo, come una parte minima, come il frammento infinitesimale di un essere; che vi sarebbe sempre stata una metà di me che già perdutasi nel gran nulla mi vi avrebbe chiamato ad ogni istante, come avesse voluto precedermi.
    Non era il dolore fisico che mi opprimeva in quel momento, non il dolore morale: era una sensazione nuova, orrenda, profonda, inesplicabile. Credo che tutti coloro che subirono una tale mutilazione abbiano sentito per metà che cosa è il morire, ne abbiano indovinato per una parte il segreto.[2]
  • Le prime pagine del libro della vita contengono racconti deliziosi, profezie e presagi di felicità senza fine, ma le pagine di mezzo ne preparano al disinganno, le ultime alla rassegnazione; e spesso si butta il libro, e non si vive che delle memorie di ciò che si lesse.[3]
  • Quando bacio il tuo labbro pro. fumato, | cara fanciulla, non posso obbliare | che un bianco teschio v'è sotto celato. || Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso, | obbliar non poss'io, cara fanciulla, | che vi è sotto uno scheletro nascoso. (da Memento, 1867)
  • [Sulla U] Quella linea che si curva e s'inforca – quelle delle due punte che vi guardano immobili, che si guardano immobili – quelle delle due lineette che ne troncano inesorabilmente, terribilmente le cime – quell'arco inferiore, sul quale la lettera oscilla e si dondola sogghignando – e nell'interno quel nero, quel vuoto, quell'orribile vuoto che si affaccia dall'apertura delle due aste, e si ricongiunge e si perde nell'infinità dello spazio...[4]
  • Quella vecchia che ha il giovine abbracciato | si volge [...] ed era la fanciulla mia. (da Retrospettive)
  • Vorrei essere un'iena, addentrarmi nei sepolcri e pascermi delle ossa dei morti. A questo mondo io non vedo che teschi e stinchi. Se una donna mi bacia, io non sento che freddo; se mi sorride, vedo i suoi denti a muoversi senza gengive, minacciando di uscire di bocca; se mi abbraccia, non ho che la sensazione di un corpo stringente e pesante come la creta. (da Pensiero, 1867)

Mi sono accinto piú volte a scrivere queste mie memorie, e uno strano sentimento misto di terrore e di angoscia mi ha distolto sempre dal farlo. Una profonda sfiducia si è impadronita di me. Temo immiserire il valore e l'aspetto delle mie passioni, tentando di manifestarle; temo obbliarle tacendole. Perché ella è cosa quasi agevole il dire ciò che hanno sentito gli altri – l'eco delle altrui sensazioni si ripercuote nel nostro cuore senza turbarlo – ma dire ciò che abbiamo sentito noi, i nostri affetti, le nostre febbri, i nostri dolori, è compito troppo superiore alla potenza della parola. Noi sentiamo di non poter essere nel vero.
Ho pensato spesso con gioia alla rovina che il tempo va facendo nelle mie memorie; piú spesso vi ho pensato con dolore. Dimenticare! È uccidersi, è rinunciare a quell'unico bene che possediamo realmente e impreteribilmente, al passato. Ché se si potessero dimenticare soltanto le gioie, forse l'oblio potrebbe essere giustamente desiderato; ma dei nostri dolori. noi siamo superbi e gelosi, noi li amiamo, noi li vogliamo ricordare. Sono essi che compongono la corona della vita.

Citazioni

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  • Il passato è la misura del tempo che abbiamo percorso, la misura di quello che ci rimane a percorrere. Perciò noi lo teniamo caro, perché ci fa fede dell'accorciarsi progressivo dell'esistenza. Un'avidità febbrile di morire affatica inconsciamente gli uomini. Chi vorrebbe tornare indietro un'ora, un minuto, un istante nella sua vita? Nessuno; e pure si ama, e si rimpiange questo passato che si ha orrore di rinnovare. (cap. I, p. 8)
  • Il leggere molti libri, il meditare su molti non ha altro effetto che quello di renderci dubbiosi sulle nostre idee, incerti nei nostri pensamenti; non si sa piú a che cosa credere, e spesso si finisce col non credere più a nulla. Sono convinta che ogni libro che non diverte, fallisce al suo scopo; che ogni libro che fa pensare, nuoce. L'obbiettivo di ogni lavoro letterario dovrebbe essere la fantasia – non la testa che si guasta, non il cuore che sanguina – ma l'immaginazione che si esalta e gioisce. [...] Sorvolo sui libri [...] come sarei sorvolata sulla vita, se la vita fosse stata per me. [...] Non leggo né per imparare, né per pensare – abborro i libri di morale e di metafisica – leggo per dimenticare, per conoscere quali sono le gioie che il mondo dispensa ai felici e per goderne quasi di un eco. È tutto ciò che io possono fruire dell'esistenza: fuggire dalla realtà, dimenticare molto, sognare molto. (pp. 61 sg.)
  • L'esistenza non può essere tutta un sacrificio. La pietà non è che amore passivo, amore morto. (p. 62)
  • Oh, abbiate compassione! amatemi, amatemi; si ama un cane, una bestia... e perché non amerete me che sono una creatura come voi? (p. 77)
  • Non so se la felicità abbia il potere di renderci egoisti, o se l'egoismo sia una condizione assoluta della felicità. ma come mi sentiva mutato dacché ero felice! (cap. XXI, p. 81)
  • Le dolcezze del mondo son bandite da una vita veramente utile, e veramente benefica. Gli alberi che dànno frutti hanno fiori modesti e spesso inodori; i grandi fiori, quelli ricchi di petali e di profumi, non sbocciano quasi mai che sulle piante sterili e velenose.
    La virtù non ha fiori, ma ha frutti. (cap. XXII, p. 81)
  • [...] perché la compassione è il riflesso di un dolore altrui, e diventa un dolore proprio. Io so apprezzare la tua pietà, io te ne sono grata oerché sento che in te è ancora più meritoria dell'amore. (cap. XXVII, p. 93)
  • Un mezzo letterato, un mezzo artista, un mezzo poeta mi fanno orrore. hanno tutte le passioni sfrenate e biasimevoli deik grandi caratteri, senza averne una sola virtù. Ne hanno la vanità, l'orgoglio, l'ambizione, l'egoismo, senza un raggio di quella bontà improvvisa e passeggiera che ha il genio. Molti confondono l'ingegno col cuore; nulla di più erroneo. È provato che gli uomini più eminenti nella vita pubblica furono quasi sempre i più tristi nella vita privata. (cap. XXIX, p. 112)
  • Fino allora era stata una fanciulla, aveva conosciuto nulla del mondo; i miei dolori, benché grandi, erano stati in certo modo compensati da quelle illusioni, che l'inesperienza e la gioventù avevano ancora il potere di crearmi; possedeva ancora il segreto della fatua felicità dei giorvani – sapeva sperare; ora tutto erfa mutato, tutto l'edificio era caduto; io era rimasta sola colle mie passioni, colle mie infermità, colle mie debolezza; con tutte quelle miserie che la natura ha dato alla donna, senza il compenso d'una sola delle sue gioie. (cap. XXIX, p. 119)
  • L'amore il più elevato non ha altro fine che quello che ha l'amore il più ignobile, se non che questo vuol andarvi direttamente, quello per vie illusorie ed obblique. dare per pietà ciò che si dà per egoismo è poi sacrificio sì grande e sì raro, che pochi o nessuno lo può comprendere. (cap. XXXIV, p. 128)
  • Il tempo cancella le date impresse nel tempo, ma quelle che il dolore ha scolpite nel cuore degli uomini non si cancellano mai. (cap. XXXV)
  • Non ho voluto mai che illudermi. Sono io che vi ho amato, che vi amo, che voglio amarvi. È un impegno che ho contratto colla mia coscienza. Voglio che ci crediate, vi costringerò a crederci. Mi sono votata a voi, ho risolto di morire per voi. Aveva bisogno di uno scopo nella vita, l'ho trovato, lo raggiungerò. Non importa che non mi amiate, potete anche odiarmi, è tutt'uno; anzi preferirò il vostro odio alla vostra indifferenza; ciò di cui voglio assicurarmi è della vostra memoria; voglio costringervi a ricordarvi di me; quando vi avrò oppresso con tutto il peso della mia tenerezza, quando vi avrò seguito sempre e dappertutto come la vostra ombra, quando sarò morta per voi, allora non potrete piú dimenticarmi. Ecco perché vi ho seguito. (cap. XL, p. 50)
  • Tutta una vita non basterebbe a scontare questa felicità (poiché la felicità è cosa che si sconta). (cap. XLV)
  • Io pensai a Clara, alle menzogne che le avevano guadagnato il mio cuore, all'inganno bassamente concepito e stoltamente svelato... Oh! sì, Fosca soltanto aveva meritato il mio amore, ella sola mi aveva amato, ella che aveva sfidato il ridicolo, il disprezzo, la collera; ella che aveva rinunziato al suo orgoglio di donna, domandando per pietà ciò che altre dànno per debolezza, per vanità o per vizio. (cap. XLVIII, p. 177)

Non so se ci vedremo ancora, né quando (ci hanno sbalzati all'altro capo dell'Italia), ma se ciò avverrà spero che vi vedrò mutato. La vita, la gioventú, il cuore hanno i loro diritti; voi li avevate anche troppo sacrificati. Distaccatevi dal passato, gettatevi in questo grande avvenire che vi attende. La coscienza è codarda, essa si atterrisce spesso di mali che non commise, o che non potea non commettere. Una cieca fatalità dirige le azioni di tutti gli uomini; non date loro maggiore responsabilità di quella che vi assegnano i limiti ristrettissimi del vostro arbitrio.
Addio, mio buon amico, possiate essere felice, e non farvi rimprovero d'una sciagura di cui non siete stato che uno strumento.

Pensieri

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L'amore

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  • I giovani che non si sono trovati per gran tempo al contatto della società, a cui lo studio e il ritiro hanno conservato qualche cosa di vergine nella loro natura, concepiscono raramente degli affetti colpevoli.
  • Il dolore che accompagna il morire, il rimpianto che lo segue, il desiderio che lasciamo di noi morendo sembrano dirci che una sola cosa portiamo con noi dalla terra, l'amore.
  • L'amore è Dio, Dio è l'universo, e l'universo è amore.

La donna

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  • A che scopo dolerci delle donne? Noi possiamo mostrare loro di conoscerle, di saperle apprezzare nel loro valore, di tenerle anche in ispregio; esse sono tuttavia ben certe che noi le ameremo sempre.
  • Ciò che gli uomini amano ed ammirano soprattutto nella donna, senza saperlo, è la loro fatuità.
  • Gli uomini portano una maschera – le donne due.
  • Il legame più potente che ci unisce alla donna è quello della maternità.
  • In molta parte delle donne la resistenza è vanità, o mancanza d'opportunità, o artificio; prova evidente di ciò, che cedono quasi sempre alla sorpresa.
  • L'essenza di tutti i libri, di tutte le tradizioni, di tutte le storie, si riduce a questo: una moglie che inganna il marito, un marito che inganna la moglie, o una moglie e un marito che si ingannano a vicenda.
  • L'ingenuità nella donna è più pericolosa della malizia.
  • L'uomo può portare nei suoi affetti, nei suoi doveri, nelle sue azioni, molte forze che la natura non ha dato alla donna. Il difetto essenziale della donna è l'incompletazione, dell'uomo l'esuberanza.
  • La bontà nella donna è debolezza, nell'uomo carattere; però più frequente in quella che in questo.
  • La donna è un capolavoro abortito, il grande errore della creazione.
  • Le donne hanno interesse a mostrarsi incapaci di sentire l'amicizia; mettono gli uomini nella necessità di non chieder loro che dell'amore.
  • Le donne non annettono teoricamente alla loro virtù un atomo di quella importanza che vi annettono gli uomini semplici e coscienziosi. Esse conoscono meglio di noi il valore di ciò che danno. È difficile che un uomo onesto possa essere tanto ammirato e desiderato da esse come un libertino.
  • La nostra società ha fatto della donna un puro strumento di piacere. Ogni donna non è considerata oggi mai che sotto questo punto di vista. Esse stesse mostrano di non considerarsi sotto un aspetto diverso. Non si pretende da esse né ingegno, né virtù, né amicizia, non si chiede che dell'amore e del piacere. Apprezzamento triste e degradante che esse tuttavia non temono, o non comprendono.
  • Le donne non hanno un carattere proprio finché non amano; non hanno che un istinto provvidenziale di piegarsi, d'informarsi a quello dell'uomo. Per ciò esse sono quasi sempre quali gli uomini le fanno.
  • Nelle religioni di tutti i paesi, nelle tradizioni di tutti i popoli la prima notizia che si ha della donna accenna ad una seduzione. Le tradizioni bibliche sono in ciò piene di molta sapienza. La prima donna si fa sedurre, la prima volta, dal più vile degli animali, da un rettile.
  • Non vi è uomo sì abbietto, che non vi possa esser donna più abbietta di lui; non vi è uomo sì nobile, che non vi possa esser donna più nobile.
  • Quasi tutti i grandi uomini non hanno sentito potentemente né gli affetti, né i vincoli della famiglia, perché la loro mente e il loro cuore avevano di mira tutta quanta l'umanità. Cristo rispondeva a sua madre: «donna, che v'ha di comune tra me e te?»
  • Tutti i mali della società dipendono da ciò, che si amano le donne o troppo o troppo poco.

Felicità e dolore

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  • Allora si ha incominciato realmente a soffrire, quando si ha imparato a tacere il proprio dolore.
  • Gli uomini giocano colla loro felicità come i fanciulli, perduta la rimpiangono come uomini.
  • L'idea della felicità negli uomini non può esser derivata che dalla memoria d'un bene trascorso o dal presentimento di un bene avvenire – in una vita antecedente o in una vita futura – giacché non vi è nulla quaggiù d'onde essi abbiano potuto attingere questo concetto.
  • Pochi e grandi dolori fanno l'uomo grande, piccoli e frequenti l'impiccioliscono; un fiotto lava la pietra, una serie di goccie la trapassa.

La fede

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  • Non si arriva alla fede che per una sola via, per quella del dolore.
  • Che cosa è questa forza che dubita, che interroga, che ragiona dentro di noi: Dove si va? d'onde si viene? che cosa vi è oltre la morte? Rivolgetevi queste domande in un cimitero. Le tombe hanno risposte piene di ribrezzo e di angoscia.
  • Volete raffermarvi per sempre nella fede della divinità e dell'immortalità dell'anima? Sforzatevi di trovare argomenti per non credervi. O giusta o fallace è questa la via per cui tutte le intelligenze ragionatrici sono giunte alla fede.

Pensieri diversi

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  • Comprendere la vanità e il ridicolo delle cose del mondo è somma sapienza; riderne è somma forza.
  • Confessare altrui i proprii difetti è assai meno doloroso che confessarli a sé stessi.
  • Diffidate degli uomini che non hanno passioni.
  • I pensatori e i filosofi di tutte le epoche e di tutti i paesi parlano dei loro tempi, come di tempi eccezionalmente scellerati. È logico arguire che gli uomini siano stati scellerati in ogni tempo.
  • La giustizia di sé è nell'istante, quella degli uomini nel tempo, quella di Dio nell'eternità.
  • La grandezza è solitaria. Si direbbe anzi che la solitudine è condizione della grandezza. Tutte le intelligenze superiori, tutte le nature superiori sono isolate – l'aquila vive sola, il leone solo.
  • La malignità è cattiveria impotente.
  • La prudenza è la maschera dell'astuzia. – O nessuna delle due è virtù, o entrambe.
  • Strana cosa! Gli uomini piangono spesso del ridicolo.

Una nobile follia

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  • E tacemmo di nuovo; affidammo l'espressione dei nostri pensieri al linguaggio più eloquente dell'amore, al silenzio.
  • Gli uomini veramente grandi non possono dubitare di un'esistenza futura, perché sentono in sé medesimi la propria immortalità.
  • (Il) linguaggio più eloquente dell'amore (è il) silenzio.[5]

Incipit di alcune opere

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L'amore nell'arte

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Lorenzo Alviati

Lo conobbi nel collegio di Valenza. Io aveva allora quattordici anni, egli ne aveva diciassette compiuti, ma il suo corpo erasi già sviluppato come a venti; in quella scolaresca di fanciulli egli rappresentava colla sua statura elevata, colla sua testa di Apollo, un personaggio assai più imponente del maestro. Quell'immagine mi richiama le memorie più dolci e più pure della mia fanciullezza, mi evoca scene obliate da lunghi anni, rimembranze confuse, sulle quali il mio pensiero non sa tanto arrestarsi e scrutare da ritesserne intatta la tela.

Racconti fantastici

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I fatali

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Esistono realmente esseri destinati ad esercitare un'influenza sinistra sugli uomini e sulle cose che li circondano? È una verità di cui siamo testimonii ogni giorno, ma che alla nostra ragione freddamente positiva, avvezza a non accettare che i fatti i quali cadono sotto il dominio dei nostri sensi, ripugna sempre di ammettere.

Leggende del castello nero

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«Non so se le memorie che io sto per scrivere possano avere interesse per altri che per me – le scrivo ad ogni modo per me. Esse si riferiscono pressoché tutte ad un avvenimento pieno di mistero e di terrore, nel quale non sarà possibile a molti rintracciare il filo di un fatto, o desumere una conseguenza, o trovare una ragione qualunque. Io solo il potrò, io attore e vittima a un tempo.

La lettera U (Manoscritto d'un pazzo)

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U! U!
Ho io scritto questa lettera terribile, questa vocale spaventosa? L'ho io delineata esattamente? L'ho io tracciata in tutta la sua esattezza tremenda, co' suoi profili fatali, colle sue due punte detestate, colla sua curva abborrita? Ho io ben vergata questa lettera, il cui suono mi fa rabbrividire, la cui vista mi riempie di terrore?
Sì, io l'ho scritta.
Ed eccovela ancora:

U

Un osso di morto

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Lascio a chi mi legge l'apprezzamento del fatto inesplicabile che sto per raccontare.
Nel 1855. domiciliatomi a Pavia, m'era dato allo studio del disegno in una scuola privata di quella città; e dopo alcuni mesi di soggiorno aveva stretto relazione con certo Federico M. che era professore di patologia e di clinica per l'insegnamento universitario, e che morì di apoplessia fulminante pochi mesi dopo che lo aveva conosciuto.

Lo spirito in un lampone

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Nel 1854 un avvenimento prodigioso riempì di terrore e di meraviglia tutta la semplice popolazione d'un piccolo villaggio della Calabria.
Mi attenterò a raccontare con quanta maggior esattezza mi sarà possibile, questa avventura meravigliosa, benché comprenda esser cosa estremamente difficile l'esporla in tutta la sua verità e con tutti i suoi dettagli più interessanti.

Racconti umoristici

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In cerca di morte

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Pochi anni or sono, in un vecchio palazzo della via Recourse a Londra, conosciuto sotto il nome di Game of chance house (casa dei giuochi di rischio), convenivano ogni sera tutti i giovani eleganti del quartiere così detto di Reckless-men, per azzardarvi qualche migliaio di sterline al whist o al tarocco, ma più specialmente al diamonds-game (giuoco dei quadri).

Re per ventiquattrore. Storia d'un giorno della mia vita

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Perché la sola storia di un giorno?
E se voi credete che gli avvenimenti della vostra vita possano formare soggetto d'una storia curiosa e dilettevole, perché non tessere il racconto intero della vostra esistenza?
Io ho supposto nello scrivere la prima linea di queste pagine che qualche lettore mi avrebbe indirizzata una simile domanda.
Devo giustificarmi.

Storia di una gamba

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Non mi dimenticherò mai di quel giorno in cui lo conobbi né del modo in cui lo conobbi. Fu una di quelle rivelazioni piene, ardenti, istantanee; una di quelle espansioni d'animo pronte e complete che non si fanno, non si ricevono e non si conoscono che a quattordici anni. A quell'età gli affetti sono subiti come i rancori, le amicizie rapide come gli affetti, gli affetti inconsiderati come le ire. A quattordici anni si amano tutti coloro che hanno quattordici anni. Più tardi si amano tutti indistintamente, che è lo stesso che dire che non si ama nessuno, perché non si predilige nessuno.

Citazioni su Igino Ugo Tarchetti

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  • Ebbe una gioventù procellosa, una sensibilità femminea, malata, un'ansia sempre insoddisfatta di esperienze amorose. (Luigi Russo)
  • Il T. non ebbe temperamento di artista schietto; alternò nell'opera sua, dimostrazioni di tesi ed enunciazioni di filosofemi, e figurazioni assurde, malate, superstiziose, spiritistiche. I suoi protagonisti, per un gusto mistico-sensuale dell'orrido e del macabro, sono rappresentati non solo malati nello spirito ma anche nella carne; e quasi tutti finiscono tisici, pazzi, frequentano i cimiteri, convivono demonicamente con i trapassati e non tanto con le anime quanto con gli stessi corpi corrotti. (Luigi Russo)
  1. Da In cerca di morte, in Racconti umoristici, E. Treves e C. editori, Milano, 1869, p. 8.
  2. Da Storia di una gamba, in Storia di un ideale, Tipografia editrice lombarda, Milano, 1877, p. 166.
  3. Da Bouvard.
  4. Da La lettera U, in Racconti fantastici, Pensieri, E. Treves e C. editori, Milano, 1869, p. 91.
  5. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Bibliografia

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  • Iginio Ugo Tarchetti, Fosca, Mursia, 1989.
  • Iginio Ugo Tarchetti, Racconti fantastici, E. Treves & C. Editore, Milano, 1869.
  • Iginio Ugo Tarchetti, Racconti umoristici, E. Treves & C. Editore, Milano, 1869.

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