Renato Fondi

musicologo, poeta e critico d'arte italiano

Renato Fondi (1887 – 1929), musicologo, poeta e critico d'arte italiano.

Citazioni di Renato Fondi modifica

  • Chi concepisce la religione come una consuetudine di riti ed un insieme di formule non può comprendere il valore della conversione di Papini, che poi non è una conversione, ma un moto di reazione interiore, che rappresenta nella vita dell'artista il passaggio da una torbida e trista giovinezza indifferente e indecisa a una commossa comprensione del cristianesimo.[1]
  • Papini è di queste personalità [dissimili dal mio spirito]: uomo che ha trovato – dopo una distillazione cerebrale della realtà vitale, e un inzuppamento nel fiume delle impressioni, ora filosofo – testa al di sopra delle nuvole – ora critico – minatore infelice nelle viscere della realtà – (per vedere, il tutto, prima; il particolare, poi) – la sua salvezza nella poesia.
    Respiriamo dell'aria rarefatta, e naufraghiamo in tenebre sotterranee – ma dopo, caduta di valanga, schianto d'anima: ecco la tragedia. Papini è l'incarnazione di un conflitto – che non è rimastichìo letterario, travaso di spirito – ma fatto di coscienza, doloroso tentativo di scavalcare la vita, dopo un esperimento di sfoghi, per calmarsi, di bagni in ondate liriche per illimpidirsi.
    Tenuto curvo e fermo sul suo cammino dalle conseguenze ultime della sua idea filosofica, mentre tutto vive e tende alla vita, sente che l'arte non è un oblìo, un'atmosfera armoniosa di dimenticanze, ma un colorito, austero, avvincente, movimentato ricordarsi; non ripiegamento ma attività di tutte le facoltà.[2]

Ildebrando Pizzetti e il dramma musicale italiano d'oggi modifica

  • Pensiamo un po' al melodramma com'è oggi, dalla Cavalleria rusticana di Mascagni, alla Francesca da Rimini di Zandonai. Che vuoto! Pensiamo a chi si salva. Dopo il periodo Verdiano, italiano puro, e il post-verdiano degli ultimi romantici, tedeschizzanti colla scusa che l'Italia manca di tradizione sinfonica, abbiamo la musica sentimentaluccia e borghese dei Massenettiani, la vaniloquente retorica dei Wagneriani e gli aborti di quel paio di compositori che volevano prepararci l'opera d'arte dell'avvenire. Ma il loro respiro era corto e la loro attività era puramente mercantile. (p. 18)
  • Mascagni, nella ricerca e nell'uso delle sonorità orchestrali, è mosso dal proposito di spingersi a conquiste dell'arte musicale che di fatto non avvengono. Il suo andare avanti è e resta intenzionale. Eccetto Cavalleria rusticana, i suoi melodrammi, secondo me, risentono della fiacchezza e della freddezza di questa vita contemporanea, smarrita, confusa, esangue: e le poche pagine fresche non sono sostenute con sufficiente coraggio. (p. 19)
  • [...] c'è una violenza drammatica in Cavalleria [rusticana], una forza rude di espressione che non è convenzionale. Essa si fonda sopra un elemento musicale vivo.
  • Mascagni s'è più volte proposto di riformare il dramma musicale, mettendosi a priori nella impossibilità di attuare ogni ben che minimo accenno di rivoluzione, commettendo i libretti a Luigi Illica. (p. 21)
  • Tecnicamente come orchestratore e armonizzatore, Puccini si rivela sempre – meno nelle perorazioni ponchielliane[3] di Tosca – un artista sensibile e di buon gusto. L'uso dei motivi conduttori gli è stato suggerito da Wagner, e l'armonistica dissonante era già propria dei musicisti francesi quando Puccini ne approfittò, ma gli spetta il diritto della precedenza e l'onore di aver disseminate le sue musiche di trovate melodiche e ritmiche, orchestrali e vocali le quali aggiungono complicazioni inutili e a volte anche finezze impreviste e gustose. Carattere schietto, insomma, e rappresentativo di un particolare e diffuso stato di coscienza. (p. 32)
  • [...] Cavalleria [rusticana] è come un ponte di trapasso tra la musicalità impulsiva-romantica e la nuova musicalità degli italiani contemporanei. (p. 34)
  • Leoncavallo, né Franchetti hanno avanzato d'un passo nella concezione del dramma musicale. Essi non ci hanno dato un'arte di diverso valore, cioè espressiva di una più complessa vita intima del nostro popolo, ma un'arte borghese che si compiace di contraffare la vita. (pp. 34-35)
  • Tentativi di non scarso valore [di progredire nella concezione del dramma musicale] si sono avuti da Luigi Mancinelli: ma egli più che un operista è un sonatista di sensibilità raffinata e di vasta dottrina. (p. 35)
  • Più consonante al nostro modo di sentire e soffrire la vita è l'arte di Riccardo Zandonai, che dovrei discutere e definire dalle linee del solo lavoro che conosco: Conchita. Opera d'arte sincera, ma opera non atta a impressionarci durevolmente e profondamente. Pagine squisite, che commuovono, sì, ma non rivelatrici di una grande energia di sentimento. Piuttosto, credo, di una bella energia di pensiero. Contrappunto ricco e denso; ricerca di effetti razionale; alcune invenzioni melodiche di buon gusto. Vuole essere considerata come una piccola cosa. E nel suo genere è simpaticissima. (p. 35)
  • Son sicuro che [Zandonai] non darà il dramma che vorrei, ma già ha fatto qualcosa di nuovo, di moderno, di veramente musicale. Non è poco. (p. 35)
  • [...] l'arte dei nostri operisti e sinfoneti[4] – maggiori e minori – tanto cara ai borghesi d'oggi, mentre ha tutta l'aria di tendere a una modernità, a una vera modernità d'espressione, è e resta tradizionale ed esotica: francese, tedesca, nella concezione, del peggior francesismo e tedeschismo. Si ama e segue Massenet – il sentimentalissimo Massenet – e si ama e segue, superficialmente e balordamente, Wagner. Infatti, il wagnerismo di un Giordano o di un Franchetti, per esempio, è soltanto esteriore. Non c'è in essi relazione, o dipendenza, spirituale con Wagner, ma soltanto un atteggiamento della volontà verso una tendenza fraintesa. Non c'è in essi – e in altri – quell'alta umanità per cui si è propri e veri drammaturghi. Non ci sono svolgimenti diretti a una profonda conoscenza della propria ampiezza di vita. (pp. 37-38)
  • Pizzetti: pensatore e apostolo in un'età sfiduciata.
    Forte disciplinatore e ardito rinnovatore; spirito d'alta coltura, che sa fondere una magnifica visione poetica dell'universo umano con le esigenze del ragionamento dialettico, porta fra la tronfiezza delle parrucche accademiche tutta la ruvidezza della sua indipendenza; porta fra la rettorica di tamburo vuoto una fiamma viva d'entusiasmo. Pizzetti: coscienza superiore che s'inalza di volo con un poema drammatico musicale sui follaioli che sfamano il pubblico a chili di melodrammi. (p. 72)
  • Pizzetti: apostolo degno della propria missione, anima gagliarda che solleva e ringagliardisce l'anima nostra; maestro che non insegna con la parola, ma con l'esempio; uomo di ingegno che ha intuito lo spirito dei tempi e reagisce; uomo di fede che pone un ostacolo al dilagare della corruzione musicale elevata a virtù dai fabbricanti di romanze, ed è capace di sollevarsi alla concezione di uno stato migliore. (p. 72)
  • Ha agito: ed ha insegnato l'energia, l'ardore, la forma decisione di combattere per un'arte sana, aureata, nuova.
    Pizzetti: musicista di razza, un nome e una bandiera fiammante. (p. 72)

Note modifica

  1. Da Un costruttore: Papini, Vallecchi Editore, Firenze, 1922, p. 182.
  2. Da Un costruttore: Papini, Vallecchi Editore, Firenze, 1922, pp. 7-8.
  3. Amilcare Ponchielli (1834-1886), compositore, direttore di banda e docente italiano.
  4. sinfonisti.

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