Ragù napoletano
salsa tradizionale napoletana
Citazioni sul ragù napoletano.
- Rosa – Adesso mi vuoi insegnare come si fa il ragù? Più ce ne metti di cipolla più aromatico e sostanzioso viene il sugo. Tutto il segreto sta nel farla soffriggere a fuoco lento. Quando soffrigge lentamente, la cipolla si consuma fino a creare intorno al pezzo di carne una specie di crosta nera; via via che ci si versa sopra il quantitativo necessario di vino bianco, la crosta si scioglie e si ottiene così quella sostanza dorata e caramellosa che si amalgama con la conserva di pomodoro e si ottiene quella salsa densa e compatta che diventa di un colore palissandro scuro quando il vero ragù è riuscito alla perfezione. (Eduardo De Filippo)
- Se il cavallo rampante è l'araldico emblema della nobile generosa e lirica sfrenatezza sentimentale dei napoletani, il domenicale "odor di ragù" è il vaghissimo simbolo della più alta mitologia culinaria. L'odor di ragù festeggia le felici nozze fra il pomodoro, distrutto nel tegame con la cipolla soffritta e il bel "filetto" di carne di manzo, lievemente lardellato, e i maccheroni sui quali pioverà la bianca cascata di pecorino piccante o del parmigiano robusto. Ogni casa napoletana lo esala, quest'odore che si leva come una bandiera, non appena da una comune salsa rossa per condirvi alla meno peggio i maccheroni ma da una raffinatissima, lentissima, perfetta invenzione gastronomica; e a sorvegliare il tegame di creta che su esiguo fuoco sobolle e crepita è chiamato di solito il membro più anziano della famiglia, dalla lunga esperienza e dalla perfettissima calma, chi sa attendere ore e ore che la carne, ben cotta e benissimo insaporita, ceda al suo sugo ogni sua più lieve e segreta fragranza, rosolandosi, braciandosi, cuocendosi fino a diventar tenerissima mentre la salsa si raddensa, si scurisce, perde ogni asprezza e ogni crudezza, si fa ricca, vellutata, morbida, pingue: tale insomma da poter sovranamente condire i maccheroni che ora, appena tolti dall’acqua dove hanno acquistato la loro elastica mollezza, di quel sugo si bagnano, s’intridono, si nutrono e di quel sublime odore - l’odor delle mattinate domenicali di Napoli! – si vestono. Una fogliolina di basilico, tolta appena dal vaso sul balcone, su quel rosso fumante piatto di ragù, sui grossi ziti, sui più esili perciatielli, sui bocconcini soffici che sono gli strozzapreti di quaggiù (non gnocchi, se pure somigliano, ma più lievi e insieme più consistenti, con più semola).
Son trecento anni, saranno trecento secoli che l'odor di ragù offre e offrirà il benvenuto odoroso di Napoli all'appetito di ogni forestiero. (Mario Stefanile) - – La prima cosa che dovete ricordare è che il ragù non corre. Si prende il tempo suo.
– Ma quanto tempo?
– Ore e ore. Nu juorno sanu. (La tenerezza) - O rraù ca me piace a me | m' 'o ffaceva sulo mammà. | A che m'aggio spusato a te, | ne parlammo pè ne parlà. | Io nun songo difficultuso; | ma luvammel' 'a miezo st'uso. || Sì, va buono: cumme vuò tu. | Mò ce avéssem' appiccecà?[1]| Tu che dice? Chest'è rraù? | E io m' 'o mmagno pè m' 'o mangià... | M' 'a faje dicere na parola?... | Chesta è carne c' 'a pummarola. (Eduardo De Filippo)
Note
modifica- ↑ Litigare.
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