Miguel Galluzzi

designer argentino

Miguel Angel Galluzzi (1959 – vivente), designer argentino.

Citazioni di Miguel Galluzzi

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [«Qual è l'aspetto che una Moto Guzzi avrà sempre?»] La personalità, lo stile e il carattere delle moto made in Italy.[1]
  • [Nel 2014, «Il design delle moto moderne si è arenato? O pensi che le rigide normative imposte ai produttori limitino la loro creatività?»] È chiaro che siamo alla fine di un'epoca: pensate per un attimo al fatto che, tutte le altre volte che le moto hanno subito una trasformazione radicale, è stato dopo le grandi guerre. Solo allora le moto sono cambiate e hanno fatto passi avanti. Le moto sono state concepite come macchine semplici, non come un folle insieme di dispositivi elettronici per controllare qualcosa che non serve a nessuno. Quindi, ci stiamo muovendo verso una direzione che rivoluzionerà la motocicletta.
[Has modern motorcycle design hit a rut? Or do you think that the strict regulations enforced on manufacturers limits their freedom?] It's clear that we are at the end of an era—think for a moment, all the other times that motorcycles suffered a radical transformation were after big wars. Only then, motorcycles changed and moved forward. Motorcycles were intended to be simple machines, not a crazy bunch of electronic devices to control something that nobody really needs. So, we are heading in a direction in which the motorcycle is going to be revolutionized.[2]
  • Ho amato lavorare con Claudio Castiglioni perché era un vero vulcano di nuove idee, a volte idee selvagge, ma è così che prendono forma concetti nuovi e rivoluzionari. Ma Claudio ha sempre dimenticato di tenere d'occhio gli aspetti finanziari della sua creatività e passione.
I loved working with Claudio Castiglioni because he was a real volcano of new ideas, wild ideas at times, but that is how new, revolutionary concepts take shape. But Claudio always forgot to keep an eye on the financial aspects of his creativeness and passion.[3]
  • Se pensate che le motociclette siano diventate troppo intelligenti, troppo razionali, troppo funzionali... questo toglie l'emozione.
If you think motorcycles have grown too intelligent, too rational, too functional, this takes the emotion away.[3]
  • Dobbiamo guardare avanti, senza restare prigionieri del nostro passato. Fondamentale come fonte d'ispirazione, ma tecnicamente superato.[4]
  • [Sul Ducati Monster] La gente diceva: "È veramente futuristica", e io rispondevo: "Avete guardato le moto di 50 o 60 anni fa?" Tutte le forme nelle auto e nelle moto degli anni 90 erano morbide, soffici. Per me non era niente di radicale, era solo un ritorno alle origini.
People said, "This is extremely futuristic," and I'd ask, "Have you been looking at bikes from 50 or 60 years ago?" All the shapes in the '90s were soft in cars and bikes, soapy. To me it wasn't radical, it was just going back to basics.[5]
  • La gente si diverte a trasformare le moto, a personalizzarle, a riverniciarle e così via. Se si conosce la storia delle due ruote, la maggior parte del divertimento è lì: chopper, cafe racer, cose così, da sempre!
People enjoy transforming bikes, personalizing them, painting and stuff. If you know the history of motorcycles, most of the fun part is there: choppers, cafe racers, ­everything like that, forever![5]

Intervista di Stefano Cordara, motorbox.com, 17 novembre 2004.

  • La Monster è addirittura nata quando ero ancora in Honda. Si parlava di progettare la CBR 600 F2 [...] che era completamente carenata. Gli schizzi che facevamo erano tutti di moto carenate, con plastica dappertutto. Poi, un giorno, su un giornale ho trovato questa foto [ci mostra la foto di una Ducati 750 F1 completamente spogliata della carenatura, ndr], era la versione tricolore 1988 e mi sono detto: "a me piacerebbe avere una moto così. Questa sarebbe la mia moto, senza tutta questa plastica di merda intorno". Ho subito fatto uno schizzo e quando sono arrivato in Cagiva (nel 1989) ho fatto vedere i miei disegni e ho detto: "dobbiamo assolutamente costruire questa moto". Loro dicevano "sì, sì...", ma poi, come succede sempre... Sono passati due anni in cui ho disegnato scooter di tutti i tipi e colori, fino a quando, nell'estate del 1991 ho preso un telaio della 851, un motore 900, ho messo i pezzi insieme e ho costruito il prototipo. [...] L'abbiamo terminata per febbraio e l'abbiamo fatta vedere a tutti. In quel momento sarebbe stato bello avere una telecamera per filmare le facce... "ma... è così? Non manca qualche pezzo?" In un momento dove le moto erano tutte carenate, vederne una cosa così nuda e cruda, era uno shock troppo forte da digerire. Li ho convinti, ma ho dovuto stressarli da mattina a sera.
  • Secondo me la Monster è una cosa che va oltre il marketing. È soltanto un riflesso di quello che stava succedendo nella nostra società in quel momento. All'epoca la gente aveva bisogno di semplicità... Venivamo dagli Anni 80 in cui nei paesi industrializzati c'erano gli eccessi di tutti i tipi, soldi facili. Negli Anni 90 c'era invece il bisogno di ritornare a qualcosa di molto semplice, non però di una semplicità banale, ma qualcosa di ricco nei contenuti e molto semplice da capire. Era una mia ipotesi, ma alla fine ho scoperto che rifletteva il pensiero di tanti. Per la Ducati [...] la Monster è stata la fortuna, ma se anche avesse avuto un altro nome avrebbe avuto lo stesso successo, perché la semplicità è lì dentro, si percepisce.
  • Per me rappresenta la semplicità del futuro, per questo abbiamo fatto due modelli. Vedendo la Raptor la gente diceva che era brutta, "mi piace di più la Monster", oppure "ma questa è una copia della Monster" o ancora "ma questa è più bella della Monster". Questo accade perché la gente ha un parametro di comparazione. Nel caso della V-Raptor, invece, non c'era niente di simile, niente con cui compararla, ha suscitato le stesse reazioni della Monster. Per me la V-Raptor è semplice, ma è una semplicità che è ancora da capire. Ha un contenuto tecnologico molto alto, ma è tranquilla, uno può relazionarsi più tranquillamente senza essere spaventato.
  • La mia idea è quella di creare delle alternative, di poter realizzare diverse tipologie di moto da una stessa base. [...] con due pezzi verniciati posso cambiare la moto, basta un serbatoio e un parafango anteriore e diventa la mia moto, un modello che non ha nessun altro. Se conosco un carrozziere, in un fine settimana posso farla diventare "la mia moto", solo mia, senza farla diventare qualcos'altro. Secondo me oggi c'è voglia di individualità, c'è voglia di poter dire "io ho la mia moto" a prescindere dalla marca. [...] perché è quella che ti fa sognare, la senti tua.
  • Le nude sono quelle, nude e crude. È come avere un pezzo di carta bianca. Se io compro una moto sportiva, posso comprare una carenatura in carbonio che è la stessa, al massimo compro qualche pezzo speciale [...]. Se invece io mi compro una naked, posso fare quello che voglio, è solo una questione di immaginazione, di creatività. La puoi fare diventare sportivissima, oppure custom, oppure... quello che vuoi. Poi però dobbiamo vedere se abbiamo la possibilità di offrire i pezzi per modificarla, ma questo non so fino a che punto possa servire, perché poi torniamo a limitare la fantasia della gente. Lasciare la gente libera di fare, forse questa è la strada.
  • [«E gli scooter? Ci pare di capire che non le piacciano troppo...»] No, per niente, anche se sono utili. La guidabilità di una moto e di uno scooter non sono nemmeno da paragonare. Lo scooter si guiderà come una moto solo quando si cominceranno a costruire dei telai che peseranno 600 kg, ma a quel punto costeranno 20 milioni e allora sarà più conveniente comprarsi un'auto. Il concetto dello scooter era bello perché era un veicolo semplice e non aveva nessuna pretesa. Oggi stiamo pretendendo troppo da un concetto che era chiaro. Alla fine dov'è il vantaggio se nel traffico devo fare la coda tra le macchine?
  • [...] ho guidato parecchie moto sportive ma dopo la F4 il mondo cambia. È tutta un'altra cosa, qualsiasi moto sportiva dopo aver provato la F4 è deludente. Io con la F4 mi sono trovato ad andare 30/40 Km in più rispetto a tutte le altre moto che ho guidato. E questo vuol dire che la moto è superiore a tutto il resto. In questo caso rappresenta il massimo della tecnologia ed è imbattibile. Secondo me è il punto di riferimento.
  • Mi ricordo quando è uscita la Buell: è lo stesso concetto della Monster ma molto più [...] grezza, selvaggia, molto americana ma in senso positivo. Sono riusciti a fare qualcosa di nuovo senza dover reinventare le moto degli Anni 40.
  • [Sulla Triumph Speed Triple] [...] il motore è bellissimo, peccato il cambio, esteticamente però è bruttissima. Ma come moto, come insieme, dopo averla provata, questa bruttezza diventa quasi accettabile.
  • Le moto carenate per me sono moto da corsa e basta. Io parto dal presupposto che se vado in moto è perché mi diverte, è uno svago, faccio dei viaggi, vado in posti dove con le auto non potrei andare. La moto carenata invece è nata per correre, è una moto da corsa e non ti permette di fare molte cose, è scomoda, complicata, non sterza. [«Ma non è più difficile disegnare una bella moto quando c'è solo un serbatoio e un faro?»] Per me è il contrario: è più divertente, è una sfida, perché disegnare moto carenate è un po' come disegnare delle auto, cambiano le linee ma c'è poco di nuovo, è come fare gli scooter. Invece, quando vai a lavorare sui pezzi singoli da mettere insieme è molto più divertente; mettere insieme dei pezzi e far sì che sia tutto armonioso e che si muova in un certo modo è la sfida più bella.
  • Con la Raptor sapevamo che dovevamo arrivare all'evoluzione della Monster; il concetto era chiaro: avevamo individuato il miglior motore a disposizione, c'era un serbatoio e una sella. In quel momento i miei figli avevano un videogame sui dinosauri, c'era un Velociraptor, continuavano a martellarmi su queste cose; ricordo che sul primo schizzo che ho fatto ho scritto Raptor. Subito mi sono reso conto che mi sarebbe piaciuto fare una moto dinamica, che si muove senza essere accesa. Quando guardo le foto della Raptor noto questa cosa. Questa moto si muove, c'è un certo atteggiamento, sulle altre questo non si vede, tutto è molto statico. Sono questi sono i principi dai quali sono partito.
  • Il punto di partenza per me è sempre il divertimento, il piacere, questa è una costante. [«Il piacere di guardarla o di usarla?»] Tutte e due. Se io arrivo e vedo una moto, una Harley ad esempio, oppure la Motó della Aprilia, vedo la moto, ne apprezzo il design, ma non mi viene la voglia di saltargli addosso e fare un giro. Se invece io vedo la Raptor, ho voglia di saltargli addosso, voglio vedere come curva, come frena, voglio fare cioè un'esperienza completa: parto dagli occhi, vedo, ma dopo mi deve coinvolgere tutti gli altri sensi.

(EN) Intervista di Vladi Delsoglio, ganzomag.com, 17 dicembre 2011.

  • A mio parere, un grande designer è composto per il 99% da sudore e per l'1% da talento! Ciò significa che è necessaria molta disciplina, anche quando si ha la sensazione di aver sbattuto contro il muro o di aver raggiunto il limite.
In my opinion a great designer is about 99% sweat and 1% talent! This means that a lot of discipline is required, even when you feel like you've hit the wall or reached the limit.
  • [«Chi è una persona che ha davvero cambiato la tua carriera? Qualcuno che è stato importante per te?»] Claudio Castiglioni, sicuramente. È stato unico: uno di quei personaggi che hanno davvero cambiato la storia. Nel 1978 ha acquistato un'azienda che era drammaticamente vicina al fallimento e ha ricreato totalmente il mercato delle moto in Italia! Guardi, io nel 1989 avevo una Ducati e quando andai a lavorare in Cagiva tutti mi prendevano in giro per la mia moto. Anche gli stessi dipendenti Ducati facevano lo stesso. Mi dicevano: "Ma l'hai pagata davvero quella roba?". In meno di dieci anni Castiglioni ha ribaltato la situazione. Alla fine è stato la mia guida. [...] Abbiamo fatto tutto insieme: abbiamo lavorato, discusso, viaggiato. Non c'erano limiti a ciò che facevamo, a ciò che pensavamo, a ciò che creavamo.
[Who is a person who really changed your career? Someone who has been important to you?] Claudio Castiglioni, definitely. He was unique: one of these characters that really changed history. In 1978 he bought a company that was dramatically close to failure, and totally re-created the motorbike market in Italy! Look, I owned a Ducati in 1989, and when I first went to work in Cagiva, everyone made fun of me because of my motorbike. Even the Ducati employees themselves did the same. They used to tell me: "did you really pay for that shit?" In less than ten years Castiglioni reversed this situation. In the end, he was my guide. [...] We did everything together: we worked, we argued, we travelled. There were no limits to what we did, in what we thought, in what we created.
  • Fino al 2010 ero completamente contrario alle moto elettriche, ma l'anno scorso sono andato per la prima volta all'Isola di Man e mi sono reso conto che le moto elettriche potrebbero essere il futuro, ma i produttori non riescono ancora a vederlo... Le moto elettriche non sostituiranno quelle tradizionali, sono solo qualcosa di nuovo, una novità che verrà prodotta per i prossimi 100 anni. Per i libri è la stessa cosa: c'è chi apprezza i nuovi formati di iPad e Kindle, ma d'altra parte ci sono molte altre persone che non leggeranno mai un libro su un iPad!
I was completely against electric bikes until 2010, but last year I went to the Isle of Man for the first time and I realized that electric motorbikes could be the future, but manufacturers can't see that yet ... Electric motorbikes won't replace traditional ones, they are just something new, a novelty that will be produced for the next 100 years. I mean, it's the same with books: some people appreciate the new iPad and Kindle formats, but on the other hand, there are a lot of other people who will never read a book on an iPad!

Da un'intervista a motorcycle.com; citato in insella.it, 29 aprile 2013.

  • Credo che uno dei motivi di successo di Guzzi sia la capacità di trasmettere, con i suoi prodotti, la cura di un lavoro artigianale. Basta farsi un giro a Mandello del Lario per rendersene conto. La fabbrica è immutata da 90 anni e questo fascino, in qualche maniera, viene tutt'ora trasmesso alle moto.
  • L'immagine più nitida che ho di una Moto Guzzi è la prima Le Mans: rossa, pinze Brembo e forcella Marzocchi. Le moto giapponesi a quell'epoca stavano arrivando, ma quel misto di classe e di bellezza è tutt'ora immortale.
  • Il termine Cruiser che accomuna marchi come Guzzi e Harley può trarre in inganno. In realtà è una parola inventata dal marketing ma non identifica il senso di un marchio rispetto ad un altro. La verità è che Harley-Davidson è una moto prima di tutto americana, come Triumph è una moto inglese e Moto Guzzi è una moto italiana. Le loro particolarità sono molto ben definite e vanno al di là del semplicistico termine "cruiser".

Intervista di Francesco Paolillo, moto.it, 6 agosto 2014.

  • Il mio lavoro ha due facce, ha un aspetto pratico e uno romantico, il primo è un aspetto mondiale, anche perché la gente avrà sempre bisogno di muoversi sempre più efficacemente, con in più i problemi di inquinamento ed ecologia, che le generazioni precedenti non hanno mai affrontato. Queste problematiche sono uno stimolo, anche per creare cose nuove che non abbiamo mai avuto prima. Poi c'è l'aspetto romantico, quello del giro in moto, del rumore, che andrà avanti per molti anni ancora.
  • [«Normative varie e vincoli legislativi rendono sempre più difficile realizzare veicoli, il dialogo tra designer e ingegneri è sempre più complicato, o forse stimolante»] Le normative ci sfidano, ma poi la forma si trova sempre, mentre quello che mi preoccupa è che la moto sta diventando sempre più complicata e pesante, caratteristiche che snaturano il concetto che ho della moto, un oggetto semplice che mi permetta di divertirmi con poco.
  • Le cilindrate grosse rappresentano il volere sempre di più, mentalità tipica degli anni sessanta e settanta (e aggiungerei anche ottanta e novanta...), i ragazzi di oggi hanno una mentalità diversa, si godono il giro in moto a prescindere dalla cilindrata.

(EN) Testo di Alan Cathcart, Australian Motorcycle News, 13 aprile 2020.

  • A quel tempo, il signor Honda era ancora vivo e avevano in progetto di aprire uno studio a Milano, perché il suo sogno era di avere uno studio in Italia [...]. Così mi offrirono un lavoro. Ho conosciuto persone fantastiche, come Hitoshi Ikeda, il progettista della CB750 K0, ma la prima cosa che ho fatto quando sono arrivato a Milano è stata comprare una Ducati! Trovai [...] questa 750SS rossa e argento a 7,5 milioni di lire, che erano un sacco di soldi, ma mi dissi: se non lo faccio ora, non lo farò mai più. Ricordo che la portai alla Honda per la prima volta e il signor Ikeda venne alla mia scrivania e mi chiese perché non avessi comprato una Honda. Gli risposi che mi piacevano le Ducati. Mi disse di andare con lui e pensai: "Oh, cavolo, sono nei guai". Siamo andati al parcheggio, lui ha inserito la chiave, ha avviato il motore e improvvisamente la sua faccia è cambiata. Ha fatto vroom, vroom con l'acceleratore, poi si è girato verso di me e ha detto: "Sai una cosa, questa moto ha un cuore. Noi giapponesi non saremo mai in grado di fare qualcosa di simile". Da quel momento in poi, ogni volta che veniva in ufficio, prendeva la chiave per avviare la Ducati, dava un colpetto all'acceleratore e poi ritornava con un sorriso enorme!
At that time, Mr Honda was still alive and they had a project to open a studio in Milan, because his dream was to have a studio in Italy [...]. So they offered me a job. I met some great people, like Hitoshi Ikeda, the designer of the CB750 K0, but the first thing I did when I came to Milan was to buy a Ducati! I found [...] this silver and red 750SS for 7.5m Lira, which was a lot of money, but I said, if I don't do it now, I never will. I remember riding it to Honda for the first time and Mr Ikeda came to my desk and asked me why I didn't buy a Honda. I said because I like Ducatis. He told me to go with him and I thought "oh man, I'm in trouble". We went to the parking lot and he put the key in and started the engine and suddenly his face changed. He went vroom, vroom, with the throttle and then he turned to me and said, "you know what, this bike has a heart. We Japanese are never going to be able to make something like this." And from then on every time he'd visit the office he'd take the key to start the Ducati, blip the throttle, and then come back with a huge smile!
  • [Su Claudio Castiglioni] Aveva una formidabile percezione di ciò che volevano i suoi clienti. Si fermava due o tre volte alla settimana per guardare quello che stavamo facendo, per sedersi e discuterne con noi, per proporre nuove idee. [...] Capiva molto bene il design. Avevamo grandi discussioni, ma tutto ciò faceva parte della sua passione [...]
[...] he had a fantastic appreciation of what his customers wanted. He'd stop by two or three times a week to look at what we were doing, and to sit down and discuss it with us, and throw out new ideas. [...] He understood design very well. We had big arguments – but that was all part of being so passionate about it [...]
  • Ho sentito molte storie sul perché l'abbiamo chiamato Monster, la maggior parte delle quali completamente false! Il vero motivo è che passavo ore e ore su un disegno che non aveva un numero di progetto e il controllo finanziario aveva bisogno di un nome a cui assegnare i costi. In quel periodo in Italia c'era una mania chiamata 'Monster in My Pocket', che i bambini collezionavano. C'erano circa 300 diversi mostri di gomma e ogni sera i miei due figli mi chiedevano: "Papà, ci hai comprato un Monster? Monster, Monster, Monster?". E ogni fine settimana andavamo al negozio per comprarne tre o quattro pacchetti da aggiungere alla loro collezione. Così dissi: "Perché non lo chiamiamo Monster?". Così è diventato Monster – mai la parola italiana, che è Mostro, perché non è quello che c'era scritto sui pacchetti.
I heard many stories about why we called it the Monster, most completely untrue! The real reason is because I was spending hours on a design that didn't have a project number, the financial controller needed a name to which to allocate the costs. Around that time, they had a craze in Italy called 'Monster in My Pocket' for young kids to collect. There were about 300 different rubber monsters, and each night my two sons would ask me "Dad, did you buy us a monster? Monster, monster, monster?" And each weekend we'd go to the store to buy three or four boxes of them to add to their collection. So I said "why don't we call it the Monster?" So Monster it became – never the Italian word, which is Mostro, because that's not what it said on the boxes.
  • Non è [...] vero che all'inizio doveva chiamarsi Cagiva Monster: sarebbe sempre stata una Ducati. Ma il primo prototipo realizzato a Bologna per i collaudatori era dipinto di verde, così lo chiamarono Kermit. Era un insulto voluto, perché non gli piaceva, perché non era una moto sportiva, e Farnè [Franco, il guru tecnico della Ducati] le montò un manubrio stile chopper e uno scarico personalizzato. Mi lamentai e alla fine ricambiarono tutto, ma l'ironia della sorte è che salvò la Ducati e le permise di continuare a costruire Superbike e MotoGP vincenti.
It's [...] not true that it was originally going to be called the Cagiva Monster – it was always going to be a Ducati. But the first prototype they made in Bologna for the test riders to use was painted green, so they called it Kermit. It was a deliberate insult because they didn't like it since it wasn't a sportsbike, and Farnè [Ducati's technical guru] fitted a chopper-style handlebar to it and a custom exhaust. I complained and they eventually changed it back, but the irony is it saved Ducati, and allowed them to keep on building title-winning Superbikes and MotoGP racers.
  • Lo spirito del Monster è nato sulla Los Angeles Crest Highway nel 1984, dato che andavamo a scuola a Pasadena e quella era la strada che percorrevamo avanti e indietro per arrivarci. Era facile fare incidenti, perché le moto e gli pneumatici facevano schifo e riparare la carrozzeria era difficile e costoso. Inoltre, avevamo un amico che aveva una vecchia Triumph Bonneville e che teneva sempre il passo con le nostre sportive giapponesi a quattro cilindri, e a volte ci batteva anche al Rock Store sulla Mulholland, dove ci incontravamo nei fine settimana. All'epoca avevo una Suzuki GS750ES con ruote da 16 pollici e tutto il resto, ma lui era sempre lì. Poi sono uscite le prime Honda Interceptor e GSX-R750, tutto è diventato complicato e costoso e sono finito a lavorare per Honda, progettando tanta plastica. Ma a che scopo? Voglio godermi il viaggio. [...] E per farlo mi serve solo un motore, due ruote, un serbatoio, un manubrio e del metallo per unirli. Ed è così che ho creato un mostro.
The spirit of the Monster was born on the Los Angeles Crest Highway in 1984, because we were going to school in Pasadena, and that was the road we used to go back and forth along to get there. It was easy to crash, because the bikes and tyres were crap, and repairing bodywork was difficult and expensive. Plus, we had a friend who had an old Triumph Bonneville, and he would always keep up with us on the four-cylinder Japanese sportbikes, and even sometimes beat us to the Rock Store on Mulholland where we'd meet at weekends. Back then I had a Suzuki GS750ES with 16-inch wheels and everything, and still he'd always be there. Then the first Honda Interceptor and GSX-R750 came out, everything got complicated and expensive and I ended up working for Honda, designing so much plastic – but what for? I want to enjoy my ride. [...] And to do that I only need one engine, two wheels, a tank, a handlebar and some metal to join them together. And that's how I created a monster.

Da SLICK nº 13, giugno-luglio 2021; citato in Enrico Borghi, slick-magazine.com.

[Sull'Aprilia RSV4]

  • Era il periodo in cui si discuteva del futuro della 250 nei GP, e lì l'Aprilia andava forte. Ma questa azienda non aveva mai vinto nei quattro tempi, quindi fu una sfida importante. Quando l'R&D e il Racing ci diedero le specifiche, e iniziai a pensare al tipo di moto che ci serviva, dissi a me stesso e poi a tutti quanti: ora dobbiamo avere il coraggio di sfidare noi stessi, e di fare qualcosa di diverso. E allora stringemmo un patto d'acciaio, tra di noi: saremmo rimasti uniti per la missione, cioè portare l'Aprilia a vincere anche nel mondo delle quattro tempi.
  • Lo sai che il design della RSV4 l'abbiamo concepito in una pizzeria vicino a Noale? Sì, mi piaceva moltissimo andare lì, la sera, dopo il lavoro, con i colleghi e i collaboratori. [...] Quando ci mettemmo a disegnare la RSV4 pensai alla bellezza femminile. Allora ho detto: facciamole un bel "davanti" e un bel "posteriore", quello che c'è in mezzo verrà da solo. Quindi il frontale doveva possedere uno sguardo bello e aggressivo, per attrarre; il codino lo vedevo come dei bei fianchi e, insomma, come un bel sedere! Ed è venuta fuori una moto bellissima.
  • Eravamo al ristorante [...]: a tavola eravamo io, Romano [Albesiano] e Gigi [Dall'Igna]. Ad certo punto ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: "Partendo da zero, abbiamo la possibilità di fare una moto che, quando l'avremo finita, sarà vincente e aprirà una nuova era". [...] Io ho detto: "sfidiamoci!". Dobbiamo sfidare noi stessi, per fare qualcosa di veramente diverso, che adesso non c'è. E dobbiamo restare uniti!. [...] La sfida fu questa: ci allineiamo tutti, lavoriamo nella stessa direzione, con un solo obiettivo. [«Perché fu una sfida? Non dovrebbe essere normale?»] In Italia, mica tanto. Infatti avvenne un'autentica rivoluzione: un'azienda italiana si mise a lavorare in modo univoco, cioè tutti come fossero uno solo. Io li conosco, gli italiani – ne ho viste di tutti i colori, nelle aziende italiane in cui ho lavorato – e non mi era mai capitato che tutti si accordassero per lavorare uno a fianco dell'altro. Roba da giapponesi, ma quelli erano Italiani!
  • [...] la sfida era già tosta di suo, perché bisognava risolvere tutti i problemi che sorgono quando vuoi fare una moto bella e che vada anche forte, ma noi ne creammo un'altra: decidemmo di inventare qualcosa di nuovo in un mondo, la Superbike, in cui era stato fatto di tutto. Per fare quello che abbiamo fatto noi, in quel momento storico – penso all'azienda, che stava riorganizzandosi – ci vogliono i "coglioni" [...] ma servono anche una visione, una certa ampiezza di vedute. [«Ed ecco il patto...»] Ci organizzammo in modo che i tre settori coinvolti (R&D, Racing, Stile) progettassero e sviluppassero sempre insieme. Secondo me questo ha fatto la differenza. E ribadisco: litigammo molto, ma perché abbiamo dato tutto.
  1. Citato in Miguel Galluzzi: "la California 1400 apre una nuova strada per Moto Guzzi", insella.it, 3 dicembre 2012.
  2. (EN) Dall'intervista di Wesley Reyneke, Motorcycle Design: The State We're In, bikeexif.com, 7 luglio 2014.
  3. a b (EN) Da Bruno dePrato, Interview: Miguel Galuzzi, Motorcycle Designer, cycleworld.com, 31 luglio 2014.
  4. Citato in Paolo Lorenzi, Miguel Galluzzi: «Così racconto le nuove moto Guzzi all'America», corriere.it, 5 agosto 2015.
  5. a b (EN) Dall'intervista di Paul d'Orleans, Meet The Man Who Designed The Ducati Monster, cycleworld.com, 11 settembre 2018.

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