Śvetāśvatara Upaniṣad

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Śvetāśvatara Upaniṣad, Upaniṣad del "saggio coi bianchi muli".

Śvetāśvatara Upaniṣad

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Il brahman, che cosa ha come causa? donde siamo noi nati? per mezzo di che cosa viviamo? su che cosa siamo noi fondati? da chi dominati, o conoscitori del brahman, noi voliamo da felicità in infelicità, <ognuno di noi> nella <sua> condizione <particolare>?
[Śvetāśvatara Upaniṣad; in Pio Filppani Ronconi, 2007]

Citazioni

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  • Due sono, non-nati, il conoscitore e l'ignorante; | il Signore e il non-Signore. L'uno, il fruitore, | è incatenato alle fruizioni; l'altro. l'ātman, | è infinito, di forma universale, inattivo. | Conoscendo il triplice, si conosce anche Brahman.
    Peritura è la materia; immortale, imperituro | il Signore, l'Uno, che controlla ciò che perisce | e anche l'anima. Meditando su di lui, | unendosi a lui, divenendo sempre più come lui, | ci si libera finalmente dall'illusione del mondo. (I, 9-10; 2001)
  • L'Eterno che risiede nell'ātman deve essere conosciuto. | Oltre questo non vi è nulla che sia necessario conoscere. | Il fruitore, l'oggetto della fruizione, l'Ispiratore – questo | è stato dichiarato essere il Tutto, il triplice Brahman. (I, 12; 2001)
  • Il saggio, avendo collocato il proprio corpo in un luogo piano, tenendo erette le sue tre parti [petto, collo, testa], mediante la mente ritraendo i sensi dentro il cuore, potrà attraversare con la navicella del brahman tutte le correnti che portano il sé interiore. (II, 8; 2007)
  • Allorché la virtù dello Yoga in quintuplice modo è sorta da questo [corpo] costituito di terra, acqua, fuoco, aria ed etere, non vi è più malattia, non vi è più vecchiaia, non vi è più morte per cui il quale ha conseguito un corpo siffatto foggiato dal fuoco dello Yoga. (II, 12; 2007)
  • Uno solo è Dio; non ci può essere un secondo. | È lui solo che regge questi mondi con i suoi poteri. | Egli fronteggia gli esseri. Egli, il pastore di tutti i mondi, | dopo averli generati, li riassorbe alla fine del tempo. (III, 2; 2001)
Poiché Rudra[1], [per propria natura] è unico, i conoscitori non ricercano un secondo. Esso esercita il dominio su questi mondi attraverso le sue [divine] facoltà di controllo, risiede all'interno di ogni creatura e, dopo aver creato i mondi ed essere diventato il loro guardiano, li riassorbe al tempo della cessazione. (III, 2; 2010)
  • La capra rosso-bianco-nera, la quale ha generato molte altre creature [prajā] a lei simili, un capro la monta godendo; l'altro capro l'abbandona, poiché di lei ha già goduto.[2] (IV, 5; 2007)
  • Si raggiunge la pace incondizionatamente realizzando Śiva come più sottile del sottile, come [esistente] internamente alla impenetrabile [māyā], come Colui che manifesta l'universo, come Colui che possiede molteplici forme e come l'Uno che comprende la totalità universale. (IV, 14; 2010)
  • L'Uno, senza gradazioni di colore, si manifesta | attraverso un disegno segreto, multicolore, | effetto del suo molteplice potere. | Che l'Essere risplendente, in cui si dissolvono i mondi | e da cui un giorno rinasceranno, | ci conceda la luce dell'intelligenza. (4, 1; 2008)
  • Al di là dell'oscurità non v'è né giorno, né notte, né esistenza, né non esistenza: solo Shiva, l'indistruttibile. Lo stesso Sole si prostra davanti a lui. Da esso è scaturita la saggezza senza tempo. (4, 18; 2008)
Là dove non vi è oscurità, | né notte, né giorno, | né Essere, né Nonessere, | là vi è il Propizio, solo, | assoluto ed eterno; | là vi è il glorioso splendore | di quella Luce dalla quale in principio | sgorgò antica saggezza. (IV, 18; 2001)
  • Due sono celate nella indefettibile città del brahman, nella infinita città del brahman : la sapienza e la nescienza. Transeunte è la nescienza, immortale la sapienza: colui il quale entrambi, il sapere e il non sapere, domina, costui è l'Altro. (V, 1; 2007)
  • L'anima individuale[3] <così> si determina secondo particolari condizioni, nelle forme che sono conseguenza del suo <precedente> agire, secondo il proprio grado. (V, 11; 2007)

Colui il quale possiede la massima fede [bhakti] nel Dio, e come nel Dio così ha nel guru, per costui splendono le verità qui esposte, per costui il quale è un Grande Spirito. Oṃ! Tat sat. Oṃ!
[Śvetāśvatara Upaniṣad; in Pio Filppani Ronconi, 2007]

Citazioni sulla Śvetāśvatara Upaniṣad

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  • Già le Upanishad del periodo vedico lasciavano intravedere dei valori nuovi, come la credenza in un dio personale, la valorizzazione della mistica, e così via. Per tale ragione si può dire che una di queste Upanishad, la Śvetâśvatara, si trova «alla porta d'ingresso dell'induismo». (Louis Renou)
  • La Śvetāśvatara (IV 9) insegna infatti che la prakṛti è la magia (māyā) di Śiva, dal cui laccio sono afferrate le anime individuali. (Pio Filippani Ronconi)
  1. Dio vedico ritenuto precursore del dio induista Śiva.
  2. Gioco di parole fra ajā=capra, oppure colei che non è nata, cioè la prakṛti, materia promordiale, e aja=capro, oppure l'anima individuale; il rosso, il bianco e il nero si riferiscono ognuno ai tre stati allotropici (guṇa) della materia: sattva, ovvero essenzialità, rajas, ovvero mozione, tamas, ovvero ottenebramento, oscurità. (nota di Ronconi, 2007, p. 327)
  3. Il jīva.

Bibliografia

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  • Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
  • Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.
  • Upaniṣad, a cura e traduzione di Raphael, Bompiani, 2010.
  • Upaniṣad antiche e medie, a cura e traduzione di Pio Filippani-Ronconi, riveduta a cura di Antonella Serena Comba, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2007.

Voci correlate

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