Piero Gobetti

giornalista, politico e antifascista italiano

Piero Gobetti (1901 – 1926), giornalista e politico italiano.

Piero Gobetti

Citazioni di Pietro Gobetti

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  • Antonio Gramsci ha la testa di un rivoluzionario. Il suo ritratto sembra costruito dalla sua volontà [...] il cervello ha soverchiato il corpo. Il capo dominante sulle membra malate sembra costruito secondo i rapporti logici necessari per un piano sociale.[1]
  • Combattevamo Mussolini come corruttore, prima che come tiranno; il fascismo come tutela paterna prima che come dittatura; non insistevamo sui lamenti per mancanza della libertà e per la violenza, ma rivolgemmo la nostra polemica contro gli italiani che non resistevano, che si lasciavano addomesticare. (da Scritti attuali, a cura di Umberto Calosso, Capriotti)
  • Il fascismo è il governo che si merita un'Italia di disoccupati e di parassiti ancora lontana dalle moderne forme di convivenza democratiche e liberali, e che per combatterlo bisogna lavorare per una rivoluzione integrale, dell'economia come delle coscienze. (da Scritti attuali)
  • Il programma di Nitti fu il solo programma conservatore serio della borghesia italiana. (da Scritti attuali)
  • [su Roberto Farinacci] Il tipo più completo e rispettabile che abbia espresso sinora il fascismo.[2]
  • Io sento che i miei avi hanno avuto questo destino di sofferenza, di umiltà: sono stati incatenati a questa terra che maledirono e che pure fu la loro ulti­ma tenerezza e debolezza. (da L'editore ideale)
  • La personalità di Olga Vittoria Gentilli è limitata ed esile: la sua originalità si riduce a pochissimi atteggiamenti, quasi sempre insufficienti a vivificare tutto un dramma. E quando ha voluto o dovuto studiare, invece di approfondire se stessa, invece di cercare in sé la fonte della vera vita artistica, è ricorsa a un'imitazione esteriore, ha raggiunto mediocremente il successo con una bravura non sostenuta da intima commozione. (da Opere complete di Piero Gobetti, vol. III Scritti di critica teatrale, Giulio Einaudi editore, Torino, 1974, p. 287)
  • La «rivoluzione» fascista non é una rivoluzione, ma il colpo di Stato compiuto da un'oligarchia mediante l'umiliazione di ogni serietà e coscienza politica — con allegria studentesca.[3]
  • [Su Alberto Radicati di Passerano] Nato intorno al 1690, morto nel 1737, è il primo illuminista della penisola. Giannone, Verri, Beccaria sono anticipati. La sua passione vive nell'atmosfera europea del libero pensiero. Sulle orme di Locke indovina Rousseau, parlando di stato di natura e di governo del popolo. Teorizza i governi costituzionali; riconosce l'eguaglianza pratica delle varie forme statali (monarchia, aristocrazia, democrazia), quando siano liberamente accettate e si fondino sulle leggi (Discours, X, pp. 184-86). La laicità è un risultato chiaro e definitivo del suo pensiero.
    Tuttavia anche nelle più acute disquisizioni teoriche c'è sempre un fondo di dilettantismo. Si trovano proposizioni rigorosamente moderne, ma non si vince il dubbio che le parole corrano oltre le intenzioni, che la sua cultura resti vaga e indipendente dal suo istinto e dal suo carattere. Per credergli vorremmo la costanza, come prova di convinzioni meditate e troviamo invece segni di mutevole esotismo. Non saremo lontani dal vero concludendo questa circoscrizione dei suoi limiti di pensatore col segnalare come enciclopedista piuttosto la sua curiosità che il suo pensiero. La categoria del romanticismo, o del protoromanticismo di cui parla Croce per l'Alfieri, aderisce meglio a questo spirito di avventura. Così resterebbero senz'altro definiti certi suoi spunti di cristianesimo ostile ai dogmi e alle intransigenze del cattolicismo, vago cristianesimo che ricorre, durante tutto il Risorgimento, nei nemici dell'ortodossia.[4]
  • [...] Olga Vittoria Gentilli non è mai venuta meno alla sua fama di eleganza raffinata; questo giudizio col quale credono di esaltarla i suoi ammiratori ne è la più decisiva liquidazione.
    Paga di offrire a un pubblico compiacente le sue doti fisiche (è bella – dicono: di una bellezza, aggiungiamo noi, fredda e banale, stereotipa, grossolana: cara ai grassi novellatori di sensualità del nostro Rinascimento – lontana da quella bellezza che è armonia di spirito e di corpo, vita concreta, conquista dell'individuo, non materia morta), la Gentilli non pone alcuna diligenza nell'interpretare: muta abiti, non si rinnova spiritualmente. (da Opere complete di Piero Gobetti, vol. III Scritti di critica teatrale, Giulio Einaudi editore, Torino, 1974, p. 288)
  • Resteremo al nostro posto di critici sereni, con un'esperienza di più. Attendiamo senza incertezze, sia che dobbiamo assistere alle burlette democratiche sia che dobbiamo subire le persecuzioni che ci spettano.[5]

La rivoluzione liberale

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  • [Su Benito Mussolini] Egli non ha nulla di religioso, sdegna il problema come tale, non sopporta la lotta con il dubbio: ha bisogno di una fede per non doverci più pensare, per essere il braccio temporale di un'idea trascendente. Avrebbe potuto riuscire il duce di una Compagnia di Gesù, l'arma di un pontefice persecutore di eretici, con una sola idea in testa da ripetere e da far entrare "a suon di randellate" nei "crani refrattari".
  • Il mussolinismo è [...] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l'abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza.
  • La civiltà capitalistica, preparata dai Comuni, sorta trionfalmente in Inghilterra e diffusa negli ultimi decenni, pur nonostante varie attenuazioni, in tutto il mondo civile, è la civiltà del risparmio.
  • Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione politica.
  • La tribù preoccupa più del capo.
  • In pratica le cose in Italia non cambiano mai, cambiano i nomi e le occasioni della storia, ma, in definitiva, i nostri mali e i nostri vizi rimangono sempre desolatamente uguali.
  • Nessun cambiamento può avvenire se non parte dal basso, mai concesso né elargito, se non nasce nelle coscienze come autonoma e creatrice volontà rinnovarsi e di rinnovare.
  • Bisogna pure che ci sia chi si sacrifica, chi insegue, con avido amore, il suo ideale etico.
  • Sola la vittoria tramuta a posteriori l'utopia in realismo.
  • In regime di stampa imbavagliata il vero articolista è il lettore: egli deve leggere tra le righe.
  • Lo scrittore è un po' come il chirurgo: fa una diagnosi precisa, opera e cerca di rimuovere la cancrena, ma questa è spesso più forte di lui ed allora prepara una cura più adatta, allora aspetta fiducioso perché ha capito dove il male va a parare. La morte del chirurgo – morte intellettuale – impedisce la guarigione. La malattia vince, il corpo sopravvive pertanto malato.
  • Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente.
  • [Machiavelli] teorico politico; uomo moderno perché esterna una concezione dello Stato ribelle alla trascendenza e pensa un'arte politica organizzatrice della pratica.
  • L'eredità del Regno di Napoli pesava sul nuovo Stato, aumentando la corruzione e creando contro la vita agricola naturale una sovrastruttura di parassitismo burocratico ed elettorale. Non ci stupiremo che la lotta politica si confondesse in una caccia all'impiego.
  • [Cavour] comprese la vanità di ogni lotta contro il cattolicesimo in un paese cattolico e la necessità di combattere la Chiesa non su un terreno dogmatico, ma sul problema formale della libertà di coscienza; ideologia immanentista perché sconfiggeva l'assolutismo con risorse completamente realistiche.
  • [Depretis]: inaugurò la prassi del trasformismo, che snaturava la lotta politica con la ricerca di maggioranza ottenute a qualunque prezzo e che assorbivano in sé con disinvoltura uomini di qualunque schieramento, annullando in pratica la dialettica governo – opposizione indispensabile ad una vera democrazia.

Opera critica

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  • A Giuseppe Toniolo (1845-1918) attribuiremo il merito singolare di aver data espressione e sistemazione politica alle esigenze di azione sociale che Leone XIII era venuto agitando e di aver mostrato così, contro il proprio intento, agli uomini di buona fede, che ancora non se ne fossero persuasi , l'irreducibile repugnanza di ogni posizione cattolica col pensiero moderno, e l'intimo carattere reazionario di una praxis politica che voglia appoggiarsi alla Chiesa, come a istituto e organo della lotta politica in Italia. (p. 63)
  • Il Toniolo sotto la moderazione letteraria, è un intransigente; e pur attraverso i vizi stilistici dell'accademismo e gli ornamenti d'una convenzionalità ufficiale, mostra il bisogno di atteggiamenti chiari e netti, di un centro ideale che permetta operose discussioni dei concetti e spregiudicata negazione dei termini contrastanti. Se non ha i fulmini di Veuillot e di Casoni per il mondo moderno, ne ripete tuttavia un'identica critica negativa. (pp. 63-64)
  • La sola spiegazione soddisfacente della vita e della natura dell'uomo, per il Toniolo, deve riconoscersi a priori nella dottrina cattolica. Tutto ciò che vi repugna, repugna con la verità. Bisogna ripetere con Dante:
    Avete il Vecchio e il Nuovo Testamento
    E il Pastor della Chiesa che vi guida.
    La filosofia per eccellenza, la verità, è la Scolastica. Bisogna riprenderla integralmente. Bisogna eliminare le ultime reliquie deleterie della Riforma luterana. (p. 64)

Incipit de L'uomo Alfieri

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Per capire l'Alfieri e valutare i critici dell'opera sua con animo deliberato a far nostri i loro risultati e a superarli bisogna risalire al De Sanctis. Invero la critica desanctisiana sull'Alfieri è stata fraintesa e negletta e se ne può cogliere il giusto valore solo dando un organismo sistematico alle frammentarie espressioni in cui s'è manifestata.
Dei tre scritti che il De Sanctis dedicò all'Alfieri il primo[6] afferra e spiega il concetto dell'unità di passione in cui arte tragica e temperamento individuale coincidono con una coerenza che è perfetta nel Saul e in alcuni motivi di vita pratica dell'autore; il secondo[7] segna un vigoroso approfondimento della formula estetica iniziale che imperiosamente si amplia a diventare canone di interpretazione storica e morale, sí che, venuti a coincidere il mondo del critico e il mondo del poeta, il momento dell'esegesi è fatto d'un subito centro intenso di polemica vitale e Alfieri e De Sanctis combattono insieme, difensori dell'immanentismo moderno contro il dogmatico «Proudhon della reazione»[8], dell'onestà letteraria contro la superficialità, l'esprit, l'insolenza sterile di Giulio Janin[9]; il terzo[10] pone con forte sintesi storica la figura di Vittorio Alfieri nel fervore di rinnovamento civile e morale dell'Italia settecentesca.

Citazioni su Piero Gobetti

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  • Ed è perciò che Gobetti pur senza additarci un sistema e tanto meno un partito, ci pone di fronte uno specchio dal quale ci discostiamo con fastidio o con orrore, a seconda che la dilagante marea della mediocrità politica e intellettuale ci riempia di tedio o di disgusto, di noia o di ribrezzo. (Eugenio Montale)
  • Einaudi era già il migliore economista di Torino quando una mattina del 1919 gli entrò nello studio una matricola dell'università, figlio di un droghiere, che gli chiese un articolo per la sua rivista, specificando di non poter pagare. Einaudi accettò e fu anche grazie a lui che l'allievo divenne Piero Gobetti, liberale antifascista morto esule a 25 anni dopo essere stato aggredito dagli sgherri del regime. (Aldo Cazzullo)
  • Era un giovane alto e sottile; disdegnava l'eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta da modesto studioso; i lunghi capelli arruffati, dai riflessi rossi, gli ombreggiavano la fronte e gli occhi vivissimi, così penetranti che era difficile sostenerne lo sguardo a chi non fosse ben sicuro di sé. (Carlo Levi)
  • Gobetti è stato consumato non si sa se dalla sua fatica o dal dolore per non poterla continuare. Non saremo più rimbrottati e stimolati da lui, non diremo più male di Gobetti, ora che è diventato il povero Gobetti e la sua opera ci appare sempre meglio come qualcosa di necessario e provvido. (Max Ascoli)
  • Gobetti non era tutto in questa o in quella sua attività, tanto che come scrittore poteva far a meno della comprensione, come pensatore di un sistema e come uomo politico di un partito; Gobetti era tutto nella sua illimitata capacità di agire, nella rapidità quasi inverosimile con cui sapeva comprendere, racchiudere in una forma, suscitare energie. E poi scrivere, trovare il tempo per passare ore in biblioteche, tenere corrispondenze con centinaia di uomini, e amministrarsi e pubblicare libri che imballava poi con le sue stesse mani. (Max Ascoli)
  • Intransigente, dinamico, ostinato, duro a morire ma, ahimé, fragilissimo – angelo vestito da suffragetta, come fu definito – continuo a ricordarlo come un Lohengrin isolato, una figura eroica, un leader senza successo, che aveva però le stimmate del genio. (Eugenio Montale)
  • Rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo. (Benito Mussolini)
  1. Citato in Mercello Veneziani, Imperdonabili, Ed. Marsilio, 2017, ISBN 978-88-317-2858-4. p. 99
  2. Citato in Guido Gerosa, I gerarchi di Mussolini, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1973, p. 45.
  3. Da La tirannide, La Rivoluzione Liberale, Anno I, n. 33, 9 novembre 1922, p. 1.
  4. Da Risorgimento senza eroi, cap. II, Il Piemonte nel Settecento, § 1, Il conte Radicati, in Risorgimento senza eroi e altri scritti storici, introduzione di Franco Venturi, G. Einaudi, Torino, 1976.
  5. Da Al nostro posto, La Rivoluzione Liberale, Anno I, n. 32, 2 novembre 1922, p. 1.
  6. F. DE SANCTIS; Le lezioni di letteratura dal 1833 al 1848. VIII lezioni sulla poesia drammatica ne «La Critica», anno XVII, fasc. I, pp. 40-43, 20 gennaio 1919. Su queste lezioni si veda il Preambolo del CROCE, ancora ne «La Critica», anno XIII, fasc. I, pp. 21-38, 20 gennaio 1915 (accurata storia esterna) e un giudizio del CROCE in; Una famiglia di patrioti ed altri scritti storici e critici.
  7. F. DE SANCTIS; Giulio Janin e Alfieri, Janin e «Mirra», Veuillot e la «Mirra», nel «Piemonte», quotidiano torinese, anno I, n. 167 (17 luglio 1855), n. 179 (31 luglio), n. 191 (14 agosto), n. 148 (24 giugno). Ristampati in Saggi critici. E si veda pure l'articolo Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e Foscolo, Torino, «Il Cimento», ottobre 1855, serie 3a, anno III, vol. VI, pp. 629-639. Ristampato in Saggi critici.
  8. L. VEUILLOT (1813-1883), direttore dell'«Univers», autore di; Le Parfum de Rome; Les Odeurs de Paris; ecc. Il piú celebre e il piú reazionario tra i giornalisti francesi. Non ebbe molta fortuna in Italia nel secolo scorso benché B. Casoli gli dedicasse un volume (Modena, 1884). Una buona traduzione di poche pagine scelte in Antologia dei cattolici francesi del secolo XIX di D. GIULIOTTI, pp. 129-175. Lanciano, s. a. (ma 1919).
  9. G. JANIN (1804-1874), giornalista e romanziere; critico drammatico per quarant'anni al «Journal des Débats».
  10. F. DE SANCTIS: Storia della letteratura italiana, 1a ediz., Napoli, Morano, 1870 (in realtà il II vol. 1871). Nuova edizione, Bari, Latenza, 1912, a cura di B. CROCE, vol. II, pp. 703-381. Si sa che il capitolo «La nuova letteratura», dove si parla dell'Alfieri è molto piú breve di quello che il De Sanctis non credesse necessario, per ragioni editoriali che sono indicate dal Croce nello studio che segue la sua edizione della Storia. Questa forzata brevità spiega le lacune dell'analisi e la troppa rapidità della sintesi.

Bibliografia

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  • Piero Gobetti, L'uomo Alfieri, a cura di Emiliano Zazo, Milano, Cooperativa libro popolare, 1950.
  • Piero Gobetti, Opera critica, Parte prima Arte - Religione - Filosofia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2013. ISBN 978-88-6372-519-3

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